Come potrò dire
a mia madre
che ho paura?
La vita,
il domani,
il dopodomani
e le altre albe
mi troveranno
a tremare
mentre
nel mio cervello
l’ottovolante della critica
ha rotto i freni
e il personale
è ubriaco.
Ho paura,
tanta paura,
e non c’è nascondiglio possibile
o rifugio sicuro.
Ho licenziato
Iddio
e buttato via una donna.
La mia patria
è come la mia intelligenza:
esiste, ma non la conosco.
Ho voluto
il vuoto.
Ho fatto
il vuoto.
Sono solo
e ho freddo
e gli altri nudi
ridono forte
mentre io striscio
verso un fuoco che non mi scalda.
Guardo avvilito
questo deserto
di grattacieli
e attonito
vedo sfilare
milioni di esseri di vetro.
Come potrò
dire a mia madre
che ho paura?
La vita,
il suo motivo,
e il cielo
e la terra
io non posso raggiungerli
e toccare…
Sono sospeso a un filo
che non esiste
e vivo la mia morte
come un anticipo terribile.
Mi è stato concesso
di non portare addosso
vermi
o lezzi o rosari.
Ho barattato
con una maledizione
vecchia ma in buono stato.
Fu un errore.
Non desto nemmeno
più la pietà
di una vergine e non posso
godere il dolore
di chi mi amava.
Se urlo chi sono,
dalla mia gola
escono deformati e trasformati
i suoni che vengono sentiti
come comuni discorsi.
Se scrivo il mio terrore,
chi lo legge teme di rivelarsi e fugge
per ritornare dopo aver comprato
del coraggio.
Solo quando
scadrà l’affitto
di questo corpo idiota
avrò un premio.
Sarò citato
di monito a coloro
che credono sia divertente
giocare a palla
col proprio cervello
riuscendo a lanciarlo
oltre la riga
che qualcuno ha tracciato
ai bordi dell’infinito.
Come potrò dire a mia madre
che ho paura?
Insegnami,
tu che mi ascolti,
un alfabeto diverso
da quello della mia vigliaccheria.
a mia madre
che ho paura?
La vita,
il domani,
il dopodomani
e le altre albe
mi troveranno
a tremare
mentre
nel mio cervello
l’ottovolante della critica
ha rotto i freni
e il personale
è ubriaco.
Ho paura,
tanta paura,
e non c’è nascondiglio possibile
o rifugio sicuro.
Ho licenziato
Iddio
e buttato via una donna.
La mia patria
è come la mia intelligenza:
esiste, ma non la conosco.
Ho voluto
il vuoto.
Ho fatto
il vuoto.
Sono solo
e ho freddo
e gli altri nudi
ridono forte
mentre io striscio
verso un fuoco che non mi scalda.
Guardo avvilito
questo deserto
di grattacieli
e attonito
vedo sfilare
milioni di esseri di vetro.
Come potrò
dire a mia madre
che ho paura?
La vita,
il suo motivo,
e il cielo
e la terra
io non posso raggiungerli
e toccare…
Sono sospeso a un filo
che non esiste
e vivo la mia morte
come un anticipo terribile.
Mi è stato concesso
di non portare addosso
vermi
o lezzi o rosari.
Ho barattato
con una maledizione
vecchia ma in buono stato.
Fu un errore.
Non desto nemmeno
più la pietà
di una vergine e non posso
godere il dolore
di chi mi amava.
Se urlo chi sono,
dalla mia gola
escono deformati e trasformati
i suoni che vengono sentiti
come comuni discorsi.
Se scrivo il mio terrore,
chi lo legge teme di rivelarsi e fugge
per ritornare dopo aver comprato
del coraggio.
Solo quando
scadrà l’affitto
di questo corpo idiota
avrò un premio.
Sarò citato
di monito a coloro
che credono sia divertente
giocare a palla
col proprio cervello
riuscendo a lanciarlo
oltre la riga
che qualcuno ha tracciato
ai bordi dell’infinito.
Come potrò dire a mia madre
che ho paura?
Insegnami,
tu che mi ascolti,
un alfabeto diverso
da quello della mia vigliaccheria.
Contributed by L'Anonimo Toscano del XXI Secolo - 2024/12/17 - 19:39
Language: English
English version / Versione inglese / Version anglaise / Englanninkielinen versio:
Riccardo Venturi, 18-12-2024 01:19
Riccardo Venturi, 18-12-2024 01:19
Heroin
How can I tell
My mother
That I am afraid?
Life,
Tomorrow,
The future
And other dawns
Will find me
Trembling
While
In my brain
The rollercoaster
Of self-consciousness
Broke brakes
And all the operators
Are drunk.
I am afraid.
I am frightened,
And there is no possible
Hiding place,
Or a safe shelter.
I got rid of God,
I left a woman behind.
My homeland
Is like my mind:
It has being, but I don’t know it.
I wanted
The void.
I made
The void.
I am alone
And I am cold
And the others, naked,
Are laughing loudly
While I am creeping,
Crawling to a fire that doesn’t warm me.
I am watching sullenly
At this desert
Of skyscrapers
I am astonished
And can see millions
Of glass entities
Parading before me.
How can I tell
My mother
That I am afraid?
I cannot reach
Nor touch
Life,
Its reason,
The sky
And the earth.
I am hanging by
An imaginary thread,
A terrible outlook
On the death
That I am now living through.
I am not eaten by worms.
I don’t stink.
No rosary and prayers.
Thanks for all this,
I give you a curse
In exchange,
An old one, sure,
But still in good condition.
It was a mistake.
I no longer even
Awaken a virgin’s pity,
Nor can I enjoy
The sorrow of those who loved me.
When I shout who I am,
The sounds normally perceived
As common words and phrases
Come out altered, distorted.
When I write down my horror,
The readers fear revealing and run away,
Then they come back when they’ve bought
Some courage.
Only when the lease
Of this idiot’s body expires
I’ll get a prize.
I will serve as a warning
To those who think it’s funny
To juggle with one’s own brain
Throwing it then like a ball
Over the line
That someone has drawn
At the edges of infinity.
How can I tell
My mother
That I am afraid?
If you are listening to me,
Please teach me
An alphabet other than
My cowardice.
How can I tell
My mother
That I am afraid?
Life,
Tomorrow,
The future
And other dawns
Will find me
Trembling
While
In my brain
The rollercoaster
Of self-consciousness
Broke brakes
And all the operators
Are drunk.
I am afraid.
I am frightened,
And there is no possible
Hiding place,
Or a safe shelter.
I got rid of God,
I left a woman behind.
My homeland
Is like my mind:
It has being, but I don’t know it.
I wanted
The void.
I made
The void.
I am alone
And I am cold
And the others, naked,
Are laughing loudly
While I am creeping,
Crawling to a fire that doesn’t warm me.
I am watching sullenly
At this desert
Of skyscrapers
I am astonished
And can see millions
Of glass entities
Parading before me.
How can I tell
My mother
That I am afraid?
I cannot reach
Nor touch
Life,
Its reason,
The sky
And the earth.
I am hanging by
An imaginary thread,
A terrible outlook
On the death
That I am now living through.
I am not eaten by worms.
I don’t stink.
No rosary and prayers.
Thanks for all this,
I give you a curse
In exchange,
An old one, sure,
But still in good condition.
It was a mistake.
I no longer even
Awaken a virgin’s pity,
Nor can I enjoy
The sorrow of those who loved me.
When I shout who I am,
The sounds normally perceived
As common words and phrases
Come out altered, distorted.
When I write down my horror,
The readers fear revealing and run away,
Then they come back when they’ve bought
Some courage.
Only when the lease
Of this idiot’s body expires
I’ll get a prize.
I will serve as a warning
To those who think it’s funny
To juggle with one’s own brain
Throwing it then like a ball
Over the line
That someone has drawn
At the edges of infinity.
How can I tell
My mother
That I am afraid?
If you are listening to me,
Please teach me
An alphabet other than
My cowardice.
