Contributed by Riccardo Gullotta - 2021/6/27 - 14:47
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Movie / فيلم / Film / Elokuva :
Moustapha Akkad
Lion of the Desert / أسد الصحراء / Il leone del deserto / Le Lion du desert [1981]
Music / موسيقى / Musica / Musique / Sävel:
Romolo Corona feat. Maurice Jarre
Le Bajadere.
Il brano musicale proposto è il foxtrot Canta, bajadera…! “per canto e pianoforte” di Romolo Corona, composto nel 1920. Il maestro Maurice Jarre , compositore delle musiche del film, ne curò l’arrangiamento.
Bajadera è parola da tempo in disuso, deriva dal portoghese antico bailhadeyrada balhar / danzare. Secondo la ricercatrice brasiliana Benilde Socreppa Schultz il termine risale al XIV secolo quando connotava le danzatrici indiane. Nel XVII secolo si diffuse in Francia come balhadera, poi balliadère e infine nell’attuale bayadère
Nel Novecento il vocabolo passò ad indicare sia una donna di facili costumi sia un tessuto a righe dai colori vivaci.
Il fascino esotico sotteso fu oggetto di attenzioni di letterati e musicisti. Citiamo Goethe nella sua ballata Der Gott und die Bajadere del 1798, l’opera balletto Le Dieu et la bayadère di Auber e Taglioni del 1830, il balletto La bayadère musicato da Minkus per la coreografia di Petipa, prima rappresentazione a San Pietroburgo nel 1877, tuttora rappresentato.
Il brano proposto viene suonato dall’orchestra durante il ricevimento del vicegovernatore Graziani, a 19’42’’ dall’inizio del film.
Telefoni bianchi, camicie nere
Abbiamo scelto questo brano della colonna sonora perché esprime efficacemente il clima dell’epoca, quello di un paese e di un regime che, districandosi tra la paranoia e la farsa, si finsero giganti rimanendo nani. Quando cominciarono ad avvertire la percezione della realtà, mutarono la rappresentazione, dalla farsa alla tragedia.
È una storia che certi storiografi nelle continue frequentazioni televisive continuano a ignorare, la storia sul versante criminale degli “Italiani, brava gente”. Se ne sappiamo qualcosa oggi lo dobbiamo alla intensa ed ostacolata attività degli storici Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Gustavo Ottolenghi (partigiano, nome di battaglia “Robin”).
Il film
Lion of the Desert si ispira alle vicende del leader senussita Omar al-Mukhtār negli ultimi due anni della sua vita. Uscì nelle sale mondiali nel 1981, ma non in Italia dove fu censurato in quanto “lesivo dell’onore delle Forze Armate”. La censura fu sottile. Infatti l’autorizzazione non fu negata, semplicemente non ci fu alcun produttore interessato a chiederla prima di acquistare i diritti di distribuzione. In altri termini i produttori vennero “gentilmente” dissuasi dal farsi avanti. Fu trasmesso nel 2009 da Sky TV in occasione della visita di Gheddafi in Italia.
Il film fu finanziato da Gheddafi e diretto dal siro-statunitense Moustapha Akkad. La pellicola costò 10 milioni di dollari. Fu girato in Libia e in parte a Roma e Latina. Notevoli le recitazioni dato lo spessore degli attori: Anthony Quinn alias Omar al-Mukhtār, Oliver Reed nei panni del Generale Rodolfo Graziani, Rod Steiger alias Benito Mussolini, Irene Papas interprete di Mabrouka, John Gielgud come il senussita Sharif el-Gariani, Raf Vallone nei panni del Colonnello Diodice ( nella realtà storica il funzionario coloniale Giuseppe Daodiace), Gastone Moschin alias Seniore Tomelli, Claudio Gora interpreta il presidente della corte, Lino Capolicchio la pubblica accusa.
Non potevano mancare gli stereotipi del cinema hollywoodiano. Anche se sotto il profilo commerciale non fu un successo, ebbe una vasta risonanza nel mondo arabo e riportò all’attenzione la figura di Omar al-Mukhtār
Il link all’edizione integrale del film in inglese è riportata di seguito
Lion of the Desert
La Senussia / سنوسية [ Sanūsiyya]
E’ una confraternita islamica fondata nel 1837 dall’algerino Muhammad ibn Ali al-Sanusi / محمد بن علي السنوسي. Di osservanza sunnita, segue la scuola malikita, una delle quattro scuole giuridiche, madhhab [مذهب], che fanno testo sull’applicazione della sharia [شريعة] / Legge, il complesso di norme comportamentali che discende da Dio. Tutte le scuole si rifanno al Corano e agli ḥadīth, la tradizione giuridica che risale ai detti del Profeta. Rispetto ad altre scuole la specificità della malikita è che essa respinge le altre declinazioni della sharia cioé l’interpretazione del giudice e il consenso comunitario.
Sotto l’impero ottomano il territorio libico era diviso in due provincie, che già allora presentavano identità divergenti: Tripolitania e Cirenaica. Furono il tessuto sociale e le caratteristiche fisiche di quest’ultima, oltre ai difficili rapporti con i religiosi dell’università al-Azhar al Cairo, a spingere al-Sanusi a eleggerla come residenza nel 1843 per lanciare e diffondere il suo credo. Giarabub, uno snodo carovaniero 300 km a sud di Tobruk, fu scelta come centro spirituale non a caso: fu un avamposto della diffusione dell’influenza del movimento nel Sahara orientale, capitale de facto di un’entità statuale che si estendeva su di un vasto territorio. Includeva parte dell’Egitto occidentale ed erano forti le sue influenze nel Sahara centrale e perfino in Arabia. Nel Jabal Akhḍar [الجبل الأخضر] / Montagna Verde, un altopiano della Cirenaica situato a 800 m, digradante verso il Mediterraneo e ricco di boschi e valli, si insediarono delle comunità monastiche. I complessi, detti zāwiya [الزاوية] / angolo, comprendevano scuole per l’insegnamento, ospedali e ostelli per i visitatori.
