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Le Orme: Gioco di bimba

GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCG
Langue: italien


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[1972]
Pagliuca-Tagliapietra
Album: Uomo di pezza
udp

Il linguaggio trasognato e fiabesco tipico delle Orme degli anni '70, agli albori del rock progressive italiano, ha come "nascosto" a lungo il vero tema di questa canzone, che è l'abuso sessuale su una bambina o una ragazzina. La cosa è prima di tutto confermata dall'articolo Wikipedia relativo al gruppo: "Nel 1972, dopo un periodo di riposo in Sardegna, Le Orme realizzarono l'album Uomo di pezza, una sorta di concept album che sarà uno dei loro maggiori successi, e il primo loro disco d'oro. Questo soprattutto grazie al 45 giri Gioco di bimba, che affronta il tema dell'abuso sessuale perpetrato nei confronti di una ragazza molto giovane, che fa da contraltare ad un canto e ad una sonorità trasognati e fiabeschi." Anche per questo motivo, il brano è stato utilizzato come colonna sonora per la miniserie televisiva Il mostro di Firenze, prodotta da Fox Crime nel 2009. Pur mantenendo la pagina originale con il commento non propriamente in tema, togliamo quindi la canzone dagli "Extra" ascrivendola direttamente alla band autrice, e inserendola nel percorso sulla Violenza contro le Donne. [CCG/AWS Staff, 16 luglio 2010].

Per l'erratezza dell'interpretazione, corroborata da precise testimonianze fornite dallo stesso Pagliuca, la canzone viene rimessa negli "Extra" e tolta dal percorso sulla Violenza contro le Donne. Si veda qui. [RV, 3 maggio 2022]

L'ESTATE DEL 1973

La strada per andare in paese era ancora tutta sterrata, e polverosa; non aveva ancora nemmeno un nome, quello di “via delle Ginestre” che ancora glielo dettero anni dopo, quando l'asfaltarono e ci misero dei lampioni. Già, perché era anche completamente buia, di notte; ma, tanto, chi se ne importava. Io, di notte, a giro non potevo andarci. Avevo dieci anni.

Un ragazzino altissimo e grosso, goffo, impacciato, vestito sempre in pantaloncini e magliettacce da pochi soldi; abitudine che ho mantenuto imperterrito. Fuori, di notte, ci andava mio fratello, che era già un ragazzo grande; era l'estate dei suoi diciott'anni. Lui, invece, allora come ora, era magrissimo, così scheletrito da essere chiamato affettuosamente Biafra persino in famiglia. Non c'era il telefono. C'era una televisione con lo stabilizzatore, quella scatola pesantissima che si accendeva con una levetta per evitare che l'apparecchio avesse sbalzi di corrente e pigliasse fuoco; faceva, all'accensione, un rumore d'inferno, un ronzio che ho ancora nelle orecchie.

Era l'estate del 1973, e non aveva nulla di particolare. S'era tutti all'Elba, e come in ogni estate avrà pur fatto qualche giorno brutto; ma non mi ricordo altro che sole, sole a picco, e la vecchia 850 beige di mio padre che si arroventava. Mio padre si godeva ancora un anno di ferie forzate: l'anno prima, sempre all'Elba, mentre era a pescare con la canna sugli scogli a Marciana Marina aveva messo un piede in fallo e la gamba gli si era letteralmente stritolata tra due massi. Uno sculo veramente della madonna, pover'uomo. Frattura esposta di tibia e perone. E' morto, venticinqu'anni dopo, con ancora nella gamba sinistra una sbarra di ferro con delle viti che gli avevano messo all'IOT di Firenze; la si vedeva nelle radiografie.

Si era nei primi anni '70, ma mica nessuno se ne rendeva conto. Era tutto normale. Le cabine della spiaggia di Marina di Campo erano piene di falci e martelli, fasci littori, w il Duce, camerati al rogo. Mio fratello aveva un sacco di amiche e amici, venivano a casa, uscivano e tornavano a mattina; si divertiva, usciva, e io cominciavo impercettibilmente a invidiarlo. A invidiare la libertà di far quello che si vuole. Io ero piccolo. Dovevo stare sempre appresso ai genitori. Al massimo qualche passeggiata o una corsa nei campi lì attorno. La famiglia accanto erano dei siciliani, padre madre e cinque tra fratelli e sorelle di cui quattro erano già grandi, anche più di mio fratello. Il quinto era un ragazzino della mia età, ma stava per conto suo. Io dovevo sorbirmi tutto. Le visite ai parenti, in primis. Però ancora c'era l'abitudine delle spiaggiate, e quelle erano il mio paradiso in terra.