Language: French
Version française – HÉROÏNE – Marco Valdo M.I. – 2024
Poème – Eroina – Riccardo Mannerini – 1967
Poème de Riccardo Mannerini
Avec un retard coupable, un retard de presque quarante-cinq ans, je crois qu’est venu le moment de « présenter » Riccardo Mannerini à ce site. Comment comment comment ?!? « Présenter » Riccardo Mannerini ? Il a déjà été, à proprement parler, présenté, par exemple avec Ballata per un ferroviere (Ballade pour un cheminot), attribuée au « Gruppo Sei Genova » , qu'il a formé à ses frais pour enregistrer un disque dont il ne s'est pas vendu un seul exemplaire. Il s’est présenté planant au-dessus de son ami Fabrizio De André, une longue amitié qui s'est mal terminée comme le font souvent les plus grandes amitiés, c'est-à-dire dans le rejet et le silence.
Poème – Eroina – Riccardo Mannerini – 1967
Poème de Riccardo Mannerini
Riccardo Mannerini, 1927-1980
Avec un retard coupable, un retard de presque quarante-cinq ans, je crois qu’est venu le moment de « présenter » Riccardo Mannerini à ce site. Comment comment comment ?!? « Présenter » Riccardo Mannerini ? Il a déjà été, à proprement parler, présenté, par exemple avec Ballata per un ferroviere (Ballade pour un cheminot), attribuée au « Gruppo Sei Genova » , qu'il a formé à ses frais pour enregistrer un disque dont il ne s'est pas vendu un seul exemplaire. Il s’est présenté planant au-dessus de son ami Fabrizio De André, une longue amitié qui s'est mal terminée comme le font souvent les plus grandes amitiés, c'est-à-dire dans le rejet et le silence.
Riccardo Mannerini en pilules.
Né à Gênes le 28 octobre 1927, exactement cinq ans après la « Marche sur Rome » et trois ans après la naissance de mon père, dans une famille napolitaine aisée (mère violoniste, père militaire de carrière). À l'âge de dix-sept ans, en 1944, il est déporté en Allemagne comme ouvrier de l'organisation Todt, exactement à cette période comme cela arriva à un certain Georges Brassens. Dans le camp de travail, il rencontre un ouvrier libertaire qui l'initie aux principes de l'Anarchie. Avec lui, ils sabotent les pièces en cours de traitement. Dans l’après-guerre, il entreprend des études de médecine, interrompues pour cause de pauvreté ; de ces études, il se servira pour soigner au mieux et extraire les balles des corps des repris de justice hébergés et parfois cachés chez lui. Sa famille est ruinée, il mène une vie désordonnée et dort parfois dans la barque d'un ami pêcheur.
Il embarque ensuite sur des cargos marchands en tant qu'opérateur de chaudières et de moteurs et commence, littéralement, à faire le tour des Sept Mers. Cependant, à la suite d'une manifestation contre un consulat espagnol, il se voit refuser un visa d'entrée aux États-Unis. À un moment donné, il passe des cargos aux bananiers et connaît l'Afrique de l'Est, alors encore en partie sous mandat italien. Pendant les heures, les jours, les mois à bord, il prend des notes dans d'épais carnets, jusqu'à ce que quelqu'un (un ami, une amie, qui sait) lui fasse remarquer que ces notes sont des poèmes. Il commence alors à envoyer ces « notes poétiques » à des revues et à des concours, mais il préfère les utiliser pour impressionner les femmes, ou bien il les donne à des amis qui le lui demandent dans le même but, sans même les signer.
Puis on arrive en 1961, quand il navigue pour les armateurs Costa (les mêmes que ceux du Costa Concordia). À la suite d'une avarie dans la salle des machines, de la vapeur incandescente s'échappe d'une chaudière qui le frappe et particulièrement en plein visage. Il reste presque aveugle pour toujours. Il ne sera jamais indemnisé. Débarqué, il retourne à Gênes où il défend avec acharnement les pêcheurs du quartier de Foce (celui où on trouve, par exemple, la Piazza Alimonda, ou Carlo Giuliani) pour qu'ils ne perdent pas leur droit à l’accostage et à la plage ; il soutient les pompiers pour qu'ils disposent de plus d'hélicoptères ; il n'a pas d'argent, mais promeut un prix littéraire en mémoire d'une jeune amie morte d'une embolie ; il fonde une société, appelée « Misci e Liberi » (misci signifie « pauvres » en dialecte génois), qui promeut des rencontres et des démonstrations sportives.
L'amitié avec De André avait déjà commencé. Il a et pas peu de sales histoires avec la Justice ; ce n'est pas un anarchiste à l'eau de rose. De l'amitié avec De André naquirent quelques chansons qui sont devenues célèbres parce qu'elles ont été interprétées par De André et les New Trolls ; avec De André l'amitié, pendant un certain temps, se transforma en cohabitation. Riccardo Mannerini n'est pas seulement aveugle, il est aussi malade, il entre et sort des hôpitaux, il en sort et y rentre. Il continue à boire comme une citerne. En 1967, un autre de ses grands amis, Luigi Tenco, se suicide en marge du festival de Sanremo ; une amitié se développa malgré les vives discussions idéologiques entre l'anarchiste intransigeant Mannerini et l'auteur-compositeur-interprète marxiste piémontais. En 1969, il écrit la chanson sur Pinelli défenestré à Milan, interdite de diffusion dans tout le pays et enquête judiciaire. Ce que fera Riccardo Mannerini dans le domaine de la musique et de la chanson, on en parlera plus tard.
Finie l'amitié avec De André, peut-être aussi pour des motifs politiques et d’idées. Dépression. Désespoir. Solitude. Maladie. Cécité. Ce que veut dire la cécité, celui qui écrit (Riccardo Venturi) l'a compris pendant quelques mois, pour deux cataractes banales ; imaginons-nous celui qui sait qu'il doit rester aveugle pour toujours, sans (autre) possibilité. Il est marié à l'écrivaine et poète Rita Serando, qui est également propriétaire d'une salle de sports où Riccardo Mannerini travaille comme physiothérapeute. Le 26 mars 1980, Riccardo Mannerini décide que c'en est assez et se suicide dans la salle de sports de sa femme. Fin des pilules, malheureusement - je pense - en grande partie très indigestes.
Riccardo Mannerini était de la même matière que Katerina Gogou. Jusqu’au style d'écriture les rapproche ; pas celui des chansons, car les chansons sont venues plus tard et ont été médiatisées, retravaillées par d'autres. Celle des poèmes, des « notes ». Et ce sont ces dernières qui seront progressivement présentées ici. Katerina Gogou, qui s'est suicidée elle aussi, car les anarchistes se suicident souvent, montait et descendait Patissìon - su e giù per Patissìon ; Riccardo Mannerini, sur la mer. Sa matière est faite également de Joseph Conrad et cœur des ténèbres. Commençons donc par un « Extra », son « Héroïne » d'où est né le « Cantico dei Drogati » de De André (album : « Tutti morimmo a stento », 1968). Il y en aura bien sûr aussi sur cette page, mais je voulais partir de l'original, sur lequel De André a implanté sa drogue personnelle, l'alcool. Pour l’heure, je m'arrête là , car je voudrais ensuite distribuer la matière de Mannerini dans les autres pages qui lui seront consacrées. Le poème fut publié à titre posthume, une autre caractéristique des anarchistes dans leur variante poétique ou au moins artistique : leurs œuvres sont généralement connues et publiées après qu'ils ont fait le saut dans le très vaste néant. En particulier, il fait partie des « Poèmes à chanter », publiés en 1980 par l'éditeur Tolozzi de Gênes. Il est censé avoir été écrit en 1967 ou 1968. [RV]
Note nécessaire. Je reproduis cette chose, et reproduirai celles à venir, en grande partie à partir d'un volume capital : Un poeta cieco di rabbia, édité par Claudio Pozzani et Mauro Macario ; Gênes, Liberodiscrivere, juin 2004. C'est l'un des volumes qu'Adriana a voulu que je possède après avoir fait « le sien », de saut dans le vaste néant. Tout ceci lui est dédié.
