IQBAL
Petit homme de quatre ans
Vendu pour quelques francs
D'indifférence
IQBAL
Enchaîné à son banc
Comme ces millions d'enfants
Privés d'enfance
IQBAL
Condamné au travail
A tisser vaille que vaille
Sans voir le jour
IQBAL
Interdit de tendresse
Interdit de faiblesse
Privé d'amour
ESCLAVE
Le mot claque comme un fouet
Sur tous les droits bafoués
Des enfants gris
ESCLAVE
Le mot traîne comme une chaîne
Et le mal se déchaîne
Jusqu'à l'oubli
On est tous un peu coupables
De baisser les yeux
De fermer les yeux
IQBAL
10 ans et du courage
Pour combattre à son âge
Cet esclavage
IQBAL
Petit porteur de croix
De millions de sans voix
D'enfants sans droits
HÉROS
Le mot n'est pas trop fort
Mais le silence est d'or
Bien trop encore
HÉROS
Le mot n'est pas trop beau
Il est comme un écho
A fleur de peau
On est tous un peu capables
De lever les yeux
De lever les yeux
IQBAL
Ton petit coeur de cristal
S'est brisé sous leurs balles
On a eu mal
IQBAL
Ton combat continue
Pour tous tes frères de rue
Ces anges qu'on tue
IQBAL
Trois cent millions encore
Exploités pour leur corps
Ou leurs efforts
IQBAL
Y'avait dans tes yeux noirs
Comme une lueur d'espoir
On ose y croire
On veut y croire...
Petit homme de quatre ans
Vendu pour quelques francs
D'indifférence
IQBAL
Enchaîné à son banc
Comme ces millions d'enfants
Privés d'enfance
IQBAL
Condamné au travail
A tisser vaille que vaille
Sans voir le jour
IQBAL
Interdit de tendresse
Interdit de faiblesse
Privé d'amour
ESCLAVE
Le mot claque comme un fouet
Sur tous les droits bafoués
Des enfants gris
ESCLAVE
Le mot traîne comme une chaîne
Et le mal se déchaîne
Jusqu'à l'oubli
On est tous un peu coupables
De baisser les yeux
De fermer les yeux
IQBAL
10 ans et du courage
Pour combattre à son âge
Cet esclavage
IQBAL
Petit porteur de croix
De millions de sans voix
D'enfants sans droits
HÉROS
Le mot n'est pas trop fort
Mais le silence est d'or
Bien trop encore
HÉROS
Le mot n'est pas trop beau
Il est comme un écho
A fleur de peau
On est tous un peu capables
De lever les yeux
De lever les yeux
IQBAL
Ton petit coeur de cristal
S'est brisé sous leurs balles
On a eu mal
IQBAL
Ton combat continue
Pour tous tes frères de rue
Ces anges qu'on tue
IQBAL
Trois cent millions encore
Exploités pour leur corps
Ou leurs efforts
IQBAL
Y'avait dans tes yeux noirs
Comme une lueur d'espoir
On ose y croire
On veut y croire...
envoyé par Alessandro - 26/2/2009 - 13:11
IL VIAGGIO. PIOLTELLO, IQBAL ED I TAPPETI VOLANTI (ED IL PRIMO MAGGIO)
Informare On line
A Pioltello ci si arriva sempre. Con qualsiasi mezzo di trasporto. Un treno, una Erre4, una bicicletta o qualsiasi tipo di velivolo. Per la via aerea si può scegliere di tutto, da un aereo di linea ad un tappeto volante. Sicuro ci si atterra. Io ho scelto il treno. Alla stazione prendi a destra viale monza e tutto dritto trovi VIA IQBAL MASIH, che con Via Cattaneo, Via D’Annunzio e Via La Pira circondano piazza dei Popoli dove si trova il Municipio. Non piazza del popolo ma “dei popoli”. Tutti i popoli. A Cusano Milanino, poco più a nord, la piazza dove si affaccia il Comune è dedicata ai “Martiri di Tien-an-men”. Le amministrazioni locali dell’hinterland milanese – forse inconsapevolmente o forse no – sono proiettate ad una visione laico-globalizzante rispetto a quelle del centro sud dove permane una concezione del luogo urbano di tipo cattolico – rinascimentale: piazza duomo, piazza del comune, piazza ss Annunziata, piazza garibaldi, piazza roma, etc.
“Ma chi è Iqbal Masih?” Arrivato davanti alla casa comunale si nota che – a dispetto della denominazione – non ci sono popoli in raduno ma persone che vanno di fretta. Ma poche. Certificati e autorizzazioni sui gradoni che portano agli uffici pubblici e poco più in là tachipirina, diuretici, beta-bloccanti e calcio -antagonisti coccolati tra le braccia di chi esce dalla “Farmacia dei Popoli” che è aperta il lunedì mattina.
Tutto in torno più palazzi che suoni, più parcheggi che clacson. E quel nome stride ancora di più con i colori smorti dell’asfalto e del compassato rosso porpora degli edifici.
Via Iqbal Masih Via Iqbal Masih
Via Iqbal Masih
«Scusi, chi è Iqbal Masih?» chiedo di getto al primo che esce dalla farmacia.
«Ma Lei è della Finanza? No, perché io ho lo scontrino e stamattina mi sono assentato dal lavoro con un permesso 104, e poi…»
«Non si agiti e mi scusi ma ero curioso di sapere chi è questo Iqbal. Un nome strano per una strada in Italia. Va bene D’Annunzio, Cattaneo, Manzoni ma Iqbal Masih… è che sono curioso?»
«Che spavento! Però che domande fa? Uno sta per i fatti suoi, mille pensieri e…. ». Si asciuga la fronte e sospira un sollievo che si alza in cielo come il pallone che si lascia scappare un bambino alla festa patronale.
«Lei vuol sapere chi è Iqbal Masih?» trancia le parole dello spaventato un sessantenne, moro con baffi affilati, rughe sparse sul viso come se fossero crema idratante ed un sorriso che accenna sarcasmo.
«Iqbal Masih? Lei vuole sapere chi è Iqbal?»
«Ma daddove viene? Sciur…?»
«Russo. Vengo da Napoli, per la precisione Castelvolturno, Caserta, sa com’è dopo il Garigliano siamo tutti napoletani» e mi lancio in una risata grassa, impostata, ingenua e non gradita.
«Russo? Da Caserta? I soliti meridionali che non sanno un bigatt, niente di niente, un usél e vengono a toglierci il lavoro. Per pacià el paciotta per bev el bevòtta l’è a laurà ch’el barbotta (Per mangiare mangia, per bere beve ma è al lavoro che si lamenta)».
«Scusi non pensavo che la mia curiosità poteva portare a un atteggiamento così maleducato da uno che dice “daddove”. Lei “daddove” viene? Da Santa Maria capua vetere o da Torre Annunziata?»
