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14 agosto 1861: il massacro di Pontelandolfo e Casalduni.
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Gli Stormy Six nel 1965.
Gli Stormy Six nel 1965.
PONTELANDOLFO, 1861. LETINO, 1877.
di Riccardo Venturi

In questo sito, da tempo, su certi argomenti esiste un vivace confronto che, sia detto fin da subito, è il benvenuto. Nessuna preclusione ad ospitare punti di vista che sono radicalmente diversi dai nostri (in particolari da quelli di chi scrive); ma è sempre bene ribadire certi concetti ispiratori di questo sito. Non fa mai male e genera chiarezza.
I fatti di Pontelandolfo (BN) dell'agosto del 1861. Ci piacerebbe dire: "Li conoscono tutti". No. Pontelandolfo, come Bronte, come tanti altri lontani episodi della "Guerra al Brigantaggio" (la quale fu invece una guerra di sterminio verso delle popolazioni, né più, e né meno), non lo conosce più nessuno. Forse neppure a Pontelandolfo.

Nel link presente in un commento sono raccontati estesamente i fatti di Pontelandolfo. Estesamente, e, lo riconosco onestamente, con buona precisione storica. Il "problema", se così lo si vuole chiamare, è il punto di vista; un punto di vista reazionario che anche qui dentro, più volte, si è manifestato. Il termine reazionario ha, ovviamente, valenza storico-politica; così come la hanno, indubbiamente, certi "usi" che tuttora vengono fatti di tali episodi. Perché un conto è la critica, anche feroce, anche necessariamente implacabile, fatta alla conduzione dell'Italia postunitaria; un altro è piegare tale critica a scopi che è necessario definire con il loro nome: fascisti. Perché dietro il richiamo alla Santa Religione, alla Famiglia e a tutte queste belle cose, c'è sempre il caro vecchio reazionarismo fascista, e del peggiore. Il reazionarismo fascista che si è servito di certo meridionalismo fino ad arrivare ai fatti di Reggio Calabria del 1970, al "Boia chi molla", e a tanti altri episodi ancora attualissimi. Ma dietro, come sempre, c'è ben altro.

La Banda del Matese a Letino, in una vignetta umoristica di "A - Rivista Anarchica".
La Banda del Matese a Letino, in una vignetta umoristica di "A - Rivista Anarchica".


A chi se ne propone come portatore, vorrei allora porre una questione, sempre di carattere storico. Vorrei ricordargli i fatti avvenuti pochi anni dopo, nella medesima zona di Pontelandolfo, nelle medesime condizioni socioeconomiche (anzi, aggravate dalla guerra di sterminio e da quindici anni di regime sabaudo, per altro con il governo antipopolare della Destra Storica, quella della tassa sul macinato). Vorrei ricordargli, se non la conosce, la Banda del Matese. Vorrei ricordargli Errico Malatesta, Carlo Cafiero, gli imolesi Giuseppe Bennati, Luigi Castellazzi, Ugo Conti, Sante Celoni, Francesco Ginnasi, Luigi e Domenico Poggi, Pietro Gagliardi; i bolognesi Ariodante Facchini e Uberto Lazzati; i ravennati Domenico Bezzi; i toscani Alamiro Bianchi, Guglielmo Sbigoli, Giuseppe Volponi, Gaetano Grassi, Leopoldo Ardinghi e Massimo Innocenti; i marchigiani Napoleone Papini, Sisto Buscarini; gli umbri Angelo Lazzari e Carlo Pallotta, entrambi di Terni come Oreste Scalzone, e Florido Matteucci; e tanti altri. Erano tutti anarchici. Erano la banda del Matese.

Carlo Cafiero.
Carlo Cafiero.
Coloro che la mattina dell'8 aprile 1877 entrarono a Letino, a 12 km da Pontelandolfo, in armi. Dichiarando decaduta la monarchia sabauda, distruggendo i ritratti di Vittorio Emanuele e dando alle fiamme, tra il giubilo degli abitanti di Letino, sia i registri fiscali e tutte le carte dell'archivio comunale. Viene proclamata la rivoluzione sociale; i titoli di proprietà sono distrutti (catasto, ipoteche, gravami a favore della Santa Chiesa). Il popolo plaudente saluta il lancio dalle finestre del municipio di grossi fasci di cartaccia che alimentano un grande falò acceso sulla pubblica piazza. Vengono, infine, guastati ai mulini i contatori dell'iniqua tassa sul macinato.
La rivoluzione viene quindi spiegata con pochi esempi pratici, e in dialetto. Carlo Cafiero salta sul basamento di una grossa croce divelta, e sul quale ora sventola invece la bandiera rossa e nera dell'Anarchia. Spiega cosa sia la rivoluzione sociale, i suoi fini e i suoi metodi. Illustra efficacemente, sempre in dialetto stretto, il programma dell'Internazionale: non più soldati, non più prefetti, non più proprietari. Né servi, né padroni. Le terre in comune, il potere a tutti. E il popolo di Letino, quello della santa religione, grida: "Evviva l'Internazionale! Evviva la repubblica comunista di Letino!"
Arriva il parroco del paese, don Raffaele Fortini (qui si fanno nomi e cognomi!), il quale spiega che Vangelo e socialismo siano la stessa cosa e che gli anarchici sono i "veri apostoli mandati dal Signore per predicare le sue leggi divine". Il popolo applaude. Nel frattempo partono i Carabinieri; ironia della sorte, partono da Pontelandolfo.

