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Lingua: Norvegese (Dialetto del Telemark / Telemark Dialect)


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Il sogno di Olav Åsteson
di Riccardo Venturi, 18 luglio 2024 -

Introduzione

Il canto popolare, o “ballata” (termine che si è popolarizzato in tutto il mondo, ma che non è quasi mai del tutto esatto) più celebre della Norvegia è senz’altro il Draumkvede (dico così, perche “-t” è l’articolo determinato). Sicuramente di origine medievale, è um componimento visionario che riporta, appunto, le visioni oniriche ultraterrene di un giovane, Olav Åsteson, da lui provate durante un sonno (ma meglio sarebbe dire: una trance) durata dalla vigilia di Natale fino al tredicesimo giorno a partire da essa, cioè dal 24 dicembre al 6 gennaio, giorno dell’Epifania. Durante questa lunga dormita di tredici giorni, la sua anima lascia temporaneaemente il corpo e si mette a viaggiare da questo mondo all’Aldilà. Olav acquisisce quindi una visione del destino delle persone dopo la morte, che a ben pochi è concesso avere da vivi. Il tredicesimo giorno, l’anima riprende dimora nel corpo e Olav rivela le sue visioni oniriche a degli ascoltatori, che gli prestano grande attenzione e vengono quindi a conoscenza di ciò che li attende oltre il confine della morte.

Cattolico nel contenuto, il Draumkvede mostra probabilmente influenze provenienti da tutta la poesia visionaria dell’alto Medioevo europeo. Il componimento è senz’altro anteriore alla Riforma, di cui non si nota traccia alcuna né nel testo più antico, né nelle varianti; ma un’esatta datazione dell’opera è assai incerta, e dibattuta. Il Draumkvede è stato tramandato dalla tradizione orale dell’alto Telemark, nel cui dialetto è redatto; principalmente, delle regioni di Kviteseid e Lårdal. Una sua conoscenza più ampia è avvenuta a partire dal 1840. Il suo appellativo di kvede lo assimila agli kvæði islandesi (si veda ad esempio qui), ed è quindi più corretto indicarlo come “canzone” o “canto”; ma si ricorda anche qui che il termine deriva dal verbo kveðja, che significa semplicemente “dire”, “raccontare”. Una traduzione del titolo come “Racconto del sogno” sarebbe forse più esatta.

Il Draumkvede è, tra i componimenti popolari dei paesi nordici, unico nel suo genere. E’ un poema visionario completo che non presenta alcuna variante in un idioma diverso dal norvegese, anzi, dalla ristretta ed arcaica area dialettale del Telemark da dove proviene. Ciò non toglie che motivi visionari possano essere presenti anche in altri canti, come Agnus Dei o Olav og Kari. Due ballate danesi, Den rige Mands Sjæl (“L’anima del ricco”) e Sjælen for Himmerigs Dør (“L’anima alla porta del Regno dei Cieli”) (DgF 105 e 106), hanno, cosa piuttosto interessante, un ritornello che ricorda uno dei ritornelli del Draumkvede:"La lingua parlerà e la verità risponderà nel giorno del giudizio" (sezione V); ma, per il resto, i componimenti sono del tutto diversi. Motivi visionari ricorrono anche in leggende e fiabe.

Quasi inutile dire che il Medioevo è ricco di visioni dell’altro mondo, per la maggior parte sono in prosa, ma un esempio poetico e letterario universale è senz’altro la Divina Commedia di Dante, che non a caso è suddivisa in “canti” ed è incentrata sul viaggio di un vivo nel regno dei morti fino all’arrivo in un paradiso cosmico. Come detto, né l’età di una possibile datazione del Draumkvede, né tantomeno un suo eventuale autore sono conosciuti; si tratta di poesia popolare, ed è del tutto normale. Ma, senz’altro, il Draumkvede non può essere più antico del genere a cui appartiene, vale a dire la “ballata popolare” di origine e ambito medievale. Tale genere non può essere stato produttivo in Norvegia prima del XIV secolo. La canzone fu “scoperta” nell’Alto Telemark poco prima della metà del XIX secolo; da allora, è stata fonte d’ispirazione per ricercatori, musicisti folk, compositori, artisti figurativi e poeti, come Arne Garborg (1851-1924) nei suoi cicli poetici Hautgussa (1895-1901) e Ivar Mortensson-Egnund nell'opera Or duldo del 1895. Ivar Mortensson-Egnund tradusse anche (1905) il Draumkvede in norvegese (o meglio, in Nynorsk) moderno.

Tokke: la stavkirke di Eidsborg.
Tokke: la stavkirke di Eidsborg.
La “Canzone del Sogno” divenne per la prima volta nota ad un pubblico più vasto verso gli anni ‘40 del XIX secolo, quando fu scoperta e trascritta da alcuni raccoglitori di canti tradizionali; prima d tale periodo, non se ne ha notizia e non risultano fonti o trascrizioni. L’area centrale e originaria della tradizione è situata tra i comuni di Kviteseid e Tokke (quest’ultimo, formatosi con l’unione dei precedenti comuni di Lårdal e Mo). Il Draumkvede è stato quindi scoperto in un’area geografica relativamente limitata; pertanto è opinione comune che il Draumkvede debba essere stato composto in questa zona, e in particolare attorno alla stavkirke di Eidsborg, dedicata a San Nicola di Bari e risalente al XIII secolo, nonostante sia stata in parte ristrutturata nel XIX secolo.