Per dare un’idea della capacità di presa del movimento e del suo espansionismo si consideri che nel 1902 le zāwiya ammontavano a 61 in Cirenaica, 31 in Egitto, 18 in Tripolitania, 15 nel Fezzan,17 in Arabia e 15 nel Sudan. La Senussia riscuoteva le tasse, assicurava i servizi sociali, era garante dell’equilibrio tra le diverse componenti, in una parola generava e manteneva un profilo identitario per le fasce residenti. Se non si tenesse presente ciò sarebbe difficile comprendere la storia successiva, dall’affermazione della sovranità italiana sino all’instaurazione del regime di Gheddafi.
La conquista coloniale del Ciad da parte della Francia portò alla guerra tra Francia e Senussia dal 1898 al 1902. La Senussia dovette rinunciare al suo consolidamento nel nord del Ciad.
La Sublime Porta dovette a venire a patti con la Senussia condividendo di fatto il controllo della Cirenaica sino al 1911, anno di inizio della guerra italo-turca.
La conquista italiana della Libia
Le mire coloniali dell’Italietta giolittiana si facevano interpreti anche dello spirito di rivalsa mai sopito dopo l’occupazione francese della Tunisia nel 1881, considerata come uno strappo per l’Italia che vi aveva investito capitali e manodopera. Si aggiunse la sconfitta di Adua nel 1896. Sin qui la vulgata. In realtà Giolitti e la classe dirigente politica nutrivano un obiettivo più ambizioso: creare un collante identitario in una popolazione i cui divari sociali ed economici erano mutati molto poco dall’Unità e catalizzare uno sviluppo economico delle masse sino ad allora estromesse. Per raggiungere lo scopo occorreva trovare una sinergia tra classe politica, imprenditoriale, intellettuali e organi di informazione. L’Associazione Nazionalista Italiana, partito fondato a Firenze da Enrico Corradini nel 1910, seppe intercettare le attese. Il loro giornale, L’Idea nazionale, si segnalò per la campagna propagandistica a favore dell’intervento italiano in Libia. Altrettanto fecero vari intellettuali e letterati. In pochi mesi la penisola vide larghe masse dibattere sulla questione nelle piazze, nei teatri, nei quotidiani. Articoli, canzoni, pamphlets a profusione. Persino nelle fila della sinistra socialisti come Bonomi e Bissolati si dichiararono favorevoli alla guerra, mentre Turati dalle colonne dell’Avanti! teneva salde le posizioni antinterventiste. Il Corriere della Sera , dapprima tiepido, si schierò nettamente per l’intervento e ne assunse di fatto la guida dell’informazione, Il direttore Albertini pubblicò Le Canzoni delle gesta d’oltremare di D’Annunzio e i reportages di Luigi Barzini dal fronte.
Come si può immaginare, gli interessi finanziari ed economici brigarono dietro le quinte. Il Banco di Roma condizionò pesantemente Giolitti per difendere vasti interessi terrieri nella costa libica e per potere attuare una strategia di espansione di mercato ostacolata dai Giovani Turchi che avevano ben compreso il disegno. Considerazioni analoghe riguardarono gli interessi degli industriali nel settore della siderurgia.
Di quel periodo e, più in generale, della colonizzazione italiana in Libia, le pubblicazioni sono relativamente poche. Dopo il fascismo e l’ultimo conflitto mondiale si è assistito ad una rimozione collettiva.
Per dare soltanto un’idea delle minchiate madornali che la propaganda diffondeva si legga uno stralcio dell’inviato della Stampa a Tripoli, Giuseppe Bevione nella raccolta delle corrispondenze “Come siamo andati a Tripoli” edito nel 1912 a Torino. Sarebbe stato in seguito eletto deputato e cooptato come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del governo Bonomi, dieci anni dopo. Non si tratta quindi di un articolista alle prime armi con una fantasia oltre le righe, ma della diffusione organizzata di notizie false e tendenziose con l’aggravante della turbativa violenta. Qualcosa che fa venire in mente, in salsa italica, un Segretario di Stato alle Nazioni Unite con una provetta in mano.
Di altro genere, di tono goliardico d’antan, le canzoni fatte su misura per i guerrieri italioti dotati di armi di indiscussa superiorità, quelle di fecondazione di massa. Vale la pena citare qualche estratto dal fumetto Bucalo! del 1911:
quando veggan e nostri versaglieri,
le li daranno un monte di cosine…"
Ancora più eloquente la canzone Il canto della tripolina di cui purtroppo non siamo riusciti a rintracciare la melodia
Vieni su questo seno
che, come vedi, è pieno,
pieno d'amor per te.
Tutto il tuo amor sussurrami:
ne l'eco mai si estingua
della tua dolce lingua,
lingua si cara a me.
Vedi; per quella lingua
dolcissima d'Italia
io diverrei la... balia
del reggimento inter.
La dolce tua favella
sì affascinante ell'è
che tutta, entro di me
la sento penetrar.
Vieni adorato insegnami
insegnami a dir di " sì
che a tutti chi vien qui,
mai voglio dir di no!
Vieni, italiano, spicciati
vieni sopra il mio seno,
miralo com'è pieno,
pieno d'amor per te!
La guerra italo-turca durò un anno , si concluse con la vittoria dell’Italia. Il trattato di pace sancito a Losanna nel 1912 assegnava all’Italia l’amministrazione civile e militare mentre riconosceva all’impero turco la sovranità giuridica e religiosa. L’Italia però si rifiutò di riconoscere la sovranità turca adducendo come pretesto gli aiuti che la Sublime Porta dava ai guerriglieri Senussi. Procedette all’annessione di fatto delle provincie della Tripolitania e Cirenaica.
