Venga m'hijo hoy le he de hablar
de un tema tan cotidiano,
que ni usted ni sus hermanos
se han detenido a pensar
y eso es por costumbre nomás,
por haber nacido aquí,
por venir de una raíz
marginada de hace tiempo
y contemplando en silencio
lo que pasa en el país.
Tal vez nunca meditó
que usted con esas dos manos
asiste a pagos lejanos,
dándole luz y calor,
que también mueve el motor,
que anda el cielo y anda el mar
o autopistas de ciudad
y las comunicaciones,
sin saber por qué razones
nada viene y todo va.
Fíjese en el caño aquel,
es el famoso oleoducto
por donde se van los frutos,
como quien dice a granel.
Le costará comprender
por qué este petróleo nuestro
lo industrializan tan lejos
y el subproducto después
vuelve a su tierra otra vez,
sabe Dios por qué manejos.
Nuestro gas es entubado
en caños de alta presión
que llevan calefacción
para entibiar otros pagos
no se me quede asombrado
si le digo que en el gas van
muchas cositas más,
con variadas propiedades,
que enriquecen otros lares
y empobrecen los de acá.
Y que los parques nacionales
parecieran extranjeros
porque ahí somos forasteros
los nativos y locales
y en sus bosques colosales,
sucede que en ocasiones
se convierten en tizones
los leños que nadie saca
y andan con bosta de vaca,
en los ranchos los fogones.
Y aquellas torres en fila,
sujetando el cablerío,
se llevan de nuestros ríos
lo mejor de la energía,
no es una ocurrencia mía,
ni lo quiero avergonzar,
pero póngase a pensar
que pasaría si nos dieran,
por todo lo que se llevan,
lo justito y nada más.
Seguimos siendo colonia
de la gallina de arriba,
federalismo mentira,
desde que tengo memoria.
Allá se inventa la historia,
aquí se escribe con sangre,
mas vienen de tarde en tarde,
en vísperas de elecciones
a prometer soluciones
que ya no engrupen a nadie.
No hablemos de agua pesada,
regalías minerales,
nada viene, todo sale,
estrujando la ordeñada.
La cuestión està estudiada
para dejarnos de luto,
usando cualquier conducto
se llevan hasta la tierra,
si nuestro sudor sirviera
ya habría un sudoructo.
de un tema tan cotidiano,
que ni usted ni sus hermanos
se han detenido a pensar
y eso es por costumbre nomás,
por haber nacido aquí,
por venir de una raíz
marginada de hace tiempo
y contemplando en silencio
lo que pasa en el país.
Tal vez nunca meditó
que usted con esas dos manos
asiste a pagos lejanos,
dándole luz y calor,
que también mueve el motor,
que anda el cielo y anda el mar
o autopistas de ciudad
y las comunicaciones,
sin saber por qué razones
nada viene y todo va.
Fíjese en el caño aquel,
es el famoso oleoducto
por donde se van los frutos,
como quien dice a granel.
Le costará comprender
por qué este petróleo nuestro
lo industrializan tan lejos
y el subproducto después
vuelve a su tierra otra vez,
sabe Dios por qué manejos.
Nuestro gas es entubado
en caños de alta presión
que llevan calefacción
para entibiar otros pagos
no se me quede asombrado
si le digo que en el gas van
muchas cositas más,
con variadas propiedades,
que enriquecen otros lares
y empobrecen los de acá.
Y que los parques nacionales
parecieran extranjeros
porque ahí somos forasteros
los nativos y locales
y en sus bosques colosales,
sucede que en ocasiones
se convierten en tizones
los leños que nadie saca
y andan con bosta de vaca,
en los ranchos los fogones.
Y aquellas torres en fila,
sujetando el cablerío,
se llevan de nuestros ríos
lo mejor de la energía,
no es una ocurrencia mía,
ni lo quiero avergonzar,
pero póngase a pensar
que pasaría si nos dieran,
por todo lo que se llevan,
lo justito y nada más.
Seguimos siendo colonia
de la gallina de arriba,
federalismo mentira,
desde que tengo memoria.
Allá se inventa la historia,
aquí se escribe con sangre,
mas vienen de tarde en tarde,
en vísperas de elecciones
a prometer soluciones
que ya no engrupen a nadie.
No hablemos de agua pesada,
regalías minerales,
nada viene, todo sale,
estrujando la ordeñada.