Se si vogliono giudicare i fatti, dico sempre che è necessario conoscere la Storia. Ed è necessario conoscerla bene. Nessun'analisi politica può essere distolta dalla conoscenza storica approfondita. È quella che vorrei raccomandare a certuni, prima di mettere mano alla penna (anzi, alla tastiera). Finché non si hanno le basi di storia politica e socioeconomica necessarie, è bene studiarsele prima di partire dietro alle trombe della propria ideologia. La quale, poi, ha ogni possibile e lecito diritto di cittadinanza; a condizione che tenga conto dei cosiddetti fatti che non quadrano.

Con questo, appare chiaro che siano stati gli Stormy Six, gruppo musicale di estrema sinistra, ad occuparsi di Pontelandolfo; lo hanno fatto in un'album intitolato significativamente L'Unità, la cui prima facciata è interamente dedicata ad episodi dell'Italia postunitaria. Appare chiaro, perché gli Stormy Six avevano ben presenti certe cose e certi meccanismi. Avevano probabilmente ben presente anche la Banda del Matese. Avevano ben presenti le parole che Carlo Cafiero, o forse Errico Malatesta, pronunciò ai letinesi, in dialetto, e che da anni sono la mia signature sulle e-mail:

I fucili e le scuri ve li avimo dato, i curtelli li avite. Se vulite, facite; sennò vi futtite..
Era il giorno della festa del patrono
E la gente se ne andava in processione
L’arciprete in testa ai suoi fedeli
Predicava che il governo italiano era senza religione
Ed ecco da lontano
Un manipolo con la bandiera bianca
Incline ad inneggiare a re Francesco
Ed ecco tutti quanti lì a gridare
Poi si corre furibondi al municipio
E si bruciano gli archivi
E gli stemmi dei Savoia

Pontelandolfo la campana suona per te
Per tutta la tua gente
Per i vivi e gli ammazzati
Per le donne ed i soldati
Per l’Italia e per il re.

Per sedare disordine al paese
Arrivano quarantacinque soldati
Sventolando fazzoletti bianchi
In segno di pace, ma non trovano nessuno.
Poi mentre si preparano a mangiare
Il rumore di colpi di fucile
Li spinge ad uscire allo scoperto
E son presi tutti quanti prigionieri
Poi li portano legati sulla piazza
E li ammazzano a sassate,
Bastonate e fucilate.

Pontelandolfo la campana suona per te
Per tutta la tua gente
Per i vivi e gli ammazzati
Per le donne ed i soldati
Per l’Italia e per il re.

La notizia arriva al comando
E immediatamente il generale Cialdini
Ordina che di Pontelandolfo
Non rimanga pietra su pietra
Arrivano all’alba i bersaglieri
E le case sono tutte incendiate
Le dispense saccheggiate, le donne violentate,
Le porte della chiesa strappate, bruciate
Ma prima che un infame piemontese
Rimetta piede qui, lo giuro su mia madre,
Dovrà passare sul mio corpo.

Pontelandolfo la campana suona per te
Per tutta la tua gente
Per i vivi e gli ammazzati
Per le donne ed i soldati
Per l’Italia e per il re.

envoyé par Riccardo Venturi


In questo link del Comune di Pontelandolfo viene raccontato quel che avvenne a Pontelandolfo nel 1861, vedete voi se copiare/incollare il contenuto o mettere solo il link.


(Boriz)

Il link è sicuramente molto interessante per ricostruire gli avvenimenti di Pontelandolfo, e corredato da un'ottima iconografia. Ciononostante, non potrei ricopiarlo espungendo i passi del testo che mi stanno assai poco simpatici, in primis quello finale; questa sarebbe un'operazione scorretta. Preferisco quindi lasciare esclusivamente il link, lasciando alla coscienza di tutti il giudizio su ciò che vi viene espresso; personalmente, di certo "meridionalismo" a base di Borboni e santa religione mi sarei un po' caramellato i coglioni (appunto ovviamente non rivolto a te, Boriz; ci tengo a specificarlo). Così come tengo ovviamente a specificare che gli avvenimenti di Pontelandolfo restano comunque un vomitevole episodio di quella che è stata la "guerra al brigantaggio". Tutto starebbe una buona volta a situarla nella giusta ottica; ma del resto, una volta controllato da chi è retto attualmente il comune di Pontelandolfo, (cliccare su "Amministrazione") non c'è da stupirsi di certe "letture". Ad ogni modo, essendo tutto il sito in fase di ristrutturazione nelle sue singole pagine, mi riprometto di preparare personalmente un'estesa introduzione a questa canzone, anche nell'ottica di un futuro percorso sulla "guerra al brigantaggio".[RV]