La colonizzazione italiana della Libia
Nell’agosto 1915 l’Italia dichiarò guerra alla Turchia. Le forze italiane erano confinate in avamposti lungo la costa. I Senussi avevano negoziato con gli italiani e gli inglesi una relativa autonomia. Ai turchi e ai tedeschi premeva impegnare le forze dell’Intesa nel Mediterraneo Orientale, i primi per alleggerire il fronte sui Dardanelli, i secondi per tagliare i rifornimenti alle potenze dell’Intesa attraverso il Canale di Suez. L’impero ottomano e i tedeschi riuscirono a convincere i Senussi a contrastare le forze inglesi in Egitto e quelle italiane in Libia. All’inizio si trattò di scaramucce, poi di provocazioni. Inglesi ed Italiani finsero di non capire, non potevano fare diversamente. Infatti il contingente italiano in Tripolitania era stato assottigliato del 30 % in due mesi per rinforzare il fronte italiano, le truppe britanniche si stavano dissanguando nei Dardanelli. Intanto i sommergibili tedeschi rifornivano notevoli quantità di artiglieria e munizioni i Senussi.
Questi da un lato accusavano sensibili difficoltà di approvvigionamenti alimentari a causa dell’embargo britannico, dall’altro mal tolleravano di piegarsi all’invasore italiano.
Il capo della confraternita era Ahmed Sharif as-Senussi, nipote del fondatore Muhammad. Il sultano Maometto V riuscì ad attirarlo del tutto nella sua orbita. Lo nominò governatore della Tripolitania e proclamò la jihad, la guerra santa contro gli Inglesi e i loro alleati. Omar al-Mukhtār, insegnante di dottrina islamica dopo otto anni di studi a Giarabub, prese parte a quella che fu denominata Campagna dei Senussi.
La situazione precipitò nel novembre 2015: i libici attaccarono con 300 uomini l’avamposto anglo-italiano di Sollum. Furono respinti grazie all’intervento degli ascari italiani, ma a caro prezzo. Nel primo anno le sorti volsero a favore dei Senussi. Gli Inglesi furono costretti a ritirarsi da posizioni strategiche, tra cui l’oasi di Siwa rimasta sotto il controllo ottomano-tedesco per due anni. Gli Italiani subirono una cocente sconfitta, la peggiore dopo Adua, semidimenticata dai mezzi di comunicazione negli anni a venire a Gasr Bu Hadi. Il colonnello Miani , ferito, riparò a Sirte. Il bilancio dei morti fu di 19 ufficiali,237 soldati nazionali e 242 ascari eritrei e libici. Non solo, i Senussi riuscirono ad impadronirsi di una quantità ingente di fucili e munizioni, tale da superare la quantità totale ricevute nel corso della campagna dagli ottomani mediante i sommergibili tedeschi.
Gli eventi successivi videro gli Inglesi, e conseguentemente gli Italiani, riacquistare posizioni di vantaggio. I Senussi avevano la supremazia militare per numero di forze e tattica, ma la logistica era il loro punto debole. Dipendevano dalle città, controllate saldamente da inglesi e italiani, per i rifornimenti. Ad agevolare gli italiani fu l’impiego dell’aviazione, la 104^ e la 106^ Squadriglia dotate di biplani Farman MF11 per la ricognizione ed il bombardamento e la 12^ con biplani da bombardamento Caproni. Altro elemento determinante fu l’alleanza stretta con le tribù berbere tradizionalmente ostili a quelle arabe. La mossa chiave fu effettuata dagli inglesi che, dopo avere ripreso Sollum, sconfiggendo Ahmed Sharif as-Senussi, riuscirono ad incunearsi nelle faide tra quest’ultimo e il nipote Mohammed Idris, filo-inglese. Idris riuscì a deporlo e firmò l’accordo di Acroma /Akrama [ عكرمة] con gli Inglesi e gli Italiani. L’accordo riconosceva l’influenza dei Senussi nella parte interna della Cirenaica, Mohammed Idris venne riconosciuto dagli Inglesi come emiro di Cirenaica giurando fedeltà agli Italiani. Si noti che il personaggio sarebbe stato posto sul trono dagli Inglesi con il nome di re Idris I di Libia nel 1951, appena proclamata l’indipendenza della nazione. Regnò sino al 1969 quando fu deposto dall’allora capitano Gheddafi.
Alla fine della guerra la Turchia riconobbe le pretese italiane sulla Libia. I leader della resistenza tripolina, che avevano continuato la belligeranza a differenza degli arabi di Cirenaica, proclamarono la Repubblica di Tripolitania, che durò appena tre anni tra forti contrasti interni e nessun appoggio internazionale. L’Italia, stremata dal conflitto, non aveva le forze sufficienti per imporsi militarmente. Emanò quindi la Legge Fondamentale nel 1919 sia per la Tripolitania sia per la Cirenaica. Si trattava di un o statuto con cui si riconosceva la cittadinanza, anche se non piena, ai locali. L’arabo era riconosciuto lingua ufficiale come l’italiano. L’amministrazione locale veniva esercitata da libici eletti. Veniva istituito un parlamento locale. Questo funzionò per la Cirenaica, per la Tripolitania no. Quando i leader tripolitani proposero a Idris di estendere l’emirato alla Tripolitania e di godere quindi delle stesse autonomie accordate ai Senussi, il governo italiano abbandonò i tentativi di dialogo e iniziò la campagna militare per sopprimere ogni forma di resistenza.
La riconquista della Tripolitania fu affidata al governatore Giuseppe Volpi. Nel 1922 riuscì a riprendere Misurata / مصراتة [Misrāta], poi fu la volta di El Azizia [العزيزيه] rompendo l’accerchiamento con un ponte aereo, il primo della storia, con 5 trimotori. Nel 1925 La fascia costiera della regione era sotto il controllo italiano. Nel biennio 1928-1930 il generale Graziani occupò la parte meridionale della Tripolitania e il Fezzan. Per farsi un’idea dei modi in cui Graziani attuò la repressione basti sapere che si guadagnò l’epiteto di “macellaio del Fezzan”.