Récité par Claudia Pastorino.
Né à Gênes le 28 octobre 1927, exactement cinq ans après la « Marche sur Rome » et trois ans après la naissance de mon père, dans une famille napolitaine aisée (mère violoniste, père militaire de carrière). À l'âge de dix-sept ans, en 1944, il est déporté en Allemagne comme ouvrier de l'organisation Todt, exactement à cette période comme cela arriva à un certain Georges Brassens. Dans le camp de travail, il rencontre un ouvrier libertaire qui l'initie aux principes de l'Anarchie. Avec lui, ils sabotent les pièces en cours de traitement. Dans l’après-guerre, il entreprend des études de médecine, interrompues pour cause de pauvreté ; de ces études, il se servira pour soigner au mieux et extraire les balles des corps des repris de justice hébergés et parfois cachés chez lui. Sa famille est ruinée, il mène une vie désordonnée et dort parfois dans la barque d'un ami pêcheur.
Il embarque ensuite sur des cargos marchands en tant qu'opérateur de chaudières et de moteurs et commence, littéralement, à faire le tour des Sept Mers. Cependant, à la suite d'une manifestation contre un consulat espagnol, il se voit refuser un visa d'entrée aux États-Unis. À un moment donné, il passe des cargos aux bananiers et connaît l'Afrique de l'Est, alors encore en partie sous mandat italien. Pendant les heures, les jours, les mois à bord, il prend des notes dans d'épais carnets, jusqu'à ce que quelqu'un (un ami, une amie, qui sait) lui fasse remarquer que ces notes sont des poèmes. Il commence alors à envoyer ces « notes poétiques » à des revues et à des concours, mais il préfère les utiliser pour impressionner les femmes, ou bien il les donne à des amis qui le lui demandent dans le même but, sans même les signer.
Puis on arrive en 1961, quand il navigue pour les armateurs Costa (les mêmes que ceux du Costa Concordia). À la suite d'une avarie dans la salle des machines, de la vapeur incandescente s'échappe d'une chaudière qui le frappe et particulièrement en plein visage. Il reste presque aveugle pour toujours. Il ne sera jamais indemnisé. Débarqué, il retourne à Gênes où il défend avec acharnement les pêcheurs du quartier de Foce (celui où on trouve, par exemple, la Piazza Alimonda, ou Carlo Giuliani) pour qu'ils ne perdent pas leur droit à l’accostage et à la plage ; il soutient les pompiers pour qu'ils disposent de plus d'hélicoptères ; il n'a pas d'argent, mais promeut un prix littéraire en mémoire d'une jeune amie morte d'une embolie ; il fonde une société, appelée « Misci e Liberi » (misci signifie « pauvres » en dialecte génois), qui promeut des rencontres et des démonstrations sportives.
L'amitié avec De André avait déjà commencé. Il a et pas peu de sales histoires avec la Justice ; ce n'est pas un anarchiste à l'eau de rose. De l'amitié avec De André naquirent quelques chansons qui sont devenues célèbres parce qu'elles ont été interprétées par De André et les New Trolls ; avec De André l'amitié, pendant un certain temps, se transforma en cohabitation. Riccardo Mannerini n'est pas seulement aveugle, il est aussi malade, il entre et sort des hôpitaux, il en sort et y rentre. Il continue à boire comme une citerne. En 1967, un autre de ses grands amis, Luigi Tenco, se suicide en marge du festival de Sanremo ; une amitié se développa malgré les vives discussions idéologiques entre l'anarchiste intransigeant Mannerini et l'auteur-compositeur-interprète marxiste piémontais. En 1969, il écrit la chanson sur Pinelli défenestré à Milan, interdite de diffusion dans tout le pays et enquête judiciaire. Ce que fera Riccardo Mannerini dans le domaine de la musique et de la chanson, on en parlera plus tard.
Finie l'amitié avec De André, peut-être aussi pour des motifs politiques et d’idées. Dépression. Désespoir. Solitude. Maladie. Cécité. Ce que veut dire la cécité, celui qui écrit (Riccardo Venturi) l'a compris pendant quelques mois, pour deux cataractes banales ; imaginons-nous celui qui sait qu'il doit rester aveugle pour toujours, sans (autre) possibilité. Il est marié à l'écrivaine et poète Rita Serando, qui est également propriétaire d'une salle de sports où Riccardo Mannerini travaille comme physiothérapeute. Le 26 mars 1980, Riccardo Mannerini décide que c'en est assez et se suicide dans la salle de sports de sa femme. Fin des pilules, malheureusement - je pense - en grande partie très indigestes.
Riccardo Mannerini était de la même matière que Katerina Gogou. Jusqu’au style d'écriture les rapproche ; pas celui des chansons, car les chansons sont venues plus tard et ont été médiatisées, retravaillées par d'autres. Celle des poèmes, des « notes ». Et ce sont ces dernières qui seront progressivement présentées ici. Katerina Gogou, qui s'est suicidée elle aussi, car les anarchistes se suicident souvent, montait et descendait Patissìon - su e giù per Patissìon ; Riccardo Mannerini, sur la mer. Sa matière est faite également de Joseph Conrad et cœur des ténèbres. Commençons donc par un « Extra », son « Héroïne » d'où est né le « Cantico dei Drogati » de De André (album : « Tutti morimmo a stento », 1968). Il y en aura bien sûr aussi sur cette page, mais je voulais partir de l'original, sur lequel De André a implanté sa drogue personnelle, l'alcool. Pour l’heure, je m'arrête là , car je voudrais ensuite distribuer la matière de Mannerini dans les autres pages qui lui seront consacrées. Le poème fut publié à titre posthume, une autre caractéristique des anarchistes dans leur variante poétique ou au moins artistique : leurs œuvres sont généralement connues et publiées après qu'ils ont fait le saut dans le très vaste néant. En particulier, il fait partie des « Poèmes à chanter », publiés en 1980 par l'éditeur Tolozzi de Gênes. Il est censé avoir été écrit en 1967 ou 1968. [RV]
Note nécessaire. Je reproduis cette chose, et reproduirai celles à venir, en grande partie à partir d'un volume capital : Un poeta cieco di rabbia, édité par Claudio Pozzani et Mauro Macario ; Gênes, Liberodiscrivere, juin 2004. C'est l'un des volumes qu'Adriana a voulu que je possède après avoir fait « le sien », de saut dans le vaste néant. Tout ceci lui est dédié.
Récité par Claudia Pastorino.
HÉROÏNE
Comment pourrais-je dire
à ma mère
que j'ai peur ?
La vie,
demain,
l'après-demain
et les autres aubes
me trouveront
à trembler
tandis que
dans mon cerveau
le grand huit de la critique
a brisé les freins
et le personnel
est ivre.
J'ai peur,
tant peur,
et il n'y a pas de cachette possible
ou de refuge sûr.
J'ai licencié
Dieu
et jeté dehors une femme.
Ma patrie
est comme mon intelligence :
elle existe, mais je ne la connais pas.
J'ai voulu
le vide.
J'ai fait
le vide.
Je suis seul
et j'ai froid
et les autres nus
rient fort
tandis que je rampe
vers un feu qui ne me réchauffe pas.
Je regarde paumé
ce désert
de gratte-ciel
et étonné
je vois défiler
des millions d'êtres de verre.
Comment pourrais-je
dire à ma mère
que j'ai peur ?
La vie,
son motif,
et le ciel
et la terre
je ne peux les rejoindre
et toucher...
Je suis suspendu à un fil
qui n'existe pas
et je vis ma mort
comme une terrible anticipation.
Il m’a été concédé
de ne pas porter à mon cou
de vers
ou de dentelles
ou de rosaires.
J'ai fait un échange
avec une malédiction
vieille mais en bon état.
Ce fut une erreur.