Secondo Olav Bø, il Draumkvede sarebbe una poesia originale creata in un ambiente popolare. E’ stata avanzata l’ipotesi che si basi su componimenti visionari anglo-irlandesi, ma sembra piuttosto che il punto di partenza siano delle riflessioni generali sulla predicazione della chiesa. Quanto alle visioni anglo-irlandesi, Bø pensa in modo particolare alla Visio Tnugdali, un componimento in prosa che era stato tradotto in norvegese nel XIII secolo con il nome di Duggals leizla; tale componimento ha avuto un ruolo non trascurabile nella ricerca sul Draumkvede.

Magnus Brostrup Landstad (1802-1880)
Magnus Brostrup Landstad (1802-1880)
I documenti del Draumkvede sono in parte sparsi e frammentari. Oggigiorno, il testo più conosciuto è quello ricostruito e restituito da Moltke Moe (1859-1913) attorno agli anni ‘90 del XIX secolo. Il testo è lunghissimo (52 strofe), e ha acquisito grande importanza per la percezione generale del Draumkvede, ed è stato fonte di ispirazione per poeti, artisti figurativi e musicisti, assieme ad un’ulteriore ed anteriore restituzione (la prima in ordine di tempo), quella dell'abate Magnus Brostrup Landstad (1802-1880). Tra il 1852 e il 1853, il Landstad fece pubblicare, in tre volumi, le sue Norske Folkeviser (Christiania [Oslo], ed. C. Tönsberg), nelle quali per la prima volta fu edito a stampa un testo del Draumkvede. Si compone di 40 strofe, trenta delle quali riproducono un testo raccolto presso Maren Olavsdotter Ramskeid, un'allora giovane donna di Åsgrend nel comune di Kviteseid (era nata il 30 giugno 1817; nel 1882 emigrò con la famiglia in America, dove se ne perse ogni traccia). Da notare che trenta strofe è la lunghezza standard per una ballata medievale norvegese. Alla “Variante Ramskeid” (così da allora è nota) il Landstad interpolò una decina di strofe provenienti da altre fonti della zona, pur avendo fatto stampare anche l’intera “Variante Ramskeid” come testo a sé stante. Tale variante costituisce comunque l’ossatura del testo di 40 strofe poi pubblicato dal Landstad. Dalla metà del XX secolo, gli studiosi e i ricercatori hanno considerato la “Variante Ramskeid” come la più importante e rappresentativa del testo, ed è anche e soprattutto per questo motivo che, dovendo scegliere una versione per questa pagina, le abbiamo dato priorità così come interpolata dal Landstad.

Contenuti

In sogno, mentre il corpo è immerso nel sonno profondo (sterkan svevnen), il personaggio principale, o meglio la sua anima visionaria, compie un viaggio nell’Aldilà. Ciò accade nel periodo più buio dell’anno, fra Natale e l’Epifania, poiché da tempo si crede che i confini tra questo mondo e il soprannaturale / trascendentale siano più “fluidi” che in altri periodi dell’anno. Si tenga presente che, oltre a “Tredicesimo giorno” (trettandagjen), il 6 gennaio viene chiamato anche “Giorno dei Tre Re”, “Vecchia vigilia di Natale” e “Giorno dell’Apocalisse” (Epifania, dal greco Ἐπιφάνεια “apparizione”, è sinonimo di ἀποκαλύψις “rivelazione”). Dopo essersi risvegliato, il veggente ha fretta di sellare il cavallo e andare in chiesa; quando vi arriva, si sistema (seduto o in piedi) sul sagrato, di fronte alla porta, oppure si mette a sedere in un corridoio. A tale riguardo, le fonti divergono leggermente; ma tutti i documenti più importanti riportano un resoconto più o meno dettagliato di ciò che il veggente ha visto in sogno.

Il Ponte sul Gjöll.
Il Ponte sul Gjöll.
Nel viaggio verso il Regno dei Morti, esiste un passaggio obbligato: il Ponte sul Gjöll (Gjallarbrui, o Gjallarbrú nella forma norrena). Già dalla presenza del sinistro ponte nella canzone, si vede facilmente come, pur essendo essa sicuramente di ambito cristiano, vi persistano tenaci degli elementi mitologici pagani, e non di poco conto. Il Ponte sul fiume Gjöll è l’accesso al Regno dei Morti; a sua volta, il fiume Gjöll separa i vivi dai morti. E’ uno dei dodici Élivágar, i fiumi che esistevano già nell’abisso cosmico primordiale, il Ginnungagap dei primi versi della Völuspá. Menzionato anche da Snorri Sturluson nel Gylfaginning, il fiume Gjöll attraversa il “Varco Spalancato” (questo l’esatto significato di Ginnungagap) per poi immettersi nel mondo dell’Esistenza. Appartiene senz’altro alla famiglia dei “fiumi di confine” tra vivi e morti, e si pensi all’Acheronte dantesco. Fatto sta che il ponte sul Gjöll (e non sul “Gjallar” come si legge in diverse traduzioni, tipo “Gjallar Bridge”; nella complessa declinazione sostantivale norrena, Gjallar è il genitivo di Gjöll) deve per forza essere attraversato da chi è diretto allo Hel (la cui traduzione mi sembra superflua). L’anonimo cantore del Draumkvede deve avere avuto presente il Gylfaginning di Snorri, che descrive il Gjallarbrú come un “ponte coperto rivestito d’oro splendente”. Andando nel regno dei morti, la presenza di un ponte è un topos culturale presente ancora ai giorni nostri (“quando attraverserà l’ultimo vecchio ponte”...)