«Torre del Greco. So’ turresiello. Ma il punto non è questo! E stà schisc (Stai al tuo posto)». Piglia fiato e come un banditore – con tono roboante ma cupo e accusatorio – proclama: «Tu non sai chi è Iqbal Masih!».
Un po’ di gente si è fatta. Il bando è stato emanato. Non sono preoccupato ma un tantinello imbarazzato. Solo un tantinello.
Impiegati comunali, clienti dalla farmacia, la farmacista con camice bianco e petto indisponente, avventori e commessi degli altri negozi, direttore lavori e operai che stanno lavorando per un rappezzo a via cattaneo, sindaco senza fascia con giunta comunale e consiglieri in ultima fila, davanti a tutti gli ufficiali d’anagrafe e gli addetti alla cultura che prendono appunti sempre con occhialini e cappellini di lana. La piazza è quasi piena.
Un chiacchiericcio che più di un suono vibrato è un sgnoccolamento di odori, quando capita che qualche parola si distingue dalle altre ho veramente la sensazione che in quella piazza ci siano i popoli. Tutti i popoli della terra. Ogni parola ha un curriculum che marca una provenienza diversa: Sardegna, Calabria, Piemonte, Algeri, Palermo. Sembra una messinscena di Gadda e Pasolini.
Bepi di Torre del Greco spiega e le voci calano.
«Iqbal – secondo alcuni – è un bambino pakistano morto a 12 anni, il sindacalista più giovane della storia che lottò contro lo sfruttamento dei bambini nel suo paese e per questo ucciso nel giorno di pasqua del 1995».
«E secondo altri?» si è creata una pausa ed io l’ho riempita.
«Una farfalla!» stentoreo e deciso afferma Don Peppe, operaio in pensione della SISAS (Società italiana serie acetica sintetica) fondata a Milano il 28 settembre 1947 lui che è nato lo stesso giorno a via Calastro tra il golfo di Napoli ed il Vesuvio per lavorare l’acetilene nello stabilimento di Rodano.
«Una parpài … na’ palomma … una papella … una maulécchie … una bellèndora … una mariposa» in eco le lingue dei popoli in ascolto.
E le parole dell’oratore cominciano a volare proprio come una farfalla sulla testa di chi lo sta ascoltando, si posano su ogni orecchia, la prima e poi la seconda, la terza, come ad impollinazione.
«Era dai tempi di Balkiyis, regina di Saba, che i tappeti in Persia ed India non volavano più. L’ultimo tappeto volante era stato quello che la regina per amore regalò a Salomone quasi 3.000 anni fa. Balkiys lo aveva commissionato al vecchio Sharkàn, alchimista e maestro nella lettura del Talmud. Da allora più niente.
I mercanti dei tappeti erano disperati perché ormai le manifatture occidentali avevano ricopiato in tutto i colori e le fibre di quelli orientali e ad un costo molto più basso. Non sapevano come fare. Dovevano trovare una soluzione. Solo i tappeti volanti avrebbero sparagliato la concorrenza europea e americana. Scoprirono che solo la purezza e la gentilezza dei bambini poteva creare l’alchimia di Sharkàn di 3.000 anni prima. Cominciarono a fare prestiti a tutti i poveri del Pakistan promettendo anche lavoro che poi sarebbe stata la fonte di guadagno per la restituzione del prestito. Ma all’improvviso li licenziarono tutti senza preavviso e motivazione. Padri e madri dovettero vendere i propri figli che furono messi ai telai con spola e navetta a infilare il filo della trama tra quelli dell’ordito. I nuovi tappeti furono testati subito. Si alzavano dal suolo una cinquantina di cm ma bastava uno starnuto o una parola sussurrata che i tappeti si afflosciavano sul pavimento delle fabbriche o si schiacciavano sotto i soffitti. Il rimedio di eliminare il raffreddore o di parlare urlando non dava garanzie. Bastava una minima distrazione e si era tentati a parlare con discrezione nell’orecchio dell’interlocutore, o una disattenzione si freddava il sudore sulla schiena e vai lì con un “Eccì!!!”.
A Muridke, nel distretto del Punjab, una giovane coppia si amava così tanto che ad ogni bacio nasceva un bambino. Un amore così intenso che a un certo punto il semplice pensiero portava al parto la donna. Ormai aveva più figli che anni. Un giorno lei chiese a lui di voler avere come figlio una farfalla in modo che alla loro morte li avrebbe accompagnati in cielo. Ma non bastò un bacio e neanche una carezza, tutta una notte d’amore tra i pianti e i sorrisi di 50 figli. E così nacque la farfalla Iqbal – che in arabo significa “prosperità e ricchezza” – dal desiderio di una madre.
I fetienti, cioè i mercanti di tappeti, appena seppero il fatto e immaginando la potenza derivante dall’abbinamento della purezza di un bambino e di una farfalla nel giro di qualche settimana prestarono dei soldi al padre di Iqbal, lo assunsero e lo licenziarono nello stesso tempo che si impiega ad assumere e licenziare un operatore di call center. Si fecero vendere il figlio farfalla e lo misero al telaio. Iqbal, con la sua spola, tessette il più bel tappeto che i mercanti avevano mai visto, di seta verde, con ricami d’oro e d’argento, tempestato di minuscoli zaffiri e turchesi, intrecciato con fili immersi nel rosso delle cocciniglie raccolte nelle terre della provincia iraniana di Esfahan. Ed il tappeto volava! Eccome volava, come quello che Balkiyis, regina di Saba, regalò per amore a Re Salomone 3.000 anni prima.
Ma i bambini? Iqbal spiegò che pur essendo farfalla non poteva vedere bambini schiavizzati, attaccati a filatrici, rinchiusi in pozzo e denutriti, i tappeti volanti sono cose da farfalle non da bambini. I mercanti dissero che era la legge del mercato. Il capitalismo è duro e selvaggio e non conosce innocenze. Uno scontro duro.
Ma ad un certo punto Iqbal Masih si stufò e scioperò. Ma non come un Bortolazzi qualsiasi della Fiom. Aprì le ali – così belle che ricordavano i colori dei tappeti e i vestiti dei KC & Sunshine Band – e volò via.
Chi dice che fu ucciso è fetente pure lui. Iqbal è in sciopero! Ritornerà quando tutti i bambini indiani e pakistani smetteranno di lavorare e andranno a scuola. Forse il 1° maggio».
Il sindaco di Pioltello, a questo punto, indossa la fascia tricolore a tracolla della spalla destra e la annoda al fianco sinistro ed una farfalla vola sulla sua fronte.