1/4/2007 - 19:47


Testo straordinario

Mi compimento con gli Stormy Six del brano che non sono certo "dei nostri"
Ed e' una forte testimonianza su quali erano le simpatie del popolo (l'arciprete,bandiera bianca,re Francesco...)
e di quel massacro taciuto dai libri di storia
So che cio' ti puo' irritare, ma ammiro chi e' del nord (come te) non ignori' la verita' sul fantomatico "Risorgimento"

Ma gli autori sono nativi di Pontelandolfo?

(Willy)

No, nessuno degli Stormy Six, a quanto mi risulta, è nativo di Pontelandolfo. Ma a proposito delle "simpatie del popolo", e proprio del popolo di quelle parti, ti inviterei anche a leggere bene la storia della "Banda del Matese" e dell'arrivo a Letino (non lontano da Pontelandolfo) di Errico Malatesta e Carlo Cafiero. E di quel che accadde. Saluti! PS. Non mi irrita assolutamente nulla, ti giuro.[RV]

25/5/2007 - 14:43


Facciamo un gran confusione parlando di "reazionarismo fascismo".Il Fascismo originario di "reazionario" non aveva nulla : http://it.wikipedia.org/wiki/Sansepolcrismo
Cio' che e' "reazionario" lo trovi qui :
http://www.conserv-azione.org/
La rivolta di Reggio Calabria fu' legittima
Evitiamo per favore di "far di tutta un'erba UN FASCIO" !
La "banda del Matese" la conoscevo appena...comunque e' un eccezione Venturi, me lo sai spiegare questo "strano" connubio fra preti e anarchici ? Mi incuriosice...


(Willy)

O Willy, ma che ci sei diventato comunista? Fai gli appelli al "sansepolcrismo" e ai "fascisti della prim'ora" come fece l' "Unità" clandestina nel 1936? Quanto alla rivolta di Reggio, le rivolte non sono mai "legittime" o "illegittime": sono semplicemente rivolte, e come tali tutti siamo chiamati a stabilirne le vere cause. A quanto mi risulta, gli unici che ci provarono sul serio, furono quei quarantamila lavoratori che montarono sui treni da tutta Italia per andare a Reggio (la cosa, se ti interessa, è raccontata in questa canzone. Ad ogni modo, Willy, non spetta poi né a me, né a te, stabilire "regole" o "eccezioni". Nel matese avvenne il connubio più naturale del mondo: quello tra poveri, quello tra sfruttati. Preti, anarchici, quello che ti pare. Saluti! [RV]

27/6/2007 - 14:30


No, cercavo semplicemente di andare oltre i luoghi comuni e cercando di farvi essere storicamente oggettivi
Saluti e buon lavoro
(Willy)

Esiste dunque una "storia oggettiva" per te? Ti perdono questo scusandolo con i tuoi ardori giovanili :-) Per il resto, grazie per il "buon lavoro". Saluti! [RV]

27/6/2007 - 18:49


La bella foto appartiene alla brigantessa Michelina Di Cesare. Credo sia giusto correggere l'errata didascalia. La sua foto invece può ben starci a simbolo delle sofferenze patite nei dieci anni postunitari dalle popolazioni del sud durante la repressione del brigantaggio, di cui pontelandolfo fu uno dei primi episodi.

pietro - 20/12/2008 - 10:49


tengo a precisare solo una cosa sulla questione: una cosa di carattere geografico e storico.
1) la banda del matese non ha niente a che fare con pontelandolfo. gli internazionalisti arrivarono a san lupo (paese che dista circa 10 km) dove vi restarono qualche mese prima di essere "cantati" e costretti alla fuga verso i monti del matese. dopo tre giorni arrivarono a letino e poi a gallo matese dove si realizzo lo "strano connubio" tra internazionalisti, sfruttati, ed oppressi dal potere "feudale" (politico e religioso). vabbe poi i fatti sono noti ancora oggi nella memoria della gente in quanto chi vive in questi luoghi da sempre ne fa motivo di orgoglio ed in parte di rivalsa nei compronti dei moderni feudatari.
2) i fatti di pontelandolfo avvennero qualche anno prima e sono quelli di cui fa riferimento la canzone "a campana sona". le rivolte contadine e la repressione successiva avvennero a pontelandolfo e casalduni in particolare, anche se tutto il matese era in fermento. un ruolo importante nel tenere vivo questo fermento lo giocarono alcuni dei briganti della zona che però, forse ben presto, giocarono un ruolo piuttosto ambiguo.
3) gli internazionalisti de la banda del Matese scelsero questi luoghi in quanto territori già in fermento e luoghi ideali per propagandare la propaganda del fatto e scelsero san lupo e non pontelandolfo proprio perchè pontelandolfo fu "militarizzata".
solo per la precisione

enzo l'arianese - 23/4/2010 - 15:23


Il massacro dimenticato di Pontelandolfo - Quando i bersaglieri fucilarono gli innocenti

