Μας την στείλανε οι ξένοι φίλοι που μας αγαπούν
και δεν παύουνε με κάθε τρόπο να μας βοηθούν.
Μηχανές και εφευρέσεις για συλλήψεις και εκτελέσεις.
Κάνεις πρώτα το σταυρό σου, γονατίζεις στο σκαμνί,
βάζεις δώθε το λαιμό σου λευτερώνουν το σκοινί
και ώσπου να πεις πιπέρι το κεφάλι στο πανέρι.
Κόψανε πολλούς στη Μάνη και στου Βάλτου τα χωριά,
φωνακλάδες καπετάνιους πειναλέα κλεφτουριά,
μερδικό το σκυλολόι γύρευε απ' το αφεντολόι.
Και ξεχνάμε πως εκείνοι που 'ρθαν από τη Φραγκιά,
που 'ρθαν από το Φανάρι κι από τη Μολδοβλαχιά
και φοράνε ρεντικότες τρώνε πετεινούς και κότες.
ʼκου, βλέπε, σώπα, μάθε όποιος θέλει τα πολλά
χάνει ο δόλιος και τα λίγα που δεν τα 'βρισκε καλά.
Στο καμάρι το παιδί σου τέτοια να 'ναι η συμβουλή σου.
Τώρα πάνε για τ' Ανάπλι και για την Τροπολιτσά,
όπου βγήκανε αντάρτες και το ρίξαν στην κλεψιά.
Ζήτω η Ελευθερία. Ζήτω η Ελευθεριά.
και δεν παύουνε με κάθε τρόπο να μας βοηθούν.
Μηχανές και εφευρέσεις για συλλήψεις και εκτελέσεις.
Κάνεις πρώτα το σταυρό σου, γονατίζεις στο σκαμνί,
βάζεις δώθε το λαιμό σου λευτερώνουν το σκοινί
και ώσπου να πεις πιπέρι το κεφάλι στο πανέρι.
Κόψανε πολλούς στη Μάνη και στου Βάλτου τα χωριά,
φωνακλάδες καπετάνιους πειναλέα κλεφτουριά,
μερδικό το σκυλολόι γύρευε απ' το αφεντολόι.
Και ξεχνάμε πως εκείνοι που 'ρθαν από τη Φραγκιά,
που 'ρθαν από το Φανάρι κι από τη Μολδοβλαχιά
και φοράνε ρεντικότες τρώνε πετεινούς και κότες.
ʼκου, βλέπε, σώπα, μάθε όποιος θέλει τα πολλά
χάνει ο δόλιος και τα λίγα που δεν τα 'βρισκε καλά.
Στο καμάρι το παιδί σου τέτοια να 'ναι η συμβουλή σου.
Τώρα πάνε για τ' Ανάπλι και για την Τροπολιτσά,
όπου βγήκανε αντάρτες και το ρίξαν στην κλεψιά.
Ζήτω η Ελευθερία. Ζήτω η Ελευθεριά.
envoyé par Riccardo Venturi - 18/9/2007 - 20:11
Langue: italien
LA CANZONE DELLA GHIGLIOTTINA
Ce l'hanno mandata i fratelli stranieri che ci amano
e che non la smettono mai di aiutarci in ogni modo.
Macchine e invenzioni per catture e esecuzioni.
Prima ti fai il segno della croce, poi ti metti in ginocchio,
infili il collo da una parte e sciolgono la corda
neanche ce la fai a dire "bah" che la tua testa è già nel paniere. [1]
Ne hanno tagliate tante alla Maina [2] e nei paesi del Valtos, [3]
comandanti che urlavano, clefti [4] affamati,
la marmaglia ne chiedeva un pezzetto alla nobilaglia.
E ci scordiamo che quelli venuti da terre straniere, [5]
venuti dal Fanàr [6] o dalla Romania [7]
portano le redingote e mangiano galli e galline.
Ascolta, guarda, taci, impara chi è che vuole il molto
mentre il povero perde anche il poco che non ha trovato.
Sii orgoglioso di tuo figlio, sia questo il tuo pensiero.
Ora vanno a Anapli [8] e a Tripolitsà [9]
dove son diventati partigiani e si son dati alla razzia.
Viva la Libertà! Viva la Libertà!
Ce l'hanno mandata i fratelli stranieri che ci amano
e che non la smettono mai di aiutarci in ogni modo.
Macchine e invenzioni per catture e esecuzioni.
Prima ti fai il segno della croce, poi ti metti in ginocchio,
infili il collo da una parte e sciolgono la corda
neanche ce la fai a dire "bah" che la tua testa è già nel paniere. [1]
Ne hanno tagliate tante alla Maina [2] e nei paesi del Valtos, [3]
comandanti che urlavano, clefti [4] affamati,
la marmaglia ne chiedeva un pezzetto alla nobilaglia.
