Perlimpinpin

Anche a me – come a Olivier Morin - sembra incredibile che una canzone del genere, pacifista a 360°, sia stata intonata il 27 novembre scorso all’Hôtel des Invalides durante la cerimonia ufficiale, presente Hollande e tutta la gerarchia, per commemorare gli attentati del 13 novembre a Parigi:

"Perlimpinpin dans la cour des Invalides, c'est comme si la Garde Républicaine jouait Le déserteur devant le tombeau de Napoléon.”

Credo che nella stessa occasione sia stata fatta violenza pure a Jacques Brel, di cui è stata presentata Quand on n'a que l'amour mentre i Mirage – gli stessi che a suo tempo contribuirono a mandare dal culo la Libia - già effettuavano i loro bombardamenti di rappresaglia…

Fermo restando l'autentico stupro di questa canzone (ma i militari e gli stati sono espertissimi di stupri, verrebbe da dire), devo farti una piccola precisazione. In francese, "perlimpinpin", o meglio, la "poudre de perlimpinpin", sarebbe quella che analogamente, in italiano, è la "polvere di pimpirimpì" (o di "pirimpimpera"), una misteriosa polverina magica che almeno ai miei tempi era nota a tutti i bambini. Da qui, in francese, fu detto "perlimpinpin" anche lo zucchero filato, che casualmente in francese si chiama "barbapapa" (la "barba di papà", insomma). Insomma, "perlimpinpin" non si riferisce ai fumetti e ai cartoni animati (giapponesi) di Barbapapà, ma proprio alla polverina magica e allo zucchero filato (cosa che si evince del resto anche dal testo della canzone: le "goût du perlimpinpin" è il gusto dello zucchero filato). Il fumetto di Tison/Taylor si è sempre chiamato "Barbapapa": qui da noi si è sempre creduto che i personaggi fossero a forma di pera, quando invece per un francese era chiaro che evocavano la forma di un rocchettone di zucchero filato. Saluti infantilmente dolciastri e zuccherosi!

'sta minche! Certo che ne sai una più del diavolo! Sarai mica un Barbapapa pure tu?!?
Salut!

Diciamo che ho buona memoria: tutta 'sta storia del Barbapapa me la raccontò una mia ex fidanzata francese quando stavo in Francia, davanti alla vetrina di una libreria dove c'erano i libri di Barbapapà. Giuro, mi sentii uno schifoso privilegiato nel conoscere finalmente la vera storia di Barbapapà, e di cosa vuol dire davvero. E pensare che all'età di 16 anni, durante una sbronza colossale a Marina di Campo, avevo sbarbato di peso un baracchino dello zucchero filato e lo avevo buttato in mare (poi in mare mi ci buttarono vestito a me, ma in otto). Non me lo voleva dare a gratis, quel cattivo! Comunque ora come ora, e visto lo stato della mia barba, direi che Barbapapà mi starebbe bene come appellativo....

Sulla barba ok, ma sarebbe utile saperla, la questione del papà ;-)))

La questione del papà attiene allo spiritaccio della langue française. Papa vuol dire sì "papà", ma in realtà in molti casi vuol dire nonno. Quando si dice "barbapapa", cioè "barbe à papa", un francese non pensa tanto al babbo quanto al nonno con la sua bianca barba da zuccherone filatone. Non saprei spiegarlo bene, il francese è quella lingua in cui tu dici "tu es bien gentil" che dovrebbe essere un complimento, e invece stai dicendo che sei uno scemo e un sempliciotto. La questione dello spirito della lingua è sfuggente al massimo, bisogna esserci stati e aver vissuto in una data lingua scoprendo via via quel che c'è sotto sotto. Anche per questo quando mi metto qualche volta a cantare in francese in mezzo di strada quasi mi commuovo perché so di omaggiare questa cosa che non so spiegare bene; è, in fondo, il principio che sta alla base -tra le altre cose- di tutto quel che combino in questo sitaccio. Insomma, la barba del nonno o la barba zuccherofilata di un anziano. Ma quel che si ha in testa noialtri che campiamo la vita nella terra di nessuno fra una lingua o l'altra non può essere agevolmente spiegato, forse lo spieghiamo a volte coi giochi di parole che ci piacciono tanto; e tu, cappadì, lo dovresti conoscere bene. Ti amo fra un rebus e l'altro.

Credo che daniela-k.d. intendeva questo Barbapapà:

https://www.youtube.com/watch?v=eYKHukwLFqA

Tu rimani sfuggente, come sempra Rick.
Fuggitivo krzyś

E ora si parte per altre avventure...

Carissimi amici,

Posons d'abord que Barbara est une personne qui connaissait et aimait la langue française et que son degré de connaissance de la langue était au-dessus de la moyenne.

Cette petite introduction pour indiquer qu'il faut aborder cette question du perlimpimpin avec une prudence extrême.

Que dit-elle ?

« Pour retrouver le goût de vivre,
Le goût de l'eau, le goût du pain
Et celui du Perlimpinpin
Dans le square des Batignolles »

Le mot perlimpinpin se trouve généralement dans l'expression « poudre de perlimpinpin », qui signifie « une poudre sans aucune valeur », un placebo, un rien, une illusion, de la poudre aux yeux…
Mais c'est sans la majuscule… et c'est sans indication de lieu.

Le « Perlimpinpin » des Batignolles (on notera la majuscule) ne peut que désigner quelque chose de particulier, une sorte de marque commerciale et pourrait bien être un nom particulier choisi par les marchands de sucreries pour cette poudre blanche (de sucre) filée, que l'on vend dans les baraques à confiserie – principalement, lors des fêtes foraines ; poudre connue partout ailleurs sous le nom de « barbe à papa », très appréciée des enfants. Il y a d’ailleurs toujours une telle baraque au square des Batignolles, lieu de jeux des enfants au cœur de la ville de Paris (17ième arrondissement). Y vend-t-on encore le « Perlimpinpin » ? Il faudrait aller le vérifier.

Personnellement, je pencherais pour le sens que Riccardo a proposé ; c'est-à-dire, en effet, de la « barbe à papa ».

Maintenant, il est clair aussi que cette « barbe à papa » blanche renvoie dans l'imagerie populaire, enfantine et infantile au Père Noël, lui-même renvoyant au solstice d'hiver.

Quant à l'hypothèse des « Barbapapas », c'est de la poudre de perlimpinpin… Dans sa chanson, Barbara réfère à sa propre enfance, très antérieure aux « Barbapapas », lesquels sont cependant d'excellents personnages imprimés, puis animés, inventés vers 1970.

Quant aux subtilités de la langue française ou de n'importe quelle langue, elles sont aussi mystérieuses que nombreuses. D'où, le fait qu'il est de bonne règle de traduire vers sa langue maternelle et / ou paternelle et si l'on se risque (comme Marco Valdo M.I. le fait parfois) à traduire de sa langue vers une autre – en l'occurrence, du français vers l'italien, il est impératif de soumettre son texte à un interlocuteur dont la langue d'arrivée est la langue maternelle et / ou paternelle. Un dernier mot pour bien préciser le propos ; ce que je désigne ici sous le nom de «  langue maternelle et / ou paternelle » est la langue (et il n'y en a qu'une ; sinon, gare aux courts-circuits) dans laquelle la pensée s'est formée ; ce qui n'exclut en rien la première langue apprise à l'école.

Il existe évidemment des exceptions.

Cordial

Lucien Lane