A Pioltello, in Piazza dei Popoli, ci arrivo da Via Iqbal Masih – dopo Via Monza – quando scendo dal treno.
di Vincenzo Russo Traetto
Tratto da Informare n° 181 Maggio 2018
Informare On line
A Pioltello ci si arriva sempre. Con qualsiasi mezzo di trasporto. Un treno, una Erre4, una bicicletta o qualsiasi tipo di velivolo. Per la via aerea si può scegliere di tutto, da un aereo di linea ad un tappeto volante. Sicuro ci si atterra. Io ho scelto il treno. Alla stazione prendi a destra viale monza e tutto dritto trovi VIA IQBAL MASIH, che con Via Cattaneo, Via D’Annunzio e Via La Pira circondano piazza dei Popoli dove si trova il Municipio. Non piazza del popolo ma “dei popoli”. Tutti i popoli. A Cusano Milanino, poco più a nord, la piazza dove si affaccia il Comune è dedicata ai “Martiri di Tien-an-men”. Le amministrazioni locali dell’hinterland milanese – forse inconsapevolmente o forse no – sono proiettate ad una visione laico-globalizzante rispetto a quelle del centro sud dove permane una concezione del luogo urbano di tipo cattolico – rinascimentale: piazza duomo, piazza del comune, piazza ss Annunziata, piazza garibaldi, piazza roma, etc.
“Ma chi è Iqbal Masih?” Arrivato davanti alla casa comunale si nota che – a dispetto della denominazione – non ci sono popoli in raduno ma persone che vanno di fretta. Ma poche. Certificati e autorizzazioni sui gradoni che portano agli uffici pubblici e poco più in là tachipirina, diuretici, beta-bloccanti e calcio -antagonisti coccolati tra le braccia di chi esce dalla “Farmacia dei Popoli” che è aperta il lunedì mattina.
Tutto in torno più palazzi che suoni, più parcheggi che clacson. E quel nome stride ancora di più con i colori smorti dell’asfalto e del compassato rosso porpora degli edifici.
Via Iqbal Masih Via Iqbal Masih
Via Iqbal Masih
«Scusi, chi è Iqbal Masih?» chiedo di getto al primo che esce dalla farmacia.
«Ma Lei è della Finanza? No, perché io ho lo scontrino e stamattina mi sono assentato dal lavoro con un permesso 104, e poi…»
«Non si agiti e mi scusi ma ero curioso di sapere chi è questo Iqbal. Un nome strano per una strada in Italia. Va bene D’Annunzio, Cattaneo, Manzoni ma Iqbal Masih… è che sono curioso?»
«Che spavento! Però che domande fa? Uno sta per i fatti suoi, mille pensieri e…. ». Si asciuga la fronte e sospira un sollievo che si alza in cielo come il pallone che si lascia scappare un bambino alla festa patronale.
«Lei vuol sapere chi è Iqbal Masih?» trancia le parole dello spaventato un sessantenne, moro con baffi affilati, rughe sparse sul viso come se fossero crema idratante ed un sorriso che accenna sarcasmo.
«Iqbal Masih? Lei vuole sapere chi è Iqbal?»
«Ma daddove viene? Sciur…?»
«Russo. Vengo da Napoli, per la precisione Castelvolturno, Caserta, sa com’è dopo il Garigliano siamo tutti napoletani» e mi lancio in una risata grassa, impostata, ingenua e non gradita.
«Russo? Da Caserta? I soliti meridionali che non sanno un bigatt, niente di niente, un usél e vengono a toglierci il lavoro. Per pacià el paciotta per bev el bevòtta l’è a laurà ch’el barbotta (Per mangiare mangia, per bere beve ma è al lavoro che si lamenta)».
«Scusi non pensavo che la mia curiosità poteva portare a un atteggiamento così maleducato da uno che dice “daddove”. Lei “daddove” viene? Da Santa Maria capua vetere o da Torre Annunziata?»
«Torre del Greco. So’ turresiello. Ma il punto non è questo! E stà schisc (Stai al tuo posto)». Piglia fiato e come un banditore – con tono roboante ma cupo e accusatorio – proclama: «Tu non sai chi è Iqbal Masih!».
Un po’ di gente si è fatta. Il bando è stato emanato. Non sono preoccupato ma un tantinello imbarazzato. Solo un tantinello.
Impiegati comunali, clienti dalla farmacia, la farmacista con camice bianco e petto indisponente, avventori e commessi degli altri negozi, direttore lavori e operai che stanno lavorando per un rappezzo a via cattaneo, sindaco senza fascia con giunta comunale e consiglieri in ultima fila, davanti a tutti gli ufficiali d’anagrafe e gli addetti alla cultura che prendono appunti sempre con occhialini e cappellini di lana. La piazza è quasi piena.
Un chiacchiericcio che più di un suono vibrato è un sgnoccolamento di odori, quando capita che qualche parola si distingue dalle altre ho veramente la sensazione che in quella piazza ci siano i popoli. Tutti i popoli della terra. Ogni parola ha un curriculum che marca una provenienza diversa: Sardegna, Calabria, Piemonte, Algeri, Palermo. Sembra una messinscena di Gadda e Pasolini.
Bepi di Torre del Greco spiega e le voci calano.
«Iqbal – secondo alcuni – è un bambino pakistano morto a 12 anni, il sindacalista più giovane della storia che lottò contro lo sfruttamento dei bambini nel suo paese e per questo ucciso nel giorno di pasqua del 1995».
«E secondo altri?» si è creata una pausa ed io l’ho riempita.
«Una farfalla!» stentoreo e deciso afferma Don Peppe, operaio in pensione della SISAS (Società italiana serie acetica sintetica) fondata a Milano il 28 settembre 1947 lui che è nato lo stesso giorno a via Calastro tra il golfo di Napoli ed il Vesuvio per lavorare l’acetilene nello stabilimento di Rodano.
«Una parpài … na’ palomma … una papella … una maulécchie … una bellèndora … una mariposa» in eco le lingue dei popoli in ascolto.
E le parole dell’oratore cominciano a volare proprio come una farfalla sulla testa di chi lo sta ascoltando, si posano su ogni orecchia, la prima e poi la seconda, la terza, come ad impollinazione.
«Era dai tempi di Balkiyis, regina di Saba, che i tappeti in Persia ed India non volavano più. L’ultimo tappeto volante era stato quello che la regina per amore regalò a Salomone quasi 3.000 anni fa. Balkiys lo aveva commissionato al vecchio Sharkàn, alchimista e maestro nella lettura del Talmud. Da allora più niente.