Segue un viaggio non propriamente piacevole (ma, del resto, siamo agli Inferi…) attraverso terreni ricoperti di spine, terribili paludi e con in bocca del gustoso terriccio tombale; durante tale viaggio, il veggente sognatore scorge l’Inferno e intravede il Paradiso. Lungo il cammino, il veggente s’imbatte in una figura che, nella versione Ramskeid / Landstad che qui si presenta, viene indicata come gullmor: “madre d’oro”, o “preziosa madre” (come la abbiamo resa nella traduzione). E’ evidente che si tratta della Madonna; ma, in altre versioni, si trova un più esplicito gu’mor, vale a dire “Guds mor”, madre di Dio. La Vergine Maria indica al veggente di recarsi là “dove si terrà il Giudizio”, vale a dire a Brokksvalin. Si tratta del termine più famoso e misterioso di tutto il Draumkvede: è attestato soltanto da esso, e non è chiaro né che cosa indichi e significhi esattamente, né se sia un nome proprio o comune. Per questo unicum non esistono neppure ipotesi etimologiche sicure; ma il motivo di un luogo preposto al Giudizio Universale (forse una “sala celeste”, o “tra le nuvole”, come qualcuno ha reso il termine) è conosciuto dalla letteratura visionaria medievale. Nella traduzione italiana qui presente si è scelto alla fine di lasciare il termine così com’è, senza cercare di renderlo in alcun modo.

Il veggente è testimone delle terribili punizioni (che ricordano molto quelle dei gironi infernali danteschi) riservate a chi ha commesso gravi peccati in “questo mondo” (il termine usato è in realtà føisheim, cioè fødesheim “mondo in cui si è nati”). Si va dai consueti avari, costretti a portare un manto di piombo, a coloro che si appropriavano di porzioni di foresta spostando i cippi di confine (un gravissimo peccato), condannati a trasportare terra rovente. Mentre non è ben chiaro che cosa abbia mai combinato il giovane che affonda nel fango con in collo un ragazzino, si deve notare che, nell’inferno del Draumkvede non c’è nessuna pietà neppure per i bambini che hanno mancato di rispetto ai genitori, costretti letteralmente ad essere arrostiti sulla fiamma viva. Come dire: sia pur da queste poche strofe, in confronto a quello del Draumkvede l’inferno dantesco sembra una scampagnata. In tutta questa atmosfera infernale molto “norvegese”, non possono mancare le streghe. A tale riguardo, è interessante notare una specie di risvolto amministrativo locale in pieno inferno: le streghe, infatti, ricevono la loro punizione nella syslehus, vale a dire la “casa distrettuale” (o provinciale) dove l’amministrazione locale esercitava anche la giustizia, e che fungeva anche da carcere (qui la traduzione “casa circondariale” sarebbe possibile!). Insomma, anche all’inferno esistono provincie e amministrazioni: il termine sysle è diffuso in tutte le lingue nordiche, in varie forme. Deriva da un verbo che significa principalmente “lavorare”, ed anche “occuparsi di qualcosa, amministrare”; in Islanda e alle Fær Øer le sýslur valgono ancora come entità amministrative locali, mentre negli altri paesi nordici sono rimaste come denominazione storica (ad esempio, il Vendsyssel danese).

gruttenIl veggente è poi testimone del drammatico incontro/scontro tra le Armate del Bene, guidate da Gesù Cristo in persona e dall’arcangelo Michele munito di tromba (lur) e bilancia (ovvio simbolo di giustizia), e le Armate del Male, guidate dal “torvo Barbagrigia” (Grutte Gråskjeggje), cioè il Diavolo. Le due Armate arrivano da direzioni opposte, e ci sarebbe da formulare qualche ipotesi sul fatto che quelle diaboliche arrivino da nord e quelle angeliche da sud. Il “male” arriva dal gelido e ostile nord, guidato da un Diavolo che ha le fattezze di un torvo abitante di quelle lande desolate; il “bene” arriva invece da sud, terra benedetta e piena di sole.

Una volta che le armate del Bene hanno (ovviamente) prevalso, si arriva infine al Giudizio Universale. San Michele suona la tromba, soppesa le anime con la bilancia e le smista via a Gesù Cristo. In contrapposizione alle pene infernali, si ha un elenco preciso di “opere di bene” che faranno guadagnare il Paradiso; in sintesi, sono tutte generose donazioni ai poveri da parte di chi ha disponibilità e se ne priva per fare il bene. Qui si osserva la sostanziale similitudine tra il Draumkvede ed un’altra celebre composizione popolare, il Lyke-wake Dirge testimoniato per la prima volta nel 1686 dal letterato e antiquario John Aubrey (il rimando alla pagina di Terre Celtiche di Cattia Salto e Flavio Poltronieri è d’obbligo, così com’è d’obbligo ascoltare il Lyke-wake Dirge nella spettrale esecuzione dei Pentangle [Basket of Light, 1969]):



Il Draumkvede, insomma, a un filone che ha veramente attraversato tutta l’Europa medievale, manifestandosi sia a livello popolare che letterario (peraltro, non è improbabile che almeno certe sue parti siano state utilizzate per le veglie funebri, proprio come il Lyke-wake Dirge). Al momento del risveglio (l’ultima strofa nella versione Ramskeid/Landstad), l’ammonimento è compiuto, ed è per questo che gli astanti hanno prestato la doverosa e grande attenzione al racconto del veggente.

Il visionario

In tutte le versioni del Draumkvede, il veggente si chiama Olav. Tale nome è tra i più antichi e diffusi nei paesi nordici (isl. Ant.
Óláfr), in tutta una serie di varianti (Olaf, Olof, Oluf ecc.); non scordando che i fondatori della nazione russa erano in realtà di origine scandinava, si è diffuso anche in Russia nella forma Олег [Olieg], con il femminile Ольга [Olga], poi diffusosi ovunque come “nome esotico”. Per esso si ricostruisce una forma protonordica *anulaibaR, a sua volta da un protogermanico *anulaibaz, connesso evidentemente con il culto dei morti: significa “spoglia mortale di un avo" (la prima parte del nome si ricollega al tedesco Ahn “avo” e al latino anus “nonna”.

