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Baborcká Němkyně

anonyme
Langue: tchèque (Chodské)


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Ricordo che volevo raccontare la storia di questa canzone già qualche anno fa, poi l'ho lasciata da parte. In fondo, pensavo, non è una canzone contro la guerra. Ad ascoltarla, è una semplice canzone popolare di tematiche amorose, come ce ne sono a bizzeffe in ogni località del mondo, in ogni lingua e dialetto. Come mai allora mi è tornata in mente ora?

Le canzoni, a volte, fanno paura. Anche in questi giorni abbiamo sentito cose che vorremmo non sentire più. E invece ritornano sempre. Insomma, le canzoni hanno sempre fatto paura. Chiunque nella storia ha cercato di soggiogare i suoi simili, prima o poi ha dovuto fare i conti, tra le altre forme di protesta o lotta, con la poesia, la musica, l'arte. Ed è dura, lottare contro le canzoni. Ragioniamo un momento: uno che detiene il potere – che sia un dittatore, un partito politico o qualsiasi altra entità – e vuole imporre la propria immagine di forza e invincibilità, all'improvviso si trova costretto ad ammettere, prima a se stesso e poi agli altri, di aver timore di una canzone... È da qui che scaturisce il particolare accanimento che le dittature e i regimi di ogni colore hanno riservato ai poeti e agli artisti scomodi: essi non erano colpevoli soltanto di aver osato esprimersi contro il potere, ma anche – e questo era peggio – di averlo umiliato nella sua essenza più profonda.

Immagino l'imbarazzo del censore di turno che si è trovato a dover prendere la decisione di mettere al bando questa canzoncina. Ebbene sì, perfino questa canzone che è poco più di una filastrocca tramandata da generazioni e che tutt'al più avrebbe potuto allietare qualche sagra paesana o evento folkloristico, è stata oscurata per lunghi anni e tolta dal repertorio delle bande di fiati e cornamusa.

Šumava, vista del monte Boubín
Šumava, vista del monte Boubín


Andiamola a vedere più da vicino. La sua composizione si perde nella notte dei tempi: si parla in essa dei campi della signoria, siamo quindi in un'epoca in cui l'Europa era ancora nel giogo del sistema feudale. Il dialetto in cui è scritta ci trasporta nell'incantevole zona montuosa di Šumava, un angolo del mondo tra la Boemia, la Baviera e l'Alta Austria dove da tempi immemori vivevano insieme cechi e tedeschi in una situazione talvolta di bilinguismo, con i suoi più e i suoi meno che sempre caratterizzano una qualsiasi convivenza umana. Ci porta tra gente di montagna che per secoli se ne infischiava di sapere dove i potenti avessero fissato i confini dei loro regni, e continuava a mescolare le tradizioni, intrecciare legami familiari e a condividere la vita quotidiana. Regione chiamata in tedesco Böhmerwald (Selva Boema) le cui vicende ci ha raccontato l'abile penna di Jindřich Šimon Baar (in ceco) e che ha dato i natali ad Adalbert Stifter che a Horní Planá ha raccolto i primi stimoli per esprimere la sua concezione del mondo biedermeier (in tedesco).

Da qualche parte in questa cornice ha luogo il mini-dialogo della canzone che stiamo esaminando. Due innamorati, presumibilmente un ceco e una tedesca bavarese (che dà il titolo alla canzone): l'uno chiede all'altra fin dove lo può accompagnare, al che lei risponde che attraverserà con lui le terre dei signori ma oltre non può andare. Non sappiamo quali restrizioni hanno impedito alla ragazza bavarese di allontanarsi dai campi della signoria: se hanno a che vedere con le leggi feudali che confinavano i contadini nei territori del proprio signore e limitavano anche la possibilità di contrarre matrimoni al di fuori delle rispettive circoscrizioni, o se i due erano una sorta di Romeo e Giulietta che hanno incontrato l'ostracismo delle proprie famiglie. Può anche darsi che il parziale rifiuto della fanciulla sia un modo celato per far capire al fidanzato che era disposta a concedersi fino a un certo limite, oltre il quale una giovinetta perbene, ligia alla morale dell'epoca, non poteva proprio andare.

