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Misère

Malicorne
Lingua: Francese


Malicorne

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Canzone popolare francese
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Chanson populaire française
Ranskanlainen kansanlaulu
Album / Albumi: Je suis un chanteur de sornettes, Malicorne, 1976

vangopat


Quando ero ragazzo, proprio di fronte sul cortile abitavano due vecchissimi sposi. Lui si chiamava Torello, diceva sempre d'aver fatto tutte le guerre possibili e immaginabili e d'esserne uscito vivo, e è morto a centotré anni d'età, diversi anni dopo. La moglie non mi ricordo nemmeno come si chiamava di nome; la chiamavano tutti la “Nonna C.”, ove “C.” sta per il cognome (del marito), che non nomino qua. Eran diventati cittadini, chissà quando: ma erano nati contadini, tutti e due; e poiché s'era negli anni '70 del secolo scorso, occorreva immaginarseli contadini nei primi anni del ventesimi secolo. Quel che raccontavano a volte, come dire, rendeva l'idea; lui aveva fatto la seconda elementare, lei nemmeno quella perché non ce n'era bisogno per una bambina. Quindi non sapeva né leggere e né scrivere, in piena Firenze negli anni settanta. Era una donnina che sembrava ancor più decrepita di quel che era, tutta ricurva e con una vocina che si sentiva a malapena. Ma era uno spettacolo, specie per i ragazzotti e le ragazzotte del cortile, sentirla a volte raccontare le storie di quand'era ragazza, lei. Quando le voleva raccontare, cominciava invariabilmente dicendoci: “E vu' avehe visto un bei' mondo....!”. Una di queste sue storie riguardava le sue nozze col marito, il Torello, Doveva essere circa il 1920; cioè, al giorno d'oggi, cent'anni fa. Erano tutte e due delle Sieci, un paese di campagna in riva all'Arno, sulla strada che mena a Pontassieve, alla Consuma, a Arezzo. Ora ci si va in dieci minuti con la macchina, in venti con una Vespa, ci si va persino col treno (c'è una stazioncina), ci si va con ogni cosa, c'è l'autobus, c'è la Coop, ci sono i negozi, l'ambulatorio, il circolo ricreativo. Le nozze della Nonna C., che aveva diciott'anni, si erano svolte prima in chiesa e poi in casa con due cose da mangiare per i parenti e due o tre ragazzi e ragazze del vicinato. Avevano ricevuto i seguenti regali: due pentole. Una grande e una più piccola. Poi lo sposino, il Torello, l'aveva portata in viaggio di nozze: due giorni a Firenze, dove lei non era mai stata, in carretto. “ 'E ci vorse mezza giornata...!” E doveva essere stata anche una gran cosa e un gran sacrificio. Poi, finite le nozze e il gran viaggio, di corsa a lavorare i campi e, naturalmente, a fare figlioli. Poi, quella e le altre storie, la Nonna C., le terminava tutte con : “ 'E si mangiava miseria....!” E magari, quei due contadini non erano nemmeno fra i più poveri; in fondo, magari stringendo la cinghia dopo, s'eran potuti permettere di ricevere due pentole in regalo, e due giorni a Firenze in carretto (portandosi dietro il necessario da mangiare e passando la prima notte di nozze in chissà quale bettola, o locanda da due soldi). Nelle campagne c'era chi non si poteva permettere nemmeno quello. Miseria nera, miseria di secoli.