La riconquista della Cirenaica fu molto più travagliata. Nel 1923 Mussolini affidò il comando delle operazioni militari in Cirenaica al generale Bongiovanni. Idris capì che gli accordi precedenti non erano più efficaci, si rifugiò in Egitto, non prima di avere assegnato a Omar al-Mukhtār il comando militare della Senussia. La parte desertica del territorio cadde sotto il controllo italiano, fu poi la volta delle oasi di Giarabub e di Cufra. La guerriglia senussita teneva duro sull’altopiano Jabal Akhḍar. Il terreno montagnoso e boscoso non si prestava agli interventi misti tra colonne motorizzate e la ricognizione aerea. Inoltre i guerriglieri erano abili a infiltrarsi e confondersi con la popolazione locale da cui ricevevano sostegno. Spesso esfiltravano in Egitto con facilità data la continuità territoriale di natura desertica. Il leone del deserto / أسد الصحراء [ Asad al-ṣaḥrā] Omar al-Mukhtār era uno stratega abilissimo oltre che un leader rispettato e benvoluto sia ddai confratelli sia dalla popolazione locale. Organizzò un sistema di amministrazione parallela, il “governo della notte” secondo le sue stesse parole: riscuoteva la zakāt, la decima, amministrava la giustizia, provvedeva ai bisogni della popolazione. Dispose al massimo di 3000 uomini, ma grazie alla conoscenza del territorio e al consenso della popolazione fu in grado di infliggere perdite consistenti alle forze italiane.
Dicevamo sopra che molto è stato rimosso nella coscienza collettiva. E’ il momento di individuare qualche elemento per comprendere in parte i moventi del meccanismo della rimozione.
Nel suo libro Ali italiane nel Deserto del 1933, con la prefazione di Italo Balbo, l’aviere capitano Vincenzo Biani dà conto delle gesta compiute in Cirenaica
Fu rintracciata perché gli equipaggi, navigando a pochi metri da terra, poterono seguire le piste dei fuggiaschi e trovarono finalmente sotto di sé un formicolio di gente in fermento; uomini, donne, cammelli, greggi; con quella promiscuità tumultuante che si riscontra solo nelle masse sotto l'incubo di un cataclisma; una moltitudine che non aveva forma, come lo spavento e la disperazione di cui era preda; e su di essa piovve, con gettate di acciaio rovente, la punizione che meritava.
Quando le bombe furono esaurite, gli aeroplani scesero più bassi per provare le mitragliatrici. Funzionavano benissimo.
Nessuno voleva essere il primo ad andarsene, perché ognuno aveva preso gusto a quel gioco nuovo e divertentissimo. E quando finalmente rientrammo a Sirte, il battesimo del fuoco fu festeggiato con parecchie bottiglie di spumante, mentre si preparavano gli apparecchi per un'altra spedizione.
Ci si dava il cambio nelle diverse missioni. Alcuni andavano in ricognizione portandosi sempre un po’ di bombe con le quali davano un primo regalo ai ribelli scoperti, e poi il resto arrivava poche ore dopo. In tutto il vasto territorio compreso tra El Machina, Nufilia e Gifa i più fortunati furono gli sciacalli che trovarono pasti abbondanti alla loro fame "
L’eroe Biani , pluridecorato con una croce di guerra, due medaglie di bronzo, una medaglia d’argento e varie, precisa, in un altro passo del suo libro, che furono adoperate anche bombe caricate a iprite
Nel 1930 Badoglio firma un telegramma indirizzato al vicegovernatore della Cirenaica Siciliani, per conoscenza a De Bono, ministro delle colonie. Badoglio raccomanda:
Il 1930 fu l’anno del giro di boa. Graziani, forte delle sue vittorie militari in Tripolitania e nel Fezzan, fu nominato vicegovernatore della Cirenaica con ampi poteri. Queste parole furono da lui pronunciate:
Il crescendo di violenze, crimini di guerra e stermini prese l’avvio dalla lettera di Badoglio a Graziani nel giugno 1930.
La zona nevralgica ai fini dell’efficacia della repressione era la frontiera egiziana. La logistica dei viveri e delle armi dipendeva dal commercio e dal contrabbando con l’Egitto, non erano possibili altri sbocchi. Graziani decise di erigere una barriera di filo spinato di 270 km dal porto di Bardîyah sino a Giarabub, lungo un percorso poco distante dall’attuale confine tra Libia ed Egitto, sorvegliata dall’esercito italiano e dall’aviazione.
Circa 12.000 libici furono giustiziati dagli italiani in meno di due anni. Altro crimine fu l’evacuazione della popolazione del Jabal Akhḍar e della Marmarica, una deportazione di massa di 60.000 civili, compresi donne e bambini e animali al seguito (secondo lo storico inglese Evans-Pritchard le vittime della repressione in Cirenaica furono di più, 80mila). I lager fascisti di El-Agheila / al-ʿUqayla [ العقيلة] , Marsa el-Brega, Soluch , località della Sirte , Agedabia [إجدابيا ] Ayn al-Ghazāla [عين الغزالة], Sidi Ahmed el-Magrum, Al-Abyār furono i terminali di crimini di guerra. Nella marcia estenuante di 1.100 chilometri verso El-Agheila dei 5.000 rastrellati nel Jabal arrivarono in 2.000, molti perirono di malattie e stenti. Chi non ce la faceva a tenere il passo veniva eliminato. Gustavo Ottolenghi, uno dei pochissimi storici che si è cimentato nella ricerca dei documenti dell’epoca, così descrive il campo di El-Agheila:
Le punizioni per le trasgressioni ai regolamenti del campo vanno da pene "leggere" come la proibizione di avere contatti con altre persone o vedersi razionare il cibo e l'acqua, per arrivare a forme molto più pesanti: stare al sole immobile con le braccia tese o alzate e gravate da grosse pietre o legati a pali, fustigazioni, imprigionamento nelle fosse scavate nella sabbia per tre o quattro giorni, essere appesi al polso o a piedi a travi orizzontali, essere interrati nella sabbia con la sola testa di fuori, taglio di mano, piedi e lingua, stupri e prostituzione forzata, eliminazione fisica.