Se il nome è fisso, non lo è però il patronimico. Il più diffuso è Åsteson “figlio di Asta”, che si è pressoché generalizzato nella ricezione collettiva del canto; in realtà, il patronimico varia molto nelle diverse varianti. La Ramskeid lo chiama Åkneson, così come Anne Lillegård; la stessa Lillegård lo presenta anche come Olaf Håkinson, dimodoché entrambe le varianti si potrebbero rendere in una forma generalizzata “Olaf Håkonsson”, che beninteso è il nome del Re di Danimarca Olaf II, morto a 16 anni nel 1387. Un altro “cognome” è Åknesi (ancora una variante di Åkneson, nella variante di Anne Skålen). La forma che però sicuramente ha “fatto breccia” nelle più ampie restituzioni e nella coscienza generale, anche fuori dalla Norvegia e dei paesi nordici, è Olav Åsteson. Ha un qualche riscontro storico? Sicuramente, il nome Olav è stato associato ad un’importantissima figura storica, quella del primo re di Norvegia convertitosi al cattolicesimo, Olav II detto Olav il Santo (995-1030). Il fatto è che, come anche sottolineato da Flavio Poltronieri, sua madre si chiamava proprio Åsta (vale a dire Åsta Gudbrandsdatter (975/980 – 1020/1030). Si tratterebbe quindi di un “matronimico” riferito al re Olav II che, tra l’altro, secondo la tradizione aveva capacità visionarie?. La storia lo nega decisamente. I matronimici erano certamente possibili, ma soltanto nel caso di figli illegittimi nati fuori dal matrimonio, oppure in caso di ragazze madri. Olav il Santo si chiamava in realtà Olav Haraldsson, assai legittimo figlio di Åsta Gudbrandsdatter e del marito Harald Grenske. Dargli di “Olav figlio di Åsta” sarebbe stato, anche in una sperduta zona del Telemark, un gravissimo affronto sia a lui che a sua madre. Cosa, quindi, assolutamente da escludere; ciononostante, qualche retropensiero a Olav il Santo può esserci stato.

E’ forse più possibile, quindi, che il nome sia stato associato alla parola åst (isl. Ant. ástr, mod. ástur), antico termine per “amore” (prg. *anstiz). In norvegese è adesso termine arcaico e poetico, ma lo si ritrova come elemento di composizione in diversi nomi, il più noto dei quali è Astrid “cavaliera dell’amore”. Il veggente Olav, quindi, poteva essere considerato, come “figlio dell’amore” (divino?) una sorta di privilegiato, con una visione aperta su una realtà normalmente nascosta ai comuni mortali. La corretta pronuncia del nome è: [u:lav òsteso:n]. In alcune (peraltro ben fatte) rese italiane, come quella di Tiziano Bellucci Bartoli, si inciampa fin dall’inizio in un “olaff àsteson”). Ma è, ovviamente, un peccato veniale.



In ogni caso, è indubbio che il nome femminile Åsta derivi da åst. La denominazione di "Amore" è frequente nei nomi femminili; ne fanno fede l'islandese Unnur (altro termine per "amore", peraltro lontanamente connesso dal punto di vista etimologico con ástr) oppure i comuni nomi russi del tipo Ljuba ecc.

Le versioni

Si è detto che il Draumkvede comincia ad essere “scoperto” e conosciuto attorno al 1840. Più precisamente, il primo trascrittore in assoluto di una serie di strofe sparse del canto fu un insegnante e campanaro di Vinje, Nils Sveinungsson Juvstøyl (1779-1847). La sua raccolta fu già “monstre”: nel 1842 inviò ben 61 strofe, raccolte in diversi villaggi della zona, a Olea Crøger, una musicista e folklorista di Heddal considerata tra le prime a raccogliere canti e melodie popolari nel Telemark. Olea Crøger era anche insegnante di canto presso il Seminario di Kviteseid.

Si è detto che il Draumkvede comincia ad essere “scoperto” e conosciuto attorno al 1840. Più precisamente, il primo trascrittore in assoluto di una serie di strofe sparse del canto fu un insegnante e campanaro di Vinje, Nils Sveinungsson Juvstøyl (1779-1847). La sua raccolta fu già “monstre”: nel 1842 inviò ben 61 strofe, raccolte in diversi villaggi della zona, a Olea Crøger, una musicista e folklorista di Heddal considerata tra le prime a raccogliere canti e melodie popolari nel Telemark. Olea Crøger era anche insegnante di canto presso il Seminario di Kviteseid.

La raccolta di Nils Sveinungsson era assai frammentaria: erano frammenti di singole strofe, raccolti letteralmente facendo una fatica del diavolo. Scrive Nils Sveinungsson stesso a Olea Crøger:

"Jeg har havt meget Umag med at samle dette Omqvæd, og det i forskjellige flere Præstegjelde har jeg opsøgt de ældste Oldinge som har kunnet underrette mig herom, og det har varet i flere Aar, inden jeg kunde komme til den Samling deraf som jeg her leverer Dem, og har det ikke været nok med at samle, men ogsaa har det været Arbeyde i at ordne det Samlede som forhen laae spredt om hinanden, saa at man havde ingen Forbindelse i de fremsatte Materier i dette Omqvæd."