La cuestión està estudiada
para dejarnos de luto,
usando cualquier conducto
se llevan hasta la tierra,
si nuestro sudor sirviera
ya habría un sudoructo.
inviata da Marcia Rosati - 2/10/2007 - 18:16
NOTA
"Y que los parques nacionales
parecieran extranjeros
porque ahí somos forasteros
los nativos y locales"
si riferisce al fatto che i prezzi sono molto alti, stabiliti in base al turismo, e visitare i parchi nazionali, il Ghiacciao Perito Moreno o fare un viaggio in Patagonia è un lusso che solo i turisti possono permettersi...e questa era la situazione anche prima del 2001 quando la nostra moneta era legata al dollaro e c'era la parità del 1 a 1. Costava molto di meno andare in Brasile o gli Stati Uniti che visitare il sud del nostro paese...figuriamoci ora, dopo la svalutazione (svalutazione solo per quanto riguarda gli stipendi perchè il resto è come se costasse in dollari!).
"Y que los parques nacionales
parecieran extranjeros
porque ahí somos forasteros
los nativos y locales"
si riferisce al fatto che i prezzi sono molto alti, stabiliti in base al turismo, e visitare i parchi nazionali, il Ghiacciao Perito Moreno o fare un viaggio in Patagonia è un lusso che solo i turisti possono permettersi...e questa era la situazione anche prima del 2001 quando la nostra moneta era legata al dollaro e c'era la parità del 1 a 1. Costava molto di meno andare in Brasile o gli Stati Uniti che visitare il sud del nostro paese...figuriamoci ora, dopo la svalutazione (svalutazione solo per quanto riguarda gli stipendi perchè il resto è come se costasse in dollari!).
Marcia Rosati - 3/10/2007 - 16:03
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Musica di León Gieco
Dopo che León Gieco creò una versione baguala-heavy, la sua opera, "El embudo", fu conosciuta in tutta America.
Baguala significa "selvaggio" in lingua quechua. E' un genere di canto del Nord dell'Argentina che poi si diffuse in tutto il paese. La melodia è costruita su scala trifonica (le note dell'accordo perfetto maggiore o minore). Si accompagna con la "caja" oppurre battendo sulla chitarra.
La caja è uno strumento diffuso in tutta l'America latina, fabbricato con un tronco d'albero svuotato o con mezza zucca, poi ricoperta alle estremità da pelle di pecora, capra o struzzo. Una mano batte la pelle nella parte superiore mentre l'altra batte la parte inferiore con una bacchetta la cui estremità è ricoperta di cuoio.
La baguala è il ritmo del lamento triste del "indio". E' un ritmo molto marcato e uniforme, accompagnato da uno strumento di percussione, la caja, e integra un rituale sacro della cultura andina.
La canzone parla dell'indifferenza argentina ai danni di una cultura dimenticata, quella patagonica dei popoli primitivi, dello sfruttamento del territorio da parte delle multinazionali che dopo le varie privatizzazioni usufruiscono del petrolio, del gas, e della corrente elettrica e di come nulla sia cambiato dai tempi della colonizzazione.
Marcia Rosati
(tratto da www.globalproject.info)
"Il popolo Mapuche da millenni abita nelle zone geografiche della Patagonia argentina e dell'Araucania cilena. Il popolo Mapuche si è sempre organizzato basandosi sull'osservazione della natura: così decisero i nostri antenati le norme di convivenza collettiva."
E' un popolo che acestralmente ha vissuto e praticato la diversità culturale internamente; tutt'oggi gli spazi territoriali sono considerati identità territoriale, non è un popolo uniformato ma valorizza e pratica politicamente una diversità territoriale interna. Ci sono moltissime identità territoriali che formano il popolo Mapuche: i Pehuelche, i Lafquenche, i Puehlche, i Huluche, sono alcuni esempi.
Oggi stiamo cercando di recuperare i nostri spazi ancestrali ma anche di recuperare la nostra storia, i nostri principi culturali che sono stati nascosti e oggi sono fonte d'ispirazione per questa lotta che continua da più di cincuecento anni.
Come vive oggi il popolo Mapuche?
Sono più di un milione e quattrocentomila i MAPUCHE che oggi vivono in Argentina e in Cile; vogliamo sottolineare che non ci consideriamo argentini nè cileni: gli stati sono prodotto dell'invasione territoriale ed oggi la coscienza di appartenere ad un solo popolo sta emergendo nuovamente.