Je ne suscite même plus
la pitié
d'une vierge et je ne peux
jouir de la douleur
de ceux qui m'aimait.
Si je hurle qui je suis,
de ma gorge
sortent déformés et transformés
les sons qui sont entendus
comme de communs discours.
Si j'écris ma terreur,
Qui la lit craint de se révéler et fuit
pour revenir après avoir acheté
du courage.
Seulement quand
expirera le loyer
de ce corps idiot,
j'aurai un prix.
Je serai cité
en avertissement aux gens
qui pensent qu'il est amusant
de jouer au ballon
avec son cerveau
réussissant à le lancer
au-delà de la ligne
que quelqu'un a tracée
aux bords de l'infini.
Comment pourrais-je dire à ma mère
que j'ai peur ?
Enseignez-moi,
vous qui m'écoutez,
un alphabet différent
de celui de ma lâcheté.
Comment pourrais-je dire
à ma mère
que j'ai peur ?
La vie,
demain,
l'après-demain
et les autres aubes
me trouveront
à trembler
tandis que
dans mon cerveau
le grand huit de la critique
a brisé les freins
et le personnel
est ivre.
J'ai peur,
tant peur,
et il n'y a pas de cachette possible
ou de refuge sûr.
J'ai licencié
Dieu
et jeté dehors une femme.
Ma patrie
est comme mon intelligence :
elle existe, mais je ne la connais pas.
J'ai voulu
le vide.
J'ai fait
le vide.
Je suis seul
et j'ai froid
et les autres nus
rient fort
tandis que je rampe
vers un feu qui ne me réchauffe pas.
Je regarde paumé
ce désert
de gratte-ciel
et étonné
je vois défiler
des millions d'êtres de verre.
Comment pourrais-je
dire à ma mère
que j'ai peur ?
La vie,
son motif,
et le ciel
et la terre
je ne peux les rejoindre
et toucher...
Je suis suspendu à un fil
qui n'existe pas
et je vis ma mort
comme une terrible anticipation.
Il m’a été concédé
de ne pas porter à mon cou
de vers
ou de dentelles
ou de rosaires.
J'ai fait un échange
avec une malédiction
vieille mais en bon état.
Ce fut une erreur.
Je ne suscite même plus
la pitié
d'une vierge et je ne peux
jouir de la douleur
de ceux qui m'aimait.
Si je hurle qui je suis,
de ma gorge
sortent déformés et transformés
les sons qui sont entendus
comme de communs discours.
Si j'écris ma terreur,
Qui la lit craint de se révéler et fuit
pour revenir après avoir acheté
du courage.
Seulement quand
expirera le loyer
de ce corps idiot,
j'aurai un prix.
Je serai cité
en avertissement aux gens
qui pensent qu'il est amusant
de jouer au ballon
avec son cerveau
réussissant à le lancer
au-delà de la ligne
que quelqu'un a tracée
aux bords de l'infini.
Comment pourrais-je dire à ma mère
que j'ai peur ?
Enseignez-moi,
vous qui m'écoutez,
un alphabet différent
de celui de ma lâcheté.
Contributed by Marco Valdo M.I. - 2024/12/19 - 17:22
Language: Italian
Fabrizio De André : Cantico dei drogati
1968. Testo di Fabrizio De André e Riccardo Mannerini.
Musica e arrangiamento di Gian Piero Reverberi
Album: Tutti morimmo a stento
E’ il 1968, il fatale e fatidico sessantotto. Una generazione intera si rivolta, si ribella, alza la testa. Nel frattempo, la droga sembra essere ancora una cosa lontana, poco diffusa, piuttosto un vizio di giovani ricchi che se la potevano permettere. Eppure, Fabrizio De André se ne accorge, sulla scorta (o “appunto”) del suo amico Riccardo Mannerini. Una canzone dalla quale promana un vuoto sovrumano, forse acuito dall’architettura musicale quasi barocca di Gian Piero Reverberi. Non è escluso che De André, che era -sarà bene ricordarlo- un giovane dell’altissima borghesia genovese, abbia constatato gli effetti dell’eroina su qualcuno che conosceva; ma più che altro su se stesso, come ebbe ad ammettere onestamente. Anche se la sua droga non era l’eroina, ma l’alcool. Il testo rielaborato a partire dalla poesia di Mannerini rimane comunque crudo e essenziale, anche se non al livello dell’originale. Non c’è più Dio, non c’è più amore, non c’è più comunicazione, non c’è più umanità. Soltanto fantasmi, costruiti dalla propria mente, che opprimono con la loro presenza inquietante e sinistra. La supplica finale, che è una delle poche parti mantenute dell’originale di Mannerini, sembra presupporre però un barlume di speranza e di fiducia nei propri simili.
Si stava facendo largo, il problema spinoso e concreto della dipendenza da sostanze stupefacenti. Riccardo Mannerini non ci andava mai per il sottile e per vie traverse, nei suoi “appunti” che scriveva a mano su quaderni, con lettere enormi perché non ci vedeva quasi più. Descrive con precisione agghiacciante gli effetti surreali, fisici e emotivi, dell’assunzione di sostanze che alterano la percezione della realtà. Mannerini è un poeta che non fa “poesia” in senso stretto, e proprio per questo lo ho avvicinato a Katerina Gogou. Parla di tematiche dure, scabrose, prosaiche, con un linguaggio asciutto e crudo, mostrando peraltro una grande vicinanza a figure marginali e degradate della società (che De André avrebbe fatto sue fino all’ultimo). L’intervento testuale di De André “svezza” la poesia al brutto concreto, attribuendo liricità a ciò che, perlomeno in Italia, non ne aveva mai avuto prima.
Intuire, osservare. Ad esempio, che la droga, ed in particolare l’eroina, stanno cominciando a diffondersi sempre di più, e a prezzi sempre più bassi. Poteri, potentati e mafie stanno iniziando a inondare il mondo; per fare denaro a palate, ovviamente, e per giochi socioeconomici e bellici di portata planetaria. Il “vizio dei ricchi” si sta trasformando anche in un efficacissimo e capillare sistema di controllo, specialmente su una generazione che sta sfidando il sistema nella sua interezza. Che sta facendo una Rivoluzione che fa veramente paura, perché totale e non limitata ai meccanismi politici e di classe. Arrivano, assieme alle droghe, le “filosofie orientali”, i “nirvana”, le "religioni" e tutta la paccottiglia relativa, tutte le carabattole cui partecipano, più o meno inconsapevolmente, anche artisti e musicisti di valore, in nome di una “liberazione” agognata, e che invece rende ancora più schiavi. Comincia lo sterminio capillare di quella generazione: l’eroina è parte fondamentale della repressione. Giugno ‘73, lo stesso mese di una famosa canzone di André: a Torino si ha il primo morto per overdose in Italia. Lo seguiranno a migliaia e migliaia. [RV]
1968. Testo di Fabrizio De André e Riccardo Mannerini.
Musica e arrangiamento di Gian Piero Reverberi
Album: Tutti morimmo a stento
“Riccardo Mannerini era un altro mio grande amico. Era quasi cieco perché’ quando navigava su una nave dei Costa una caldaia gli era esplosa in faccia. E’ morto suicida, molti anni dopo, senza mai ricevere alcun indennizzo. Ha avuto brutte storie con la giustizia perché’ era un autentico libertario, e cosi’ quando qualche ricercato bussava alla sua porta lui lo nascondeva in casa sua. E magari gli curava le ferite e gli estraeva i proiettili che aveva in corpo. Abbiamo scritto insieme il Cantico dei Drogati, che per me, che ero totalmente dipendente dall’alcool, ebbe un valore liberatorio, catartico. Pero’ il testo non mi spaventava, anzi, ne ero compiaciuto. E’ una reazione frequente tra i drogati quella di compiacersi del fatto di drogarsi. Io mi compiacevo di bere, anche perché’ grazie all’alcool la fantasia viaggiava sbrigliatissima.” - Fabrizio De André.
