Il sacco di cemento sulla schiena
pesa quanto la miseria della vita
i ferri tra le braccia di una madre
e il passo si fa rapido alle forge
ma i ferri sono corti
il cemento non fa presa.
Bastassero il lavoro e la fatica
da soli a tenere su quel muro
e intanto metti sassi e ancora sassi
continui a metter sabbia e ancora sabbia
ci vuole malta buona
per tenere su la diga
Gnirà giò ‘l Glen gnirà giò ‘l Glen
Verrà giù il Gleno verrà giù la diga
Ti svegli, è un brutto sogno, piove ancora
ha paura la tua bimba questa notte
non pensare alla minaccia oscura
all’acqua che adesso fa paura
come mille serpenti
che scendono dal muro
L’acqua continua ad uscire
e tu continua a sognare
non devi sapere figlia mia
che questa è una maledizione
è un segno dal cielo
è un segno di Dio
Ol ve giò ‘l Glen ol ve giò ‘l Glen
Viene giù il Gleno viene giù la diga
Il vento arriva all’improvviso
con un tuono sordo e disperato,
galleggia la casa dentro il fiume
Signore è venuta giù la diga
l’acqua scuote le rocce
porta via le case e le persone
Brucia anche l’acqua dentro il fuoco
scende a valle il fiume impazzito
corri forte e non ti voltare
corri forte per non vedere
e sali, sali ancora
per non morire
L’è gnìt giò ‘l Glen l’è gnìt giò ‘l Glen
È venuto giù il Gleno È venuta giù la diga
L’è gnìt giò ‘l Glen l’è gnìt giò ‘l Glen
Signore È venuta giù la diga
pesa quanto la miseria della vita
i ferri tra le braccia di una madre
e il passo si fa rapido alle forge
ma i ferri sono corti
il cemento non fa presa.
Bastassero il lavoro e la fatica
da soli a tenere su quel muro
e intanto metti sassi e ancora sassi
continui a metter sabbia e ancora sabbia
ci vuole malta buona
per tenere su la diga
Gnirà giò ‘l Glen gnirà giò ‘l Glen
Verrà giù il Gleno verrà giù la diga
Ti svegli, è un brutto sogno, piove ancora
ha paura la tua bimba questa notte
non pensare alla minaccia oscura
all’acqua che adesso fa paura
come mille serpenti
che scendono dal muro
L’acqua continua ad uscire
e tu continua a sognare
non devi sapere figlia mia
che questa è una maledizione
è un segno dal cielo
è un segno di Dio
Ol ve giò ‘l Glen ol ve giò ‘l Glen
Viene giù il Gleno viene giù la diga
Il vento arriva all’improvviso
con un tuono sordo e disperato,
galleggia la casa dentro il fiume
Signore è venuta giù la diga
l’acqua scuote le rocce
porta via le case e le persone
Brucia anche l’acqua dentro il fuoco
scende a valle il fiume impazzito
corri forte e non ti voltare
corri forte per non vedere
e sali, sali ancora
per non morire
L’è gnìt giò ‘l Glen l’è gnìt giò ‘l Glen
È venuto giù il Gleno È venuta giù la diga
L’è gnìt giò ‘l Glen l’è gnìt giò ‘l Glen
Signore È venuta giù la diga
envoyé par Dq82 - 21/2/2024 - 10:09
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Feat. Omar Pedrini, Cristina Donà ed Enrico Bollero
"Viene giù il Gleno", la graffiante canzone di Giorgio Cordini per le vittime della tragedia. A cento anni dalla tragedia in Val di Scalve, il musicista, già al fianco di De André, propone un intenso ricordo con lui le voci di Omar Pedrini, Cristina Donà ed Enrico Bollero
«Questa canzone è dedicata alle vittime del crollo della diga del Gleno e a chi non ne conosce la storia». È condensato in una stringata dedica finale il senso di Viene giù il Gleno, il brano con parole e musica di Giorgio Cordini presentato in coincidenza con l’anno che ricorda il Centenario della tragedia della Val di Scalve
Il brano racchiude in poche strofe quanto accadde nel 1923 e dipinge un affresco più che efficace del contesto e delle responsabilità di quella tragedia, grazie alle voci dello stesso Cordini, Omar Pedrini, Cristina Donà ed Enrico Bollero.
La parte strumentale vede protagonisti Giorgio Cordini (chitarre e bouzouki), Max Gabanizza (basso), Alberto Venturini (percussioni, batteria), Davide Albrici (trombone), Andrea Belingheri (cori) e Marta Cordini (cori). A raccontare tutto ci sono l’incipit («…il sacco di cemento sulla schiena pesa quanto la miseria della vita…», oppure il graffiante «…bastassero il lavoro e la fatica, da soli, a tenere su quel muro…»).
La tragedia del Gleno resta una ferita aperta, visibile e palpabile come i ruderi sventrati ancora visitabili in quota. Il senso di quanto accadde quel giorno è tutto nei paragrafi iniziali del libro Il crollo della diga di Pian del Gleno, scritto nel 2007 da Umberto Barbisan.
«All’alba del primo dicembre 1923, Francesco Morzenti era l’unico sorvegliante della diga di Pian del Gleno e il principale testimone della catastrofe, ma il suo resoconto dei fatti, rilasciato alla stampa e agli inquirenti, varia alquanto in relazione a quando e a chi lo dichiarò. In una delle prime versioni, Morzenti raccontò di aver ricevuto una telefonata dalla centrale idroelettrica di Molino di Povo, verso le sette del mattino: l’interlocutore gli ordinò di aumentare la portata dell’acqua inviata alla centrale idroelettrica. Morzenti lasciò la cabina di controllo e si avviò verso la passerella a valle della diga, posta sotto i possenti piloni nella parte centrale della gola. Era buio, piovvigginava ed era già arrivata la prima neve che imbiancava le cime. Mentre azionava il volano per aprire la valvola della saracinesca di scarico, sentì un tonfo, una vibrazione, quasi un piccolo terremoto, caddero sassi. Poi vide una fessurazione allargarsi da uno dei piloni; fuggì, riuscendo a stento a salvarsi».
«Quella tragica mattina, sei milioni di metri cubi di acqua e fango si riversarono dall’enorme fenditura della diga sui villaggi sottostanti, causando 356 vittime accertate ma, probabilmente, i deceduti furono di più; qualcuno scriverà quasi cinquecento. L’ondata fu preannunciata da un violento spostamento d’aria che iniziò l’opera di distruzione, strappando le vesti a chi si trovava all’aperto, seguita dalla massa d’acqua che dopo aver devastato i centri abitati della valle, si esaurì nel lago d’Iseo. L’ondata distrusse Bueggio e sommerse Dezzo, dove si svilupparono rapidi incendi e deflagrazioni nella fornace di ghisa e nella centrale idroelettrica.
Il processo penale, celebratosi fra gennaio 1924 e luglio 1927, condannò il proprietario dell’impianto, l’azienda Viganò, il progettista e direttore dei lavori, l’ingegner Giovan Battista Santangelo, e l’impresa costruttrice ad alcuni anni di reclusione, poi condonati, oltre al risarcimento dei danni ai superstiti da parte della Viganò. Il giudizio dei periti del tribunale fu lapidario: la diga era stata malamente costruita; al giudizio dell’accusa si associò quello popolare in un coro di proteste contro gli impianti idroelettrici».
Si veda anche 1-12-1923 La tragedia del Gleno