Fetovaia.
Fetovaia.


Stipati in macchina, a volte costretti a far due viaggi per portare prima la gente e poi la roba; ci si sistemava a Cavoli o a Fetovaia, con gli ombrelloni e un quintale e mezzo di roba da mangiare. Io stavo sempre in acqua. L'acqua del 1973 all'Isola d'Elba non ve la potete nemmeno immaginare. In dei posti sembra cristallo ancora oggi. Mio padre si prendeva le pinne e la maschera e andava sott'acqua; a me non me ne è mai importato niente. Sapevo nuotare benino, però. In mare mi scompariva la goffaggine. Quando mi stancavo facevo il “morto” divertendomi a emettere suoni a bocca chiusa che, nelle orecchie a fior d'acqua, sembravano strani richiami cosmici modulati. E' una cosa che faccio sempre. Quando, quest'estate, mi butterò in mare per il primo bagno della stagione a quasi 46 anni, lo farò. E l'anno dopo, e quello dopo ancora.

Di amici e amiche non ne avevo, a parte mia cugina Rosalba. Ma era anche lei già grande, anche se con me ci stava volentieri. In quegli anni c'era qualcuno, all'Elba, che sognava l'indipendenza; e a noi ci piaceva fantasticarci sopra, immaginando Portoferraio capitale, le targhe automobilistiche con le sigle dei paesi, sbellicandoci dalle risate quando corrispondevano a quelle italiane esistenti: MC = Marina di Campo. MN = Marciana. PR = Portoferraio. CA = Capoliveri. PA = Porto Azzurro.

Tutti vivi erano ancora. La radiolina in casa sempre accesa, musica e musica. Mio fratello però aveva il mangianastri a cassette, e in casa le canzonette si alternavano a De André, ai Led Zeppelin, al progressive. “Leva quei troiai!”, gli urlavano mia madre e mia zia che volevano Celentano, Claudio Villa e roba del genere. Mio padre scuoteva il capo quando passava in radio Alan Sorrenti. Con mia cugina avevamo due passioni brucianti: Drupi e Riccardo Cocciante, ebbene sì. Quello senza la “S”. Lui non lo sa, ma quando mi sono fabbricato l' “alter ego” parodiatore su questo sito avevo in testa anche l'estate del 1973. Quell'estate dove cominciai anche a fare parole crociate a chili interi, cercando d'andare dietro a mio padre che era bravissimo. Mi dava sempre consigli e si faceva le gare, ma ebbe ad accorgersi presto che la cosa gli stava sfuggendo dalle mani quando gli “Incroci obbligati” del numero 2161 glieli risolsi dandogli un distacco di cinque minuti e sventolandogli la rivista sul muso. E' per questo che ancora adesso mi ricordo persino gli attori e le attrici in copertina sulle Settimane Enigmistiche di quell'estate, che sul n° 2156 c'era Kaz Garas e sul n° 2162 Robert Mitchum.

In mare giocavo a palla da solo, e lo faccio ancora quando ne ho la possibilità. Le parole crociate le faccio non più a chili, ma a quintali; e negli occhi ho sempre le stesse cose. Il portico di casa mia. Tutte le persone che vi sono passate, e ne sono rimaste poche poche. L'850 aveva il motore posteriore, e dalla griglia sortiva un odore di benzina che adoravo; a volte ci infilavo il naso per sentirlo. Polvere e sole, sole e ragnatele nel magazzino. C'erano gli interruttori vecchi, nel magazzino, ed ero affascinato da quelle levette, dai fili intrecciati, dalle lampadine avite. E dall'odore delle botti misto a quello degli agli e delle cipolle. Faceva ombra un glicine che tirarono giù anni dopo.