Le punizioni avvengono nella piazza centrale del campo davanti a tutti gli internati dopo il rientro dal lavoro.
Anche le torture praticate sono particolarmente efferate: bruciature delle piante dei piedi per mezzo di ferri roventi, introduzione di corpi estranei e/o insetti nelle cavità del corpo, estirpazione di unghie, sospensione a travi per i capelli con pesi alle caviglie, costrizione a bere acqua salata in grande quantità, legatura a piante spinose e stupri di massa.
Fiaccato dalla mancanza di rifornimenti e dalla superiorità schiacciante delle forze italiane, Omar al-Mukhtār fu braccato senza risparmio di mezzi e catturato dopo la sconfitta dei senussiti a Uadi Bu Taga. Era l'11 settembre 1931.Fu accusato di «di alto tradimento per aver capeggiato la resistenza contro il legittimo governo del suo Paese: l’Impero italiano». Il processo fu una farsa. Infatti Badoglio, in un telegramma del 14 settembre, ordinò a Graziani di "fare regolare processo e conseguente sentenza, che sarà senza dubbio pena di morte, farla eseguire in uno dei grandi concentramenti popolazione indigena". Il difensore d’ufficio, il capitano Roberto Lontano, sostenne con solide argomentazioni la difesa, mettendo in evidenza il diritto dell’imputato ad essere considerato prigioniero di guerra.
Omar al-Mukhtār aveva chiesto di essere fucilato, la richiesta fu respinta.Fu impiccato il 16 settembre 1931 alle 9 nel campo di Soluch davanti a 20mila libici. Queste furono le sue ultime parole, dalla sura 2, versetto 156 : ʾinnā li-llāhi wa-ʾinna ʾilayhi rājiʿūn [إِنَّا لِلَّٰهِ وَإِنَّا إِلَيْهِ رَاجِعُونَ ] / In verità a Dio apparteniamo e in verità a Lui ritorniamo.
Il capitano Lontano si vide comminare una pena di 10 giorni di cella di rigore con la motivazione per aver svolto la difesa con tono apologetico in contrasto con la figura del reo e colle particolari condizioni di luogo e di ambiente in cui si svolgeva il dibattito. Anche la sua arringa fu parzialmente censurata. La sua carriera militare fu stroncata. Non sappiamo come trascorse il resto dei suoi anni ma è facile immaginare.
In occasione della sua prima visita ufficiale in Italia, il 10 giugno 2009, il leader libico Mu'ammar Gheddafi sbarcò a Ciampino insieme al figlio di Omar al-Mukhtār. Sulla divisa aveva appuntato la fotografia che ritraeva l'arresto del resistente. Volle incontrare i discendenti del capitano Roberto Lontano che non aveva voluto far parte della “brava gente”.
Colloquio tra Omar al-Mukhtār e Graziani
Nelle sue memorie Graziani descrive in breve Omar al-Mukhtār con queste parole:
Il colloquio ebbe luogo il 15 Settembre, qualche ora prima del processo. Il testo è agli atti depositati nell’Archivio di Stato a Roma. Anche Graziani nelle sue memorie Cirenaica pacificata ne dà conto in modo abbastanza fedele.
Ecco la trascrizione:
Graziani : Per colpa tua molte migliaia di libici sono morti. Ne valeva la pena?
Prigioniero : Sono morti servendo una buona causa. Sono in paradiso.
Graziani : Questo è fanatismo religioso.
Prigioniero : No, questa è fede.
Graziani : Perché hai combattuto tanto accanitamente il Governo italiano?
Prigioniero : Per la mia religione.
Graziani : Avevi pochi uomini e pochissimi mezzi. Speravi di poterci scacciare dalla Cirenaica?
Prigioniero : No, questo era impossibile.
Graziani : Allora cosa ti proponevi?
Prigioniero : Nulla. Io combattevo e basta, il resto era nelle mani del destino.
Graziani : Ma il Corano dice che è lecito condurre una Jihad solo quando vi sia una speranza di vittoria, e ciò onde evitare sofferenze inutili alle popolazioni. Questo lo dice o non il Corano?
Prigioniero : Sì.
Graziani : Ripeto. Allora perché hai combatutto?
Prigioniero : Per la mia religione.
Graziani : No, tu hai combattuto per la Senussia che è una losca speculazione sulla quale avete vissuto tutti, da Idris a te, con estremo danno delle genti cirenaiche di cui tu ti sei sempre disinteressato. Ecco perché hai combattuto, non per la tua religione.
Prigioniero (non risponde, sorride ghignando)
Graziani : Perché hai rifiutato ogni trattativa di pace, perché hai ordinato l’aggressione di Gars Benigden?
Prigioniero : Perché da un mese attendevo invano risposta ad una mia lettera indirizzata al Maresciallo Badoglio.
Graziani : È falso. Tu hai rifiutato la pacificazione per premedita decisione e la prova è in questo proclama a tua firma, pubblicato al Cairo.
Prigioniero (non risponde)
Graziani : hai ordinato tu l’uccisione degli aviatori Hueber e Beati?
Prigioniero : Sì. Del resto tutte le colpe son del capo, la guerra è guerra.
Graziani : Quando è realmente guerra, non brigantesco assassinio come il tuo.
Prigioniero : È questione di intendersi.
Graziani : Con i tuoi delitti hai perduto ogni diritto alla clemenza del Governo.
