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In presenza d'assenza (omaggio a Mahmoud Darwish)

Paolo Rizzi
Lingua: Italiano


Paolo Rizzi

Lista delle versioni e commenti


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Il 9 agosto 2008 ricorre la data di morte del poeta palestinese Mahmoud Darwish. In questi giorni ho riletto il suo libro raccolta edito da Feltrinelli :"La trilogia palestinese" e dalla prosa di "In presenza d'assenza" ho tratto l'ispirazione per mettere in rima la sua allegoria della frutta di Palestina.

In attesa di comporre una musica ho preso a prestito una vecchia esibizione dal vivo con Kamilya Jubran che interpreta, sempre di Darwish, la poesia "About a human": la storia di un carcerato in Israele ( Darwish lo fu più volte) e mi è sembrata un'ottima base su cui appoggiare questo testo che parla di nostalgia.

Darwish ci ha abituato a meravigliose metafore ed in questo caso la donna ed i frutti di cui ha nostaglia sono la Palestina stessa.

Jerusalem-is-my-city


Le immagini le ho prese da autori e autrici palestinesi e mi preme ricordare che la pittrice Heba Zagout è stata uccisa con tutta la sua famiglia il 13 ottobre scorso

Ricordando la pittrice palestinese di Gaza Heba Zagout

Nel libro “Una trilogia palestinese” di Mahmud Darwish , dopo “Memoria dell’oblio “ del 1987 è inserito “In presenza d’assenza” del 2006, scritto due anni prima della morte del 9 agosto a causa di un intervento chirurgico al cuore. Si tratta di un testo autobiografico in cui il poeta narra se tesso iniziando con un’elogia funebre e prosegue in 20 capitoli nel racconto delle tappe della sua vita.
Il capitolo 14 è una infinita descrizione del significato della parola e del sentimento della Nostalgia: “La nostalgia è la conversazione notturna dell’assente con l’assente, il voltarsi indietro del lontano al lontano…..”.
Il capitolo 15 è dedicato alle declinazioni della parola Amore: L’amore è un cammino battuto come il significato, ma impervio come la poesia…..
Nel capitolo 16 affronta il tema dell’esilio: Il lungo periodo intercorso tra l’uscita e il rientro ti consente di congedarti dall’esilio con tutta la malinconia che merita. Questi capitoli di un tema così privato e allo stesso tempo pubblico mi hanno mosso a mettere in rima la prosa poetica di Darwish quando descrive nostalgia, amore, esilio affidandosi alla metafora, in questo caso ad una allegoria, quella della frutta. Sono parole piene di sensualità, sembra un testo dedicato ad una donna ma questa donna sappiamo essere la Palestina stessa.

In questi mesi di atroci sofferenze per la sua terra e i suoi abitanti avevo scritto “Piante amare di Palestina” per provare a raccontare l’attaccamento alla terra dei palestinesi, ora provo a farlo prendendo a prestito la voce di Mahmud Darwish stesso e mettendo in rima questo testo che segue.


Pag 364 del libro di Mahmud Darwish Una trilogia Palestinese
In presenza d’assenza - traduzione di Ramona Ciucani

…..La nostra frutta rende sensoriale un’allegoria cerebrale:

La mela è forma da mordere, senza la punizione della conoscenza.
La pera è un seno di perfetta proporzione, né più né meno di un palmo di mani.
L’uva è il richiamo dello zucchero; spremimi in bocca o nei tini.
L’albicocca è il ritorno della nostalgia alla sua pallida origine.
L’arancia è un’idea che illumina, nella notte e può essere mangiata sempre.
Il fico è un paio di labbra che si schiudono con due dita per ricevere erotico significato .
In un colpo solo.
Il fico d’India è la vergine che difende il suo tesoro.
La ciliegia è accorciare la distanza tra il desiderio degli occhi e la fregola delle labbra.
La mela cotogna è la femmina che litiga per il maschio lasciando al deluso un groppo in gola.
Il mango è la bava che cola per visibile piacere.
La fragola è un insieme di acini di colore, né rossi né altro, che rinvia lo scandalo della similitudine.
Il gelso, color zucchero o nero, è il ricordo del primo bacio.
Il melograno è il rubino celato nell’allusione..