Non c'era mai acqua, e proprio in quell'estate fu costruito il pozzo. Il venticinque agosto ebbi una cuginetta nata morta. Era stata chiamata Irene; tanti anni dopo scoprii che il suo nome significa “pace”. Il giorno del suo funerale, a San Piero, me lo ricordo come fosse ieri. E' anche l'unico giorno di quell'estate di cui mi rammenti che era nuvoloso, che minacciava pioggia. Musica e polvere. Musica e la televisione, l'undici di settembre, sul finire della stagione, accesa in continuazione a seguire cosa stava succedendo in Cile. Mio fratello e mio padre con la testa fra le mani a dire “maledetti, maledetti”. Ma io ero piccolo. Non s'immagina mai quante delle cose vissute da piccoli ci si portino dietro, e per sempre. E quante delle cose che non si sono potute vivere le si siano poi cercate, spesso illudendosi amaramente. Quanti miti ci siamo creati. Fanno parte di tutti noi, e li riproduciamo all'infinito, anche nelle pieghe della nostra vita.

In quel portico, in quei campi e in quelle spiagge ci vado ancora. A volte non soltanto mi rivedo bambino, ma mi metto a parlare con me stesso. Sono colloqui che non racconterò mai perché non mi riuscirebbe farlo. Ci facciamo domande e ci diamo, non sempre, delle risposte. Spesso ci accompagniamo in silenzio ed entriamo in mare. Ci mettiamo a fare il “morto” coi rumori nelle orecchie semisommerse, e ci teniamo per mano. Lui mi racconta di cosa farà e io gli racconto di cosa ho fatto; ma senza fare troppi commenti. Meglio abbandonarsi alle onde, ché le onde sanno sempre non solo dove portare, ma anche dove aver portato.

In quell'estate, mio fratello s'era portato dietro, tra le sue cassette stereo, una delle “Orme”. Si chiamava “Uomo di pezza” ed era l'unica cosa in cui s'andava d'accordo. Un diciottenne non può andare d'accordo con un bambino di dieci anni. Sono due universi distinti e inconciliabili. Di quando si ha dieci anni ci si ricorda a quarantasei, non a diciotto anni. A diciotto anni ci si gode uscire di notte compiangendo il fratellino che avrà visto un po' di televisione, avrà fatto le parole crociate e poi sarà stato costretto a andare a letto dalla mamma e dal babbo.

S'andava d'accordo perché c'era questa canzone qui, che cantavamo tutti i giorni, ma dico tutti. Stasera m'è tornata a mente, all'improvviso. Non so, forse sarà un qualche disegno sconosciuto; ed è bene non calpestare troppo i misteri, è bene non razionalizzarli eccessivamente. Dall'estate del 1973 approda quindi a questo sito, coi suoi sogni e le sue realtà mescolate al cammino fatto ed a quello ancora da fare. La spediamo in due, io a dieci anni ed io a quarantasei. Nel gioco di bimba, dice la canzone, si perde una donna; e nei giochi di un bimbo si ritrova certe sere un uomo. La ascoltiamo insieme, in silenzio, e ve la facciamo ascoltare lanciando manciate di polvere, e schizzi d'acqua, e raggi di sole.

Riccardo Venturi, anni 10
Riccardo Venturi, anni 46.
Come d'incanto lei s'alza di notte,
Cammina in silenzio con gli occhi ancor chiusi
Come seguisse un magico canto
E sull'altalena ritorna a sognare.

La lunga vestaglia, il volto di latte,
I raggi di luna sui folti capelli.
La statua di cera s'allunga tra i fiori
Folletti gelosi la stanno a spiare.

Dondola, dondola, il vento la spinge
Cattura le stelle per i suoi desideri.
Un'ombra furtiva si stacca dal muro:
Nel gioco di bimba si perde una donna.