Prigioniero : Mektub, era scritto. Quando sono stato catturato avevo ancora sei cartucce, potevo uccidere o rimanere ucciso. Eppure non mi sono difeso.
Graziani : E perché non ti sei difeso?
Prigioniero : Mektub, era scritto. Senti, generale, io sono vecchio, fammi sedere.
Graziani : Siediti e ascolta. Forse puoi ancora salvare la tua vita. Sei in grado, con la tua autorità, di far sottomettere i ribelli del Gebel?
Prigioniero : Come prigioniero non posso nulla. E poi non lo farei mai. Noi abbiamo giurato di morire tutti, uno per uno, ma di non sottometterci. Di mia volontà io non mi sarei presentato. Questo è certo.
Graziani : Se ci fossimo conosciuti prima, forse avremmo potuto fare qualcosa di buono per la pacificazione.
Prigioniero : E non potrebbe essere oggi quel giorno?
Graziani : Troppo tardi. Hai appena dichiarato che, come prigioniero, tu non puoi più nulla.
Prigioniero (non risponde)
Graziani : Riconosci questi occhiali?
Prigioniero : Sì, sono i miei. Li ho perduti nel combattimento di Uadi es Sania.
Graziani : Da quel giorno io sono stato sicuro che tu saresti caduto nelle mie mani.
Prigioniero : Mektub, era scritto. Restituiscimi gli occhiali, vedo male. Anzi, no, tienili: ora tu hai nelle tue mani me e essi.
Graziani : È vero che ti ritenevi protetto da Dio perché combattevi una giusta causa?
Prigioniero : Sì.
Graziani : Allora ascolta. Davanti alle mie truppe, da Nalut al Gebel cirenaico, sono fuggiti o caduti in combattimento tutti i capi ribelli. Ma nessuno è giunto vivo nelle mie mani. Come mai, invece, tu sei qui? Non eri l’invincibile, l’inafferrabile, il protetto da Dio? E non potrei essere io il vero protetto da Dio?
Prigioniero : Iddio è grande e i suoi disegni sono imperscrutabili.
Graziani : Ho ragione di credere che nella vita tu sia stato un uomo forte. Ti auguro di esserlo ancora, di fronte a qualsiasi evenienza.
Prigioniero : Insciallah.
A Omar al-Mukhṭār Muḥammad bin Farḥāṭ al-Manifī [ عُمَر الْمُخْتَار مُحَمَّد بِن فَرْحَات الْمَنِفِي ]
Desideriamo concludere queste righe dedicando al combattente una elegia del poeta egiziano Ahmed Shawqi , composta nel 1932. I primi versi sono apposti sul mausoleo di Omar al-Mukhṭār a Bengasi, di fronte al palazzo Littorio dove si svolse il processo.
رَكَزوا رُفاتَكَ في الرِمالِ لِواءَ … يَستَنهِضُ الوادي صَباحَ مَساءَ
يا وَيحَهُم نَصَبوا مَناراً مِن دَمٍ … توحي إِلى جيلِ الغَدِ البَغضاءَ
ما ضَرَّ لَو جَعَلوا العَلاقَةَ في غَدٍ … بَينَ الشُعوبِ مَوَدَّةً وَإِخاءَ
جُرحٌ يَصيحُ عَلى المَدى وَضَحِيَّةٌ … تَتَلَمَّسُ الحُرِّيَةَ الحَمراءَ
يا أَيُّها السَيفُ المُجَرَّدُ بِالفَلا … يَكسو السُيوفَ عَلى الزَمانِ مَضاءَ
تِلكَ الصَحاري غِمدُ كُلِّ مُهَنَّدٍ … أَبلى فَأَحسَنَ في العَدُوِّ بَلاءَ
وَقُبورُ مَوتى مِن شَبابِ أُمَيَّةٍ … وَكُهولِهِم لَم يَبرَحوا أَحياءَ
لَو لاذَ بِالجَوزاءِ مِنهُم مَعقِلٌ … دَخَلوا عَلى أَبراجِها الجَوزاءَ
فَتَحوا الشَمالَ سُهولَهُ وَجِبالَهُ … وَتَوَغَّلوا فَاِستَعمَروا الخَضراءَ
وَبَنَوا حَضارَتَهُم فَطاوَلَ رُكنُها … دارَ السَلامِ وَجِلَّقَ الشَمّاءَ
خُيِّرتَ فَاِختَرتَ المَبيتَ عَلى الطَوى … لَم تَبنِ جاهاً أَو تَلُمَّ ثَراءَ
إِنَّ البُطولَةَ أَن تَموتَ مِن الظَما … لَيسَ البُطولَةُ أَن تَعُبَّ الماءَ
إِفريقيا مَهدُ الأُسودِ وَلَحدُها … ضَجَّت عَلَيكَ أَراجِلاً وَنِساءَ
وَالمُسلِمونَ عَلى اِختِلافِ دِيارِهِم … لا يَملُكونَ مَعَ المُصابِ عَزاءَ
وَالجاهِلِيَّةُ مِن وَراءِ قُبورِهِم … يَبكونَ زيدَ الخَيلِ وَالفَلحاءَ
في ذِمَّةِ اللَهِ الكَريمِ وَحِفظِهِ … جَسَدٌ بِبُرقَةَ وُسِّدَ الصَحراءَ
لَم تُبقِ مِنهُ رَحى الوَقائِعِ أَعظُماً … تَبلى وَلَم تُبقِ الرِماحُ دِماءَ
كَرُفاتِ نَسرٍ أَو بَقِيَّةِ ضَيغَمٍ … باتا وَراءَ السافِياتِ هَباءَ
بَطَلُ البَداوَةِ لَم يَكُن يَغزو عَلى … تَنَكٍ وَلَم يَكُ يَركَبُ الأَجواءَ