E ci scordiamo che quelli venuti da terre straniere, [5]
venuti dal Fanàr [6] o dalla Romania [7]
portano le redingote e mangiano galli e galline.
Ascolta, guarda, taci, impara chi è che vuole il molto
mentre il povero perde anche il poco che non ha trovato.
Sii orgoglioso di tuo figlio, sia questo il tuo pensiero.
Ora vanno a Anapli [8] e a Tripolitsà [9]
dove son diventati partigiani e si son dati alla razzia.
Viva la Libertà! Viva la Libertà!
NOTE alla traduzione
[1] Nel modo di dire greco non ce la fai a dire “peperone” (πιπέρι). Sicuramente più espressivo del nostro “bah” o roba del genere.
[2] La Maina (Μάνη) è detta il “dito medio del Peloponneso”: tra le tre penisole del Peloponneso meridionale, è infatti quella centrale. Inizia a sud della città di Kalamata e termina col famoso Capo Matapan (o capo Tenaro), al largo del quale si svolse durante la II Guerra mondiale una battaglia che vide, il 28 e 29 marzo 1942, una rovinosa sconfitta della Marina Italiana. La penisola della Maina è un luogo impervio: è infatti attraversata dalla catena montuosa del Taigeto, che raggiunge il 2400 metri di altezza. Durante la sua lunghissima storia (una sua località, Kardamili, è citata nell’Iliade) la Maina, per la sua assoluta impraticabilità, è stata una specie di Tortuga del Mediterraneo: rifugio di fuggiaschi di ogni genere e, soprattutto, di pirati. Un’altra conseguenza della sua particolare conformazione geografica, è che la Maina è stata caratterizzata, nel corso della sua storia, dall'autonomia rispetto alle potenze vicine e da peculiari forme di cultura. Il cristianesimo, per esempio, vi giunse tardi rispetto al resto del Peloponneso, mettendovi radici soltanto nel IX secolo, sebbene esistessero già in precedenza alcune chiese in luoghi fortificati. Dal IX secolo vi furono eretti numerosi luoghi di culto, che ancora oggi al loro interno mostrano splendidi affreschi dell'epoca. A nessuna delle potenze occupanti riuscì, nel corso dei secoli, di sottomettere i manioti: essi rimasero sempre liberi, selvaggi, imprevedibili ed in perenne lite fra di loro, della cui cosa sono anche espressione le numerose alte torri, con funzioni ad un tempo abitative e difensive. Faide familiari durate generazioni segnarono la loro impronta sui manioti: fu proprio da questa regione che ebbe gli inizi il movimento di liberazione dei greci dal giogo ottomano che durava da quattro secoli.
[3] Il Valtos (letteralmente: “palude, acquitrinio”) è una zona della regione (nomos) dell’Etolia-Acarnania, nella Grecia occidentale, immediatamente sopra il Peloponneso (al quale è unita adesso da un ponte). Il capoluogo attuale dell’Etolia-Acarnania è una città importante nella storia dell’indipendenza greca: Missolungi (dove morì, tra gli altri, il poeta inglese Byron venuto a combattere per la causa ellenica). Nel Valtos, e nell’adiacente Xiromeri (Ξηρομέρι), nel periodo della Turcocrazia si trovavano basi e approdi dei clefti (v. nota 4) e degli armatoli. Gli armatoli (αρματωλοί) erano una milizia irregolare greca, mantenuta dall’impero ottomano e composta da greci cristiani: lo scopo era quello di rafforzare l’autorità del Sultano in distretti amministrativi chiamati armatolikia (αρματωλίκια), dalla denominazione turca armatolıcı. Questi distretti furono creati in aree affette da alti livelli di brigantaggio, in particolare in quelle dove operavano i clefti; abbastanza presto, però, tra armatoli e briganti si stabilì una sorta di complicità in funzione anti-ottomana. Già nel 1739, gli armatoli cominciarono ad essere perseguitati dalla Sublime Porta. Sebbene alcune bande armatoliche fossero state riconosciute dall’Impero Ottomano, e fosse stato loro affidato il compito di riscuotere i tributi negli armatolikia di loro competenza, la loro vocazione anti-ottomana non venne meno. Nel 1821, nella guerra di Indipendenza, li ritroviamo a fianco dei clefti, nella lotta per l’indipendenza.