Un grido al mattino in mezzo alla strada,
Un uomo di pezza invoca il suo sarto
Con voce smarrita per sempre ripete
"io non volevo svegliarla così"
"io non volevo svegliarla così"

envoyé par Riccardo Venturi - 20/2/2009 - 03:21




Langue: roumain

Tradusă în româneşte de Riccardo Venturi
8 martie 2013

jocdefata


Ho letto da qualche parte, oggi, che una ragazza rumena di diciotto anni, già madre di una bambina, a Firenze, ha fatto arrestare i suoi sfruttatori, violentatori e torturatori. Non sono un gran sostenitore della festa dell'otto marzo, di tutto si ha bisogno fuorché di "feste" anche se conosco l'episodio che ha dato luogo a questa consuetudine. Però la cosa mi ha colpito, e allora ho deciso di scrivere questa canzone, terribile e delicata al tempo stesso, in lingua rumena. Dedicandola a chi, il male e la violenza, lo subisce ogni giorno; e anche a chi lo fa. [RV]
JOC DE FATĂ

Ca din minune se ridică noaptea,
în linişte umblă încă cu ochii închişi
ca şi cum aude un cântec vrăjit
şi întoarce pe leagăn să visează

Cu lunga rochie, cu faţă de lapte,
cu raze de lună în părul său des.
Statuia de ceară s-apleacă dintre flori,
cu invidie o pândesc nişte spiriduşi.

Leagănă leagănă, vântul o împinge
pentru dorinţă îşi captură stele.
Din zid se îndepărtă o umbră tainică,
în jocul de fată se pierde o femeie.

Un strigăt la zori în mijlocul căii,
un om de bucată invocă pe croitor,
cu voce confuză repetează întruna:
“Eu nu vream să-o deştept aşa,
Eu nu vream să-o deştept aşa!”

8/3/2013 - 19:30




Langue: anglais

Versione inglese di Hagane

Ho sempre adorato questa canzone! Spero che la mia traduzione in inglese possa essere utile. :)
LITTLE GIRL’S GAME

Like under a spell, she wakes up at night
Quietly walks with her eyes still closed
As if she’s following a magical song
And on the swing she keeps dreaming.

The long night gown, the milky white face
The moonlight shines on her thick hair
The wax statue stretches out on the flowers
While jealous elves peek at her.

Swing, swing, the wind pushes her
And catches stars for her wishes
A sneaky shadow crawls out from the wall
In the little girl’s game a woman is lost.

A scream in the morning, in the middle of the street
A rag man cries out for his tailor
Bewildered, he keeps repeating:
“I didn’t want to wake her like this!
I didn’t want to wake her like this!”

envoyé par Hagane - 24/5/2018 - 16:58




Langue: français

Version française – JEU DE FILLE – Marco Valdo M.I. – 2021
Chanson italienne – Gioco di bimba – Le Orme (Pagliuca-Tagliapietra) – 1972

Dialogue maïeutique
LA FILLE SUR LA BALANÇOIRE <br />
Winslow Homer – 1879
LA FILLE SUR LA BALANÇOIRE
Winslow Homer – 1879


Voici une histoire, Lucien l’âne mon ami, une histoire ancienne et en même temps, une histoire d’aujourd’hui et dont je crains fort qu’il s’agisse encore d’une histoire de demain et même, d’une histoire de toujours.

Une histoire d’hier, une histoire d’aujourd’hui, une histoire de demain, une histoire de toujours ?, demande Lucien l’âne. Mais une histoire de quoi ? En somme de quoi s’agit-il ?

Pour le dire tout droit, sans fioriture, dit Marco Valdo M.I, c’est l’histoire d’un meurtre, l’histoire d’un assassinat et sans doute aussi, sans que cela soit dit d’un crime sexuel, d’un viol. Pourtant à entendre la chanson, on dirait une histoire rêveuse, qui pourrait – du moins au début – être une histoire heureuse et se révèle finalement tragique. Véritablement, c’est une histoire triste : l’histoire d’une fille que la mort vient chercher dans son sommeil somnambule, qu’un homme s’en vient surprendre et sans doute lui aussi pris dans son propre cauchemar, finit par assassiner la fille.

Oh, dit Lucien l’âne, cette histoire, ce Jeu de Fille me rappelle cette autre chanson dont nous avons déjà parlé ensemble, celle que chantait Isabelle Aubret et qui s’intitulait La Source.

En effet, dit Marco Valdo M.I., et je pense qu’il vaut mieux renvoyer au dialogue que l’on fit à cette occasion, car on n’a pas changé d’avis. Pour le reste, de façon générale, il vaut mieux laisser la chanson elle-même dire ce qu’elle sait et ce qu’elle ressent.