Il 14 agosto 1861 per vendicare i loro quaranta morti i soldati sabaudi uccisero 400 inermi. Un eccidio come quello delle Fosse Ardeatine. Il sindaco oggi si batte perché alla città sia riconosciuto lo status di "martire". E promette: se l'esercito chiede scusa, invitiamo la loro fanfara a suonare come atto di riconciliazione

di PAOLO RUMIZ

SIGNOR presidente della Repubblica, signori ministri, autorità incaricate delle celebrazioni del centocinquantenario, questa storia è per voi. Non voltate pagina e ascoltate il racconto di questo soldato, se credete al motto "fratelli d'Italia" e tenete all'onestà della memoria sul 1861, anno uno della Nazione.

"Al mattino del giorno 14 ricevemmo l'ordine di entrare nel paese, fucilare gli abitanti, meno i figli, le donne e gli infermi, e incendiarlo. Subito abbiamo cominciato a fucilare... quanti capitava, indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo dato l'incendio al paese, di circa 4.500 abitanti. Quale desolazione... non si poteva stare d'intorno per il gran calore; e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case. Noi invece durante l'incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava". Olocausto firmato dagli Einsatzkommando? No, soldati italiani, al comando di ufficiali italiani. E il villaggio non sta in Etiopia ma in Italia, nel Beneventano. Il suo nome è Pontelandolfo. Massacro a opera dei bersaglieri, data 14 agosto 1861, meno di un anno dopo l'ingresso trionfale di Garibaldi a Napoli. Pontelandolfo, nome cancellato dai libri perché ricorda che al Sud ci fu guerra, sporca e terribile, e non solo annessione.

Andiamoci dunque, luogotenente Cariolato, per capire cosa accadde; perdiamoci nel labirinto di strade sannitiche già ostiche ai Romani, e saliamo verso quel promontorio di case, in
un profumo ubriacante di ginestre e faggete secolari. Penso a un viaggio nella storia e invece mi trovo immerso in un oggi che scotta, davanti a una giunta comunale che aspetta, sindaco in testa. Delegazione agguerrita, di centrosinistra, schierata per avere giustizia. Raccontano, come di cosa appena accaduta. C'è una rivolta, alla falsa notizia che i Borboni sono tornati. Scattano regolamenti di conti con due morti, i briganti scendono dai monti, il prete suona le campane per salutare la restaurazione. Un distaccamento di bersaglieri va a vedere, ma nella notte vengono aggrediti da una banda in un paese vicino e lasciano sul terreno 41 morti. Ci sono buoni motivi per pensare che il responsabile sia un proprietario terriero, impegnato in un subdolo doppio gioco: eccitare le masse per poi invocare la mannaia e rafforzare il suo status. Ma non importa: si manda una spedizione punitiva con l'incarico di "non mostrare misericordia", e alla fine si contano 400 morti. Morti innocenti perché gli assassini si sono dati alla macchia.

Quattrocento per quaranta. Dieci uccisi per ogni soldato, come alle Fosse Ardeatine. Oggi a Pontelandolfo c'è solo un monumentino con tredici nomi e una lapide in memoria di Concetta Biondi, violentata e uccisa dai soldati. Mancano centinaia di nomi, scritti solo nei registri parrocchiali. Il sindaco: "A marzo siamo stati finalmente riconosciuti come "luogo della memoria". Ma non ci basta: vogliamo essere "città martire" e che questo nome sia scritto sulla segnaletica. Vogliamo che l'esercito riconosca la sua ferocia. Lo dico al ministro: se i bersaglieri chiedono scusa, noi invitiamo ufficialmente le loro fanfare a suonare in paese come atto di riconciliazione. I nostri e i loro morti vanno ricordati insieme. Io ho giurato sulla fascia tricolore. Voglio dar senso alle celebrazioni, e non lasciare spazio ai rancori anti-unitari". Renato Rinaldi è un ex ufficiale di marina che si è tuffato in quelle pagine nere. Anche lui ha giurato sul Tricolore e anche a lui pesa il silenzio del Quirinale di fronte a vent'anni di lettere miranti al "ricupero della dignità del paese". Mi spiega che i bersaglieri erano agli ordini di un generale vicentino - vicentino, sì, come il mio buon Cariolato - di nome Pier Eleonoro Negri. E anche qui c'è silenzio. L'Italia non fa mai i conti col suo passato. Nessuna risposta da Vicenza alla richiesta di dedicare una via a Pontelandolfo o di togliere la lapide celebrativa del generale sterminatore.