[4] I clefti –singolare: clefta (κλέφτες / κλέφτης)- erano i briganti della Grecia moderna: il loro nome, dal classico κλέπτης (cfr. “cleptomania”), significa infatti semplicemente “ladro, bandito”. In generale si trattava di montanari greci (e le montagne, in Grecia, non mancano...) che si armavano dopo essersi ritirati nelle zone interne, assai impervie, per sfuggire all’oppressione ottomana. Questo cominciò ad avvenire già nel XV secolo. Il brigantaggio anti-ottomano dei clefti, che costituisce non soltanto la storia, ma anche la leggenda dell’indipendenza greca, continuò fino al XIX secolo. Si può dire che la Grecia interna, con le sue montagne inaccessibili, non cadde mai veramente sotto il dominio turco. Nel 1821, assieme agli armatoli, i clefti formarono il nucleo originario delle forze di combattimento elleniche, e svolsero un ruolo decisivo nella guerra. Yannis Makriyannis definì i clefti e gli armatoli il “lievito della libertà”. I clefti sono importanti anche nella canzone popolare greca: come è lecito attendersi, in un ambiente del genere fiorivano canzoni e ballate di ogni genere. Le canzoni cleftiche (κλεφτικά τραγούδια) sono una componente imprescindibile della tradizione popolare greca, e particolarmente diffuse nell’Epiro e nel Peloponneso. I clefti hanno lasciato traccia anche nella cucina greca: il famoso piatto detto kleftikò, alla lettera “alla maniera dei clefti”, consiste di agnello cotto a fuoco esageratamente lento. Poiché i clefti non avevano greggi proprie, rubavano agnelli e capre e le cuocevano in una fossa sigillata per evitare che si vedesse il fumo.
[5] L’intera Europa occidentale, non soltanto in Grecia ma nell’intero vicino Oriente, era chiamata “Francia” (qui: Φραγκιά). Sicuramente era una testimonianza dell’importanza della Francia, e forse anche un residuo storico dell’epoca delle Crociate (le truppe crociate erano costituite in gran parte da francesi). Ben presto, “Francia” (o “terra dei Franchi”) divenne tout court sinonimo di “terra straniera”; prova ne sia che la lingua artificiale (miscuglio di italiano, francese e spagnolo) che veniva usata e intesa in tutto il bacino del Mediterraneo, si chiamava “Lingua Franca” (un’espressione che si è mantenuta nell’uso). Per questo motivo nella traduzione uso semplicemente “terre straniere”. Il greco attuale, per indicare la nazione francese, ha ripreso il termine classico di “Gallia”: Γαλλία; la Φραγκιά è la “non-Grecia”.
[6] Il Fanàr (in greco Φανάρι, in turco Fener) è un quartiere storico di Costantinopoli, affacciato sul Corno d’Oro. Il suo nome deriva da una colonna, esistente durante il periodo bizantino, alla cui sommità era posta una lanterna (φανάρι, nome che ha dato anche l’italiano “fanale”). Dopo la conquista ottomana del 1453, il Fanàr ospitò molti dei greci che erano comunque rimasti in città o vi si erano reinsediati: essi vennero chiamati Fanarioti (Φαναριώτες). Il quartiere divenne anche la sede del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli della Chiesa Greco-ortodossa, che vi risiede ancora oggi: in ambiente ortodosso, il sommo Patriarcato di Costantinopoli è detto per antonomasia “il Fanàr”, esattamente come il “Vaticano” indica il Papato e la Chiesa cattolica. I greci del Fanàr, vale a dire i Fanarioti, giocarono un ruolo importante nella storia dei paesi balcanici e, in particolare, delle terre moldave e valacche (vale a dire l’odierna Romania). Ad essi, infatti, la Sublime Porta affidò l’amministrazione di quelle terre nel XVIII secolo, e va detto che i Fanarioti greci si distinsero per l’autentico zelo con cui vessarono in ogni modo le popolazioni. Di conseguenza, gli storici rumeni considerano l’ “epoca Fanariota” come una delle peggiori mai vissute in quelle terre, ma anche come uno dei germi di ribellione che portò all’indipendenza delle terre moldave e valacche e alla formazione della Romania (ricordo che il termine România non esisteva, e fu coniato “ad hoc” per il nuovo stato resosi indipendente nel 1858-60 sulla base dell’antico termine român, rumân, derivato sì direttamente da romanus ma che indicava piuttosto il “contadino” o la “popolazione autoctona”). Da ricordare anche la figura di Alessandro Ypsilanti (Αλέξανδρος Υψιλάντης), dai greci considerato uno dei maggiori eroi della guerra di indipendenza nel 1821: in quegli anni aveva cercato l’alleanza valacca particolarmente nella figura di Tudor Vladimirescu, leader della rivolta valacca anti-ottomana scoppiata pure nel 1821. Ypsilanti era, a sua volta, un greco fanariota. L’alleanza tra Vladimirescu e la Filikí Etería (Φιλική Εταιρία) di Ypsilanti (una società segreta simile alla Carboneria, di cui egli era capo militare) ebbe alterne vicende nel 1821, finché Vladimirescu non fu arrestato, processato, torturato e ucciso proprio dalla Filikí Etería. Da qui il fatto che Ypsilanti sia considerato un eroe dai greci e uno spregevole traditore dai rumeni (in rumeno il termine storico eterist ha un valore assai negativo). Risalenti all’epoca Fanariota sono comunque le numerose parole greche presenti nella variegata lingua rumena, tra le quali ad esempio il comune verbo a pedepsì “punire”, derivato dall’aoristo παίδεψα del verbo παιδεύω “io educo”. Un’altra parola greco-fanariota in rumeno è il verbo a afurisì “maledire, bestemmiare, invocare”, derivato dall’aoriso αφόρισα di αφορίζω. Un piccolo appunto "sportivo": dal nome turco del quartiere, Fener, deriva quello della famosa squadra di calcio del Fenerbahçe (alla lettera: "Giardino del Fanàr").