Bonne idée, continue Lucien l’âne, d’autant qu’il y faut un certain halo poétique pour évoquer plus que montrer crûment. Dans ce genre d’affaire, il convient de laisser flotter une sorte de brume afin d’atténuer l’horreur.

Qu’est-ce qui peut expliquer pareil comportement meurtrier ?, dit Marco Valdo M.I., véritablement, on ne sait. Mille choses, rien ? Et c’est bien là le problème et une chose est certaine, et c’est bien le pire, les « sanctions » ne résolvent rien et n’ont jamais empêché que ces horreurs se reproduisent ; la plupart du temps, avec d’autres acteurs et souvent, imprévisibles, inimaginables. Évidemment, ça ne rend pas ces brutalités plus supportables.

Comme je vois, et je m’en doutais depuis longtemps, dit Lucien l’âne, car j’ai toujours connu, tout au long de mon long périple, de tels malheurs et comme tu le dis, personne n’a jamais trouvé le moyen d’y mettre fin. C’est une étrange maladie qui touche l’humanité. Pour le reste, tissons le linceul de ce vieux monde brutal, absurde, dérangé, taré et cacochyme.

Heureusement !

Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane
JEU DE FILLE

Envoûtée, elle se lève la nuit ;
Les yeux clos, elle avance sans bruit,
Au pas d’une chanson magique
Et sur la balançoire, berce ses rêves.

Avec son long peignoir, son visage de lait,
Les rayons de lune sur ses cheveux épais,
Parmi les fleurs, la poupée de cire détonne,
Les feux follets jaloux l’espionnent.

Elle se balance, le vent la prend pour une voile.
Égrenant ses vœux, elle cueille les étoiles.
Du mur, se détache une ombre furtive.
Dans ce jeu d’enfant, une femme s’esquive.

Un cri le matin au milieu de la rue,
Un homme en morceaux invoque les nues.
Il répète d’une voix à jamais éperdue,
« Je ne voulais pas l’éveiller comme ça.
Je ne voulais pas l’éveiller comme ça. »

envoyé par Marco Valdo M.I. - 27/9/2021 - 12:51


"Non ci si immagina mai quante delle cose vissute da piccoli ci si porti dietro".Che nostalgia nel leggere il racconto delle estati all'Elba.Ricordi di Cala Girgolu,Sardegna anni 70.La disperazione dell'essere i più piccoli.Le vite degli altri.L'altra notte,all'inaugurazione di una rassegna cinematografica,in una peschiera adibita a sala di proiezione,ho rivisto una scena della mia infanzia.Noi,nipoti bambini,a cena con mio nonno,nell'unica costruzione tuttora esistente,ed all'improvviso il caos:le pistole,la gente al riparo sotto ai tavoli,cosa accadde non so; nitida è solo la paura e le grida.

Alessandra - 24/7/2010 - 17:09


Cercando il testo della canzone,mi sono ritrovata su questa pagina e sono stata letteralmente rapita dal tuo (suo) racconto!L'ho letto tutto d'un fiato e...più che le parole,avevo l'impressione di vedere le immagini dei luoghi e delle situazioni descritte.A quei tempi avevo -2 anni,non ero neppure In calendario.Sono nata due anni dopo,nel '75,ed in un posto molto diverso da quello descritto nel racconto.Ma grazie per avermi lasciato belle immagini che sicuramente popoleranno i miei sogni questa notte!!

Valentina - 20/12/2011 - 02:13


Carissime Alessandra e Valentina, a volte si perdono di vista le cose che si sono scritte, ma le loro tracce vengono a cercare. Come in questa serata freddissima d'inverno. Sono passati due anni ancora, e ci sono sempre, e viaggiano anche attraverso le vostre parole e i vostri ricordi. Mi si permetta di dire che sono felice e fiero di averveli suscitati, e che quei giochi di bimba o di bimbo non cesseranno di accompagnarci. Un saluto dalla notte scura.

Riccardo Venturi - 20/12/2011 - 21:23


Gioco di bimba.
Dall’ Album “Uomo di pezza.”
Musica: Aldo Tagliapietra.
Testo di: Antonio Pagliucca.
Edizioni Musicali Esedra S.R.L.