Possiamo definire la realtà che siamo costretti a vivere come la "terza invasione" del nostro spazio territoriale. La prima fu il tentativo non riuscito della Corona Spagnola di sottometterci: è una storia che non appare nei testi ufficiali, ma i nostri huepifes (storici Mapuche)l'hanno conservata raccontando che per più di tre secoli il popolo Mapuche ha potuto resistere proprio grazie a questa organizzazione orizzontale e molto efficace quando si tratta di resistere.
Una profezia dei nostri padri dice che sarebbero stati gli spagnoli o i winka (termine che definisce tutti coloro che non sono Mapuche) nati in territorio Mapuche che alla fine sarebbero purtroppo riusciti ad assimilare il territorio mapuche; questo avvenne nel momento della formazione degli stati, sia quello argentino che quello cileno che negarono i diritti territoriali del popolo Mapuche.
Nonostante tutto ciò oggi il nostro popolo sta vivendo una fase di riorganizzazione, minacciata però dalla terza invasione spinta in questo caso dalle multinazionali o dalle transnazionali. In questo contesto di violenza e resistenza nutriamo la nostra lotta dei nostri stessi principi culturali che formano il kimon (conoscenza), senza rifarci ad ideologie straniere per continuare ad essere quello che eravamo e che vogliamo essere, un popolo libero.
Attualmente la maggioranza del popolo Mapuche è inserito nei settori più emarginati delle città presenti nel territorio della Patagonia come Santiago del Cile o Neuquén in Argentina. Ma siamo presenti in misura minore nelle zone rurali anche se si sta manifestando in maniera sempre più forte la necessità di ritornare ai nostri territori ancestrali che sono il contesto più adeguato a ricreare la nostra cultura.
Per molti anni il governo negò l'esistenza sul territorio argentino dei popoli indigeni; l'Argentina era l'unico stato latinoamericano che si vantava di non avere popoli indigeni al suo interno.
Nel processo di ricostruzione in atto, quali sono le principali richieste ed il progetto politico del popolo Mapuche?
Le richieste politiche emergono insieme ai conflitti, che di solito sono legati alla terra. Questa realtà ci dà la possibilità di rivendicare un progetto che coinvolge tutti gli aspetti della nostra vita.
Nei confronti degli stati cileni ed argentini chiediamo il riconoscimento di diritti collettivi in quanto popolo. A volte paragrafi o articoli nelle leggi o nelle costituzioni riconoscono in parte questi diritti però generalmente gli stati continuano a negare. Nonostante ciò il popolo Mapuche esercita il suo diritto all'autodeterminazione e al recupero delle proprie intituzioni; in lungo e in largo del territorio Mapuche si stanno recuperando gli spazi tradizionali di rappresentanza, i parlamenti o assemblee generali attraverso i quali si organizzavano i nostri avi.
In questo modo si ricreano spazi di discussione e di elaborazione di idee in tutti gli aspetti, tanto nella resistenza economica come nel dibattito su come continuare a ricreare la nostra cultura.
Questo risulta particolarmente difficile in quanto in Argentina e Cile la cultura dominante è quella occidentale e si devono affrontare grandi limitazioni per conservare il nostro modo di vivere. Ad esempio, per quanto riguarda l'educazione abbiamo una grande responsabilità nei confronti delle generazioni future che dovranno conservare le conoscenze del nostro popolo.
Ci sono altre lotte delle popolazioni indigene in Argentina?
L'emergere delle popolazioni indigene, con le loro richieste specifiche, è un fenomeno che smaschera la politica dello stato argentino, il quale fino a poco tempo fa si vantava di essere l'Europa d'America; arrivando a Buenos Aires la prima impressione era quella di stare in una città europea.
Ma non poterono nascondere per molto tempo unan reltà, quella dei popoli indigeni che con molta convinzione porta avanti la sua lotta.
Purtroppo oggi alcune popolazioni native sono completamente scomparse, ma nonostante questo l'emergere del popolo Mapuche è analogo a quello di altre culture come gli Hueché, i Toa, i Guaraní e molti altri.
Questo sta causando una grande preoccupazione al governo argentino; non una preoccupazione per come rispondere alle nostre richieste, quanto per continuare a nascondere, reprimere la volontà dei popoli originari di esercitare i propri diritti in piena libertà.