Non sappiamo quale fu la vicenda dei due innamorati che ci hanno lasciato questa traccia. Conosciamo invece il corso della storia che travolse la regione che fu il loro mondo. Nel '900 essa ha visto le due guerre mondiali, alla seconda delle quali è immediatamente seguita una vera e propria cacciata di casa dei civili di nazionalità tedesca da tutta la zona di Sudetenland – i cosiddetti Decreti di Beneš che ancora costituiscono una nota dolente e irrisolta nella coscienza collettiva. Nella seconda metà del secolo poi la Selva Boema, la Šumava, si è trovata divisa da un confine che non era un confine qualsiasi. Passava di lì l'inconfondibile linea di demarcazione tra l'Ovest e l'Est, la cortina di ferro fatta di fili spinati, il limite invalicabile con cui la guerra fredda divideva il mondo in due parti. E così quell'innocente verso “oltre non posso andare” è diventato ancora una volta attuale, una beffa del destino che derideva i funzionari del partito al potere nei loro sforzi di bloccare la mobilità e gli scambi pericolosi tra i due mondi. Eh già, in Baviera proprio non si poteva andare. E a maggior ragione lo percepivano coloro che l'avevano, come si suol dire, a un tiro di sasso. Non c'era altro rimedio, quella canzone era scomoda, bisognava che non fosse suonata in pubblico. Però occorreva farlo con discrezione, del resto chi si vanterebbe di aver proibito una canzoncina popolare... A loro favore giocava il fatto che di canzonette in cui Anička amava Pepíček e Mařenka tradiva Honzíček o viceversa ce ne erano letteralmente migliaia, c'era dunque una buona probabilità che i tentativi di farla dimenticare in silenzio potessero andare a buon fine. A chi sarebbe mancata proprio questa? Così è stato deciso che le feste da ballo in campagna avrebbero fatto benissimo senza.

Infatti, ho saputo questa storia probabilmente un po' per caso, attraverso una testimonianza privata di una persona che si ricordava di aver sentito la canzone in gioventù e, per quelle coincidenze che fanno sì che una melodia ci entri dentro e ci rimanga, non se l'è mai scordata. Sperava di riascoltarla in qualche occasione, ma passavano gli anni e questa canzone come se fosse sparita in un buco nero. Non era difficile capirne il motivo. Per chi viveva quotidianamente quella realtà, era una specie di allenamento. Si imparava a interpretare i vuoti, a individuare messaggi nascosti, ad ascoltare quei silenzi che urlavano più di mille voci in coro.

Alla fine, la canzone ha avuto fortuna. Ancora una volta è cambiato il sistema politico e quello nuovo non sentiva più la necessità di proibirla. Per lo meno passare il confine non era più un reato. Il recupero della registrazione non è stato immediato, tuttavia dopo un po' di tempo alcune iniziative locali, con l'aiuto dello studio radiofonico di Plzeň, si sono adoperate per ripescarla dal dimenticatoio, ed è uscita alla luce una versione a cura del gruppo di suonatori di cornamusa Konrádyho dudácká muzika, insieme a due eccellenti interpreti di musiche tradizionali della zona di Chodsko, Oldřich Heindl e Albert Švec. Ultimamente è approdata anche su youtube e altre piattaforme. Si può dire che ce l'ha fatta. Nel suo piccolo è lì a testimoniare che gli intrighi del potere non sono invincibili. È un frammento minuscolo, ma ben lucido e colorato, di un enorme mosaico della resistenza.

Ed è per questo che chiedo che venga accolta nel mare magnum delle CCG: mi piacerebbe dedicarla, in modo simbolico e per quel che può contare, a chi ancora oggi soffre delle repressioni per aver parlato attraverso la musica.
Daleko-li ty mě, Baborcká Němkyně,
daleko-li ty mě vyprovodíš?
Haž za panckou louku,
muj zlatyj pacholku,
haž za panckou louku,
dál jít nesmím.

Daleko-li ty mě, Baborcká Němkyně,
daleko-li ty mě vyprovodíš?
Za to pancký pole,
mý zlatý pachole,
za to pancký pole,
dál jít nesmím.

envoyé par Stanislava - 9/3/2021 - 12:52




Langue: italien

Versione italiana / Italian version / Version italienne / Italiankielinen versio: Stanislava
TEDESCA BAVARESE

Lontano, o te, tedesca bavarese,
lontano mi accompagnerai?
Fin di là del prato dei signori,
garzone mio carissimo,
fin di là del prato dei signori,
oltre non posso andare.

Lontano, o te, tedesca bavarese,
lontano mi accompagnerai?
Di là di quel campo dei signori,
garzoncello mio caro,
di là di quel campo dei signori,
oltre non posso andare.

envoyé par Stanislava - 9/3/2021 - 12:54


Se viene accolta nel sito?... Immediatamente. Straordinaria, e, soprattutto, straordinaria la tua introduzione, Stanislava. Grazie davvero.