QUESTA CANZONE E' STAT SCRITTA NEL 1969, E PUBBLICATA NEL 1972. E' STATO IL REGALO DEL GRUPPO LE ORME AL NEO PAPA' ALDO TAGLIAPIETRA( SI PER LA NASCITA DELLA SUA PRIMA FIGLIA). IO HO AVUTO LA FORTUNA DI CONOSCERE TUTTE LE FORMAZIONI DELLE ORME. DAL 1966 AL 2008.PAOLO ROITER DA MESTRE(VENEZIA)

PAOLO ROITER - 27/1/2013 - 11:40


Grazie per il racconto, di cuore.

Giovanni - 6/7/2013 - 01:10


Cavolo Riccardo, scrivi davvero bene!
Banalmente: mi ricordo un settembre degli anni '60; una pensione familiare, unica costruzione presente allora nella baia di Lacona. Per andare in spiaggia si attraversava un vigneto e non c'era quasi nessuno. La nostra cagnolina (una bastardina nera) felice di quella natura selvaggia era scappata e non si trovava più. È ritornata alle 3 di notte, quando stavamo già perdendo le speranze...
Sono stata a rivedere Lacona l'anno scorso, ma sono fuggita subito.

Silva - 6/7/2013 - 15:08


Ora che ci penso, l'estate del '73 son quarant'anni fa. Cara Silva, di quel tuo settembre degli anni '60 ho negli occhi l'immagine esatta, e capisco bene perché tu sia fuggita da Lacona lo scorso anno. Proprio oggi, tra le altre cose, mi è capitato di leggere di Lacona su un giornale qualsiasi; in mezzo alla macchia del Colle Reciso qualcuno ha avuto l'autorizzazione per sbancare una collina e costruire villette, come al solito. Eppure ancora qualcosa, non so nemmeno io come, resiste; ed è una dura resistenza. Ti faccio vedere Galenzana tre settimane fa com'era davanti a me, e questa per me non è una "spiaggia"; è un posto dove ho passato la vita fin da piccino. Così per dare un po' di speranza, che a volte non fa male; se per caso tu ci volessi passare, avvertimi.

gallayellow

gallaum

gallaumtwo


E' stato fra l'altro proprio a Galenzana che, da bambino, ho cominciato a scrivere delle cose. Mi divertivo, e mi diverto tuttora; perché altro non è che questo, un divertimento che mi fa brillare gli occhi. Se domani tutti i computer scomparissero, ripiglierei un quaderno e via. Grazie a te e a Giovanni per quel che mi avete detto, davvero.

Riccardo Venturi - 7/7/2013 - 00:23


L'unica "orma" di Drupi che sono riuscito a rintraciare nel vostro sito... ed eccola... "Le provincie" alla polacca di Jacek Zwoźniak
La cantava anche Jan Kaczmarek con i suoi colleghi satirici di "Egida".

Krzysiek Wrona - 15/8/2013 - 00:07


In piu' un omaggio da parte di Maciej Maleńczuk, giusto per restare in tema...peace&love

krzyś - 15/8/2013 - 00:32


Nel '73 io sono nato. E oggi ho la sua stessa età quando ha scritto questo racconto. Sono nato ascoltando una lingua dura che pare fatta apposta per dare ordini, in un campo delle donne - Frauenfeld dice che significa questo - ma sono cresciuto mille e più km a sud parlando un'umile lingua meticcia, figlia minore di Zeus e Giove, ma dal profumo d'oriente. Del '73 non ricordo nulla eppure certe immagini sue mi sono familiari: la 850 beige per esempio ce l'aveva mio zio, ed era sempre una festa vederla arrivare: era l'estate. Parole come fotografie virate al rosso dentro gli album rilegati in pelle. E poi il sole. Il sole degli anni '70 che così non l'ho più visto nei decenni a venire. Dice che è sempre lo stesso, devono essere gli occhi ad essere cambiati. Ecco! Forse è solo per questo che ho cominciato a scriverle: per dirle grazie per avermelo fatto rivedere ancora.