E’ il 1968, il fatale e fatidico sessantotto. Una generazione intera si rivolta, si ribella, alza la testa. Nel frattempo, la droga sembra essere ancora una cosa lontana, poco diffusa, piuttosto un vizio di giovani ricchi che se la potevano permettere. Eppure, Fabrizio De André se ne accorge, sulla scorta (o “appunto”) del suo amico Riccardo Mannerini. Una canzone dalla quale promana un vuoto sovrumano, forse acuito dall’architettura musicale quasi barocca di Gian Piero Reverberi. Non è escluso che De André, che era -sarà bene ricordarlo- un giovane dell’altissima borghesia genovese, abbia constatato gli effetti dell’eroina su qualcuno che conosceva; ma più che altro su se stesso, come ebbe ad ammettere onestamente. Anche se la sua droga non era l’eroina, ma l’alcool. Il testo rielaborato a partire dalla poesia di Mannerini rimane comunque crudo e essenziale, anche se non al livello dell’originale. Non c’è più Dio, non c’è più amore, non c’è più comunicazione, non c’è più umanità. Soltanto fantasmi, costruiti dalla propria mente, che opprimono con la loro presenza inquietante e sinistra. La supplica finale, che è una delle poche parti mantenute dell’originale di Mannerini, sembra presupporre però un barlume di speranza e di fiducia nei propri simili.
Si stava facendo largo, il problema spinoso e concreto della dipendenza da sostanze stupefacenti. Riccardo Mannerini non ci andava mai per il sottile e per vie traverse, nei suoi “appunti” che scriveva a mano su quaderni, con lettere enormi perché non ci vedeva quasi più. Descrive con precisione agghiacciante gli effetti surreali, fisici e emotivi, dell’assunzione di sostanze che alterano la percezione della realtà. Mannerini è un poeta che non fa “poesia” in senso stretto, e proprio per questo lo ho avvicinato a Katerina Gogou. Parla di tematiche dure, scabrose, prosaiche, con un linguaggio asciutto e crudo, mostrando peraltro una grande vicinanza a figure marginali e degradate della società (che De André avrebbe fatto sue fino all’ultimo). L’intervento testuale di De André “svezza” la poesia al brutto concreto, attribuendo liricità a ciò che, perlomeno in Italia, non ne aveva mai avuto prima.
Intuire, osservare. Ad esempio, che la droga, ed in particolare l’eroina, stanno cominciando a diffondersi sempre di più, e a prezzi sempre più bassi. Poteri, potentati e mafie stanno iniziando a inondare il mondo; per fare denaro a palate, ovviamente, e per giochi socioeconomici e bellici di portata planetaria. Il “vizio dei ricchi” si sta trasformando anche in un efficacissimo e capillare sistema di controllo, specialmente su una generazione che sta sfidando il sistema nella sua interezza. Che sta facendo una Rivoluzione che fa veramente paura, perché totale e non limitata ai meccanismi politici e di classe. Arrivano, assieme alle droghe, le “filosofie orientali”, i “nirvana”, le "religioni" e tutta la paccottiglia relativa, tutte le carabattole cui partecipano, più o meno inconsapevolmente, anche artisti e musicisti di valore, in nome di una “liberazione” agognata, e che invece rende ancora più schiavi. Comincia lo sterminio capillare di quella generazione: l’eroina è parte fondamentale della repressione. Giugno ‘73, lo stesso mese di una famosa canzone di André: a Torino si ha il primo morto per overdose in Italia. Lo seguiranno a migliaia e migliaia. [RV]
Ho licenziato Dio,
gettato via un amore
per costruirmi il vuoto
nell’anima e nel cuore.
Le parole che dico
non han più forma né accento,
si trasformano i suoni
in un sordo lamento.
Mentre fra gli altri nudi
io striscio verso un fuoco
che illumina i fantasmi
di questo osceno giuoco.
Chi mi riparlerà
di domani luminosi
dove i muti canteranno
e taceranno i noiosi?
Quando riascolterò
il vento tra le foglie
sussurrare i silenzi
che la sera raccoglie?
Io, che non vedo più
che folletti di vetro
che mi spiano davanti
che mi ridono dietro
Perché non hanno fatto
delle grandi pattumiere
per i giorni già usati,
per queste ed altre sere?
E chi, chi sarà mai
il buttafuori del sole
chi lo spinge ogni giorno
sulla scena alle prime ore?
E soprattutto chi
e perché mi ha messo al mondo,
dove vivo la mia morte
con un anticipo tremendo?
Quando scadrà l’affitto
di questo corpo idiota
allora avrò il mio premio
come una buona nota.
Mi citeran di monito
a chi crede sia bello
giocherellare a palla
con il proprio cervello
Cercando di lanciarlo
oltre il confine stabilito
che qualcuno ha tracciato
ai bordi dell’infinito.
Tu che m’ascolti, insegnami
un alfabeto che sia
differente da quello
della mia vigliaccheria.
gettato via un amore
per costruirmi il vuoto
nell’anima e nel cuore.
Le parole che dico
non han più forma né accento,
si trasformano i suoni
in un sordo lamento.
Mentre fra gli altri nudi
io striscio verso un fuoco
che illumina i fantasmi
di questo osceno giuoco.
Come potrò
Dire a mia madre
Che ho paura?
Dire a mia madre
Che ho paura?
Chi mi riparlerà
di domani luminosi
dove i muti canteranno
e taceranno i noiosi?
Quando riascolterò
il vento tra le foglie
sussurrare i silenzi
che la sera raccoglie?
Io, che non vedo più
che folletti di vetro
che mi spiano davanti
che mi ridono dietro
Come potrò
Dire a mia madre
Che ho paura?
Dire a mia madre
Che ho paura?
Perché non hanno fatto
delle grandi pattumiere
per i giorni già usati,
per queste ed altre sere?
E chi, chi sarà mai
il buttafuori del sole
chi lo spinge ogni giorno
sulla scena alle prime ore?
E soprattutto chi
e perché mi ha messo al mondo,
dove vivo la mia morte
con un anticipo tremendo?
Come potrò
Dire a mia madre
Che ho paura?
Dire a mia madre
Che ho paura?
Quando scadrà l’affitto
di questo corpo idiota
allora avrò il mio premio
come una buona nota.
Mi citeran di monito
a chi crede sia bello
giocherellare a palla
con il proprio cervello
Cercando di lanciarlo
oltre il confine stabilito
che qualcuno ha tracciato
ai bordi dell’infinito.
Come potrò
Dire a mia madre
Che ho paura?
Dire a mia madre
Che ho paura?
Tu che m’ascolti, insegnami
un alfabeto che sia
differente da quello
della mia vigliaccheria.
Contributed by L'Anonimo Toscano del XXI Secolo - 2024/12/17 - 21:12
Language: English
English translation / Traduzione inglese / Traduction anglaise / Englanninkielinen käännös:
Dennis Criteser [De André in English]
Dennis Criteser [De André in English]
Tutti morimmo a stento, released in 1968, was one of the first concept albums in Italy, its unified scope inspired by the Moody Blues album The Days of Future Passed. In De André's own words, the album "speaks of death, not of bubble gum death with little bones, but of psychological death, moral death, mental death, that a normal person can encounter during his lifetime." After the success of Volume I, De André was provided for this next album a cutting edge recording studio complete with an 80-member orchestra, directed by Gian Piero Reverberi, and a children's chorus. The whole project was under the direction of Gian Piero's brother Gian Franco Reverberi. This album also met with commercial success, becoming the highest selling album in Italy in 1968. In 1969 a version of the album was made with De André re-recording the vocals in English. The album was not officially released.