Cielo limpido sulle verdissime foreste del Sannio. Perché si parla di Bronte e non di Pontelandolfo? Perché sono rimasti nella memoria gli errori garibaldini e non gli orrori savoiardi? E che cosa si sa della teoria dell'inferiorità razziale dei meridionali - infidi, pigri e riottosi - impostata da un giovane ufficiale medico piemontese di nome Cesare Lombroso, spedito al Sud nel '61 e seguire la cosiddetta guerra al brigantaggio? Che "fratelli d'Italia" potevano esistere se mezzo Paese era "razza maledetta" dal cranio "anomalo", condannata all'arretratezza e alla delinquenza? Leggo: "Dio, che cosa abbiamo fatto!", parole scritte nel '62 da Garibaldi in merito allo stato del Sud. Lettera alla vedova Cairoli, che per fare l'Italia - un'altra Italia - gli ha dato la vita di tre figli e del marito. Non si parla dei vinti. E senza i vinti le celebrazioni sono ipocrisia. Che fine ha fatto per esempio Josè Borjes, il generale di cui mi ha parlato Andrea Camilleri? Parlo dell'uomo che sempre nel '61, quasi da solo, tentò di sollevare le Sicilie contro i Savoia. Perché non si dice nulla della sua epopea e del mistero della sua morte? Perché non si riconosce il valore di questo Rolando che galoppa verso una fatale Roncisvalle dopo essere sbarcato con soli dodici uomini in Calabria, alla disperata, sulla costa crudele dei fallimenti, la stessa di Murat, dei Fratelli Bandiera, di Pisacane, dei curdi disperati, dei monaci in fuga dagli scismi bizantini?

Ed ecco, in una sera straziante color indaco, arrivare come da un fonografo lontano la voce di Sergio Tau, scrittore e regista che ha dedicato anni alla storia del generale catalano. "All'inizio degli anni Sessanta feci un film sul brigantaggio post-unitario. Volevo fare qualcosa di simile a un western, ma la pellicola non fu mai trasmessa. Allora era ancora impossibile parlarne. Ora vedo che la storia di Borjes può tornare fuori... Filmicamente è grandiosa, con la sua traversata invernale dell'Appennino". Ne terrà conto qualcuno? Borjes punta sullo Stato pontificio, ma a Tagliacozzo viene "venduto" da una guida traditrice ai bersaglieri, che lo fucilano insieme ai suoi. "Conservate quel corpo, potrete passarlo ai Borboni", dice un misterioso francese e venti giorni dopo la salma è consegnata alla guardia papalina, scende via Tivoli fino al Tevere e al funerale nella chiesa del Gesù a Roma. Poi c'è una messa per l'anima sua a Barcellona, ma del corpo più nessuna traccia. Resta un suo diario, stranamente in francese, lingua che lui non conosceva. L'ha davvero scritto lui o l'hanno scritto i "servizi" di allora, per occultare la repressione in atto? Il giallo di una vita vissuta anch'essa, bene o male, alla garibaldina.

31/8/2010 - 19:03


il presidente della repubblica ha dichiarato Pontelandolfo città martire ma i giornali hanno ignorato la notizia.

21/1/2013 - 23:03


il popolo alla fine è sempre la vittima,da qualsiasi parte sia schierato;i piemontesi o i borbonici avrebbero sempre sacrificato il popolo in nome di qualcosa di" interesse supremo" .alla fine perdiamo comunque.

9/11/2013 - 18:03


Un contributo tardivo (sperando di non ripetere quanto già precisato negli altri commenti). In memoria, oltre tre che di Gasparazzo e Carmine Crocco, anche di Carlo Cafiero, Errico Malatesta e Carlo Pisacane...(la cui figlia intervenne a favore degli arrestati del Matese).
ciao, GS

STRAGI DI STATO DEL XIX SECOLO
(Gianni Sartori)

Forse non aveva tutti i torti Nanni Moretti quando, parlando di alcuni esponenti della sinistra (soidisant?) istituzionale e/istituzionalizzata, sosteneva che “questi sono cresciuti guardando Fonzie”.

Di fronte alle manovre della destra (oltre ai soliti fascisti, reazionari e integralisti, qualche anno fa anche Comunione e Liberazione e da tempo la Lega) per appropriarsi delle insurrezioni antisabaude e del brigantaggio meridionale (ma anche delle insorgenze antinapoleoniche venete, trentine e tirolesi o del “furto campestre di massa” post-unitario - rileggersi Federico Bozzini) ci si aspetterebbe un moto di indignazione da parte della “memoria storica” della sinistra. Ma evidentemente le rivolte popolari rappresentano ormai quasi un fastidio (vecchie cose di pessimo gusto), evocando imbarazzanti origini plebee di cui molti “compagni” (soidisant?) preferiscono liberarsi. Invece di studiarle per capire come vennero strumentalizzate dalle classi dominanti, si sceglie di ignorarle o, peggio, demonizzarle, come con tante lotte di liberazione non ortodosse (v. i luddisti, criminalizzati perché “antistorici”).
Eppure anche questi personaggi dovrebbero aver fatto parte (se non per l'anagrafe, almeno culturalmente) di quelle generazioni che tra la fine degli anni sessanta e i settanta del secolo scorso, rimisero in discussione visioni del mondo consolidate e certezze di comodo.