I mercanti dei tappeti erano disperati perché ormai le manifatture occidentali avevano ricopiato in tutto i colori e le fibre di quelli orientali e ad un costo molto più basso. Non sapevano come fare. Dovevano trovare una soluzione. Solo i tappeti volanti avrebbero sparagliato la concorrenza europea e americana. Scoprirono che solo la purezza e la gentilezza dei bambini poteva creare l’alchimia di Sharkàn di 3.000 anni prima. Cominciarono a fare prestiti a tutti i poveri del Pakistan promettendo anche lavoro che poi sarebbe stata la fonte di guadagno per la restituzione del prestito. Ma all’improvviso li licenziarono tutti senza preavviso e motivazione. Padri e madri dovettero vendere i propri figli che furono messi ai telai con spola e navetta a infilare il filo della trama tra quelli dell’ordito. I nuovi tappeti furono testati subito. Si alzavano dal suolo una cinquantina di cm ma bastava uno starnuto o una parola sussurrata che i tappeti si afflosciavano sul pavimento delle fabbriche o si schiacciavano sotto i soffitti. Il rimedio di eliminare il raffreddore o di parlare urlando non dava garanzie. Bastava una minima distrazione e si era tentati a parlare con discrezione nell’orecchio dell’interlocutore, o una disattenzione si freddava il sudore sulla schiena e vai lì con un “Eccì!!!”.
A Muridke, nel distretto del Punjab, una giovane coppia si amava così tanto che ad ogni bacio nasceva un bambino. Un amore così intenso che a un certo punto il semplice pensiero portava al parto la donna. Ormai aveva più figli che anni. Un giorno lei chiese a lui di voler avere come figlio una farfalla in modo che alla loro morte li avrebbe accompagnati in cielo. Ma non bastò un bacio e neanche una carezza, tutta una notte d’amore tra i pianti e i sorrisi di 50 figli. E così nacque la farfalla Iqbal – che in arabo significa “prosperità e ricchezza” – dal desiderio di una madre.
I fetienti, cioè i mercanti di tappeti, appena seppero il fatto e immaginando la potenza derivante dall’abbinamento della purezza di un bambino e di una farfalla nel giro di qualche settimana prestarono dei soldi al padre di Iqbal, lo assunsero e lo licenziarono nello stesso tempo che si impiega ad assumere e licenziare un operatore di call center. Si fecero vendere il figlio farfalla e lo misero al telaio. Iqbal, con la sua spola, tessette il più bel tappeto che i mercanti avevano mai visto, di seta verde, con ricami d’oro e d’argento, tempestato di minuscoli zaffiri e turchesi, intrecciato con fili immersi nel rosso delle cocciniglie raccolte nelle terre della provincia iraniana di Esfahan. Ed il tappeto volava! Eccome volava, come quello che Balkiyis, regina di Saba, regalò per amore a Re Salomone 3.000 anni prima.
Ma i bambini? Iqbal spiegò che pur essendo farfalla non poteva vedere bambini schiavizzati, attaccati a filatrici, rinchiusi in pozzo e denutriti, i tappeti volanti sono cose da farfalle non da bambini. I mercanti dissero che era la legge del mercato. Il capitalismo è duro e selvaggio e non conosce innocenze. Uno scontro duro.
Ma ad un certo punto Iqbal Masih si stufò e scioperò. Ma non come un Bortolazzi qualsiasi della Fiom. Aprì le ali – così belle che ricordavano i colori dei tappeti e i vestiti dei KC & Sunshine Band – e volò via.
Chi dice che fu ucciso è fetente pure lui. Iqbal è in sciopero! Ritornerà quando tutti i bambini indiani e pakistani smetteranno di lavorare e andranno a scuola. Forse il 1° maggio».
Il sindaco di Pioltello, a questo punto, indossa la fascia tricolore a tracolla della spalla destra e la annoda al fianco sinistro ed una farfalla vola sulla sua fronte.
A Pioltello, in Piazza dei Popoli, ci arrivo da Via Iqbal Masih – dopo Via Monza – quando scendo dal treno.
di Vincenzo Russo Traetto
Tratto da Informare n° 181 Maggio 2018
Vincenzo Russo Traetto - 2/5/2018 - 17:04
“C’è chi in Montagna ci va per noia, chi se lo sceglie per professione…
Per tanti diseredati né l’uno né l’altro, loro lo fanno per disperazione…”
Per tanti diseredati né l’uno né l’altro, loro lo fanno per disperazione…”
PER QUALCUN “ALTRO ALPINISMO” (DI LACRIME E SANGUE) E’ DRAMMATICAMENTE NECESSARIO, SENZA ALTERNATIVE….
Gianni Sartori
Anche recentemente percorrendo qualche “stroso” berico- euganeo o prealpino mi è capitato di incrociare persone che hanno partecipato in varia forma a progetti tra le montagne pakistane. Con lo scopo ufficialmente dichiarato di“aiutarli a casa loro”.
Sorvolo sul fatto che tra i miei pur numerosi allievi di origine pakistana (corsi di alfabetizzazione per adulti qualche non fa) non ho mai incontrato montanari hunza o balti. Provenivano invece da aree metropolitane veramente degradate, oppure da campagne devastate periodicamente da siccità e alluvioni, (stando ai loro racconti). Altre fonti mi riferivano di conflitti e persecuzioni ai danni minoranze oppresse (beluci, azara, cristiani..) e non mancava nemmeno qualcuno che aveva fatto in tempo a farsi le ossa in Afghanistan, a fianco delle guerriglia anti-russa.
Non discuto la buona fede, le buone intenzioni. D’altra parte si può essere, magari involontariamente, anche “portatori sani” di consumismo, capitalismo, mercificazione etc (ossia di una forma subdola di colonialismo).
Pensiamo ai frichettoni degli anni settanta (quelli che viaggiavano con l’autostop, non certo con l’aereo) che pur contribuirono, per quanto si sentissero alternativi al sistema, a degradare, impestare di consumismo il Nepal.
Ma vorrei ricordare a questi questi turisti d’alta quota (tali sono comunque la si giri), per esempio, quanto denunciava in anni non sospetti il movimento “Society for the Protection of the Rights of the Child”, ossia che “in Pakistan è prassi comune utilizzare il lavoro minorile in diversi settori, dall'impiego leggero alle mansioni più pesanti e pericolose”. Dai tappeti - servono manine piccole per i nodi - ai mattoni (ricorderete senz’altro Iqbal Masih). Stando ai dati forniti da Sparc "fra gli 11 e i 12 milioni di bambini, la metà dei quali al di sotto dei 10 anni, sono sfruttati per lavoro" su tutto il territorio pakistano.
Inoltre sarebbero circa otto milioni i minori che non frequentano la scuola, in gran parte “bambini di strada” esposti a ogni genere di violenza e sfruttamento.
Oppure pensiamo alla difficile situazione delle minoranze religiose non musulmane.
Fermo restando che non se la passano troppo bene neanche una parte dei musulmani, perlomeno quelli di fede sciita. Anche loro, come i cristiani, sono esposti a discriminazioni, attacchi e attentati.