The lyrics of "Cantico dei drogati" were derived from Riccardo Mannerini's poem "Eroina," then amplified into some of the most intense lyrics to be found in De André's work. De André described Mannerini as one of the most important figures in his life, with whom he had a deep connection. They shared an anarchist political philosophy, a free-spirited approach to life, an addiction to alcohol, and even a small apartment in Sant'Agostino. De André stated that he himself drank two bottles of whiskey a day from when he was 18 until the age of 45 when he promised his father, who was on his deathbed, that he would stop. He described the writing of "Cantico" as cathartic. A canticle is a song of praise taken from a Biblical text other than the Psalms, and would be familiar to Italians as part of the Roman Catholic liturgy. With God fired in the first line of the song, praise is replaced with a desperate call for help. Other musical collaborations with Mannerini can be heard on Senza orario, senza bandiera, the first album of the New Trolls.- Dennis Criteser.
The lyrics of "Cantico dei drogati" were derived from Riccardo Mannerini's poem "Eroina," then amplified into some of the most intense lyrics to be found in De André's work. De André described Mannerini as one of the most important figures in his life, with whom he had a deep connection. They shared an anarchist political philosophy, a free-spirited approach to life, an addiction to alcohol, and even a small apartment in Sant'Agostino. De André stated that he himself drank two bottles of whiskey a day from when he was 18 until the age of 45 when he promised his father, who was on his deathbed, that he would stop. He described the writing of "Cantico" as cathartic. A canticle is a song of praise taken from a Biblical text other than the Psalms, and would be familiar to Italians as part of the Roman Catholic liturgy. With God fired in the first line of the song, praise is replaced with a desperate call for help. Other musical collaborations with Mannerini can be heard on Senza orario, senza bandiera, the first album of the New Trolls.- Dennis Criteser.
Canticle of the Junkies
I fired God and threw away a lover
to create the emptiness in my soul and in my heart.
The words I speak no longer have form nor accent,
the sounds turn into a muffled lament
while, among other naked ones, I crawl towards a fire
that illuminates the ghosts of this obscene game.
How will I tell my mother
that I’m afraid ?
Who will talk with me again about bright tomorrows
where the mute will sing and silence the dolts?
When will I listen again to the wind in the leaves,
whispering the silences the night collects?
I who no longer see that glass goblins
who spy on me beforehand, who laugh at me afterwards . . .
How can I tell my mother
that I’m afraid ?
How come they didn’t make some huge trashcans
for days already spent, for these and other nights?
And who, who will ever be the bouncer for the sun?
Who pushes it every day onto the stage in the early hours?
And above all, by whom and why was I put into the world
where I live out my death in a terrible advance?
How will I tell my mother
that I’m afraid ?
When the lease is up on this idiotic body,
then I’ll have my prize, like a good note.
They’ll cite me as a warning to whoever believes it’s great
to fiddle with one’s brain like a ball,
trying to launch it beyond the established boundary
that someone traced at the edges of infinity.
How can I tell my mother
that I’m afraid ?
You who hear me, teach me an alphabet
That might be different from that of my cowardice.
I fired God and threw away a lover
to create the emptiness in my soul and in my heart.
The words I speak no longer have form nor accent,
the sounds turn into a muffled lament
while, among other naked ones, I crawl towards a fire
that illuminates the ghosts of this obscene game.
How will I tell my mother
that I’m afraid ?
Who will talk with me again about bright tomorrows
where the mute will sing and silence the dolts?
When will I listen again to the wind in the leaves,
whispering the silences the night collects?
I who no longer see that glass goblins
who spy on me beforehand, who laugh at me afterwards . . .
How can I tell my mother
that I’m afraid ?
How come they didn’t make some huge trashcans
for days already spent, for these and other nights?
And who, who will ever be the bouncer for the sun?
Who pushes it every day onto the stage in the early hours?
And above all, by whom and why was I put into the world
where I live out my death in a terrible advance?
How will I tell my mother
that I’m afraid ?
When the lease is up on this idiotic body,
then I’ll have my prize, like a good note.
They’ll cite me as a warning to whoever believes it’s great
to fiddle with one’s brain like a ball,
trying to launch it beyond the established boundary
that someone traced at the edges of infinity.
How can I tell my mother
that I’m afraid ?
You who hear me, teach me an alphabet
That might be different from that of my cowardice.
Contributed by Riccardo Venturi - 2024/12/19 - 11:01
Language: French
Version française – LE CANTIQUE DES DROGUÉS – Marco Valdo M.I. – 2024
Chanson italienne – Cantico dei drogati – Fabrizio De André – 1968
Texte de Fabrizio De André et Riccardo Mannerini.
Musique et arrangement de Gian Piero Reverberi
Album : Tutti morimmo a stento
On est en 1968, le fatal et fatidique 68. Toute une génération se révolte, se rebelle, lève la tête. En même temps, la drogue semble encore une chose lointaine, peu répandue, plutôt un vice de jeunes riches qui pouvaient se la permettre. Et pourtant, Fabrizio De André s'en rend compte, dans le sillage (ou des « notes ») de son ami Riccardo Mannerini. Une chanson d'où émane un vide surhumain, peut-être exacerbé par l'architecture musicale presque baroque de Gian Piero Reverberi. Il n'est pas exclu que De André, qui était – il est bon de le rappeler – un jeune de la très haute bourgeoisie génoise, ait expérimenté les effets de l'héroïne sur quelqu'un qu'il connaissait ; mais plus encore sur lui-même, comme il l'a honnêtement admis. Même si sa drogue n'était pas l'héroïne, mais l'alcool. Le texte retravaillé à partir du poème de Mannerini reste brut et essentiel, même si ce n’est pas au niveau de l'original. Il n'y a plus de Dieu, il n’y a plus d'amour, il n’y a plus de communication, il n’y a plus d'humanité. Seulement des fantasmes, construits par sa propre pensée, qui oppriment par leur présence inquiétante et sinistre. La supplique finale, qui est l'une des rares parties conservées de l'original de Mannerini, semble toutefois présupposer une lueur d'espoir et de confiance en ses semblables.
Était en train de se répandre, le problème épineux et concret de la dépendance aux substances stupéfiantes. Riccardo Mannerini n'y allait jamais par la subtilité et par des voies de traverse, dans ses « notes » qu'il écrivait à la main dans des cahiers, en lettres énormes parce qu'il ne voyait quasi plus. Il décrit avec une précision glaçante les effets surréalistes, physiques et émotionnels, de la prise de substances qui altèrent la perception de la réalité. Mannerini est un poète qui ne fait pas de la « poésie » au sens strict du terme, et c'est précisément pour cela que je l'ai associé à Katerina Gogou. Il parle de thèmes durs, rudes, prosaïques, avec un langage sec et cru, montrant en outre une grande proximité avec les figures marginales et dégradées de la société (que De André fera siennes jusqu'à la fin). L'intervention textuelle de De André « désintoxique » la poésie à la laideur concrète, en attribuant du lyrisme à ce qui, du moins en Italie, n'en avait jamais eu auparavant.
Percevoir, observer. Par exemple, que les drogues, et l'héroïne en particulier, ont commencé à se répandre de plus en plus, et à des prix de plus en plus bas. Des pouvoirs, des potentats et des mafias commencent à inonder le monde ; pour faire de l'argent à pléthore, bien sûr, et pour des jeux socio-économiques et guerriers d'envergure planétaire. Le « vice des riches » se transforme également en un système de contrôle très efficace et capillaire, en particulier sur une génération qui défie le système dans son intégralité. Qui fait une révolution qui fait vraiment peur, parce qu'elle est totale et n’est pas limitée aux mécanismes politiques et de classe. Arrivent, avec les drogues, les « philosophies orientales », le « nirvana », les « religions » et toute la pacotille y relative, toutes les bagatelles auxquelles participent, plus ou moins inconsciemment, même des artistes et des musiciens de valeur, au nom d'une « libération » convoitée, et qui, au contraire, rend encore plus esclaves. Commence l'extermination capillaire de cette génération : l'héroïne est un élément fondamental de la répression. Juin 73, le même mois qu'une célèbre chanson de de André : à Turin, on a la première mort par overdose en Italie. Des milliers et des milliers d'autres la suivront. [RV]
Chanson italienne – Cantico dei drogati – Fabrizio De André – 1968
Texte de Fabrizio De André et Riccardo Mannerini.