All'epoca, nella rilettura della storia italiana, non mancò a sinistra chi interpretava la conquista del Sud come un'operazione di “colonialismo interno”. Invece nel brigantaggio si riconosceva una forma estrema di ribellione delle plebi rurali contro i “signori”, una resistenza di massa delle classi subalterne contro l'ordine degli sfruttatori, vecchi e nuovi. Il dibattito non rimase monopolio di qualche intellettuale, circoscritto in ambito accademico, ma contagiò anche le arti popolari, la musica, il cinema, il fumetto, i murales. Il gruppo musicale degli Stormi Six, dopo la “fuga in India” del cantante Carlo Rocchi, era divenuto un punto di riferimento per l'area del Movimento Studentesco di Mario Capanna. Tra le altre testimonianze, lasciarono un Lp completamente dedicato alla Resistenza (la loro “Stalingrado” si sente ancora fischiettare in qualche corteo antagonista) e una raccolta di ballate rivoluzionarie reinterpretate. Da Woody Guthrie a Theodorakis, da Amodei (“Morti di Reggio Emilia”) a Mc Ilvogue (“Leaving Belfast Town”). Ma il pezzo che suscitò maggior scalpore rimane “Pontelandolfo” (inserito nell'Lp L'Unità), in memoria dell'eccidio compiuto dai bersaglieri di Cialdini come rappresaglia per l'uccisione di alcuni soldati piemontesi. In quella circostanza le truppe italiane operarono con metodi nazisti, molte donne prima di essere uccise vennero violentate e anche la chiesa venne rasa al suolo. Va quindi riconosciuto agli Stormi Six il coraggio di aver riesumato questa vergognosa pagina di storia, rendendola di pubblico dominio. Venne eseguita (altri tempi) anche in occasione di un Cantagiro, suscitando notevole imbarazzo e con conseguenze deleterie per la loro carriera.

Nel film “Bronte, cronaca di un massacro” (girato nello stesso periodo del brano degli Stormy Six, nei primissimi anni settanta) veniva rievocata una rivolta popolare in Sicilia (sorta sull'onda della spedizione di Garibaldi) contro i ricchi, i possidenti e anche i liberali moderati (comunque esponenti delle classi dominanti). Nel corso dell'insurrezione i proprietari terrieri vennero giustiziati e le loro case incendiate. Tra i rivoltosi spiccava un carbonaio, Calogero Ciraldo Gasparazzo. Come è noto, la ribellione venne poi repressa nel sangue dagli stessi garibaldini agli ordini di Nino Bixio che operò come lo stalinista Lister contro le comunità contadine libertarie (in Aragona, agosto 1937). Se vogliamo, una piccola Kronstadt con sessant'anni di anticipo.
Assieme ai pochi sopravvissuti il buon Gasparazzo riuscì a raggiungere le montagne diventando con il tempo un famoso brigante. Il suo spettro tornerà a inquietare potenti e privilegiati nel secolo successivo. Agli inizi degli anni settanta il disegnatore satirico Roberto Zamarin battezzò con il nome di Gasparazzo, richiamandosi esplicitamente all'eroe popolare di Bronte, l'operaio della Fiat (immigrato dal Sud e regolarmente incazzato con padroni, capetti, sbirri e fasci) delle sue strisce apparse sul quotidiano Lotta continua (di cui Zamarin, prematuramente scomparso, aveva disegnato il famoso logo con le lettere che formavano il pugno chiuso).

Una conferma che gran parte dei “cafoni” e degli altri diseredati del Regno delle due Sicilie non avevano imbracciato le armi della rivolta per amore dei Borboni, ma come rivalsa contro i “galantuomini”, viene dalle memorie del brigante Carmine Crocco Donatelli. Mentre Crocco prestava servizio militare nell'esercito, sua madre morì nel manicomio di Aversa, lasciando dieci figli, tutti più piccoli di lui. Crocco presentò una prima supplica al re e poi un'altra senza avere mai risposta. “Un giorno dissi al re che avevo spesso occasione di avvicinare essendo soldato: o provvedi per queste creature o ti darò da fare! Per questa minaccia mi fu inflitto un mese di prigione. Appena uscito disertai, uccisi due gendarmi, mi diedi alla macchia”. Come tanti altri ribelli anche Carmine Crocco si illuse che con l'arrivo delle camicie rosse le cose potessero cambiare. In effetti, come in precedenza Pisacane, anche Garibaldi nel 1860 aveva aperto le prigioni (molti ex galeotti indossarono la camicia rossa) e aveva emesso alcuni decreti a favore dei contadini: l'abolizione dell'imposta sul macinato, la soppressione dei dazi, la divisione delle terre (a sorteggio). Ma i suoi decreti rimasero sulla carta e i contadini impararono a loro spese che i “liberali” stavano ridistribuendo le terre a loro vantaggio, occupando nel contempo le remunerative cariche burocratiche del “nuovo ordine”. Crocco aveva seguito Garibaldi fino a Capua combattendo con le sue truppe. “Io e i miei compagni facevamo parte dei volontari di questa provincia che andarono a riunirsi ai battaglioni di Garibaldi. seguimmo il generale a Napoli e prendemmo parte alle battaglie della patria indipendente. Finita la guerra il governatore ci assicurò che si sarebbe tirato un velo sulle nostre colpe passate. Costui però non tenne fede alla promessa. presi una seconda volta la via dei boschi”.