[7] Qui, forse un po’ arbitrariamente, ho tradotto con “Romania” la Μολδοβλαχιά del testo originale. In questa canzone situata in un ben preciso momento storico la “Romania” ancora non esisteva, esistevano la Moldavia (assolutamente aberrante chiamarla “Moldova” in Italiano, come si fa ora...) e la Valacchia (in greco, la “Moldovalacchia”). Si noti comunque il continuo “valzer” degli “odi incrociati”: i rumeni odiano i greci, i greci odiano i rumeni, e così via (anche se pare che i greci Fanarioti non godessero poi di molta simpatia neppure da parte dei connazionali, dato che venivano considerati spesso come “venduti al nemico” o quantomeno storicamente compromessi con gli ottomani). Insomma, i Balcani.
[8] Anapli è il nome tradizionale di Nafplio(n), o “Napoli di Morea” come la chiamavano i veneziani. Si veda Αντιλαλούν οι φυλακές e la nota 9.
[9] “Tripolitsà” (Τριπολιτσά) o, ancor più popolarmente e anticamente, “Tropolitsà” (Τροπολιτσά) è il nome tradizionale di Tripoli d’Arcadia. Una delle tante Tripoli del Mediterraneo, verrebbe da dire; e, invece, almeno questa sembra avere un’origine sorprendente quanto al nome. Nulla a che vedere con le “tre città” (o meglio, la “città composta da tre parti”): nel medioevo, infatti, la città era nota come Drobolitsa, Droboltsá o Dorboglitza, nome per il quale sussistono due ipotesi etimologiche: la prima dal greco Υδρόπολις (col suffisso turco -ca: Υδροπολιτσά) “città d’acqua” e la seconda, forse più esatta, da un termine slavo meridionale che significa “pianura delle querce”. Quando, dopo l’indipendenza, un po’ ovunque in Grecia furono ripresi i “termini classici” per le più svariate località, furono presi anche parecchi abbagli: questo ne è un caso, perché il nome della città non c’entra nulla con Τρίπολις e forse non è nemmeno d’origine greca (popolazioni slave vivevano nella zona ancora nel VIII secolo). Sicuramente può aver giocato nella “grecizzazione” arbitraria del nome della città uno degli episodi fondamentali della guerra d’indipendenza greca: l’Assedio di Tripoli dell’estate del 1821, che segnò al tempo stesso la prima grande vittoria dei greci e uno dei loro più orrendi massacri.
Tripoli d’Arcadia (o di Morea), o Tripolitsà, o Tropolitsà, aveva una consistente popolazione musulmana (turca) e ebrea. Per i greci era un oggetto di vendetta ben preciso: la popolazione greca della città aveva infatti subito ben tre massacri da parte dei turchi. Il primo nel 1715 (durante la cosiddetta “Riconquista Ottomana della Morea”), il secondo nelle “Palme di Sangue” (la Domenica delle Palme, 29 marzo) del 1770, dopo la fallita “Rivolta di Orlov”, e il terzo pochi mesi prima, nel 1821 stesso, dopo la fallita ribellione in Valacchia (vedi nota 6). La città era importantissima in quanto capitale della Morea ottomana; nella tarda primavera del 1821, il comandante greco Theodoros Kolokotronis e i manioti di Petros Mavromichalis ottennero una decisiva vittoria nella battaglia di Valtetsi sulle truppe ottomane (albanesi) di Hursid Pascià, e posero l’assedio a Tripoli(tsà). Il 23 settembre 1821 la città capitolò e ebbe inizio il massacro, vera e propria pulizia etnica come i greci avevano già subito. Anche questo fu la guerra d’indipendenza greca. Gli albanesi, i musulmani (turchi) e gli ebrei della città furono massacrati tutti. Il generale inglese Thomas Gordon, che arrivò in città poco dopo il massacro, descrisse scene che definire raccapriccianti è riduttivo e parlò di ottomila morti. Solo pochi turchi riuscirono a sfuggire alla carneficina, scappando a Anapli (Nafplion) (dove furono comunque, poi, massacrati). Dopo l’assedio e il massacro di Tripolitsà, i greci videro possibile la vittoria finale; nell’intero Peloponneso non v’era più traccia alcuna di turchi e albanesi. Cent’anni dopo la storia si ripeté all’inverso, in Asia Minore.