“Ho fatto parecchia fatica a raccogliere questo materiale. In diverse parrocchie ho ricercato gli anziani più vecchi, che hanno potuto informarmi in merito, e ci sono voluti diversi anni prima di poter arrivare alla raccolta che Le consegno adesso. Non si è trattato soltanto di raccogliere, ma anche di sistemare le strofe che prima giacevano sparse disordinatamente e senza alcun collegamento o contesto chiaro.”

Se Nils Sveinungsson scriveva questo nel 1842, è ipotizzabile che “gli anziani più vecchi” si ricordassero di testi e strofe nella forma che avevamo circa alla metà del XVIII secolo. Esistono peraltro parecchi testi provenienti dalla tradizione popolare che sono considerati parte del Draumkvede, ma la stragrande maggioranza di essi consiste solo in poche strofe frammentarie in gamlestev (il metro delle più antiche ballate medievali norvegesi, probabilmente adatto anche alla danza). Dopo la versione di Maren Ramskeid non ci sono però più esempi di gamlestev.

Ma, in sintesi, quante e quali sono le versioni del Draumkvede accettate come tali? Il più completo quadro della tradizione a partire dal materiale di base si trova in: Ådel Gjøstein Blom, Norske mellomalderballadar [Ballate medievali norvegesi], vol. I: Legendeviser [Canti basati su leggende], 1982. Qui vengono riprodotte e recensite 25 versioni, raccolte nel tempo presso informatori anonimi e conosciuti da raccoglitori e folkloristi, alcuni di quali dotati di una saldissima competenza filologica: a parte i già nominati Magnus Brostrup Landstad e Moltke Moe, si pensi solo a Elseus Sophus Bugge (1833-1907), Jørgen Moe (1813-1882) e Rikard Berge (1881-1969).

Circa alla metà del XX secolo, il prof. Svale Solheim (1903-1971) tenne una serie di conferenze sul Draumkvede, stabilendo un principio fondamentale: le future ricerche sul canto avrebbero dovuto basarsi innazitutto su testi originali, e non su rese più o meno libere. Questo ha avuto grande rilevanza per la moderna ricerca sul canto: Solheim riteneva che la variante Ramskeid fosse quella migliore e più attendibile. Ha un ottimo collegamento tra le strofe, ed una struttura compositiva che conduce in modo avvincente alla climax conclusiva.

Va da sé che, da sola ed anche nella variante “ampliata” da Magnus Landstad, che ad ogni modo la contiene tutta), la versione Ramskeid è quella che continua a ricevere la maggiore attenzione ed è considerata il testo rappresentativo. Ha scritto Olav Bø:

«Om vi ikkje hadde andre oppskrifter enn den Landstad gjorde etter Maren Ramskeid, og ingen andre opplysningar enn dei ho kunne gje, ville vi likevel hatt eit godt utgangspunkt for ein diskusjon om problema kring eit norsk visjonskvede i balladestil.»

"Anche se non avessimo altre versioni oltre a quella che Landstad ha preparato basandosi su quella raccolta presso Maren Ramskeid, e nessun'altra informazione oltre a quelle che ella poté fornire, avremmo comunque un buon punto di partenza per una discussione sul problema di un canto visionario norvegese in stile ballatistico."

Quella che è considerata la seconda miglior versione del Draumkvede è quella raccolta nel 1847 a Tokke da Olav Grasberg e Jørgen Moe. Fu raccolta presso Anne Ånundsdotter Lillegård, di Eidsborg. Anne Lillegård era nata nel 1792, ed era quindi già una donna piuttosto matura che aveva appreso le strofe del Draumkvede dagli anziani del suo tempo, durante l’infanzia. Come in tutti i casi del genere, affiorava una tradizione orale tramandata di generazione in generazione, in una società rurale arcaica. Interessante notare che la “versione Lillegård” trascritta da Jørgen Moe ha 24 strofe, mentre quella trascritta da Olav Grasberg ne ha 22. Le due trascrizioni differiscono pochissimo, ma evidentemente, a distanza di poco tempo, Anne Lillegård si era dimenticata di due strofe, un’occorrenza del resto comunissima. La versione, o meglio le due versioni date da Anne Lillegård si aprono nel modo consueto: Vi du meg lye e kvea kan; è la cosiddetta “strofa del menestrello”, dove il cantante/poeta si presenta in prima persona, come in decine di antiche ballate; tuttavia, nelle versioni della Lillegård manca la monumentale scena del Giudizio Universale che conclude la versione Ramskeid.

Come già detto, il più antico materiale conosciuto riguardo al Draumkvede è quello raccolto da Nils Sveinungsson Juvstøyl; ma, essendo stato raccolto da diverse fonti orali, è piuttosto una compilazione di varianti abbastanza scollegate. Le rese del Draumkvede mostrano generalmente le caratteristiche della versione di Maren Ramskeid; a questa, come più volte accennato, Magnus Landstad aggiunse delle strofe da altre fonti, formando così una storia completa e coerente.

Anche la versione collazionata da Moltke Moe prende molte parti “in prestito” dalla versione Ramskeid; ma ha delle sue ben precise particolarità, specialmente nella disposizione delle strofe e delle sezioni. Questo riflette una particolare teoria di Moltke Moe: nel Draumkvede non sarebbe descritto il Giudizio Universale finale, bensì una sorta di “giudizio preliminare”, ed inserì quindi le strofe giudiziali prima di quelle che descrivono le pene riservate ai dannati come una specie di processo di prima istanza. Tale teoria, va detto, ha incontrato parecchie resistenze; l’idea dei “gradi” del Giudizio Universale è, in effetti, abbastanza strampalata. Molta enfasi Moltke Moe pose anche sul collegamento diretto tra il Draumkvede e la già nominata Visio Tnugdali, o Visione di Tindal, irlandese.