Nel 1861 miseria e brigantaggio dilagarono nel Sud. L'abolizione delle tariffe protezionistiche nell'ex regno delle Due Sicilie determinarono il crollo delle industrie qui presenti alimentando una ampia disoccupazione. Settantamila soldati dell'ex esercito borbonico vennero smobilitati e tornarono a casa, disperati e affamati. Anche ventimila garibaldini, con lo scioglimento dell'esercito dei volontari, si ritrovarono in mezzo alla strada. Il richiamo alle armi dei giovani da parte dello Stato unitario produsse migliaia di renitenti e sbandati. A questo punto le bande armate dei briganti si ingrossarono assumendo una vera struttura militare. Il re detronizzato, Francesco II di Borbone, non si fece cogliere impreparato provvedendo a finanziare la sollevazione, prima da Gaeta e poi da Roma. Venne contattato anche Carmine Crocco, prontamente rifornito di “ottocento fucili e corrispondenti munizioni e ottocento berretti rossi alla repubblicana (sic)”. Alla guerriglia dei briganti, il governo risponderà con lo stato d'assedio e i tribunali di guerra.
(Gianni Sartori)

Gianni Sartori - 20/11/2014 - 19:13


Di fronte alle manovre della destra (oltre ai soliti fascisti, reazionari e integralisti, qualche anno fa anche Comunione e Liberazione e da tempo la Lega) per appropriarsi delle insurrezioni antisabaude e del brigantaggio meridionale (ma anche delle insorgenze antinapoleoniche venete, trentine e tirolesi o del “furto campestre di massa” post-unitario - rileggersi Federico Bozzini)

Veramente è una certa sinistra (come l'autore di questo articolo) ad appropiarsi di fenomeni che di "rivoluzionario" non hanno proprio nulla (se mai l'opposto).

Cardinale Ruffo - 21/11/2014 - 18:48


Dopo tanti tentativi di appropriazioni indebite da destra, ricambiare sarebbe il minimo...ma non è necessario.
I casi da me citati non rappresentano per niente delle forzature (considerando anche la premessa, una critica a certa "sinistra" borghese o imborghesita...).
Gasparazzo e Carmine Crocco: proletari che si erano ribellati sia contro i vecchi che contro i nuovi padroni. Se poi qualcuno si fece strumentalizzare (dagli agrari, dal clero...) questo era dovuto alle difficoltà di sopravvivere in latitanza, non certo alla fede in dio, santi, madonne e cardinali. Quanto al "furto campestre di massa" (la forma di resistenza adottata dalle classi subalterne venete dopo l'annessione del Veneto) fu propedeutico a "la boje".
Ovviamente l'occupazione del Sud fu un atto di colonialismo puro e semplice, una lotta tra classi dominanti a spese di quelle subalterne destinate, come in genere avviene, a fornire la carne da cannone...
Di sicuro Carlo Pisacane si sarà rivoltato nella tomba...
E comunque la canzone per Pontelandolfo l'hanno scritta dei compagni e Gasparazzo "è vivo" (nella memoria) soprattutto grazie a Lotta continua. E' inutile, siamo più bravi noi...
La prossima volta vi parlerò del mio antenato e omonimo vice di Andreas Hofer.
ciao
GS

Gianni Sartori - 23/11/2014 - 00:03


errata corrige:
Carmine CROCCO, naturalmente, non Rocco.
Stavo pensando alla buonanima di Carlo Rocchi (v. Stormi Six).
GS

Gianni Sartori - 23/11/2014 - 00:07


. Se poi qualcuno si fece strumentalizzare (dagli agrari, dal clero...) questo era dovuto alle difficoltà di sopravvivere in latitanza, non certo alla fede in dio, santi, madonne e cardinali"

Sartori le l'ha fatta fuori dal vaso... E si legga le dichiarazioni e i "giuramenti" fatti dai briganti stessi in merito.