Se poi appartieni oltre che a una minoranza religiosa (per es. sciita) anche a un gruppo etnico discriminato (per es. Azara) allora le cose si complicano ulteriormente. Se poi magari sei anche donna…
Resto insomma del parere che costruire strade, ponti in ferro (magari dove c’era già in stile tradizionale, in legno) o rifugi in quello che talvolta viene definito il Terzo Polo (per la ricchezza di ghiacciai e nevai) sia - più che carità cristiana - un modo come un altro per farsi qualche vacanza esotica. Tutti più o meno, se non qualche prima ascensione su vette rimaste fortunosamente illibate (loro dicono “inviolate”, un lapsus?), si son fatti per lo meno dei trekking (a scopo umanitario?).
Il discorso sarebbe lungo, ma comunque mi chiedo come mai non abbiano pensato di “aiutare a casa loro” operando in qualche periferia urbana degradata invece che in località amene, salubri, paesaggisticamente e naturalisticamente ancora integre.
Addestrare future guide per incentivare il turismo, sempre a mio parere, in futuro alimenterà solo il degrado ambientale e comunque fornirà infrastrutture di intrattenimento consumista per le borghesie locali. Oltre che per gliesponenti delle forze armate, quelle che forniscono gli elicotteri agli avventurosi alpinisti spesso bisognosi di soccorso in quota.
O comunque vie di comunicazione e rifugi (strutture alberghiere ?) a uso e consumo dei benestanti di varia provenienza. Sia Occidentali che dagli Emirati.
Per cui insisto. Per quanto mi riguarda la considero una forma di neocolonialismo (soprattutto culturale, ma non solo). Nonostante qualche scatola di medicinali data in beneficenza.
Per antitesi, ricordo che un mio cugino medico, volontario conMedici per l’Africa (di Padova) in oltre tre anni continuati di permanenza in un ospedale tra le savane del Kenya, si concesse soltanto due ascensioni, frettolose e autogestite, sui Monti Kenya e Kilimangiaro. Due in tutto. A cui in anni successivi ne aggiunse una terza durante un altro periodo di volontariato.
Questo si chiama “aiutare a casa loro”, non certo qualche piccolo rattoppo umanitario tra un’escursione e una scalata.
Ripensandoci, mi son ricordato anche di due miei interventi, uno recente, l’altro di un anno fa.
Dove l’andar per monti si rivestiva di ben altre atmosfere e suggestioni rispetto a quelle dei conquistatori di vette esotiche.
Nel gennaio del 2022 avevo approfondito la tragica vicenda di una madre in fuga dall’Afghanistan morta congelata sulla frontiera turco-iraniana. Come altri avevano riportato la donnaaveva dato i suoi calzini ai figli affinché li usassero come guanti per proteggere le mani dal gelo.
In realtà, scopri in seguito, la donna si era tolta, dandole ai bambini, anche le scarpe e procedeva nella neve con i piedi nudi avvolti in sacchetti di plastica.
Se l’unanime commozione suscitata dal tragico evento era stata di breve durata, non sembrava invece rallentare il flusso dei rifugiati (in gran parte afgani) che su quella stessa frontiera rischiano quotidianamente la vita.Ma, come viene denunciato sia da qualche Ong che da avvocati di Van, ai rischi connessi con i rigori invernali bisogna aggiungere quello di venir intercettati dai soldati turchi e di subire maltrattamenti e torture.
E’ cosa nota che i rifugiati vengono utilizzati come “moneta di scambio” dal regime di Erdogan per condizionare la politica dell’Unione europea. Soprattutto per ottenere finanziamenti in cambio del controllo esercitato da Ankara sui flussi migratori.
Solo in quelle prime settimane del 2022 almeno altre tre persone erano morte per il freddo, tra la neve e le rocce. Dopo essere state fermate (catturate) e rispedite brutalmente oltre frontiera dai militari turchi.
Altre invece venivano ormai date per disperse e “forse solo in primavera - scrivevo - con il disgelo, i loro corpi potranno essere rinvenuti”.
Anche la donna, all’epoca ancora non identificata, morta dopo aver dato ai suoi bambini le calze e le scarpe, sarebbe stata prima fermata dai soldati turchi. Abbandonata poi sulla frontiera dove i militari iraniani si eranoa loro volta rifiutati di soccorrerla con le tragiche conseguenze. Solo i bambini, con le estremità ormai congelate, venivano infine soccorsi dagli abitanti di un villaggio.
Un avvocato di Van, Mahmut Kaçan, ha raccolto le testimonianze di numerosi rifugiati. Stando alle loro dichiarazioni “la maggior parte dei migranti catturati vengono riportati, senza procedure legali, sulla frontiera iraniana e qui semplicemente abbandonati”. Una persona in particolare ha raccontato di essere riuscita ad “attraversare più volte la frontiera, venendo ogni volta respinta e maltrattata”. E mostrava le dita, sia delle mani che dei piedi, completamente ricoperte di ferite.
Quasi tutti i rifugiati raccontavano non solo di aver subito maltrattamenti e talvolta torture, ma di essere stati regolarmente derubati. Sia del denaro che degli oggetti (vedi i telefoni) in loro possesso.
A un anno di distanza (gennaio 2023) verificavo che la situazione sembra rimasta tale e quale, se non addirittura peggiorata.
Molti rifugiati – oltre ad aver subito maltrattamenti e anche torture – denunciano di essere stati regolarmente derubati. Sia del denaro che degli oggetti (vedi i telefoni) in loro possesso.
Non conoscendo quei territori montuosi, impervi “finiscono per smarrirsi in piccoli villaggi dove, già stanchi e affamati per il lungo peregrinare, diventano facile preda di qualche banda armata”.
Criminali che in genere sequestrano qualche membro della famiglia per poi estorcere un riscatto.
In un video diffuso recentemente si vedono alcuni profughi afghani con le mani legate dietro la schiena (alcuni anche imbavagliati), in ginocchio e col viso appoggiato a una parete. In un altro video a un profugo viene troncato di netto un orecchio (a scopo intimidatorio, forse per prevenire tentativi di ribellione) mentre altri, incatenati, vengono frustati.
Del resto la frontiera turco-iraniana è da tempo un luogo di repressione e sofferenza. Non solo per i migranti, ma anche – da anni e anni – per i kolbar (gli “spalloni” curdi ) che cercano di guadagnarsi da vivere contrabbandando merci da un parte all’altra della frontiera. Quella che divide del tutto artificialmente il Bakur dal Rojhilat (rispettivamente, il Kurdistan sotto occupazione turca e quello sotto occupazione iraniana). I kolbar feriti o uccisi dalle guardie di frontiera ormai si contano a decine.