A Tripoli d'Arcadia nacque, il 30 ottobre 1896, il poeta Kostas Karyotakis.
[1] Nel modo di dire greco non ce la fai a dire “peperone” (πιπέρι). Sicuramente più espressivo del nostro “bah” o roba del genere.
[2] La Maina (Μάνη) è detta il “dito medio del Peloponneso”: tra le tre penisole del Peloponneso meridionale, è infatti quella centrale. Inizia a sud della città di Kalamata e termina col famoso Capo Matapan (o capo Tenaro), al largo del quale si svolse durante la II Guerra mondiale una battaglia che vide, il 28 e 29 marzo 1942, una rovinosa sconfitta della Marina Italiana. La penisola della Maina è un luogo impervio: è infatti attraversata dalla catena montuosa del Taigeto, che raggiunge il 2400 metri di altezza. Durante la sua lunghissima storia (una sua località, Kardamili, è citata nell’Iliade) la Maina, per la sua assoluta impraticabilità, è stata una specie di Tortuga del Mediterraneo: rifugio di fuggiaschi di ogni genere e, soprattutto, di pirati. Un’altra conseguenza della sua particolare conformazione geografica, è che la Maina è stata caratterizzata, nel corso della sua storia, dall'autonomia rispetto alle potenze vicine e da peculiari forme di cultura. Il cristianesimo, per esempio, vi giunse tardi rispetto al resto del Peloponneso, mettendovi radici soltanto nel IX secolo, sebbene esistessero già in precedenza alcune chiese in luoghi fortificati. Dal IX secolo vi furono eretti numerosi luoghi di culto, che ancora oggi al loro interno mostrano splendidi affreschi dell'epoca. A nessuna delle potenze occupanti riuscì, nel corso dei secoli, di sottomettere i manioti: essi rimasero sempre liberi, selvaggi, imprevedibili ed in perenne lite fra di loro, della cui cosa sono anche espressione le numerose alte torri, con funzioni ad un tempo abitative e difensive. Faide familiari durate generazioni segnarono la loro impronta sui manioti: fu proprio da questa regione che ebbe gli inizi il movimento di liberazione dei greci dal giogo ottomano che durava da quattro secoli.
[3] Il Valtos (letteralmente: “palude, acquitrinio”) è una zona della regione (nomos) dell’Etolia-Acarnania, nella Grecia occidentale, immediatamente sopra il Peloponneso (al quale è unita adesso da un ponte). Il capoluogo attuale dell’Etolia-Acarnania è una città importante nella storia dell’indipendenza greca: Missolungi (dove morì, tra gli altri, il poeta inglese Byron venuto a combattere per la causa ellenica). Nel Valtos, e nell’adiacente Xiromeri (Ξηρομέρι), nel periodo della Turcocrazia si trovavano basi e approdi dei clefti (v. nota 4) e degli armatoli. Gli armatoli (αρματωλοί) erano una milizia irregolare greca, mantenuta dall’impero ottomano e composta da greci cristiani: lo scopo era quello di rafforzare l’autorità del Sultano in distretti amministrativi chiamati armatolikia (αρματωλίκια), dalla denominazione turca armatolıcı. Questi distretti furono creati in aree affette da alti livelli di brigantaggio, in particolare in quelle dove operavano i clefti; abbastanza presto, però, tra armatoli e briganti si stabilì una sorta di complicità in funzione anti-ottomana. Già nel 1739, gli armatoli cominciarono ad essere perseguitati dalla Sublime Porta. Sebbene alcune bande armatoliche fossero state riconosciute dall’Impero Ottomano, e fosse stato loro affidato il compito di riscuotere i tributi negli armatolikia di loro competenza, la loro vocazione anti-ottomana non venne meno. Nel 1821, nella guerra di Indipendenza, li ritroviamo a fianco dei clefti, nella lotta per l’indipendenza.