In qualche modo il governo riconosce i diritti specifici dei popoli indigeni?
Ci sono alcuni miglioramenti rispetto ai diritti riconosciuti dai trattati internazionali. Però questi cambiamenti si avvicinano timidamente alle richieste che giorni dopo giorno diventano sempre più grandi. Queste dichiarazioni rappresentano un "maquillage" verso l'esterno per i tre poteri dello stato (legislativo, esecutivo e giudiziario) che nulla fanno per rendere questi cambiamenti effettivi ed incisivi.
L'Argentina aderisce ai trattati internazionali come il Trattato 169 dell'ILO e nella Costituzione riconosce la pre-esistenza dei popoli originari prima della formazione degli stati, ma al momento di risolvere i problemi che emergono di fronte alla giustizia questi diritti sono ignorati.
Da circa 15 o 20 anni i popoli originari si stanno battendo perchè i loro diritti vengano riconosciuti dagli organismi internazionali. L'organismo che più si interessato di questi temi è l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, in spagnolo OIT) che dipende dalle Nazioni Unite che formulò due trattati sui popoli indigeni e tribali: il Trattato 107 ed il Trattato 169.
Il primo risale agli anni '50; nel 1979 venne riconosciuto obsoleto e per questo entrò in vigore il Trattato 169 che lo completa, lo amplia e lo migliora.
Il Trattato 169 è riconosciuto universalmente come la più avanzata legislazione sul diritto al territorio, all'accesso e allo sfruttamento delle risorse che si trovano nei territori dove vivono i popoli indigeni.
Questo è il più importante strumento vigente a livello internazionale; ci sono dei progetti come la Dichiarazione Americana dei Diritti dei Popoli Originari, promossa dall'Organizzazione degli Stati Americani che rappresenta un progresso maggiore rispetto al Trattato 169, e come la Dichiarazione Mondiale dei Popoli Originari, sempre nell'ONU, la cui redazione presenta molti problemi dovuti alla difficoltà di redigere una dichiarazione mondiale dove si trovino rivendicazioni diverse come quelle dei popoli africani, europei (ad esempio del popolo basco) e del resto del mondo.
Per quanto riguarda la Dichiarazione Americana dei Diritti dei Popoli Originari solo manca la definizione di due norme che avranno un peso politico molto importante: si riferiscono all'autonomia ma proprio l'acceso dibattito su questo concetto impedisce che si stabilisca un accordo.
Dal 1991 l'Argentina ha ratificato il Trattato 169 che in questo modo è entrato a far parte della legge nazionale (all'interno del sistema giuridico di un paese prima per importanza è la Costituzione, poi i Trattati Internazionali di minor importanza rsipetto a questi sono le leggi nazionali).
Nelle 24 provincie che compongono il territorio argentino ci sono varie leggi che riconoscono la pre-esistenza dei popoli originari. Questa è riconosciuta da pochi paesi in America Latina, tra cui il Brasile la cui normativa costituzionale in materia indigena è molto avanzata, e l'Argentina che nella sua Costituzione include anche sei o sette diritti fondamentali che sono tratti dal Trattato 169.
La Costituzione della Provincia di Chubut, dove viviamo noi, da dieci anni riconosce non la pre-esistenza quanto l'esistenza dei popoli originari, ed altri leggi provinciali ma il problema è che le leggi non vengono rispettate.
La legge non si applica perchè non c'è un consenso sociale sufficiente, ma soprattutto perchè la popolazione che visse negli ultimi 100 anni in Patagonia e nel resto del paese, frutto dell'immigrazione europea degli anni 1880-90, è quella che compone oggi la classe media argentina e che definisce il pensiero dominante. L'Argentina è un paese che ebbe una crescita forzata attraverso l'immigrazione; fu un'immigrazione bianca ed occidentale che portò con sè un modello culturale anch'esso bianco e occidentale che possiamo, con alcune distinzioni, paragonare a quello degli Stati Uniti e del Canada. Questi sono i due paesi che, assieme all'Argentina, più rappresentano l'etnocentrismo occidentale.