E per tornare ai nostrani “samaritani” delle Vette: mai pensato di andar a dare il cambio - almeno per un breve tratto - a qualche kolbar curdo? O di portarsi in spalla qualche piccolo profugo, regalando magari anche scarpe adeguate? Come allenamento sarebbe ottimo. Attenti alle guardie di frontiera turche però.
Gianni Sartori
Gianni Sartori
Anche recentemente percorrendo qualche “stroso” berico- euganeo o prealpino mi è capitato di incrociare persone che hanno partecipato in varia forma a progetti tra le montagne pakistane. Con lo scopo ufficialmente dichiarato di“aiutarli a casa loro”.
Sorvolo sul fatto che tra i miei pur numerosi allievi di origine pakistana (corsi di alfabetizzazione per adulti qualche non fa) non ho mai incontrato montanari hunza o balti. Provenivano invece da aree metropolitane veramente degradate, oppure da campagne devastate periodicamente da siccità e alluvioni, (stando ai loro racconti). Altre fonti mi riferivano di conflitti e persecuzioni ai danni minoranze oppresse (beluci, azara, cristiani..) e non mancava nemmeno qualcuno che aveva fatto in tempo a farsi le ossa in Afghanistan, a fianco delle guerriglia anti-russa.
Non discuto la buona fede, le buone intenzioni. D’altra parte si può essere, magari involontariamente, anche “portatori sani” di consumismo, capitalismo, mercificazione etc (ossia di una forma subdola di colonialismo).
Pensiamo ai frichettoni degli anni settanta (quelli che viaggiavano con l’autostop, non certo con l’aereo) che pur contribuirono, per quanto si sentissero alternativi al sistema, a degradare, impestare di consumismo il Nepal.
Ma vorrei ricordare a questi questi turisti d’alta quota (tali sono comunque la si giri), per esempio, quanto denunciava in anni non sospetti il movimento “Society for the Protection of the Rights of the Child”, ossia che “in Pakistan è prassi comune utilizzare il lavoro minorile in diversi settori, dall'impiego leggero alle mansioni più pesanti e pericolose”. Dai tappeti - servono manine piccole per i nodi - ai mattoni (ricorderete senz’altro Iqbal Masih). Stando ai dati forniti da Sparc "fra gli 11 e i 12 milioni di bambini, la metà dei quali al di sotto dei 10 anni, sono sfruttati per lavoro" su tutto il territorio pakistano.
Inoltre sarebbero circa otto milioni i minori che non frequentano la scuola, in gran parte “bambini di strada” esposti a ogni genere di violenza e sfruttamento.
Oppure pensiamo alla difficile situazione delle minoranze religiose non musulmane.
Fermo restando che non se la passano troppo bene neanche una parte dei musulmani, perlomeno quelli di fede sciita. Anche loro, come i cristiani, sono esposti a discriminazioni, attacchi e attentati.
Se poi appartieni oltre che a una minoranza religiosa (per es. sciita) anche a un gruppo etnico discriminato (per es. Azara) allora le cose si complicano ulteriormente. Se poi magari sei anche donna…
Resto insomma del parere che costruire strade, ponti in ferro (magari dove c’era già in stile tradizionale, in legno) o rifugi in quello che talvolta viene definito il Terzo Polo (per la ricchezza di ghiacciai e nevai) sia - più che carità cristiana - un modo come un altro per farsi qualche vacanza esotica. Tutti più o meno, se non qualche prima ascensione su vette rimaste fortunosamente illibate (loro dicono “inviolate”, un lapsus?), si son fatti per lo meno dei trekking (a scopo umanitario?).
Il discorso sarebbe lungo, ma comunque mi chiedo come mai non abbiano pensato di “aiutare a casa loro” operando in qualche periferia urbana degradata invece che in località amene, salubri, paesaggisticamente e naturalisticamente ancora integre.
Addestrare future guide per incentivare il turismo, sempre a mio parere, in futuro alimenterà solo il degrado ambientale e comunque fornirà infrastrutture di intrattenimento consumista per le borghesie locali. Oltre che per gliesponenti delle forze armate, quelle che forniscono gli elicotteri agli avventurosi alpinisti spesso bisognosi di soccorso in quota.
O comunque vie di comunicazione e rifugi (strutture alberghiere ?) a uso e consumo dei benestanti di varia provenienza. Sia Occidentali che dagli Emirati.
Per cui insisto. Per quanto mi riguarda la considero una forma di neocolonialismo (soprattutto culturale, ma non solo). Nonostante qualche scatola di medicinali data in beneficenza.
Per antitesi, ricordo che un mio cugino medico, volontario conMedici per l’Africa (di Padova) in oltre tre anni continuati di permanenza in un ospedale tra le savane del Kenya, si concesse soltanto due ascensioni, frettolose e autogestite, sui Monti Kenya e Kilimangiaro. Due in tutto. A cui in anni successivi ne aggiunse una terza durante un altro periodo di volontariato.
Questo si chiama “aiutare a casa loro”, non certo qualche piccolo rattoppo umanitario tra un’escursione e una scalata.
Ripensandoci, mi son ricordato anche di due miei interventi, uno recente, l’altro di un anno fa.
Dove l’andar per monti si rivestiva di ben altre atmosfere e suggestioni rispetto a quelle dei conquistatori di vette esotiche.
Nel gennaio del 2022 avevo approfondito la tragica vicenda di una madre in fuga dall’Afghanistan morta congelata sulla frontiera turco-iraniana. Come altri avevano riportato la donnaaveva dato i suoi calzini ai figli affinché li usassero come guanti per proteggere le mani dal gelo.
In realtà, scopri in seguito, la donna si era tolta, dandole ai bambini, anche le scarpe e procedeva nella neve con i piedi nudi avvolti in sacchetti di plastica.
Se l’unanime commozione suscitata dal tragico evento era stata di breve durata, non sembrava invece rallentare il flusso dei rifugiati (in gran parte afgani) che su quella stessa frontiera rischiano quotidianamente la vita.Ma, come viene denunciato sia da qualche Ong che da avvocati di Van, ai rischi connessi con i rigori invernali bisogna aggiungere quello di venir intercettati dai soldati turchi e di subire maltrattamenti e torture.
E’ cosa nota che i rifugiati vengono utilizzati come “moneta di scambio” dal regime di Erdogan per condizionare la politica dell’Unione europea. Soprattutto per ottenere finanziamenti in cambio del controllo esercitato da Ankara sui flussi migratori.
Solo in quelle prime settimane del 2022 almeno altre tre persone erano morte per il freddo, tra la neve e le rocce. Dopo essere state fermate (catturate) e rispedite brutalmente oltre frontiera dai militari turchi.