Riccardo Venturi - 10/3/2021 - 10:54




Langue: français

Version française – ALLEMANDE BAVAROISE – Marco Valdo M.I. – 2021
d’près la version italienne – TEDESCA BAVARESE de Stanislava – 2021
d’une chanson tchèque (Chodské) – Baborcká Němkyně – anonyme – s.d.

ENSEMBLE  <br />
Václav Brožík – ca 1900
ENSEMBLE
Václav Brožík – ca 1900


Je me souviens avoir voulu raconter l’histoire de cette chanson il y a quelques années, puis je l’ai laissée de côté. Après tout, pensais-je, ce n’est pas une chanson contre la guerre. À l’écouter, il s’agit d’une simple chanson populaire sur le thème de l’amour, comme on en trouve bézef dans tous les coins du monde, dans toutes les langues et tous les dialectes. Alors comment elle m’est revenue à l’esprit maintenant ?
Les chansons, parfois, font peur. Même de nos jours, nous avons entendu des choses que nous voudrions ne plus jamais entendre. Et au contraire, elles reviennent toujours. En somme, les chansons ont toujours fait peur. Quiconque, dans l’histoire, a tenté de subjuguer ses semblables a eu tôt ou tard affaire, parmi d’autres formes de protestation ou de lutte, à la poésie, à la musique, à l’art. Et c’est dur, de lutter contre les chansons. Raisonnons un moment : quelqu’un qui détient le pouvoir – qu’il s’agisse d’un dictateur, d’un parti politique ou de toute autre entité – et veut imposer sa propre image de force et d’invincibilité, se voit soudain contraint d’admettre, d’abord à lui-même, puis aux autres, qu’il a peur d’une chanson… C’est là que surgit la fureur particulière que les dictatures et les régimes de toutes les couleurs ont réservée aux poètes et aux artistes incommodes : ils n’étaient pas seulement coupables d’avoir osé s’exprimer contre le pouvoir, mais aussi – et c’était le pire – de l’avoir humilié dans son essence la plus profonde.

J’imagine l’embarras du censeur de service qui s’est trouvé à devoir prendre la décision d’interdire cette chansonnette. Oui, même cette chanson, qui n’est guère plus qu’une comptine transmise de génération en génération et qui aurait tout au plus pu égayer une fête de village ou un événement folklorique, a été occultée pendant de nombreuses années et retirée du répertoire des orchestres à vent et cornemuses.
Examinons-la de plus près. Sa composition se perd dans la nuit des temps ; on y parle des champs de la seigneurie, nous sommes donc à une époque où l’Europe était encore sous le joug du système féodal. Le dialecte dans lequel il est écrit nous transporte dans la charmante région montagneuse de la Šumava, un coin du monde entre la Bohême, la Bavière et la Haute-Autriche où depuis des temps immémoriaux, Tchèques et Allemands cohabitent dans une situation parfois de bilinguisme, avec ses plus et ses moins qui toujours caractérisent n’importe quelle coexistence humaine. Il nous emmène parmi les montagnards qui, pendant des siècles, s’en foutaient de savoir où les puissants avaient fixé les frontières de leurs royaumes, et continuaient à mélanger les traditions, à tisser des liens familiaux et à partager la vie quotidienne. La région connue en allemand sous le nom de Böhmerwald (forêt de Bohème), dont l’histoire nous a été racontée par la plume habile de Jindřich Šimon Baar (en tchèque) et qui a été le lieu de naissance d’Adalbert Stifter, qui a rassemblé dans Horní Planá les premiers stimuli pour exprimer sa conception du monde Biedermeier (en allemand).
Quelque part dans ce cadre se déroule le mini-dialogue de la chanson que nous examinons. Deux amants, vraisemblablement un Tchèque et une Allemande de Bavière (qui donne son titre à la chanson) : l’un demande à l’autre jusqu’où elle peut l’accompagner, à quoi elle répond qu’elle traversera avec lui les terres des seigneurs, mais ne pourra pas aller plus loin. Nous ne savons pas quelles restrictions empêchaient la fille bavaroise de s’éloigner des champs de la seigneurie : s’agit-il des lois féodales qui confinaient les paysans aux territoires de leur seigneur et limitaient également la possibilité de contracter des mariages en dehors de leurs districts respectifs, ou si les deux étaient une sorte de Roméo et Juliette qui se heurtaient à l’ostracisme de leurs propres familles. Il se peut aussi que le refus partiel de la jeune fille soit une manière cachée de faire comprendre au fiancé qu’elle était prête à se donner jusqu’à une certaine limite, au-delà de laquelle une jeune fille respectable, en accord avec les mœurs de l’époque, ne pouvait vraiment pas aller.