Nel 1927, Ivar Mortensson-Egnund, come dire, si spinse oltre i limiti pubblicando una sua ricostruzione di ben 119 strofe. Secondo la sua teoria, il Draumkvede sarebbe stato addirittura il punto di partenza di tutta la poesia delle ballate nordiche; in questo modo, si sentì libero di introdurvi strofe provenienti da altre ballate. Tale manipolazione della poesia popolare in nome di teorie e visioni personali è stata abbastanza comune tra la fine del XIX e la prima parte del XX secolo, per motivi sia estetici che nazionalistici. Naturalmente, tutto ciò è stato totalmente rifiutato dalla filologia e della critica storico-letteraria attuale; la sterminata versione di Mortensson-Egnund può essere letterariamente bella, ma si tratta di un falso senza fondamento (in questo, ricorda molto le manipolazioni di ballate e poesie popolari effettuate da Sir Walter Scott).

(à suivre)
I.

Vil du meg lye, eg kvea full kan
um einkvan nytan drengjen,
alt um han Olav Åsteson,
som heve sovi so lengje.
Og det var Olav Åsteson,
som heve sovi so lengje.
 
Han la seg ned um joleftan
og sterkan svevnen fekk;
vakna ‘kje fyrr um trettandagjen,
då folkje at kjyrkjunn gjekk.
Og det var Olav Åsteson,
som heve sovi so lengje.
 
Han la seg ned um joleftan,
no hev han sovi so lengje,
vakna ‘kje fyrr um trettandagjen,
då fuglanne skoko vengjo.
Og det var Olav Åsteson,
som heve sovi so lengje.
 
Han vakna ‘kje fyrr om trettandagjen,
då soli rann i lie,
då sala han ut fljotan folen,
han vilde at kjyrkjunn rie.
Og det var Olav Åsteson,
som heve sovi so lengje.
 
Presten stende fyr altari
og les upp lestine lange;
Olav sette seg i kjyrkjedynni
og tele draumane mange.
Og det var Olav Åsteson,
som heve sovi so lengje.
 
Gamle menner og unge
dei gjeve atte gaum’e,
med’ han Olav Åsteson
no tele sine draume.
Og det var Olav Åsteson,
som heve sovi so lengje.
 
II.

Eg la meg ned um joleftan
og sterkan svevnen fekk;
vakna ‘kje fyrr um trettandagjen,
då folke at kjyrkjunn gjekk.
Fyr månen skine
og vegjinne falla so vide.
 
Eg hev vori meg upp med sky
og ned med havsens grunne; –
den, som vil mitt fotspor fylgje,
han lær ‘kje av bliom munne.
Fyr månen skine
og vegjinne falla so vide.
 
Eg hev vori meg upp med sky
og ned att på svarte dikje,
eg hev set at heite helviti
og ein deil av himmerikje.
Fyr månen skine
og vegjinne falla so vide.
 
Eg hev fari yver vigde vatne
og yver djupe dalar,
høyrer vatn og ser det inkje,
under jori so mune det fara.
Fyr månen skine
og vegjinne falla so vide.
 
Inkje neggja soten min,
inkje gjøydde min hunde,
inkje gol dei ottefuglann,
det tottest meg vera under.
Fyr månen skine
og vegjinne falla so vide.
 
Fyste eg var i uteksti,
eg fór yver tynnermog;
sunde gjekk mi skarlakskåpe,
og neglan av kvar min fot.
Fyr månen skine
og vegjinne falla so vide.
 
Kjem eg meg at Gjallarbrui,
ho henge so høgt i vinde,
ho er all me gulli slegji
og saum i kvorjum tinde.
Fyr månen skine
og vegjinne falla so vide.
 
Ormen høgg og bikkja bite
og stuten stend mitte på leii;
tri er tingji på Gjallarbrui
og alle er gramme og vreie.
Fyr månen skine
og vegjinne falla so vide.
 
Bikkja bite og ormen stinge
og stuten stend og stangar:
der slepp ingjen yver Gjallarbrui,
som feller domane vrange.
Fyr månen skine
og vegjinne falla so vide.
 
Eg hev gjengji Gjallarbrui,
ho er båe bratt og lei;
vassa so hev eg dei Våsemyran,
no er eg kvitt’e dei.
Fyr månen skine
og vegjinne falla so vide.
 
Va’i so hev eg dei Våsemyran,
der hev ‘kje stai meg grunn;
no hev eg gjengji Gjallarbrui
med rapa moll i munn.
Fyr månen skine
og vegjinne falla so vide.
 
III
 
So kom eg meg at votno dei,
der isanne brunno blå,
men Gud skaut det i hugjen min:
eg vende meg derifrå.
Fyr månen skin’
og vegjinne falla vide.
 
So tek eg på ein vetterstig
alt på mi høgre hand:
Der såg eg meg te paradis,
det lyser yver vene land.
Fyr månen skin’
og vegjinne falla vide.
 
Der såg eg sæle gullmor mi,
meg mune ‘kje betre gange:
«Reis du deg te brokksvalin,
der skal domen stande!»
Fyr månen skin’
og vegjinne falla so vide.
 