Altre invece venivano ormai date per disperse e “forse solo in primavera - scrivevo - con il disgelo, i loro corpi potranno essere rinvenuti”.
Anche la donna, all’epoca ancora non identificata, morta dopo aver dato ai suoi bambini le calze e le scarpe, sarebbe stata prima fermata dai soldati turchi. Abbandonata poi sulla frontiera dove i militari iraniani si eranoa loro volta rifiutati di soccorrerla con le tragiche conseguenze. Solo i bambini, con le estremità ormai congelate, venivano infine soccorsi dagli abitanti di un villaggio.
Un avvocato di Van, Mahmut Kaçan, ha raccolto le testimonianze di numerosi rifugiati. Stando alle loro dichiarazioni “la maggior parte dei migranti catturati vengono riportati, senza procedure legali, sulla frontiera iraniana e qui semplicemente abbandonati”. Una persona in particolare ha raccontato di essere riuscita ad “attraversare più volte la frontiera, venendo ogni volta respinta e maltrattata”. E mostrava le dita, sia delle mani che dei piedi, completamente ricoperte di ferite.
Quasi tutti i rifugiati raccontavano non solo di aver subito maltrattamenti e talvolta torture, ma di essere stati regolarmente derubati. Sia del denaro che degli oggetti (vedi i telefoni) in loro possesso.
A un anno di distanza (gennaio 2023) verificavo che la situazione sembra rimasta tale e quale, se non addirittura peggiorata.
Molti rifugiati – oltre ad aver subito maltrattamenti e anche torture – denunciano di essere stati regolarmente derubati. Sia del denaro che degli oggetti (vedi i telefoni) in loro possesso.
Non conoscendo quei territori montuosi, impervi “finiscono per smarrirsi in piccoli villaggi dove, già stanchi e affamati per il lungo peregrinare, diventano facile preda di qualche banda armata”.
Criminali che in genere sequestrano qualche membro della famiglia per poi estorcere un riscatto.
In un video diffuso recentemente si vedono alcuni profughi afghani con le mani legate dietro la schiena (alcuni anche imbavagliati), in ginocchio e col viso appoggiato a una parete. In un altro video a un profugo viene troncato di netto un orecchio (a scopo intimidatorio, forse per prevenire tentativi di ribellione) mentre altri, incatenati, vengono frustati.
Del resto la frontiera turco-iraniana è da tempo un luogo di repressione e sofferenza. Non solo per i migranti, ma anche – da anni e anni – per i kolbar (gli “spalloni” curdi ) che cercano di guadagnarsi da vivere contrabbandando merci da un parte all’altra della frontiera. Quella che divide del tutto artificialmente il Bakur dal Rojhilat (rispettivamente, il Kurdistan sotto occupazione turca e quello sotto occupazione iraniana). I kolbar feriti o uccisi dalle guardie di frontiera ormai si contano a decine.
E per tornare ai nostrani “samaritani” delle Vette: mai pensato di andar a dare il cambio - almeno per un breve tratto - a qualche kolbar curdo? O di portarsi in spalla qualche piccolo profugo, regalando magari anche scarpe adeguate? Come allenamento sarebbe ottimo. Attenti alle guardie di frontiera turche però.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 20/2/2023 - 21:37
A sei mesi dall’alluvione nelle zone devastate la popolazione resta in attesa. Nel frattempo, oltre alla malnutrizione e alle malattie, si assiste anche a nuove discriminazioni in una guerra tra poveri di cui sicuramente non si sentiva la necessità
SINDH: A SEI MESI DALLE ALLUVIONI LA SITUAZIONE RESTA GRAVE
Gianni Sartori
Sicuramente ci avranno già pensato, forse operativi in zona già da qualche mese (e sarà solo colpa mia se non ne sono venuto a conoscenza).
Mi riferisco alla drammatica situazione in cui versa una parte della popolazione del Sindh colpita oltre sei mesi fa (agosto 2022, stagione dei monsoni inoltrata) da devastanti alluvioni e ai nostrani benefattori d’alta quota impegnati da tempo nel realizzare ponti e strutture turistiche (“rifugi”) in alcune zone del Pakistan.
Capisco che qui, nel Sindh (già dal nome un’area tendenzialmente fluviale, v. l’Indo) rischierebbero di sentirsi un po’ spaesati, ma sicuramente saprebbero andar oltre con la buona volontà, lo spirito “alpino” che li contraddistingue.
Se non altro, in quanto italici, potrebbero attivarsi a favore delle minoranze cristiane che - oltre alle conseguenze dell'alluvione - stanno subendo ripetute ritorsioni da parte della comunità musulmana. nell'ennesima guerra tra poveri di cui non si sentiva la mancanza.
Tra i Sindhi (abitanti del Sindh, una delle quattro province del Pakistan) troviamo appartenenti a diverse confessioni religiose. Oltre all’islam, induismo, zoroastrismo e cristianesimo. La situazione, in precedenza relativamente stabile, subì una sorta di stravolgimento dopo il 1947 (spartizione tra India e Pakistan) quando un gran numero di musulmani si trasferì qui dall’India. Mentre i Sindhi di religione induista emigrarono in India.
Per chi rimase in Pakistan, come la piccola comunità cristiana, non mancarono poi problemi di discriminazione. Una questione tornata regolarmente d’attualità ogniqualvolta si va inasprendo la crisi economica o sanitaria. Oppure in caso di disastri naturali.
Proprio quello che sembra stia accadendo a causa delle alluvioni dell’estate scorsa che - principalmente per la rottura degli argini - avevano sommerso e distrutto raccolti, abitazioni, infrastrutture…
Stando ai dati forniti dal National Disaster Management Authority, già il 30 agosto i morti accertati (calcolando non solamente il Sindh, ma anche il Balochistan, l’altra provincia duramente colpita) erano almeno 1500 (oltre un terzo bambine e bambini). Le case distrutte o letteralmente sprofondate circa un milione (a cui bisognava aggiungere 18 mila scuole e 160 ponti crollati). Molti di più ovviamente gli edifici gravemente danneggiati, comprese le già carenti strutture sanitarie. Quasi un milione di capi di bestiame travolti dalla piena, per non parlare dei 2 milioni di ettari di coltivazioni (molti frutteti) persi irreparabilmente. Così come gran parte delle scorte alimentari.
Non che prima fosse tutto rose e fiori.
Già in precedenza, non solo nelle regioni colpite, si calcolava che il 96% dei bambini sotto ai 2 anni non avevano sufficiente accesso al cibo mentre il 40% dei bambini sotto ai 5 anni soffriva di malnutrizione cronica.
Inoltre, con la perdita di gran parte dei mezzi di sussistenza, non potevano che aumentare due piaghe croniche delle popolazioni diseredate del Pakistan: quella del lavoro minorile e delle bambine date in sposa, ossia praticamente vendute.