Mordo una mela senza punizione
Nel giardino della conoscenza
La pera è perfetta nella proporzione
Come il tuo seno non so starne senza

Schiaccio in bocca i chicchi d’uve
O sotto i piedi ne pigio il vino
I fichi sono le tue labbra schiuse
Sono il mio sogno fino al mattino

La nostalgia era aria terra e acqua
La nostalgia era aria terra e acqua
La nostalgia era aria terra e acqua
Di casa mia

La nostalgia era aria terra e acqua
La nostalgia era aria terra e acqua
La nostalgia era aria terra e acqua
ora è poesia

Il fico d’India come una vergine
Vuole difendere il suo tesoro
Il gelso è il bacio che ti ho dato giovane
Mai più scordato fu il mio ristoro

Ho nostalgia dell’albicocca
Delle tue guance color pudore
Delle ciliegie che metti in bocca
Non c’è distanza tra gli occhi e il cuore

La nostalgia era un odore
La nostalgia era un odore
La nostalgia era un odore
Di casa mia
La nostalgia era un odore
La nostalgia era un odore
La nostalgia era un odore
ora è poesia

L’arancia illumina le nostre notti
E le profuma con la sua essenza
Il mango è bava che scorre a fiotti
Il mio piacere la tua accoglienza

La mela cotogna un frutto femmina
Che profumava le mie lenzuola
Ed un rubino di melagrana
Te l’ho donavo se ti lasciavo sola

La nostalgia è come il vento
La nostalgia è come il vento
La nostalgia è come il vento
Di casa mia
La nostalgia è come il vento
La nostalgia è come il vento
La nostalgia è come il vento
ora è poesia

inviata da Paolo Rizzi - 6/8/2024 - 15:47


A questo link si possono leggere 113 pagine di Una trilogia palestinese

Una trilogia palestinese

P.r. - 7/8/2024 - 17:02


Riccardo Gullotta - 16/8/2024 - 09:49


Aggiungo alla versione in cui recito sulla musica di Kamilya Jubran questa in cui canto e suono.
Spero di aver trovato il giusto "mood" per interpretare le parole ispirate da Mahmud Darwish

Paolo Rizzi - 16/8/2024 - 11:34


SUMUD: Resilienza
Sabato 5 ottobre 2024 Il manifesto ha dedicato uno speciale alla questione Israleo/Palestinese.
Vi metto un estratto dall'ultimo articolo dello speciale a firma della scrittrice Adania Shibli che mi dà spunti di approfondimento sul tema della Sumud e della presenza-assenza
in fondo il link a tutti gli articoli dello speciale TREMENDA VENDETTA

A gennaio, quando il genocidio a Gaza era già entrato in una fase di violenza estrema, la scrittrice palestinese Adania Shibli si interrogava su come avere ancora fiducia nel linguaggio quando esso vi fa soffrire e vi abbandona e che bisogna fare fronte «da soli, e senza voce, alla crudeltà». Raccontava di come non fosse più capace di scrivere, di come fosse ossessionata dall’idea che, forse, non si potesse più scrivere con un linguaggio «mutilato» e «assente». Concludeva chiedendosi se fosse possibile sopportare il «vuoto» causato dall’assenza del linguaggio di fronte a «un dolore senza fondo né fine».....

L’ESPRESSIONE araba aysh mawt, «vivere la morte», inverte la relazione tra l’assenza e la presenza, tra la vita e la morte, e trasforma il lutto in modalità di sopravvivenza, di riaffermazione della vita a partire dalla morte stessa. Non si tratta di vivere la morte ma di «ridare vita ai morti», e in questo modo di guarire i traumi e le ferite che i morti hanno subito. In un regime coloniale che fa dei palestinesi dei «presenti-assenti», come diceva Elias Sanbar, persino nella loro morte, allora la morte stessa diventa una dimensione, paradossale e dolorosa, di affermazione di una presenza e del rifiuto di un dispositivo che impedisce ai defunti di vivere la propria morte.
In questo senso, il sumud è una modalità etico-politica della soggettività palestinese e si riferisce a una soggettivazione dell’individuo che avviene simultaneamente in quanto vittima e in quanto soggetto (politico) in grado di opporre resistenza al regime coloniale d’occupazione. È una strategia epistemologica che si iscrive al di là della dialettica tra «oppressione» e «liberazione». Lo statuto di «vittima» e la «soggettivazione» non si escludono l’un l’altro, al contrario, sono pensati a partire dalla loro stessa articolazione. Per i clinici palestinesi il sumud è una strategia radicalmente decoloniale che non può essere ridotta alla resilienza. Si situa ben al di là della resilienza e incarna una modalità di reazione e difesa, psichica e fisica, a un dispositivo coloniale il cui potere si esercita sia sui vivi che sui morti e il cui obiettivo è l’annientamento, la sparizione di tutto un popolo.