Musique et arrangement de Gian Piero Reverberi
Album : Tutti morimmo a stento
« Riccardo Mannerini était un autre de mes grands amis. Il était presque aveugle parce qu’alors qu'il naviguait sur un navire de la Costa, une chaudière lui a explosé au visage. Il s'est suicidé, bien des années plus tard, sans jamais avoir reçu aucune indemnité. Il a eu de vilaines histoires avec la justice parce qu'il était un authentique libertaire, et donc quand quelque fugitif frappait à sa porte, lui le cachait dans sa maison. Et le cas échéant, il soignait ses blessures et retirait les projectiles qu'il avait dans le corps. Nous avons écrit ensemble le Cantique des Drogués qui, pour moi qui étais totalement dépendant de l'alcool, avait une valeur libératrice et cathartique. Mais le texte ne me faisait pas peur, et même j’en étais content. C'est une réaction fréquente chez les toxicomanes que de prendre du plaisir à se droguer. J'ai pris du plaisir à boire, aussi parce que grâce à l'alcool, la fantaisie voyageait débridée ». - Fabrizio De André.
On est en 1968, le fatal et fatidique 68. Toute une génération se révolte, se rebelle, lève la tête. En même temps, la drogue semble encore une chose lointaine, peu répandue, plutôt un vice de jeunes riches qui pouvaient se la permettre. Et pourtant, Fabrizio De André s'en rend compte, dans le sillage (ou des « notes ») de son ami Riccardo Mannerini. Une chanson d'où émane un vide surhumain, peut-être exacerbé par l'architecture musicale presque baroque de Gian Piero Reverberi. Il n'est pas exclu que De André, qui était – il est bon de le rappeler – un jeune de la très haute bourgeoisie génoise, ait expérimenté les effets de l'héroïne sur quelqu'un qu'il connaissait ; mais plus encore sur lui-même, comme il l'a honnêtement admis. Même si sa drogue n'était pas l'héroïne, mais l'alcool. Le texte retravaillé à partir du poème de Mannerini reste brut et essentiel, même si ce n’est pas au niveau de l'original. Il n'y a plus de Dieu, il n’y a plus d'amour, il n’y a plus de communication, il n’y a plus d'humanité. Seulement des fantasmes, construits par sa propre pensée, qui oppriment par leur présence inquiétante et sinistre. La supplique finale, qui est l'une des rares parties conservées de l'original de Mannerini, semble toutefois présupposer une lueur d'espoir et de confiance en ses semblables.
Était en train de se répandre, le problème épineux et concret de la dépendance aux substances stupéfiantes. Riccardo Mannerini n'y allait jamais par la subtilité et par des voies de traverse, dans ses « notes » qu'il écrivait à la main dans des cahiers, en lettres énormes parce qu'il ne voyait quasi plus. Il décrit avec une précision glaçante les effets surréalistes, physiques et émotionnels, de la prise de substances qui altèrent la perception de la réalité. Mannerini est un poète qui ne fait pas de la « poésie » au sens strict du terme, et c'est précisément pour cela que je l'ai associé à Katerina Gogou. Il parle de thèmes durs, rudes, prosaïques, avec un langage sec et cru, montrant en outre une grande proximité avec les figures marginales et dégradées de la société (que De André fera siennes jusqu'à la fin). L'intervention textuelle de De André « désintoxique » la poésie à la laideur concrète, en attribuant du lyrisme à ce qui, du moins en Italie, n'en avait jamais eu auparavant.
Percevoir, observer. Par exemple, que les drogues, et l'héroïne en particulier, ont commencé à se répandre de plus en plus, et à des prix de plus en plus bas. Des pouvoirs, des potentats et des mafias commencent à inonder le monde ; pour faire de l'argent à pléthore, bien sûr, et pour des jeux socio-économiques et guerriers d'envergure planétaire. Le « vice des riches » se transforme également en un système de contrôle très efficace et capillaire, en particulier sur une génération qui défie le système dans son intégralité. Qui fait une révolution qui fait vraiment peur, parce qu'elle est totale et n’est pas limitée aux mécanismes politiques et de classe. Arrivent, avec les drogues, les « philosophies orientales », le « nirvana », les « religions » et toute la pacotille y relative, toutes les bagatelles auxquelles participent, plus ou moins inconsciemment, même des artistes et des musiciens de valeur, au nom d'une « libération » convoitée, et qui, au contraire, rend encore plus esclaves. Commence l'extermination capillaire de cette génération : l'héroïne est un élément fondamental de la répression. Juin 73, le même mois qu'une célèbre chanson de de André : à Turin, on a la première mort par overdose en Italie. Des milliers et des milliers d'autres la suivront. [RV]
LE CANTIQUE DES DROGUÉS
J'ai licencié Dieu,
j'ai jeté dehors un amour
pour me construire le vide
dans l’âme et dans le cœur.
Les mots que je dis
n'ont plus de forme ni accent,
se transforment les sons
en un sourd lament.
Tandis que parmi les autres nus
je rampe vers un feu
qui éclaire les fantasmes
de ce jeu obscène.
Comment pourrais-je
dire à ma mère
que j'ai peur ?
Qui me reparlera
des demains lumineux
où les muets chanteront,
Où se tairont les fâcheux ?
Quand réentendrai-je
le vent dans les feuilles
susurrer les silences
que le soir recueille ?
Moi qui ne vois plus
que des follets de verre
qui espionnent par devant,
qui rient par derrière.
Comment pourrais-je
Dire à ma mère
Que j'ai peur ?
Pourquoi n'ont-ils pas fait
de grandes poubelles
pour les jours déjà usés
pour ces soirées et d'autres ?
Et qui, qui sera jamais
le videur du soleil
qui le pousse chaque jour
sur la scène aux premières heures ?
Et surtout qui
et pourquoi on m'a mis au monde
où je vis ma mort
avec une anticipation démente ?
Comment pourrais-je
dire à ma mère
que j'ai peur ?
Quand écherra le bail
de ce corps idiot
alors j’aurai mon prix
comme une bonne note.
On me citera en avertissement
à ceux qui pensent qu'il est bon
de jouer au ballon
avec son cerveau
en cherchant à le lancer
au-delà de la frontière établie
que quelqu'un a tracée
aux bords de l'infini.
Comment pourrais-je
Dire à ma mère
Que j'ai peur ?
Vous qui m'écoutez, apprenez-moi
un alphabet qui soit
différent de celui
de ma lâcheté.
J'ai licencié Dieu,
j'ai jeté dehors un amour
pour me construire le vide
dans l’âme et dans le cœur.
Les mots que je dis
n'ont plus de forme ni accent,
se transforment les sons
en un sourd lament.
Tandis que parmi les autres nus
je rampe vers un feu
qui éclaire les fantasmes
de ce jeu obscène.
Comment pourrais-je
dire à ma mère
que j'ai peur ?
Qui me reparlera
des demains lumineux
où les muets chanteront,
Où se tairont les fâcheux ?
Quand réentendrai-je
le vent dans les feuilles
susurrer les silences
que le soir recueille ?
Moi qui ne vois plus
que des follets de verre
qui espionnent par devant,
qui rient par derrière.
Comment pourrais-je
Dire à ma mère
Que j'ai peur ?
Pourquoi n'ont-ils pas fait
de grandes poubelles
pour les jours déjà usés
pour ces soirées et d'autres ?
Et qui, qui sera jamais
le videur du soleil
qui le pousse chaque jour
sur la scène aux premières heures ?
Et surtout qui
et pourquoi on m'a mis au monde
où je vis ma mort
avec une anticipation démente ?
Comment pourrais-je
dire à ma mère
que j'ai peur ?
Quand écherra le bail
de ce corps idiot
alors j’aurai mon prix
comme une bonne note.
On me citera en avertissement
à ceux qui pensent qu'il est bon
de jouer au ballon
avec son cerveau
en cherchant à le lancer
au-delà de la frontière établie
que quelqu'un a tracée
aux bords de l'infini.