Questi gruppi umani, politici, ideologici, che ora sono molto radicati nel potere, nelle istituzioni, nel mondo impresariale e nella Chiesa mantengono i propri privilegi attraverso questo etnocentrismo: perciò è molto difficile introdurre l'interculturalità, lo sguardo diffidente dell'altro soprattutto nell'ambito educativo, e in quello giuridico fa sì che nella convivenza sociale ci si trovi di fronte ad una discriminazione permanente.
Ma chi comanda oggi nelle terre del popolo Mapuche?
Il processo di invasione dei nostri spazi territoriali si sviluppò in diverse circostanze.
Da un lato la conquista da parte della Corona Spagnola, che giustificava l'usurpazione del territorio ed il suo "imbiancamento". Ci fu una grande guerra durante la quale il popolo Mapuche resistette lottando anche si migliaia di persone morirono in Patagonia. Si tratta della conquista del territorio da parte degli stati nazionali che è una ferita molto recente: all'inizio del secolo in Argentina ed in Cile c'erano ancora comunità che resistevano.
Ai sopravvissuti di questa guerra venne elargito il diritto di vivere in alcuni spazi definiti e molto ridotti, che vennero chiamati colonie o riserve.
A nessuno vennero riconosciuti i diritti e furono considerati solo "occupanti".
Nella Patagonia argentina si dava un "permesso di occupazione precario" che non garantiva assolutamente i diritti delle persone che vi vivevano. A partire del 1940 in poi ebbe così l'inizio di un processo di esproprio e sgombero degli spazi che avrebbero dovuto accogliere i sopravvissuti alle campagne di conquista.
Gli sgomberi, che continuarono fino ai nostri giorni, avvennero attraverso azioni concertate tra latifondisti, i rappresentanti della "giustizia" dello stato e le forze dell'ordine.
Attualmente quasi tutti i conflitti nei quali sono coinvolte persone che appartengono al popolo Mapuche finiscono con una causa penale per occupazione, mentre la terra è considerata di leggitima proprietà di qualunque straniero presenti titoli di proprietà. Questa è la conseguenza di questo processo storico durante il quale la terra venne usurpata, prima mediante la forza e poi attraverso la politica.
Oggi sono pochissime le comunità alle quali è riconosciuta la proprietà comunitaria delle terre, la maggior parte delle comunità Mapuche vive in territori considerati "fiscali" dallo stato nei quali i singoli abitanti posseggono un documento, di poco valore, che è il "permesso precario di occupazione".
Sostanzialmente coloro che detengono la proprietà della terra sono gli immigrati, gli stranieri che hanno comperato grandi estensioni di terra mentre il nostro popolo non conta con nessun riconoscimento della proprietà e tanto meno del diritto all'autodeterminazione nei suoi spazi territoriali.
Quando lo stato argentino avanza sul territorio della Patagonia il popolo Mapuche-Tehuelche (il nome delle comunità Mapuche che vivono in territorio argentino) contava con una propria organizzazione di governo che non permetteva a chiunque l'accesso al territorio. Per questo verso il 1880 lo stato nazionale lancia la campagna militare, la cosiddetta Campagna del Deserto, condotta dal generale Roca per acquistare la sovranità sul territorio.
Lo stato scatenò una sanguinosa guerra che si concluse con il grande genocidio delle popolazioni originarie e premiò i soldati che parteciparono nella campagna assegnando loro degli appezzamenti di terreno nella zona, mentre promulgò delle leggi particolari volte a promuovere l'immigrazione europea sul resto del territorio.
La Costituzione del 1870 riconosce più diritti agli immigranti europei che agli abitanti nativi che quasi non vengono menzionati; l'unico riferimento è per dichiarare che lo stato si impegnerà per convertire i popoli originari al cattolicesimo.
La legislazione che devolveva la terra ai militari ed ai soldati tentava di impedire la concentrazione nelle mani di una sola persona, fisica o giuridica, della terra, però, come la maggior parte delle leggi, questa non venne rispettata. Perciò enormi estensioni di terra vennero assegnate a singole persone o a singole imprese, che nella maggioranza erano imprese inglesi dal momento che lo stato argentino aveva forti vincoli con l'Inghilterra.
Questo paese mise probabilmente a disposizione le armi e finanziò la Campagna del Deserto, e venne ripagato con enormi estensioni di terra.
Una di queste compagnie britanniche è la Compagnia di Terre del Sud Argentino (Compania de Tierras del Sur Argentino, il cui nome originale era Argentine Southern Land's Company Coorporation) i cui azionisti erano inglesi anche se assolutamente anonimi.