[4] I clefti –singolare: clefta (κλέφτες / κλέφτης)- erano i briganti della Grecia moderna: il loro nome, dal classico κλέπτης (cfr. “cleptomania”), significa infatti semplicemente “ladro, bandito”. In generale si trattava di montanari greci (e le montagne, in Grecia, non mancano...) che si armavano dopo essersi ritirati nelle zone interne, assai impervie, per sfuggire all’oppressione ottomana. Questo cominciò ad avvenire già nel XV secolo. Il brigantaggio anti-ottomano dei clefti, che costituisce non soltanto la storia, ma anche la leggenda dell’indipendenza greca, continuò fino al XIX secolo. Si può dire che la Grecia interna, con le sue montagne inaccessibili, non cadde mai veramente sotto il dominio turco. Nel 1821, assieme agli armatoli, i clefti formarono il nucleo originario delle forze di combattimento elleniche, e svolsero un ruolo decisivo nella guerra. Yannis Makriyannis definì i clefti e gli armatoli il “lievito della libertà”. I clefti sono importanti anche nella canzone popolare greca: come è lecito attendersi, in un ambiente del genere fiorivano canzoni e ballate di ogni genere. Le canzoni cleftiche (κλεφτικά τραγούδια) sono una componente imprescindibile della tradizione popolare greca, e particolarmente diffuse nell’Epiro e nel Peloponneso. I clefti hanno lasciato traccia anche nella cucina greca: il famoso piatto detto kleftikò, alla lettera “alla maniera dei clefti”, consiste di agnello cotto a fuoco esageratamente lento. Poiché i clefti non avevano greggi proprie, rubavano agnelli e capre e le cuocevano in una fossa sigillata per evitare che si vedesse il fumo.
[5] L’intera Europa occidentale, non soltanto in Grecia ma nell’intero vicino Oriente, era chiamata “Francia” (qui: Φραγκιά). Sicuramente era una testimonianza dell’importanza della Francia, e forse anche un residuo storico dell’epoca delle Crociate (le truppe crociate erano costituite in gran parte da francesi). Ben presto, “Francia” (o “terra dei Franchi”) divenne tout court sinonimo di “terra straniera”; prova ne sia che la lingua artificiale (miscuglio di italiano, francese e spagnolo) che veniva usata e intesa in tutto il bacino del Mediterraneo, si chiamava “Lingua Franca” (un’espressione che si è mantenuta nell’uso). Per questo motivo nella traduzione uso semplicemente “terre straniere”. Il greco attuale, per indicare la nazione francese, ha ripreso il termine classico di “Gallia”: Γαλλία; la Φραγκιά è la “non-Grecia”.
[6] Il Fanàr (in greco Φανάρι, in turco Fener) è un quartiere storico di Costantinopoli, affacciato sul Corno d’Oro. Il suo nome deriva da una colonna, esistente durante il periodo bizantino, alla cui sommità era posta una lanterna (φανάρι, nome che ha dato anche l’italiano “fanale”). Dopo la conquista ottomana del 1453, il Fanàr ospitò molti dei greci che erano comunque rimasti in città o vi si erano reinsediati: essi vennero chiamati Fanarioti (Φαναριώτες). Il quartiere divenne anche la sede del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli della Chiesa Greco-ortodossa, che vi risiede ancora oggi: in ambiente ortodosso, il sommo Patriarcato di Costantinopoli è detto per antonomasia “il Fanàr”, esattamente come il “Vaticano” indica il Papato e la Chiesa cattolica. I greci del Fanàr, vale a dire i Fanarioti, giocarono un ruolo importante nella storia dei paesi balcanici e, in particolare, delle terre moldave e valacche (vale a dire l’odierna Romania). Ad essi, infatti, la Sublime Porta affidò l’amministrazione di quelle terre nel XVIII secolo, e va detto che i Fanarioti greci si distinsero per l’autentico zelo con cui vessarono in ogni modo le popolazioni. Di conseguenza, gli storici rumeni considerano l’ “epoca Fanariota” come una delle peggiori mai vissute in quelle terre, ma anche come uno dei germi di ribellione che portò all’indipendenza delle terre moldave e valacche e alla formazione della Romania (ricordo che il termine România non esisteva, e fu coniato “ad hoc” per il nuovo stato resosi indipendente nel 1858-60 sulla base dell’antico termine român, rumân, derivato sì direttamente da romanus ma che indicava piuttosto il “contadino” o la “popolazione autoctona”). Da ricordare anche la figura di Alessandro Ypsilanti (Αλέξανδρος Υψιλάντης), dai greci considerato uno dei maggiori eroi della guerra di indipendenza nel 1821: in quegli anni aveva cercato l’alleanza valacca particolarmente nella figura di Tudor Vladimirescu, leader della rivolta valacca anti-ottomana scoppiata pure nel 1821. Ypsilanti era, a sua volta, un greco fanariota. L’alleanza tra Vladimirescu e la Filikí Etería (Φιλική Εταιρία) di Ypsilanti (una società segreta simile alla Carboneria, di cui egli era capo militare) ebbe alterne vicende nel 1821, finché Vladimirescu non fu arrestato, processato, torturato e ucciso proprio dalla Filikí Etería. Da qui il fatto che Ypsilanti sia considerato un eroe dai greci e uno spregevole traditore dai rumeni (in rumeno il termine storico eterist ha un valore assai negativo). Risalenti all’epoca Fanariota sono comunque le numerose parole greche presenti nella variegata lingua rumena, tra le quali ad esempio il comune verbo a pedepsì “punire”, derivato dall’aoristo παίδεψα del verbo παιδεύω “io educo”. Un’altra parola greco-fanariota in rumeno è il verbo a afurisì “maledire, bestemmiare, invocare”, derivato dall’aoriso αφόρισα di αφορίζω. Un piccolo appunto "sportivo": dal nome turco del quartiere, Fener, deriva quello della famosa squadra di calcio del Fenerbahçe (alla lettera: "Giardino del Fanàr").