لَكِن أَخو خَيلٍ حَمى صَهَواتِها … وَأَدارَ مِن أَعرافِها الهَيجاءَ
لَبّى قَضاءَ الأَرضِ أَمسِ بِمُهجَةٍ … لَم تَخشَ إِلّا لِلسَماءِ قَضاءَ
وافاهُ مَرفوعَ الجَبينِ كَأَنَّهُ … سُقراطُ جَرَّ إِلى القُضاةِ رِداءَ
شَيخٌ تَمالَكَ سِنَّهُ لَم يَنفَجِر … كَالطِفلِ مِن خَوفِ العِقابِ بُكاءَ
وَأَخو أُمورٍ عاشَ في سَرّائِها … فَتَغَيَّرَت فَتَوَقَّعَ الضَرّاءَ
الأُسدُ تَزأَرُ في الحَديدِ وَلَن تَرى … في السِجنِ ضِرغاماً بَكى اِستِخذاءَ
وَأَتى الأَسيرُ يَجُرُّ ثِقلَ حَديدِهِ … أَسَدٌ يُجَرِّرُ حَيَّةً رَقطاءَ
عَضَّت بِساقَيهِ القُيودُ فَلَم يَنُؤ … وَمَشَت بِهَيكَلِهِ السُنونَ فَناءَ
تِسعونَ لَو رَكِبَت مَناكِبَ شاهِقٍ … لَتَرَجَّلَت هَضَباتُهُ إِعياءَ
خَفِيَت عَنِ القاضي وَفاتَ نَصيبُها … مِن رِفقِ جُندٍ قادَةً نُبَلاءَ
وَالسُنُّ تَعصِفُ كُلَّ قَلبِ مُهَذَّبٍ … عَرَفَ الجُدودَ وَأَدرَكَ الآباءَ
دَفَعوا إِلى الجَلّادِ أَغلَبَ ماجِداً … يَأسو الجِراحَ وَيُعَتِقُ الأُسَراءَ
وَيُشاطِرُ الأَقرانَ ذُخرَ سِلاحِهِ … وَيَصُفُّ حَولَ خِوانِهِ الأَعداءَ
وَتَخَيَّروا الحَبلَ المَهينَ مَنِيَّةً … لِلَّيثِ يَلفِظُ حَولَهُ الحَوباءَ
حَرَموا المَماتَ عَلى الصَوارِمِ وَالقَنا … مَن كانَ يُعطي الطَعنَةَ النَجلاءَ
إِنّي رَأَيتُ يَدَ الحَضارَةِ أولِعَت … بِالحَقِّ هَدماً تارَةً وَبِناءَ
شَرَعَت حُقوقَ الناسِ في أَوطانِهِم … إِلّا أُباةَ الضَيمِ وَالضُعَفاءَ
يا أَيُّها الشَعبُ القَريبُ أَسامِعٌ … فَأَصوغُ في عُمَرَ الشَهيدِ رِثاءَ
أَم أَلجَمَت فاكَ الخُطوبُ وَحَرَّمَت … أُذنَيكَ حينَ تُخاطَبُ الإِصغاءَ
ذَهَبَ الزَعيمُ وَأَنتَ باقٍ خالِدٌ … فَاِنقُد رِجالَكَ وَاِختَرِ الزُعَماءَ
وَأَرِح شُيوخَكَ مِن تَكاليفِ الوَغى … وَاِحمِل عَلى فِتيانِكَ الأَعباءَ
Traduzione italiana / الترجمة الإيطالية / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös :
Riccardo Gullotta
COMPIANTO PER OMAR EL MUKHTAR
Hanno piantato il tuo corpo nella sabbia come uno striscione
Che desta il greto del torrente di giorno e di notte.
Maledizioni su coloro che hanno costruito un faro acceso dal sangue
Che chiama a vendetta le generazioni di domani.
Come avrebbe nociuto a loro se avessero stretto legami per il futuro
Tra le nazioni, quelli dell'amicizia e della fratellanza?
È una ferita che grida per sempre e una vittima
Che brancola cieca per la libertà intrisa di sangue.
Tu, spada sguainata e alzata nel deserto,
che rende taglienti per sempre le lame degli Arabi,
I deserti dei beduini sono stati il fodero di ogni spada
ben sperimentata contro il nemico,
tombe dei giovani coraggiosi omayyadi,
E dei loro padri, che vivono nella memoria e in Dio.
Se una fortezza dovesse essere trasferita al rifugio dei Gemelli
Loro avrebbero preso d'assalto le fortezze delle stelle;
Poiché hanno conquistato il settentrione, le sue pianure e le sue montagne
E si volsero nella verde Tunisia e la conquistarono.
Là edificarono una civiltà, e i suoi pilastri erano uguali
A Baghdad e alla grande Damasco.
Potevi scegliere, e hai scelto di passare la notte digiunando;
Non hai cercato di governare né di accumulare ricchezze.
Eroismo è morire di sete,
Non è bere con avidità.
Africa, culla dei leoni e loro tomba,
I suoi uomini e le sue donne fecero un grande lamento;
E musulmani di ogni razza e paese
Non riuscirono a trovare consolazione in questa tragedia.
Gli antichi arabi dalle loro tombe
Lamenta la perdita di Zaid al-Khail e 'Antar.
Nelle mani del Misericordioso e della Sua protezione
Siano le spoglie coperte dalle sabbie di Barqa,
Le coti della battaglia non vi hanno lasciato ossa
Da sgretolare, e le lance non hanno lasciato sangue da fluire.
Hanno lasciato un fragile velo di polvere in movimento.
Questo eroe dai modi beduini non ha fatto irruzione
In carrarmati o dall'aria,
Ma “il fratello dei cavalli” ha protetto le loro spalle
E dalle loro criniere ha guidato la lotta.