Nel 1896 lo stato argentino attraverso una donazione di un presidente, José Evaristo Uriburu, assegna 900.000 ettari, sotto forma di dieci proprietà di 90.000 ettari a dieci cittadini inglesi che poi le trasferiscono uno ad uno al rappresentante di questa compagnia fondata in Inghilterra nel 1889.
Nel 1991, la Compagnia di Terre del Sud Argentino viene acquistata da Benetton entrando così a far parte dell'impero della United Colors.
Benetton arriva in Patagonia portando con sè la sua ideologia commerciale ed inizia a estendersi in questa enorme proprietà che comprende tre provincie (Chubut, Río Negro e Neuquén). Si estende anche con altre attività, come ad esempio le miniere che possiede o il museo che pretende di raccontare, sempre da un suo punto di vista, la storia delle culture patagoniche.
Tutte le famiglie Mapuche che vivono nella zona contano con almeno una persona che ha lavorato nell'epoca degli inglesi, un'epoca molto dura caratterizzata dallo sfruttamento.
Ma dal 1991, quando Benetton comprò la proprietà iniziò ad attuare una politica di sfruttamento molto più pesante di quella già vissuta.
Nella proprietà di Benetton il 95 % dei braccianti sono Mapuche che lavorano temporaneamente o vivono all'interno della stessa proprietà.
Le condizioni di lavoro sono durissime, i braccianti lavorano per moltissime ore e denunciano la privazione di diritti fondamentali come la possibilità di allevare vicino alle proprie case animali da cortile (galline, polli) o di coltivare un'orto per la propria sussistenza. Si tratta di attività legate alla cultura del popolo Mapuche, come avere un recinto per i cavalli (in Patagonia il cavallo è "lo strumento base" per tutte le attività).
Fino a poco tempo fa si negava che la terra appartenesse al gruppo Benetton, mentre ci si riferiva ai proprietari come a dei generici "italiani" (questo ovviamente per stornare le responsabilità attribuite alla multinazionale trevigiana).
Come utilizza questo territorio la multinazionale Benetton?
Ci sono enormi estensioni di terra che sono recintate, senza bestiame; ricordiamo che all'interno dei 900.000 ettari di proprietà si trovano fiumi, laghi, montagne, vallate e strade, sentieri ancestrali che il popolo Mapuche ha sempre utilizzato per recarsi da una comunità all'altra: oggi tutto questo è delimitato da recenzioni di filo spinato che non si possono oltrepassare, mentre nei fiumi e i laghi è vietata la pesca...Si sta investendo molto nel controllo della proprietà con l'impiego di guardie private e della stessa polizia.
Questa situazione di controllo permanente impedisce ai Mapuche di esercitare la caccia con lo scopo di procurarsi il cibo.
Attilio e Rosa Curiñanco nell'aprile del 2003 decisero di riappropiarsi di una parte della grande propietà di Benetton; quali erano i loro progetti per l'appezzamento di Santa Rosa?
Benetton dice che la terra è sua ma noi su questo abbiamo molti dubbi...Io sono nato e cresciuto su quella terra, dove ho trascorso la mia infanzia liberamente. La terra è separata da una strada da quella che sarebbe la proprietà di Benetton: dunque in primo luogo quando Benetton ci accusa di aver occupato la sua terra noi possiamo affermare di non averne occupato una parte centrale, né la proprietà; d'altro canto noi abbiamo agito con il massimo rispetto, nonostante siamo i padroni legittimi del luogo. Abbiamo avviato le nostre pratiche preventivamente per non commettere un errore o per non sorprendere nessuno. Però furono i Benetton a sorprenderci: non ebbero nemmeno la gentilezza di avvicinarsi e provare a dialogare con noi, che come Mapuche o come indigeni meritiamo di avere una possibiltà di dialogo come qualunque essere umano.
Noi ci siamo stabiliti nell'appezzamento con l'intenzione di viverci, abbiamo comperato del bestiame e seminato la terra perchè tutta la famiglia vi potesse lavorare autonomamente come facevano i nostri padri; volevamo ritornare nella terra in cui sono seppelliti i nostri nonni e nelle vicinanze si trova il cimitero dove riposano i nostri antenati.