Roberto - 4/6/2020 - 23:32


Che meraviglia di scrittura Riccardo. Terapeutica. Un immersione nel mare dell'infanzia e di sé stessi. Mi lascio cullare in quelle cantilene, ringraziandoti. Mi sento rapito e assorto come quando guardo mio figlio di quasi 6 anni, anch'egli talvolta assorto in queste nenie, che mai oso interrompere o disturbare, perché consapevole del loro inestimabile valore, in questi sguardi unici, inimitabili, incisi nella sua mente, che ritroverà lontanissimi quando io non ci sarò più. Grazie Riccardo per questo tuffo dentro te stesso te e dentro me stesso io.

Flavio - 31/12/2020 - 07:58


@ Flavio

Grazie per le tue parole, con dieci e rotti anni di più sul groppone. Ma tutto resta come prima, e niente al contempo è più lo stesso. Prosegue imperterrito il valzer degli addii, e un altro anno -terribile, meraviglioso, chi lo sa- se ne va. Ci si avvicina sempre di più al 1973. Un saluto per un ottimo e prospero 1973, Flavio. Un augurio e un abbraccio.

Riccardo Venturi - 31/12/2020 - 20:22


Ma che stronzata lo stesso Pagliuca ha negato che l'argomento della canzone sia quello.

Daniele - 18/9/2021 - 15:15


Vedo che nell'articolo Wikipedia già linkato in questa pagina non è, effettivamente, più presente l'interpretazione dalla quale almeno in parte è scaturita questa pagina (è stata sostituita con "una delicata e spesso incompresa storia d'amore tra due giovani innamorati"). Non ho notizia della smentita di Pagliuca, ma ne prendo comunque atto. La pagina resta comunque così com'è, naturalmente dando notizia della smentita (e, naturalmente, accogliendo anche eventuali diverse interpretazioni per chiunque le volesse esprimere in modo civile).

Riccardo Venturi - 19/9/2021 - 12:20


Riccardo Venturi, io ho 27 anni e devo ringraziarti perché quel sole l'ho potuto esperire soltanto attraverso la tua immersiva narrazione. Il 1972 per me è un anno a cui ho dato immensa importanza, proprio per via della quantità di dischi prog che sono usciti in quell'anno (rapidamente rammento: due della PFM, due del Banco, due dei Gentle Giant, e mille altri), e naturalmente l'anno è simbolico di un periodo, di cui il 1973 è stato un grandioso proseguimento e forse anche l'apice.
A me, ovviamente, queste cose sono apparse su uno schermo tutte insieme,quando avevo più o meno 13 anni, e solo l'immensa bellezza dei dischi mi ha portato nel tempo a snocciolare lentamente, arrivando a ritroso ad ascoltarli in vinile.
Ho iniziato a leggere il tuo commento pensando di scoprire qualcosa su quella canzone, ma nonostante il discorso abbia preso una piega diversa non ho potuto fare a meno di arrivare fino in fondo.
Ci sono film italiani che hanno provato a far capire dei momenti, degli stralci di vita degli anni '70, ma nessuno di quelli che ho visto mi ha trasportato così intimamente negli occhi di un bambino. I film ricreano i luoghi, gli ambienti e i rumori, le volgate e le mode, ma raramente danno a me, che ne sono estraneo, il senso del vissuto di quel tempo. Quello che hai condiviso rappresenta sicuramente un bel tassello nella fotografia che cerco di comporre, da postero, di un periodo di cui sarò sempre nostalgico pur non avendolo vissuto.
Grazie tante Riccardo.

Emilio Angelone - 3/5/2022 - 09:39


[Carnelli]: di che parla veramente Gioco di Bimba?