IV
 
Eg var meg i aurom heimi
i mange nættar og trå;
det veit Gud i himmerik,
hossi mang’ ei nau eg såg.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
Eg såg meg einom drengjin den –
det fyste eg vart ve: –
liten småsvein bar han» ti fangje
og gjekk i jori te kne.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
So kom eg meg at manni den, –
kåpa den var bly:
hans arme sål i dessi heimi
var trong i dyre ti.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
Kjem eg meg at monno dei,
dei bar på gloandes jor:
Gud nå’e dei fatike sålinne,
som flutte deildir i skog.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
Kjem eg meg at bonno dei,
dei støje so høgt på glo:
Gud nå’e dei synduge sålinne,
dei ha banna burt far og mor.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
Kjem eg meg at syslehuse;
der var trollkjerringan’ inne:
dei sto kjinna i raue bloe,
det var so tung ei vinne.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
Der er heitt i helvite,
heitar hell nokon hyggje.
er hengde dei ‘pivi ein tjyruketil
og brytja ne-i ein styggings ryggje.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
Der kom færi norante
og den rei no so kvast:
fyre rei Grutte Gråskjeggje
alt med sitt store brass.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
Der kom færi norante
det tottest meg vera verst:
fyre rei Grutte Gråskjeggje,
han rei på svartan hest.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
Der kom færi sunnante
og den rei no so tvist:
fyre rei sankte Såle-Mikkjel
næste Jesus Krist.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
Der kom færi sunnante
det tottest meg vera best:
fyre rei sankte Såle- Mikkjel,
han rei på kvitan hest.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
Der kom færi sunnante
den tottest meg vera trå;
fyre rei sankte Såle-Mikkjel,
og luren under armen låg.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
Det var sankte Såle-Mikkjel,
han bles i luren den lange:
Og no skal alle sålinne
fram fyr domen gange.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
Men då skolv alle synde-sålinne
som ospelauv fyr vinde,
og kvar einaste sål der var,
ho gret fyr syndine sine.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
Det var sankte Såle-Mikkjel,
han vog i skålevikt,
so vog han alle synde-sålinne
burt til Jesum Krist.
I brokksvalin
der skal domen stande.
 
V
 
Sæl er den i føisheimen
fatike gjeve sko.
han tar inkje berrføtt gange
på kvasse heklemog.
Tunga talar
og sanning svarar på domedag.
 
Sæl er den i føisheimen
fatike gjeve brau.
Han tar ‘kje ræddast i aurom heimi
fyr horske hundegau.
Tunga talar
og sanning svarar på domedag.
 
Sæl er den i føisheimen
fatike gjeve konn;
han tar ‘kje ræddast på Gjallarbrui
fyr kvasse stutehonn.
Tunga talar
og sanning svarar på domedag.
 
Sæl er den i føisheimen
fatike gjeve klæi;
han tar ‘kje ræddast i aurom heimi
fyr høge kjellar-bræi.
Tunga talar
og sanning svarar på domedag.
 
Gamle mennar og unge,
dei gjeve atte gaum’e:
det var han Olav Åsteson,
no hev han førtålt sine draume.
Statt upp, du Olav Åsteson,
som heve sovi so lengje.

inviata da Riccardo Venturi - 17/7/2024 - 23:46



Lingua: Italiano

Versione italiana / Italiensk versjon / Italian version / Version italienne / Italiankielinen versio:
Riccardo Venturi, 17-7-2024 23:49

Olav Åsteson in viaggio nel Regno dei Morti.. Dipinto di Olaf Willums (1886-1967), 1934.
Olav Åsteson in viaggio nel Regno dei Morti.. Dipinto di Olaf Willums (1886-1967), 1934.
La canzone del sogno

I.

Se mi ascolti, io appieno posso
Cantarti di un bravo giovane,
Cantar tutto di Olav Åsteson,
Che s’è fatto un lungo sonno.
E è stato Olav Åsteson
Che s’è fatto un lungo sonno.

Si stese a dormire la veglia di Natale
E cadde in un sonno possente;
Si risvegliò solo all’Epifania, [1]
Mentre la gente andava in chiesa.
E è stato Olav Åsteson
Che s’è fatto un lungo sonno.

Si stese a dormire la veglia di Natale,
E s’è fatto un lungo sonno,
Si risvegliò solo all’Epifania
Quando gli uccelli sbattevan le ali.
E è stato Olav Åsteson
Che s’è fatto un lungo sonno.

Si risvegliò solo all’Epifania
Quando il sole sorgeva da dietro i monti;
E poi sellò il suo lesto puledro,
Voleva andare in chiesa a cavallo.
E è stato Olav Åsteson
Che s’è fatto un lungo sonno.

Il sacerdote sta in piedi all’altare
E legge lunghe letture;
Olav si siede sul sagrato
E racconta parecchi sogni.
E è stato Olav Åsteson
Che s’è fatto un lungo sonno.

Vecchi e giovani
Gli prestavano attenzione,
Mentre lui, Olav Åsteson,
Ora racconta i suoi sogni.
E è stato Olav Åsteson
Che s’è fatto un lungo sonno.

II.

Mi son steso a dormire la veglia di Natale
E son caduto in un sonno possente;
Mi son svegliato solo all’Epifania,
Mentre la gente andava in chiesa.
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.

Sono stato lassù sulle nuvole
E laggiù in fondo al mare; -
Chi voglia seguir le mie tracce
Non rida più a cuor leggero.
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.

Sono stato lassù sulle nuvole
E laggiù nelle nere paludi;
Ho visto arder l’Inferno
E una parte del Paradiso.
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.

Ho viaggiato su acque benedette
E sopra profonde valli;
Sento l’acqua, ma non la vedo:
Deve scorrer sotto la terra.
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.

Il mio cavallo non nitriva,
Il mio cane non abbaiava,
Gli uccelli all’alba non cinguettavano,
Mi pareva proprio un mistero.
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.

Mentre ero là estasiato
Passai per un letto di spine;
Mi si strappò il rosso mantello
E pure le unghie dei piedi.
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.