Ieri ha consegnato al destino della volontà di Dio un'anima
Che non ha mai arretrato se non ai decreti del Cielo
E l'ha incontrato con il capo indomito,
Come Socrate che affronta i suoi giudici, trascinando la sua veste;
Un vecchio che ha vinto la debolezza dell'età e non è scoppiato,
Come un bambino che ha paura della punizione, in lacrime
Fratello di circostanze in cui aveva vissuto al sicuro
Erano adesso cambiate, e lui si aveva prefigurato giorni bui.
I leoni in gabbia ruggiscono e mai incontrerai
Un leone meschino che si piange addosso in cattività.
Il prigioniero venne trascinando il peso delle catene,
Come un leone, dolorante per le ferite e impigliato, insegue il serpente maculato.
Le catene gli avevano morso la carne, ma non mostrava uno spirito fiaccato;
E gli anni avevano privato il suo corpo della forza.
Aveva settanta portati sulle spalle di un monte alto
I suoi altipiani sarebbero caduti per la stanchezza.
Quei settant'anni sono stati nascosti al giudice?
I miti soldati e i nobili comandanti non li hanno visti?
La vecchiaia attira simpatia dai cuori dei galantuomini
Che conoscono i loro antenati e i comportamenti dei loro padri.
Portarono al boia il glorioso, il cuore di leone,
Unguento delle ferite e liberatore di prigionieri,
Che condivideva le armi preziose con i suoi compagni
E faceva sedere i suoi nemici a tavola;
Ed essi hanno scelto la miserabile fune come strumento del suo destino,
Affinché il leone respiri la sua anima con esso;
Lo hanno privato di affrontare la morte con spade e lance,
Colui che usava, per primo, combattere con loro.
Ho visto che la mano della civiltà ha preferito
Talvolta abbattere la giustizia, talaltra edificarla,
Che ha fatto leggi per i suoi cittadini
Salvare quelli che hanno rifiutato di sottomettersi all'ingiustizia e i deboli.
O parenti, state ascoltando?
Che io possa modellare la mia elegia per "Umar il martire"
O i disastri ti hanno messo a freno la bocca e impedito
Alle tue orecchie di udire ciò che viene detto?
Il capo se n'è andato, ma tu sei immortale.
Setaccia dunque i tuoi uomini, scegli i tuoi capi,
Togli ai tuoi vecchi il peso della battaglia
E fanne carico ai tuoi giovani.
English translation / الترجمة الانكليزية / Traduzione inglese / Traduction anglaise / Englanninkielinen käännös :
Edward Evan Evans-Pritchard
LAMENTATION FOR OMAR EL MUKHTAR
They planted your body in the sand as a standard
Which rouses the wadi by day and by night.
Curses be on them who have built a blood-lighted beacon
To guide to vengeance the generations of tomorrow.
How would it have harmed them if they had made future ties
Between nations those of friendship and brotherhood?
It is a wound which shrieks for ever and a victim
Who gropes blindly for blood-stained freedom.
You, O sword unsheathed and raised in the wilderness,
Which gives sharpness for ever to the swords of the Arabs,
Whose Bedouin deserts have been the scabbard of every sword
Which has been well tried against the enemy,
And are the graves of the young Umayyad braves,
And their fathers, who live in memory and in God.
If a fortress were to be removed to the refuge of the Gemini
They would take by storm the strongholds of the stars;
For they conquered the north, its plains and its mountains
And swung round into green Tunisia and overran it.
There they built up a civilisation, and the pillars thereof were equal
To Baghdad and Grand Damascus.
You could choose, and you chose to pass your night fasting;
You did not seek to rule nor to store up riches.
Heroism is to die from thirst,
It is not to drink greedily.
Africa, the cradle of lions and their grave,
Its men and women made a great lamentation;
And Muslims of every race and country
Could find no consolation in this tragedy.
The Arabians of old from their graves
Lament the loss of Zaid al-Khail and ‘Antar.
In the hands of the Gracious and His keeping
Be the dead body pillowed by the sands of Barqa,
The grinding-stones of battle have left in it no bones
To crumble, and the lances no blood to flow.
Left brittle in a veil of moving dust.
This hero of Bedouin ways did not raid
In tanks or in the air,
But “the brother of horses” has guarded their backs
And from their manes has directed the fight.
Yesterday he yielded to the destiny of God’s will a soul
Which has never yielded except to Heaven’s decrees
And he met it with head unbowed,
As Socrates advancing to his judges, trailing his robe;
An old man who overcame the weakness of age and did not burst,
Like a child in fear of punishment, into tears
Brother of circumstances in which he had lived securely
They changed, and he had expected evil days.
Caged lions roar and you will never find
A mean-spirited lion whimpering in captivity.
The captive came dragging the weight of his chains,
As a lion, sore wounded and encoiled, trails the spotted serpent.
The chains had bitten into his flesh, but he did not show an overburdened spirit;
And the years had sapped his body of its strength.
Had seventy mounted on the shoulders of a high mountain
Its plateaux would have fallen from weariness.
Those seventy years were hidden from the judge?
The gentle soldiers and noble commanders did not see them?
Old age draws sympathy from hearts of gallant men
Who know their ancestry and the manners of their fathers.
They brought to the hangman the glorious, the lion¬hearted,
The salve of wounds and the freer of captives,
Who shared treasured arms with his comrades
And sat his enemies down to meat;
And they have chosen the despised rope to be the instrument of his fate,
For the lion to breathe out his soul by it;
They deprived him of death by swords and lances,
He who used, the foremost, to strike with them.
I saw that the hand of civilization loved
Sometimes to pull down justice, sometimes to build it,
That it made laws for its citizens
Save those who refused to submit to injustice, and the weak.
O you kinsmen, are you hearing?
That I may fashion my elegy for ‘Umar the Martyr
Or have disasters curbed your mouth and prevented
Your ears from hearing what is spoken to them?
The chieftain has gone, but you are immortal.
Sift then your men, choose your chiefs,
Relieve your old men from the burden of battle
And place it on your young men.
[Riccardo Gullotta]