[Pagliuca]: mi piace questa domanda perché nessuno ha mai azzeccato; è una storia semplice che è capitato a quasi tutti con la prima fidanzata, poi la storia è finita: E’ la storia del mio primo amore, eravamo giovani entrambi

Da intervista a Pagliuca su SuperEva, 2004

3/5/2022 - 11:29


Grazie a te Emilio. Io, ora, di anni vado per i sessanta e tutto si fa ancora più lontano, lontano, lontano...è un discorso lungo, specie se indirizzato a un giovane di 27 anni. Provo a farlo. Si parlava di lontano lontano, e forse troverai un po' bizzarro che un ragazzino di nove o dieci anni, quale ero nel 1972/73 (sono nato, per l'anagrafe, il 25 settembre 1963) sia stato musicalmente “tirato su” a base di progressive italiano e europeo (e di Fabrizio De André); il 1972...avevo nove anni, nel 1972, e mentre ero a letto malato e giocavo con le automobiline mi facevo portare ”Refugees” dei Van der Graaf Generator, brum brum con la macchinina e via con “Epitaph” dei King Crimson... mi parli del Banco, dei Gentle Giant e mi rivedo le copertine delle cassette acquistate da mio fratello maggiore (che aveva, all'epoca, 17-18 anni essendo del 1955), li ho visti tutti uscire quegli album e ascoltati quando potevo, senza capirci ovviamente nulla. L'estate del 1973...fu una bellissima estate sull'Isola, quando le estati erano lunghissime, quando non finivano veramente mai, quando, verso la fine di settembre ed ero ancora là perché la scuola ricominciava il primo d'ottobre, sfumavano nelle prime pioggie, nelle prime brutte giornate d'autunno e allora si doveva ripartire. Nel frattempo, quegli anni; ed erano anni parecchio strani, sai, anche nella mente e nella vita di un ragazzino, perdipiù quella specie di ragazzino bizzarro che ero e che sono rimasto. La colonna sonora. Erano anni in cui la colonna sonora non era fatta solo di canzoni e musica, ma anche di voci, di folle, di passioni, di spari. Ricordare quegli anni è ricordare dei filtri; ma attraverso i filtri, qualcosa pur sempre passa, e s'ingrossa, s'ingrossa e approda, oppure non approda...ma mi sto, naturalmente perdendo. Invece vorrei mettermi nei tuoi panni, Emilio, e rivederti tredicenne...se hai 27 anni ora, significa che siamo quattordici anni fa, nel 2008, e ti vedo già a smanettare su Internet, lo schermo che ti fa apparire tutte quelle cose, quelle parole e quella musica che per me sono state stereocassette, qualche raro disco, il mangianastri, la cantina condominiale, persino il desiderio di imparare l'inglese per capirci qualcosa...e i numeri di “Ciao 2001” o di Muzak... e qui mi fermo, ringraziandoti ancora per le tue parole e per avermi dato modo di parlare, forse per un'ultima volta, di tutte queste cose sempre più nebulose. Ma una parola, in fondo in fondo, me lo riservo a proposito di un'altra musica, di un'altra canzone; questa, per la precisione. Una canzone che, nel 1973 non era stata nemmeno ancora scritta, e che ho conosciuto soltanto una caterva d'anni dopo. Non so quale potere abbia la musica, ma lo si deve prendere e basta, per quello che è; quando la ho conosciuta e ascoltata, fin dalla prima volta la sua musica mi ha fatto vedere tutta l'estate del 1973, e anche quelle della mia prima adolescenza, all'Elba, i tramonti, le ombre lunghe della sera, e i volti, e i pensieri, e le acque, e i sogni, e quella notte sul Crino insieme al mio amico Filippo, quello che poi ha preso il Premio Nobel per la fisica (sul serio, non scherzo; è costui). Senza averci nulla a che fare, strettamente; eppure, quando la ascolto è sempre così. Nel gioco di bimba, di bimbo, di ragazzo, si perdono le note che rimbalzano tra oblio e ricordo.



Colgo l'occasione anche per due parole su questa canzone, su “Gioco di Bimba”. Ho visto che mi è stato ribadito il suo significato, stavolta con tanto di Pagliuca alla mano e intervista del 2004 a SuperEva. Va bene, ovviamente, e ne prendo atto definitivamente. Chiedo scusa a chi ho “sviato”, e, a questo punto, altro non posso fare che rimettere la canzone negli “Extra” e toglierla dal percorso sulla violenza sulle donne. Come dice Pagliuca, invero molto gentilmente come gli si confà, “non ci ho azzeccato” e faccio un passo indietro. Saluti cari, Emilio, e saluti a tutt*.

Riccardo Venturi - 3/5/2022 - 14:06




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