Non so se siano utili queste noterelle (a proposito del siciliano "ammàtula"). In greco moderno ci sono tre espressioni per dire "invano", tutte dalla stessa radice: "εις μάτην", "μάταιως", "μάταια" (pronuncia "is màtin", "màteos", "màtea"). Ε anche nell'antico greco "μάταιος" (màtaios) significa "vano, inutile", in riferimento alle cose, "frivolo, sciocco" in riferimento alle persone,, e "μάτην" (màten) avverbio, per: "inutilmente", "stoltamente", e c'è anche il sostantivo "μάτη, -ης" (mate, -es) per: "cosa vana, inutile". Il mio Babiniotis, stabilita l'origine nell'antico greco, avverte che in serbo-croato esiste un verbo "matan" (con il significato di "sbagliare, errare").
Gian Piero Testa 2010/5/12 - 22:03
Caro Gian Piero, non per contraddire il tuo amico Babiniotis, però: a) in serbocroato non può esistere nessun verbo "matan", in quanto la terminazione dell'infinito in quella lingua (come in pressoché tutte le lingue slave) è in "-ti". Esiste sì, comunque, un verbo "matati" in serbocroato, ma significa: "adescare, allettare" (la fonte è il monumentale dizionario serbocroato-italiano di Deanović-Jernej, che tengo giusto a lato del pc). Nulla a che vedere, quindi, con "sbagliare" o "errare". Consiglierei quindi di attenersi alla peraltro esattissima etimologia greca interna senza andare a scomodare il serbocroato, che non c'entra assolutamente nulla. In greco, a quanto mi risulta, le parole di origine sicuramente slava sono pochissime.
NB. Da ancorché antico filologo e linguista in prestito al 118, ho anche qualche dubbio "di pelle" sulla commistione greco-araba (che diavolo dovrebbe entrarci... (Continues)
Ulteriore noterella: compulsando qualche dizionarietto etimologico greco che ho in casa, il termine primario μάτη (da cui μάταιος) risulta di origine sconosciuta (vale a dire: non esiste alcuna radice indoeuropea plausibile cui ricondurlo).
Negli anni settanta l'ho ascoltata per la prima volta da Caterina Bueno, alla Flog di Firenze in uno spettacolo che registrai e di cui ho ancora la cassetta. Un giorno se ne farà un CD come già fatto per un altro importante spettacolo del 1975 (inaugurazione del centro FLOG, Caterina ed il Coro degli Etruschi di Roselle ecc, registrato da me e pubblicato a cura di Corrado Barontini di Grosseto). Io e Caterina avevamo iniziato a cantare contemporaneamente, eravamo ambedue nello stabile (inteso come elenco di "artisti", non come casa) del CAB 65, il primo effettivo cabaret a Firenze in via degli Alfani 65. Il primo vero fu Le polveri che però poi non aprì che per pochi giorni. Ho ancora una locandina rossa con tutti i nomi, eredità del regista Roberto Vezzosi (tramite l'amico Paolo Carcasci suo cognato) che lavorava lì con noi.
Quanti ricordi! O porto di Livorno traditore!
Mario Galasso 2010/5/12 - 21:10
Devo aggiungere che con Caterina per 45 anni circa abbiamo avuto un ottimo rapporto di amicizia e di comprensione. Da lei negli anni sessanta conobbi Ignazio Buttitta che mi regalò il suo libro "Lu trenu di lu suli" con una bella dedica (A Mario Galasso, oggi sconosciuto, domani grande cantastorie) che proprio 3-4-gg fa avevo tra le mani. Abitava allora in un villone ex convento alle pendici di Fiesole, preso in affitto dal babbo Xavier (si, il pittore famoso), ed io rimasi sconvolto dall'inciviltà del padre che aveva inchiodato assi sui braccioli del coro dei monaci, aveva poi messo delle reti di ferro sul davanti e nelle gabbie così ricavate ci teneva le galline! In un coro del 500! Mostruoso ed ignobile!
Fu per questo motivo che io non andai più a trovarla a casa sua. Ma ricordo anche delle pietre scolpite, dei rospi che servivano da fermaporta. O di tante altre cose private che non sto qui a scrivere. Ormai Caterina è morta ed io non so quando la seguirò per cantare ancora con lei le nostre canzoni.
...in questa canzone, c'è l'intera esistenza dell'essere umano!!! ...anzi dico l'esistenza della specie, di tutti gli esseri umani... c'è la storia dell'uomo!
...ed è positiva perchè fa ben sperare!
...Ma so che un cambiamento è in arrivo, sì arriverà. ;)
Una versione inglese diversa e molto libera. Ho cercato di ricreare in inglese il ritmo di filastrocca con tutti i suoi accenti di morte. Ovviamente non e' all'altezza dell'originale, ma e' il miglior modo che ho trovato per ricrearne le emozioni. Ho dovuto rinunciare al bucket perché in inglese ha connotazioni comiche che non ci sono in italiano.
E' una traduzione traditrice, ma De André mi perdonerebbe, aveva pazienza con i mascalzoni.
Questa canzone dice una verità molto scomoda: che la guerra non la fanno i politici, ma i soldati. E chi muore o si ferisce sono i militari e i civili, non i potenti.