Leggi tutti i pezzi dello speciale “Tremenda vendetta”

https://ilmanifesto.it/topics/tremenda...

Paolo Rizzi - 6/10/2024 - 21:15


Sumud e Frantz Fanon: A commento del brano Frantz Fanon 1952 pubblicato oggi, Riccardo Gullotta scrive che il pensiero di Fanon è stato utile anche nell'analisi della questione Palestinese. Ho trovato molti articoli, questo a me è piaciuto molto lo incollo qui così da ricordarmene in futuro spero sia utile anche a voi

Sumud

Sumud può essere tradotto con fermezza [steadfastness], ma può manifestarsi in differenti pratiche e idee. Ad esempio, molti rifugiati fanno riferimento alla loro esistenza come “resistenza”, oppure a una manifestazione di sumud quando parlano del loro esilio forzato dopo il 1948. Rintracciare il sumud nel discorso dell’OLP aiuta a dimostrare come il cambiamento di strategia politica dalla resistenza al riconoscimento di Israele abbia influenzato il discorso all’interno dell’OLP e come abbia a sua volta condizionato l’intero Movimento Nazionale Palestinese (MNP). Tale quadro di riferimento evidenzia il modo in cui i Palestinesi furono coinvolti in una battaglia anticoloniale, come furono in grado di costruire una storia politica palestinese attraverso il discorso e come questo venne limitato dopo il riconoscimento di Israele e la ricerca del riconoscimento del proprio Stato da parte di Israele stesso e dalla comunità internazionale.

Sumud: Gli anni ’60 e ’70

Il movimento di base palestinese che è emerso nel 1959 ha guadagnato vigore dopo i successivi fallimenti del panarabismo e l’emergere di un ordine del giorno nazionale palestinese centrato sul concetto di lotta armata. La lotta nazionale venne modellata in base alla condizione di esiliato nella diaspora e alla vita dei Fedayeen nei campi profughi, due elementi costituenti l’archetipo palestinese. L’immagine del militante-Fedai come un eroe nazionale e culturale fu utilizzata da Fatah per alimentare il sostegno nei campi profughi. Dove in precedenza non vi era alcuna lotta palestinese unitaria e collettiva, questa ha rappresentato una rottura e un cambiamento nel discorso e quindi nell’identità palestinese, ampiamente documentato nei romanzi di Ghassan Kanafani.
Arafat ha fatto proprio tale immaginario, riflettendolo nel suo discorso, in particolare quello tenuto alle Nazioni Unite nel 1974. Mostrandosi l’assemblea generale dell’Onu vestito con la divisa dei Fedayeen, Arafat ha sottolineato il diritto alla resistenza armata, collocando i palestinesi all’interno di una lotta globale più ampia contro il razzismo, l’imperialismo e il colonialismo. Tale discorso sarebbe dovuto servire a guadagnare legittimità e riconoscimento per la causa. Il riconoscimento dell’OLP, di cui Fatah è la fazione dominante, come l’unico legittimo rappresentante del popolo palestinese da parte della comunità internazionale di fatto non ha prodotto alcun risultato sul campo. Questa situazione, unita all’esilio dell’OLP in Giordania e in Libano, ha creato un senso di disillusione nei Territori Occupati, conducendo alla nascita di un attivismo di base che ha spiazzato una leadership di fatto disconnessa.


https://www.lavoroculturale.org/ricono...

Paolo Rizzi - 7/10/2024 - 21:23




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