[7] Qui, forse un po’ arbitrariamente, ho tradotto con “Romania” la Μολδοβλαχιά del testo originale. In questa canzone situata in un ben preciso momento storico la “Romania” ancora non esisteva, esistevano la Moldavia (assolutamente aberrante chiamarla “Moldova” in Italiano, come si fa ora...) e la Valacchia (in greco, la “Moldovalacchia”). Si noti comunque il continuo “valzer” degli “odi incrociati”: i rumeni odiano i greci, i greci odiano i rumeni, e così via (anche se pare che i greci Fanarioti non godessero poi di molta simpatia neppure da parte dei connazionali, dato che venivano considerati spesso come “venduti al nemico” o quantomeno storicamente compromessi con gli ottomani). Insomma, i Balcani.
[8] Anapli è il nome tradizionale di Nafplio(n), o “Napoli di Morea” come la chiamavano i veneziani. Si veda Αντιλαλούν οι φυλακές e la nota 9.
[9] “Tripolitsà” (Τριπολιτσά) o, ancor più popolarmente e anticamente, “Tropolitsà” (Τροπολιτσά) è il nome tradizionale di Tripoli d’Arcadia. Una delle tante Tripoli del Mediterraneo, verrebbe da dire; e, invece, almeno questa sembra avere un’origine sorprendente quanto al nome. Nulla a che vedere con le “tre città” (o meglio, la “città composta da tre parti”): nel medioevo, infatti, la città era nota come Drobolitsa, Droboltsá o Dorboglitza, nome per il quale sussistono due ipotesi etimologiche: la prima dal greco Υδρόπολις (col suffisso turco -ca: Υδροπολιτσά) “città d’acqua” e la seconda, forse più esatta, da un termine slavo meridionale che significa “pianura delle querce”. Quando, dopo l’indipendenza, un po’ ovunque in Grecia furono ripresi i “termini classici” per le più svariate località, furono presi anche parecchi abbagli: questo ne è un caso, perché il nome della città non c’entra nulla con Τρίπολις e forse non è nemmeno d’origine greca (popolazioni slave vivevano nella zona ancora nel VIII secolo). Sicuramente può aver giocato nella “grecizzazione” arbitraria del nome della città uno degli episodi fondamentali della guerra d’indipendenza greca: l’Assedio di Tripoli dell’estate del 1821, che segnò al tempo stesso la prima grande vittoria dei greci e uno dei loro più orrendi massacri.
Tripoli d’Arcadia (o di Morea), o Tripolitsà, o Tropolitsà, aveva una consistente popolazione musulmana (turca) e ebrea. Per i greci era un oggetto di vendetta ben preciso: la popolazione greca della città aveva infatti subito ben tre massacri da parte dei turchi. Il primo nel 1715 (durante la cosiddetta “Riconquista Ottomana della Morea”), il secondo nelle “Palme di Sangue” (la Domenica delle Palme, 29 marzo) del 1770, dopo la fallita “Rivolta di Orlov”, e il terzo pochi mesi prima, nel 1821 stesso, dopo la fallita ribellione in Valacchia (vedi nota 6). La città era importantissima in quanto capitale della Morea ottomana; nella tarda primavera del 1821, il comandante greco Theodoros Kolokotronis e i manioti di Petros Mavromichalis ottennero una decisiva vittoria nella battaglia di Valtetsi sulle truppe ottomane (albanesi) di Hursid Pascià, e posero l’assedio a Tripoli(tsà). Il 23 settembre 1821 la città capitolò e ebbe inizio il massacro, vera e propria pulizia etnica come i greci avevano già subito. Anche questo fu la guerra d’indipendenza greca. Gli albanesi, i musulmani (turchi) e gli ebrei della città furono massacrati tutti. Il generale inglese Thomas Gordon, che arrivò in città poco dopo il massacro, descrisse scene che definire raccapriccianti è riduttivo e parlò di ottomila morti. Solo pochi turchi riuscirono a sfuggire alla carneficina, scappando a Anapli (Nafplion) (dove furono comunque, poi, massacrati). Dopo l’assedio e il massacro di Tripolitsà, i greci videro possibile la vittoria finale; nell’intero Peloponneso non v’era più traccia alcuna di turchi e albanesi. Cent’anni dopo la storia si ripeté all’inverso, in Asia Minore.