Il Premio Nobel Adolfo Perez Esquivel cercò di mediare nel conflitto chiedendo a Luciano Benetton di devolvere 2.500 ettari della sua terra ai Mapuche. Ma Benetton diede una risposta che non rispettava in nessun modo i diritti del popolo originario.
"Noi non abbiamo richiesto l'intervento i Perez Esquivel, quando lui ci espresse la sua idea, in occasione di un incontro pubblico, noi gli rispondemmo che il popolo Mapuche non era un popolo improvvisato e che c'era bisogno di discutere insieme su quale forma di solidarietà noi avremmo preferito che lui apportasse.
Da questo scambio di lettere ne uscì un'offerta che ha stupito molta gente, fuorchè noi che già sappiamo si tratti solamente di un tentativo di Luciano Benetton di salvare la sua immagine; è una offerta che noi non possiamo né rifiutare né accettare poichè non è indirizzata al popolo Mapuche ma al SERPAJ, l'organizzazione guidata da Perez Esquivel.
In secondo luogo l'offerta rimase molto ambigua perchè non venne specificato dove si sarebbero trovati questi 2.500 ettari "regalati" al popolo Mapuche: se nella provincia di Chubut, in quella di Río Negro o di Neuquén, tradendo così l'impronta filantropica orginaria.
Per quanto riguarda il prolblema contingente si riferisce ell'appezzamento di santa Rosa, di 535 ettari, a causa del quale Benetton intentò contro di noi una causa penale della quale ci sentiamo ora molto feriti materialmente e moralmente. Noi siamo venuti in Italia per negoziare sul predio Santa Rosa, su questa specifica proprietà, e così erano gli accordi con Perez Esquivel: ma arrivando qui i termini del dialogo sono cambiati..."
Il reclamo della famiglia Curiñanco-Nahuelquir è sempre stato ritornare al luogo dove hanno lavorato, con il quale hanno stabilito un legame affettivo lavorandone la terra: si tratta infatti di un luogo che non era mai stato coltivato e utilizzato dall'uomo.
Era un luogo vergine che loro hanno reso produttivo: per questo ne sollecitano la restituzione così come la riparazione dei danni morali e materiali sofferti a seguito dello sgombero violento di cui furono vittime.
"Ci sono in tutto il territorio Mapuche molte esperienze di recupero di terreni inutilizzati, che spessissimo ci costringono a dover sostenere delle cause penali.
Benetton ha la capacità di comperare tutti i mezzi di comunicazione: perfino nel risvolto di copertina di una copia della rivista Latinoamerica diretta da Gianni Minà, mediatore insieme a Perez Esquivel nel dialogo tra Benetton ed i Mapuche, abbiamo trovato una publicità di United Colors.
Ma d'altro canto il popolo Mapuche ci rafforza e via via attraverso la solidarietà l'esercizio pieno dei nostri diritti come popolo si rende visibile.
La volontà di ritornare alla loro terra della famiglia Curiñanco-Nahuelquir è una storia che si sta scrivendo in quest'istante, una storia che mostra la prepotenza del potere e lo schieramento del suo impero economico.
Benetton vorrebbe comprare tutto attraverso il denaro: ma la dignità del popolo Mapuche non ha prezzo.
Durante il nostro dialogo apparve chiaro che le nostre convinzioni sono ferme; lui diede la sua parola d'onore ma anche la nostra è parola d'onore e non cambieremo idea."
Come continuerà la nostra lotta per la terra?
Continueremo a lottare perchè abbiamo preso un impegno con questa terra dove abbiamo depositato tutte le nostre speranze di poter lavorare liberamente, degnamente, senza dipendere dal governo argentino per una cassa di viveri o per 150 pesos al mese, che è come lo stato mantiene dipendenti i nostri fratelli Mapuche.
La nostra lotta continuerà perchè oltre alla questione di Santa Rosa ci sono altri problemi. Nelle vicinanze vivono altre sette famiglie che rischiano di essere sgomberate; siamo riusciti a bloccare lo sgombero ma il pericolo rimane, la polizia, sotto ordini di Benetton, continua a minacciare ed infastidire queste famiglie.
Sono molti i crimini che Benetton sta commettendo in Patagonia e che la popolazione italiana sicuramente non conosce.
Siamo convinti che la storia si possa cambiare, forse non abbiamo i mezzi che ha Benetton ma abbiamo la nostra volontà.