Già, la miseria. Così mi è venuta a mente questa canzoncina, che forse mi sarebbe dovuta venire a mente prima in mezzo a tutte le mie Malicornate. E' una canzone popolare francese di non so quale zona e nemmeno di quale epoca; ma, in fondo, poco importa. Potrebbe essere di dovunque e di quandunque. Parla anch'essa di nozze: quelle di una giovane sposa con madonna Miseria, di quella nera. La Miseria che bussa alla porta la sera stessa delle nozze; e ha voglia la sposina a dirle che in quella casa non c'è posto che per l'allegria. La Miseria entra lo stesso, si accomoda e non ci pensa nemmeno a andarsene. In compenso arriva l'ufficiale giudiziario a portarle via le sue due o tre povere cose, il baule del corredo, la padella. Alla fine la poveretta deve andare a messa con gli zoccoli bucati, ecco qua. Le canzoni popolari di qualsiasi tempo e paese parlano fondamentalmente di due o tre cose: fattacci di sangue, amori variamente declinati e ancor più variamente finiti, e miseria. Miseria a carrettate. Miseria a piene mani. L'unica cosa di cui c'era una vera abbondanza. Così, eccola ricordandomi ogni tanto d'essere rimasto un Malicornuto senza compromessi e senza ripensamenti. Comunque, tanto, in questi tempi meravigliosi la Miseria se n'è andata via, no?..... [RV]
Qui veut avoir misère
N'a qu'à s'y marier, lon la lon la
N'a qu'à s'y marier, lon la

Le premier soir des noces
Misère vient à ma porte, lon la lon la
Qui demandait d'entrer, lon la

Je n'loge point misère
Je n'loge que gaieté, lon la lon la
Je n'loge que gaieté, lon la

Misère s'est installée
J'ai pas pu l'envoyer, lon la lon la
J'ai pas pu l'envoyer, lon la

Le troisième soir des noces
L'huissier vient à ma porte, lon la lon la
C'est pour m'accoutumer, lon la

L'a emporté mon coffre
Ma poêle à fricasser, lon la lon la
Ma poêle à fricasser, lon la

Ma jolie robe de noces
Mon bouquet d'oranger, lon la lon la
Mon bouquet d'oranger, lon la

Quand je vais à la messe
Toujours ma robe traine, lon la lon la
Sur mes sabots percés, lon la.

inviata da Riccardo Venturi - 14/4/2021 - 12:17



Lingua: Italiano

Traduzione italiana / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös:
Riccardo Venturi, 14-4-2021 12:19

Miseria

Chi vuole aver miseria
Non ha che da maritarcisi, lon la lon la
Non ha che da maritarcisi, lon la

La prima sera di nozze
Miseria mi è venuta alla porta, lon la lon la
Chiedendomi d'entrare, lon la

Non do alloggio alla miseria,
Soltanto all'allegria, lon la lon la
Soltanto all'allegria, lon la

Miseria s'è sistemata,
Non ho potuto mandarla via, lon la lon la
Non ho potuto mandarla via, lon la

La terza sera di nozze
È venuto l'ufficiale giudiziario, lon la lon la
Così per abituarmi, lon la

M'ha portato via il baule
E la padella da fricassea, lon la lon la
La padella da fricassea, lon la

Il mio bel vestito da sposa
E il mazzo di fiori d'arancio, lon la lon la
Il mazzo di fiori d'arancio, lon la

E quando vado a messa
Mi strascica sempre il vestito, lon la lon la
Sui miei zoccoli bucati, lon la.

14/4/2021 - 12:19


Le parole provengono dalle "Canzoni popolari delle Province dell'Ovest" di Jérome Bugeaud (Angoumois, Bas-Poitou). La musica invece è quella di una ballata savoiarda dal titolo "Si je savais voler". Canzone che ho sentito interpretare in Bretagna una decina di anni fa dal compianto Yann-Fañch Kemener e il cui testo originale racconta di un tizio che se sapesse volare come una starna, andrebbe dalla sua bella a letto malata e la farebbe guarire...

Effettivamente il flagello, qui personificato e diventato nel testo così tangibile per queste miserabili vittime di una vita talmente misera e dolente, è lo stesso in ogni epoca e a qualsiasi latitudine.

L'organo "positivo" che accompagna le voci del duo Yacoub in questa occasione (suonato da Hughes de Courson), era un vero capolavoro, opera del compagno Serge Grolleau di Bordeaux.

Saluti da altro Malicornuto inde-fesso

Flavio Poltronieri - 15/4/2021 - 14:15




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