Ma evidentemente non bastava. Se non proprio il “peggio”, almeno il seguito doveva ancora arrivare.
Stando a quanto denunciano alcune Ong nel villaggio di Allah Bachao Shoro (devastato dalla catastrofe naturale) la scarsità di beni di prima necessità e di medicinali ha trovato un capro espiatorio nelle famiglie cristiane (una cinquantina) qui finora residenti. Temendo di subire attacchi violenti, dopo le continue minacce da parte dei concittadini musulmani, si sono trasferite altrove nelle tendopoli. Una quindicina di famiglie a Ghot Shora (in una zona comunque di degrado e sottosviluppo), una dozzina nella bidonville di Ghareebabad e un’altra quindicina, quella attualmente messa peggio, in riva a un canale (in zona malarica e di febbre dengue) ad Hari Camp.
Vivono da indigenti, dormendo in terra su giacigli di fortuna. Soffrendo di malnutrizione e colpiti da malaria e malattie della pelle. Attingendo l’acqua dai canali con le prevedibili conseguenze sanitarie (come minimo diarree acquose).
Restando in fiduciosa attesa…
Gianni Sartori
Gianni Sartori
Sicuramente ci avranno già pensato, forse operativi in zona già da qualche mese (e sarà solo colpa mia se non ne sono venuto a conoscenza).
Mi riferisco alla drammatica situazione in cui versa una parte della popolazione del Sindh colpita oltre sei mesi fa (agosto 2022, stagione dei monsoni inoltrata) da devastanti alluvioni e ai nostrani benefattori d’alta quota impegnati da tempo nel realizzare ponti e strutture turistiche (“rifugi”) in alcune zone del Pakistan.
Capisco che qui, nel Sindh (già dal nome un’area tendenzialmente fluviale, v. l’Indo) rischierebbero di sentirsi un po’ spaesati, ma sicuramente saprebbero andar oltre con la buona volontà, lo spirito “alpino” che li contraddistingue.
Se non altro, in quanto italici, potrebbero attivarsi a favore delle minoranze cristiane che - oltre alle conseguenze dell'alluvione - stanno subendo ripetute ritorsioni da parte della comunità musulmana. nell'ennesima guerra tra poveri di cui non si sentiva la mancanza.
Tra i Sindhi (abitanti del Sindh, una delle quattro province del Pakistan) troviamo appartenenti a diverse confessioni religiose. Oltre all’islam, induismo, zoroastrismo e cristianesimo. La situazione, in precedenza relativamente stabile, subì una sorta di stravolgimento dopo il 1947 (spartizione tra India e Pakistan) quando un gran numero di musulmani si trasferì qui dall’India. Mentre i Sindhi di religione induista emigrarono in India.
Per chi rimase in Pakistan, come la piccola comunità cristiana, non mancarono poi problemi di discriminazione. Una questione tornata regolarmente d’attualità ogniqualvolta si va inasprendo la crisi economica o sanitaria. Oppure in caso di disastri naturali.
Proprio quello che sembra stia accadendo a causa delle alluvioni dell’estate scorsa che - principalmente per la rottura degli argini - avevano sommerso e distrutto raccolti, abitazioni, infrastrutture…
Stando ai dati forniti dal National Disaster Management Authority, già il 30 agosto i morti accertati (calcolando non solamente il Sindh, ma anche il Balochistan, l’altra provincia duramente colpita) erano almeno 1500 (oltre un terzo bambine e bambini). Le case distrutte o letteralmente sprofondate circa un milione (a cui bisognava aggiungere 18 mila scuole e 160 ponti crollati). Molti di più ovviamente gli edifici gravemente danneggiati, comprese le già carenti strutture sanitarie. Quasi un milione di capi di bestiame travolti dalla piena, per non parlare dei 2 milioni di ettari di coltivazioni (molti frutteti) persi irreparabilmente. Così come gran parte delle scorte alimentari.
Non che prima fosse tutto rose e fiori.
Già in precedenza, non solo nelle regioni colpite, si calcolava che il 96% dei bambini sotto ai 2 anni non avevano sufficiente accesso al cibo mentre il 40% dei bambini sotto ai 5 anni soffriva di malnutrizione cronica.
Inoltre, con la perdita di gran parte dei mezzi di sussistenza, non potevano che aumentare due piaghe croniche delle popolazioni diseredate del Pakistan: quella del lavoro minorile e delle bambine date in sposa, ossia praticamente vendute.
Ma evidentemente non bastava. Se non proprio il “peggio”, almeno il seguito doveva ancora arrivare.
Stando a quanto denunciano alcune Ong nel villaggio di Allah Bachao Shoro (devastato dalla catastrofe naturale) la scarsità di beni di prima necessità e di medicinali ha trovato un capro espiatorio nelle famiglie cristiane (una cinquantina) qui finora residenti. Temendo di subire attacchi violenti, dopo le continue minacce da parte dei concittadini musulmani, si sono trasferite altrove nelle tendopoli. Una quindicina di famiglie a Ghot Shora (in una zona comunque di degrado e sottosviluppo), una dozzina nella bidonville di Ghareebabad e un’altra quindicina, quella attualmente messa peggio, in riva a un canale (in zona malarica e di febbre dengue) ad Hari Camp.
Vivono da indigenti, dormendo in terra su giacigli di fortuna. Soffrendo di malnutrizione e colpiti da malaria e malattie della pelle. Attingendo l’acqua dai canali con le prevedibili conseguenze sanitarie (come minimo diarree acquose).
Restando in fiduciosa attesa…
Gianni Sartori
Gianni sartori - 17/3/2023 - 18:37
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Album "Une autre lumière"
A soli 5 anni fu venduto dalla famiglia al padrone di una fabbrica di tappeti, che lo ridusse in schiavitù. Iqbal era costretto a lavorare al telaio anche per 12 ore consecutive. Veniva pagato una rupìa al giorno (3 centesimi di Euro). Quando provava a ribellarsi, il padrone lo chiudeva in una buca.
Nel 1992, eludendo la sorveglianza della fabbrica, Iqbal partecipò ad una manifestazione del "Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato" (Bonded Labour Liberation Front - BLLF), durante la quale raccontò la sua storia a Eshan Ullah Khan, leader dell'organizzazione.
Iqbal fu sottratto ai suoi aguzzini e divenne portavoce internazionale delle campagne contro la schiavitù ed il lavoro minorile.
Grazie alla sua testimonianza e al suo coraggio, migliaia di bambini schiavi furono liberati e il governo del Pakistan chiuse molte fabbriche-prigioni.
Il 16 aprile del 1995, Iqbal fu assassinato, mentre giocava sotto casa, a Lahore, da killer assoldati dalla mafia dei tappeti. (it.wikipedia)