A Tripoli d'Arcadia nacque, il 30 ottobre 1896, il poeta Kostas Karyotakis.
Ecco che la navigazione nel Mar di Xylouris (Ξυλουρινή Θάλασσα, o Ψαροθάλασσα...) comincia sul serio, una volta spintisi al largo. Avevo inserito questa canzone nel settembre del 2007, predisponendo delle "note alla traduzione" con tanto di numeretti; sono rimasti numeretti per quasi cinque anni. "Lentesse oblige", come dicono an Fràns...; anche se, probabilmente, in questo "lieve intervallo" c'entra il fatto che di lì a pochi giorni...vabbè lasciamo perdere, è acqua passata. Stasera ecco finalmente le note a questa canzone, e sono note consistenti. Glielo dovevo. Xylouris non ha "paginone" come Theodorakis, ma le sue canzoni, anche brevi, si spingono spesso in episodi della storia greca che non sono noti ai più; e questo sito, vorrei ribadirlo, è un sito di memoria. Quindi, storico.
Riccardo Venturi - 13/6/2012 - 03:43
×
[1973]
Στίχοι: Ιάκωβος Καμπανέλλης
Μουσική: Σταύρος Ξαρχάκος
Ερμηνεία: Νίκος Ξυλούρης
Από Το μεγάλο μας τσίρκο
Testo di Iakovos Kambanellis
Musica di Stavros Xarchakos
Interpreti: Nikos Xylouris
Dal musical "Il nostro grande circo"
Στο «Μεγάλο μας τσίρκο» ο συγγραφέας Ιάκωβος Καμπανέλλης κατέγραψε όλη την ιστορία της νεότερης Ελλάδας, ενώ ο Σταύρος Ξαρχάκος προσέθεσε τη μελοποίηση και ο Νίκος Ξυλούρης συνέβαλε με τη μοναδική ερμηνεία του.
Το έργο ανέβηκε το 1973 από το θίασο της Τζένης Καρέζη και του Κώστα Καζάκου στο θέατρο «Αθήναιον». Εκτός από τον Νίκο Ξυλούρη, τα τραγούδια του Σταύρου Ξαρχάκου απέδιδαν και τα μέλη του θιάσου.
Πρωταγωνιστικούς ρόλους είχαν οι Διονύσης Παπαγιαννόπουλος, Στέλιος Κωνσταντόπουλος, Νίκος Κούρος, Τίμος Περλέγκας.
Μαζί τους τραγουδούσαν και όλοι οι θεατές: «Φίλοι και αδέρφια» (Ν. Ξυλούρης, Τ. Περλέγκας), «Καλήν εσπέραν», «Τ' Ανάπλι», (Νίκος Ξυλούρης), «3η Σεπτεμβρίου» (Καζάκος - Καρέζη), το περίφημο «Προσκύνημα» με τον Νίκο Δημητράτο κ.ά.
Nel “Nostro grande circo”, lo scrittore Iakovos Kambanellis descrisse tutta la storia della Grecia moderna, mentre Stavros Xarchakos compose la musica e Nikos Xylouris ne fu l'unico interprete.
L'opera fu messa in scena nello stesso 1973 dalla compagnia di Jenny Karezi e Kostas Kazakos, al teatro “Athinaion”. Oltre che da Nikos Xylouris, le canzoni di Stavros Xarchakos furono eseguite dai membri del coro.
Ruoli da protagonisti ebbero Dionysis Papagiannopoulos, Stelios Konstandopoulos, Nikos Kouros e Timos Perlengas.
Assieme a loro, tutti gli spettatori furono chiamati a cantare Φίλοι και αδέρφια (Xylouris-Perlengas), Καλήν εσπέραν αφεντάδες, T' Ανάπλι (Xylouris), [[|3η Σεπτεμβρίου]] (Kazakos-Karezi), il celebre Προσκύνημα con Nikos Dimitratos e altre canzoni.
Le canzoni erano intervallate da brani di prosa recitata. [RV]
IL NOSTRO GRANDE CIRCO sono:
- Καλήν εσπέραν αφεντάδες
- T' Ανάπλι
- Φίλοι και αδέρφια
- Το τραγούδι της γκιλοτίνας
- Προσκύνημα
- Το μεγάλο μας τσίρκο
- Γυαλίσαν τα κουμπιά
- Ο μπροστάρης
- Ο ξεριζωμός