Comment pourrais-je
Dire à ma mère
Que j'ai peur ?
Vous qui m'écoutez, apprenez-moi
un alphabet qui soit
différent de celui
de ma lâcheté.
Contributed by Marco Valdo M.I. - 2024/12/19 - 17:49
Grazie Riccardo per questo extra, molto ben scritto e pieno di rimandi.
Sono andato a sentirmi e leggermi i pezzi che hai pubblicato di Katerina Gonou a partire dal suo "Paura". Ora esco che c'è un bel sole , dopo "Eroina" e gli altri pezzi "neri" ho bisogno di un po' di luce.
Sono andato a sentirmi e leggermi i pezzi che hai pubblicato di Katerina Gonou a partire dal suo "Paura". Ora esco che c'è un bel sole , dopo "Eroina" e gli altri pezzi "neri" ho bisogno di un po' di luce.
Paolo Rizzi - 2024/12/20 - 15:22
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Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.
Poesia di / A poem by / Poème de: Riccardo Mannerini
Riccardo Mannerinin runo
Con colpevole ritardo, un ritardo d’una quarantacinquina d’anni, credo sia venuto il tempo di “presentare” a questo sito Riccardo Mannerini. Come come come?!? “Presentare” Riccardo Mannerini? S’è già, a rigore, presentato da solo, ad esempio con la Ballata per un ferroviere, ascritta al “Gruppo Sei Genova”, da lui formato a sue spese per incidere un disco di cui non fu venduta neanche mezza copia. S’è presentato aleggiando sul suo amico Fabrizio De André, una lunga amicizia finita poi malissimo come sovente finiscono le più grandi amicizie, cioè nel rifiuto e nel silenzio.
Riccardo Mannerini in pillole. Nato a Genova il 28 ottobre 1927, cinque anni esatti dopo la “Marcia su Roma” e tre anni dopo la nascita di mio padre, da una famiglia napoletana di condizioni agiate (la madre violinista, il padre militare di carriera). All’età di diciassette anni, nel 1944, deportato in Germania come operaio per l’ “organizzazione Todt”, esattamente come in quel periodo succedeva a tale Georges Brassens. Nel campo di lavoro conosce un operaio libertario che lo inizia ai princìpi dell’Anarchia. Insieme a lui, sabotano i pezzi durante la lavorazione. Nel dopoguerra inizia gli studi di medicina, interrotti per povertà; di quegli studi si servirà però per curare alla meglio e estrarre proiettili dal corpo di pregiudicati ospitati e nascosti a volte a casa sua. La famiglia è rovinata, conduce una vita disordinata e a volte dorme in una barca di un amico pescatore. Allora s’imbarca su cargo mercantili come addetto alle caldaie e ai motori, e comincia, letteralmente, a girare i Sette Mari. Per un attentato dimostrativo a un consolato spagnolo gli viene rifiutato però il visto d’entrata negli Stati Uniti. Ad un certo punto, dai cargo passa alle navi bananiere e conosce l’Africa Orientale, allora ancora, in parte, sotto mandato italiano. Durante le ore, i giorni, i mesi a bordo prende appunti su quadernacci bisunti, finché qualcuno (un amico, un’amica, chissà) non gli fa notare che quegli appunti sono poesie. Comincia allora a inviare quegli “appunti poetici” a riviste e concorsi, ma preferisce usarli per fare colpo sulle donne, o li regala ad amici che glieli chiedono col medesimo scopo, non firmandoli nemmeno. Poi si arriva al 1961, quando naviga per gli armatori Costa (gli stessi della Costa Concordia). Per un’avaria in sala macchine, fuoriesce vapore incandescente da una caldaia, che lo prende in pieno e particolarmente in faccia. Rimane quasi cieco per sempre. Non verrà mai indennizzato. Sbarcato, torna a Genova dove difende strenuamente i pescatori del quartiere Foce (quello dove, ad esempio, si trova Piazza Alimonda, o Carlo Giuliani) affinché non perdano il diritto d’approdo e la spiaggia; sostiene i Vigili del Fuoco perché abbiano più elicotteri; non ha un soldo, ma promuove un premio letterario in ricordo di una giovane amica morta d’embolia; fonda una società, chiamata “Misci e Liberi” (misci vuol dire “Poveri” in dialetto genovese), che promuove incontri e esibizioni sportive. L’amicizia con De André era già iniziata. Ha non di rado brutte storie con la Giustizia; non è un anarchico all’acqua di rose. Dall’amicizia con De André nasceranno alcune canzoni, diventate famosissime perché le hanno, appunto, interpretate De André e i New Trolls; con De André l’amicizia, per un periodo, si trasforma addirittura in convivenza. Riccardo Mannerini non è soltanto cieco, è anche malato; entra ed esce dagli ospedali, esce ed entra. Continua a bere come una cisterna. Nel 1967, un altro suo grande amico, Luigi Tenco, si suicida in margine al Festival di Sanremo; un’amicizia andata avanti nonostante le feroci discussioni ideologiche tra il Mannerini, anarchico senza compromessi, e il cantautore piemontese marxista. Nel 1969 scrive la canzone su Pinelli defenestrato a Milano; divieto di trasmetterla su tutto il territorio nazionale, e indagine giudiziaria. Di quel che combinerà Riccardo Mannerini nel campo della musica e della canzone , si avrà meglio a parlare in seguito. Finisce l’amicizia con De André, forse anche per motivi politici e ideali. Depressione. Disperazione. Solitudine. Malattia. Cecità. Che cosa voglia dire la cecità, chi scrive l’ha capito per qualche mese, per due banali cataratte; figuriamoci uno che sa di restare cieco per sempre, senza possibilità. E’ sposato con la scrittrice e poetessa Rita Serando, che possiede anche una palestra sanitaria e dove Riccardo Mannerini si adatta a lavorare come fisioterapista. Il 26 marzo 1980 Riccardo Mannerini decide che è abbastanza, e si suicida proprio nella palestra della moglie. Fine delle pillole, purtroppo -credo- in gran parte molto indigeste.
Riccardo Mannerini era fatto della stessa materia di Katerina Gogou. Persino lo stile di scrittura li avvicina; non quello delle canzoni, ché le canzoni sono venute dopo e mediate, rielaborate da altri. Quello delle poesie, degli “appunti”. E sono quelle che, via via, si andranno qui a presentare. Katerina Gogou, anch’ella morta suicida perché gli anarchici si suicidano piuttosto spesso, andava su e giù per Patissìon; Riccardo Mannerini, per il mare. La sua materia è fatta anche di Joseph Conrad e del cuore di tenebra. Cominciamo quindi con un “Extra”, la sua “Eroina” dal quale nacque il “Cantico dei Drogati” di De André (album: “Tutti morimmo a stento”, 1968). Ci sarà, naturalmente, anche quello in questa pagina; ma ho voluto partire dall’originale, sul quale De André impiantò la sua droga personale, l’alcool. Per ora mi fermo, perché vorrei poi distribuire la materia di Mannerini nelle altre pagine che gli saranno dedicate. La poesia fu pubblicata postuma, altra caratteristica degli anarchici nella loro variante poetica o comunque artistica: le loro cose, generalmente, vengono conosciute e pubblicate dopo che hanno fatto il salto nel vastissimo nulla. In particolare, fa parte delle “Poesie da cantare”, pubblicato nel 1980 dall’editore Tolozzi di Genova. Dovrebbe essere stata scritta nel 1967 o 1968. [RV]
Nota necessaria. Ripiglio questa cosa, e ripiglierò quelle a venire, in gran parte da un volume capitale: Un poeta cieco di rabbia, a cura di Claudio Pozzani e Mauro Macario; Genova, Liberodiscrivere, giugno 2004. E’ uno dei volumi che Adriana ha voluto farmi avere dopo aver fatto il suo, di salti nel vastissimo nulla. Tutto questo le è dedicato.
Recitata da Claudia Pastorino.