Promettiamo e giuriamo di

sempre difendere con l'effusione
del sangue Iddio, il sommo
pontefice Pio IX, Francesco II,
re del regno delle Due Sicilie,
ed il comandante della nostra colonna
degnamente affidatagli e
dipendere da qualunque suo
ordine, sempre pel bene dei
sopranominati articoli;
così Iddio ci aiuterà e ci
assisterà sempre a combattere
contro i ribelli della santa Chiesa.

Promettiamo e giuriamo ancora

di difendere gli stendardi del
nostro re Francesco II a tutto
sangue, e con questo di farli
scrupolosamente rispettare
ed osservare da tutti quei
comuni i quali sono
subornati dal partito liberale.

Promettiamo e giuriamo inoltre

di non mai appartenere a
qualsivoglia setta contro il voto
unanimemente da noi giurato,
anche con la pena della morte
che da noi affermativamente
si è stabilita.

Promettiamo e giuriamo

che durante il tempo della nostra
dimora sotto il comando del
prelodato nostro comandante
distruggere il partito dei nostri
contrari i quali hanno abbracciato
le bandiere tricolorate sempre
abbattendole con quel zelo ed
attaccamentoche l'umanità
dell'intiera nostra colonna ha
sopra espresso, come abbiamo
dimostrato e dimostreremo
tuttavia sempre con le armi alla
mano, e star pronto sempre a
qualunque difesa
per il legittimo nostro re
Francesco II.

Promettiarno e giuriamo

di non appartenere giammai
per essere ammesso ad altre
nostre colonne del nostro
partito medesimo, sempre
senza il permesso dell'anzidetto
nostro comandante
per effettuarsi un tal passaggio.

Il presente atto di giuramento
si è da noi Stabilito volontariamente
a conoscenza dell'intera nostra
colonna tutta e per vedersi
più abbattuta la nostra santa Chiesa
cattolica romana, della difesa del
sommo pontefice e del
legittimo nostro re.

Così abbracciare tosto qualunque
morte per quanto sopra si è stabilito
col presente atto di giuramento

(trovato in tasca al Capo-Brigante
Sergente Romano dopo la sua uccisione)

Visto che chiama in causa Carmine Crocco provi a leggersi la sua autobiografia :

"Il grido d'onore dei miei satelliti era un evviva pel caduto Francesco II (da me costantemente aborrito)"

Andrea di Napoli - 23/11/2014 - 00:56


Lo storico P.Villari nel suo "Lettere meridionbali e altri scritti sulla questione sociale in Itali" scrisse che il brigante Luigi Alonzi (detto "Chiavone" che spadroneggiava nel basso Lazio):

"colla corona in mano cantava il Rosario, ed il capo ne dava l'esempio coll'intuonare l'Ave Maria. Tutti i briganti portano al collo Scapolari e Santi di carta, dentro una piccola borsa" (30).

la "Commissione d'inchiesta"
del Deputato Massari, letta alla Camera nella tornata segreta del 3 maggio 1863 è riportato il legame che c'era fra clero e brigantaggio:

"I briganti, ci diceva il prefetto della provincia di Capitanata, sono usi ad ogni stravizzo, ad ogni scelleratezza; eppure fanno dire le messe ai preti, ai quali le pagano largamente. Un colonnello dell'esercito nostro che passò molti mesi nella stessa provincia di Capitanata, ci narrò una usanza, alla cui attuazione i preti hanno parte. Per farsi invulnerabili, per rendersi immuni dai pericoli, per affrontare coraggiosamente la morte, i briganti nell'accingersi alle sanguinarie e scellerate imprese si fanno consacrare da un sacerdote, il quale consegna ad essi la sacra ostia, e per mezzo di un taglio gliela intromette alla base del dito pollice. Alcuni briganti non è guari caduti in potere della giustizia hanno dichiarato di aver ricevuto da sacerdoti sacre immagini col suggerimento di mettersele in bocca, e con la promessa che in tal guisa sortirebbero illesi da tutti i combattimenti"

Andrea di Napoli - 23/11/2014 - 01:06


Ascari e collaborazionisti ci sono sempre...E capita purtroppo che un ribelle deluso si venda al potere. C'è sempre un potenziale Pat Garrett celato nel bandito...
(del resto è capitato anche a qualche seguace di Pisacane)

Comunque: Gasparazzo & C. bruciarono o no il palazzo di qualche proprietario terriero? A chi e a che cosa si era ribellato il giovane Crocco?

Non mi sembra che rendiate ai poveri briganti un buon servizio. Raccontati da voi sembrano quasi una versione cattolica dei fanatici dell'Isis piuttosto che dei ribelli sociali...contenti voi.


Nè dio, né stato (neanche quello sabaudo, ovviamente...)
ciao

Gianni Sartori


PS mai nessuno che si firmi con nome e cognome? Tutti già in clandestinità e stavolta nessuno mi ha detto niente?

Gianni Sartori - 23/11/2014 - 19:37




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