Nous ne savons pas ce quelle fut l’histoire des deux amoureux qui nous ont laissé cette trace. Nous connaissons par contre est le cours de l’histoire qui a balayé la région qui était leur monde. Au XXe siècle, elle a été le témoin de deux guerres mondiales, dont la seconde a été immédiatement suivie d’une véritable expulsion des civils de nationalité allemande de toute la région des Sudètes – les décrets dits de Beneš, qui constituent toujours une note douloureuse et non résolue dans la conscience collective.

Dans la seconde moitié du siècle, la Šumava était divisée par une frontière qui n’était pas n’importe quelle frontière. Passait là l’immanquable ligne de démarcation entre l’Ouest et l’Est, le rideau de fer fait de fils barbelés, la limite infranchissable avec laquelle la guerre froide divisait le monde en deux parties. Et ainsi ce vers innocent « au-delà je ne peux pas aller » est devenu une fois encore actuel, une dérision du destin qui se moquait des responsables du parti au pouvoir dans leurs efforts pour bloquer la mobilité et les échanges périlleux entre les deux mondes. Eh oui, en Bavière, on ne pouvait pas aller. Et d’autant plus le percevaient ceux qui l’avaient, comme on dit, à un jet de pierre.

Il n’y avait pas d’autre remède, cette chanson était incommode, il fallait qu’elle ne soit pas jouée en public. Mais il fallait le faire avec discrétion, après tout, qui se vanterait d’avoir interdit une chanson populaire… En leur faveur, il y avait le fait qu’il y avait littéralement des milliers de chansons dans lesquelles Anička aimait Pepíček et Mařenka trahissait Honzíček ou vice versa ; il y avait donc de bonnes chances que les tentatives de la faire oublier en silence puissent être couronnées de succès. À qui aurait manqué celle-là ? Ainsi, il a été décidé que les soirées dansantes du pays se dérouleraient bien sans.

En fait, j’ai su cette histoire probablement un peu par hasard, à travers le témoignage privé d’une personne qui se souvenait avoir entendu cette chanson dans sa jeunesse et, par ces coïncidences qui font qu’une mélodie entre en nous et y reste, ne l’a jamais oubliée. Elle espérait la réentendre à l’occasion, mais les années ont passé et cette chanson a comme disparu dans un trou noir. Ce n’était pas difficile de comprendre pourquoi. Pour qui vivait cette réalité au quotidien, c’était une sorte d’entraînement. On apprenait à interpréter les lacunes, à identifier les messages cachés, à écouter ces silences que hurlaient plus de mille voix en chœur.
Finalement, la chanson a eu de la chance. Une fois de plus, le système politique a changé et le nouveau n’a plus ressenti le besoin de l’interdire. Au moins, traverser la frontière n’était plus un délit. La récupération de l’enregistrement n’a pas été immédiate, mais après un certain temps, certaines initiatives locales, avec l’aide du studio de radio de Plzeň, se sont employés pour la récupérer de l’oubli, et sortie au grand jour une version du groupe de cornemuseux Konrádyho dudácká muzika a vu le jour, ainsi que de deux excellents interprètes de la musique traditionnelle de la région de Chodsko, Oldřich Heindl et Albert Švec. Dernièrement, elle a également abouti sur youtube et d’autres plateformes. On peut dire qu’elle a réussi. À sa manière, elle est là pour témoigner que les intrigues du pouvoir ne sont pas invincibles. C’est un fragment minuscule, mais bien poli et coloré, d’une énorme mosaïque de la résistance.
Et c’est pour cela que je demande qu’elle soit accueillie dans la mer magnum des GCC ; il me plairait de la dédier, de manière symbolique et pour ce que ça peut valoir, à ceux qui, aujourd’hui encore, subissent des répressions pour avoir parlé à travers la musique. (Stanislava)
ALLEMANDE BAVAROISE


Ô toi, Allemande bavaroise, au loin,
M’accompagneras-tu au loin ?
Jusqu’au bord du pré des seigneurs,
Mon très cher garçon,
Au-delà du pré des seigneurs,
Je ne peux aller plus long.

Ô toi, Allemande bavaroise, plus loin
M’accompagneras-tu plus loin ?
Jusqu’au bord du champ des seigneurs,
Mon très cher garçon,
Au-delà du champ des seigneurs,
Je ne peux aller plus long.

envoyé par Marco Valdo M.I. - 12/3/2021 - 19:46




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