Canto di lavoro e di protesta salentino, reso celebre nell’interpretazione dello storico gruppo de Li Ucci.
Nel disco del 1999 intitolato “Buonasera a quista casa. Pizziche, stornelli e canti salentini”
Ripreso dagli Aramiré nel disco “Mazzate Pesanti” del 2004.
Testo trovato su “Tabacco e tabacchine nella memoria storica. Una ricerca di storia orale a Tricase e nel Salento”, a cura di Vincenzo Santoro e SergioTorsello, Manni editore, 2003.
In questo canto delle “tabacchine” del Salento la protesta si lega alla rassegnazione della propria condizione sociale perché il lavoro, mal pagato quanto sia, è pur sempre l'unico mezzo per poter sfamare i figli, e questa consapevolezza è sempre presente nelle lavoratrici salentine. Ma non manca il disprezzo verso chi ha scelto di farsi serva del padrone per guadagnare qualcosina di più di niente, la “maestra”, cioè colei che controlla il lavoro e... (continuer)
[Anni 30?]
Canto raccolto dal ricercatore Brizio Montinaro e da Roberto Licci (Canzoniere Grecanico Salentino) nel 1978 a San Foca di Melendugno, Lecce, dalla voce di Niceta Petrachi, detta Teta, conosciuta anche come “la Simpatichina”
Testo e traduzione italiana trovati su La Putea. Cultura e artigianato del Salento
Interpretata dagli Aramiré, compagnia di musica salentina, nel loro disco intitolato “Mazzate Pesanti”.
L’ultima strofa tra parentesi è presente nella versione dei Gèkos, gruppo di giovani salentini che cerca di “rifondare” il folk di quella terra con la musica reggae, jazz, ska e blues.
Il testo potrebbe aver ispirato (o essere stata ispirata da) una canzone napoletana risalente al 1933 intitolata “Carcere”, scritta da Libero Bovio con musica di Ferdinando Albano: anche questa inizia infatti con il verso “Carcere ca mme tiene carcerato” e l’intera prima strofa è molto simile alle prime due del canto salentino…
[2004]
Album “Mazzate pesanti”
Testo e musica di Roberto Raheli
A Tricase, provincia di Lecce, regione delle Serre salentine, il 25 maggio del 1935 una manifestazione di lavoratori del tabacco venne repressa nel sangue (cinque morti, tre donne e due uomini) dai fascisti e dalla forza pubblica.
“Siamo in pieno periodo fascista. Ma il popolo, i contadini, i cafoni, chi vive nell'estremo Sud, non sa chi siano i fascisti. Non sapeva, in effetti, chi fossero i piemontesi e, ancor prima, gli spagnoli. Qualsiasi potere che si è succeduto nel tempo era, comunque, qualcosa di lontano da loro. Un popolo straniero, come gli altri. Straniero alle logiche dei paesi del sud, straniero ai bisogni della gente, straniero alla povertà che affligge il Sud. Ma c'è una cosa a Tricase, piccolo centro del Sud Salento, che crea sollievo alla miseria più nera. L'Acait, un tabacchificio... (continuer)
[1975-2001?]
Testi di Cicì Cafaro, Salvatore Caldarazzo, Pellegrino e Roberto Raheli.
Su di una melodia del repertorio di Luigi Stifani, detto maestro Gigi (mesciu Gigi, in dialetto salentino, Nardò, 1914–2000), barbiere, violinista, mandolinista, chitarrista e grande divulgatore della cultura popolare del tarantismo salentino.
Nel disco del 2003 intitolato “Mazzate pesanti”
Poi anche nel libro+CD audio “Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina”, di Vincenzo Santoro, Edizioni Squilibri 2009.
“Opillopillopì è una canzone popolare scritta ‘a più mani’, nel senso che a un testo iniziale, con una melodia e un ritornello molto riconoscibili, composti probabilmente nella prima metà degli anni Settanta, sono state fatte successivamente diverse aggiunte, da parte di ‘autori’ diversi. E' anche una canzone ‘di protesta’, indiscutibilmente... (continuer)
Nel disco del 1999 intitolato “Buonasera a quista casa. Pizziche, stornelli e canti salentini”
Ripreso dagli Aramiré nel disco “Mazzate Pesanti” del 2004.
Testo trovato su “Tabacco e tabacchine nella memoria storica. Una ricerca di storia orale a Tricase e nel Salento”, a cura di Vincenzo Santoro e SergioTorsello, Manni editore, 2003.
In questo canto delle “tabacchine” del Salento la protesta si lega alla rassegnazione della propria condizione sociale perché il lavoro, mal pagato quanto sia, è pur sempre l'unico mezzo per poter sfamare i figli, e questa consapevolezza è sempre presente nelle lavoratrici salentine. Ma non manca il disprezzo verso chi ha scelto di farsi serva del padrone per guadagnare qualcosina di più di niente, la “maestra”, cioè colei che controlla il lavoro e... (continuer)