Giunsi al ponte sul Gjöll,
Che sta lassù in alto nel vuoto;
E’ tutto tempestato d’oro
E ha uno spuntone a ogni cima.
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.

Il serpente addenta e il cane morde,
E a mezzo ponte ci sta un toro;
Tre cose ci sono sul ponte sul Gjöll,
E tutt’e tre son rabbiose e furenti.
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.

Il cane morde e il serpente addenta
E il toro è là pronto a incornare;
Sul ponte sul Gjöll non passa nessuno
Che abbia condannato ingiustamente.
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.

Io sono passato sul ponte sul Gjöll,
Impervio è; passarci non è bello.
Ho guadato per le paludi di Våse,
Ora me le son lasciate dietro.
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.

Ho guadato per le paludi di Våse
Dove non mi sosteneva il terreno;
Ora ho passato il ponte sul Gjöll
Con in bocca terriccio tombale.
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.
 
III.

Così arrivai a quelle acque
Dove i ghiacci bruciano neri, [2]
Dio me le inculcò nei pensieri;
E quindi mi voltai.
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.

Così, presi un sentiero gelato [3]
Che mi stava sulla destra;
E là vidi il Paradiso,
Terra splendente d’incanto.
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.

Là vidi tra i beati la mia preziosa Madre, [4]
Meglio non mi sarebbe potuta andare:
“Va’ a Brokksvalin, [5]
Là dove si terrà il Giudizio!”
Ché risplende la luna,
E i sentieri si perdon lontano.

IV.

Stetti nell’Altro Mondo
Per molte ed amare notti;
Lo sa solo Iddio de’ cieli
Quanti tormenti io vidi.
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

Vidi un giovane, il primo
Cui mi trovai vicino;
Aveva in collo un ragazzino
E affondava nel fango fino alle ginocchia.
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

M’imbattei in un uomo,
Il suo manto era di piombo:
La sua misera anima in questo mondo
Fu avara in tempi duri.
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

M’imbattei in degli uomini,
Trasportavan terra rovente:
Dio abbia pietà di quelle misere anime
Che spostavan cippi di confine nel bosco. [6]
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

M’imbattei in dei bambini,
Penzolavano in alto sulle fiamme:
Dio abbia pietà di quelle anime peccatrici
Che offesero i propri genitori.
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

Giunsi alla casa distrettuale [7]
E dentro c’eran le streghe:
Avevan le guance insanguinate,
La fatica era pesa e penosa.
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

All’Inferno fa caldo,
Più caldo di quanto si pensi.
C’era appeso un calderone di pece
E spezzavan la schiena a un furfante. [8]
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

Vennero dei viaggiatori da nord
Cavalcando sguaiatamente:
Li precedeva il torvo Barbagrigia [9]
Assieme suo largo codazzo.
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

Vennero dei viaggiatori da nord
E mi parver di tutti i peggiori:
Li precedeva il torvo Barbagrigia
Montato su un cavallo nero.
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

Vennero dei viaggiatori da sud
Cavalcando pacatamente:
Li precedeva San Michele
Con a fianco Gesù Cristo.
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

Vennero dei viaggiatori da sud
E mi parver di tutti i migliori:
Li precedeva San Michele
Montato su un cavallo bianco.
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

Vennero dei viaggiatori da sud,
E mi parvero calmi e tranquilli;
Li precedeva San Michele
Con la tromba sottobraccio.
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

Era San Michele delle Anime,
E suonò a lungo la tromba:
E adesso tutte le anime
Andranno a giudizio.
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

Ma allora tutte le anime peccatrici
Tremaron come foglie di pioppo al vento:
Ed ogni anima che si trovava là
Piangeva per i propri peccati.
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.

San Michele delle Anime
Pesava sui piatti della bilancia;
Pesava tutte le anime peccatrici
E le smistava via a Gesù Cristo.
A Brokksvalin,
Là dove si terrà il Giudizio.
 
V.

Beato chi, in questo mondo, [9]
Ha donato vacche ai poveri.
Non camminerà mai scalzo
Sulla brughiera piena di spine aguzze.
La lingua parlerà, e la Verità
Nel giorno del Giudizio risponderà.

Beato chi, in questo mondo
Ha donato pane ai poveri.
Non avrà di che temere nell’altro mondo,
Quando il cane feroce abbaierà.
La lingua parlerà, e la Verità
Nel giorno del Giudizio risponderà.

Beato chi, in questo mondo
Ha donato grano ai poveri.
Non avrà di che temere sul ponte sul Gjöll,
Dinanzi alle aguzze corna del toro.
La lingua parlerà, e la Verità
Nel giorno del Giudizio risponderà.

Beato chi, in questo mondo
Ha donato vestiti ai poveri.
Non avrà di che temere nell’altro mondo
Dinanzi agli altissimi ghiacciai gelati.
La lingua parlerà, e la Verità
Nel giorno del Giudizio risponderà.

Vecchi e giovani
Prestarono attenzione
A lui, a Olav Åsteson
Che raccontò i suoi sogni.
Àlzati, Olav Åsteson,
Tu che ti sei fatto un gran sonno.

17/7/2024 - 23:50


Ieri sera mentre tu sbaffavi la tua pizza calabrese piccantissima mi chiedevo chi mai potesse essere questo Olav Asteson. Forse il primo re di Norvegia che divenne cattolico? Si chiamava in effetti Olav ed era pure figlio di Aste!! In questo caso si potrebbe (perché no?) pure ipotizzare (non sarebbe certo la prima volta!) un messaggio mimetizzato a convertirsi, diretto all'inconscio del popolino...mah, forse sono solo fantasie...

Flavio Poltronieri - 18/7/2024 - 11:55




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