La canzone di Gianluca Lalli racconta in versi la sfortunata vita del grande poeta Dino Campana, grandissima voce poetica del suo tempo che morì inascoltato tra le mura di un manicomio
Quando son nato io c’era un gran sole
nei fitti boschi di castagno e faggio
mio padre pensò a me come un dottore
e invece son lo scemo del villaggio
Mia madre mi trascinava in una chiesa
voleva farmi togliere il malocchio
il prete biascicava una preghiera
lei sembrava la madonna e lui pinocchio
E mi han mandato a scuola ero un somaro
e mi han scoperto a dir quello che penso
cioè che preferisco l’aria e il sole
e che la scuola in fondo non ha senso
E quindi mi han mandato a lavorare
assunto da un amico di famiglia
ma sai che l’unica cosa che ho imparato
è fare dei giochetti con sua figlia
Ho fatto più lavori e non duravo
perché mi distraevo col pensiero
era forte il richiamo di partire
e ho e ho smesso allora d’esser prigioniero
Della poesia io porto la bandiera
dei giorni assaporo ogni momento
non dovrebbe esser male lavorare
ma ho troppo da fare e proprio non ho tempo
Loro credon che io sia un ragazzino
di grande stazza e zero cervello
quando passo li sento borbottare
e nella piaga affondano il coltello
Li vedo scompisciarsi tra le risa
alcuni fanno il segno della croce
“ognuno è perso nella sua follia”
vorrei gridarlo eppure non ho voce
Per strada io trascino una catena
ognuno ha la sua croce non mi danno
tra le risa degli altri faccio pena
loro son come me ma non lo sanno
E adesso il manicomio è la mia casa
la luce accesa è quella delle stelle e
quando guardo fuori per la strada
chiudendo gli occhi vedo cose belle
Mi sforzo di pensar che il mondo è bello
che ogni uomo segua una propria via
e con tutta la gente che ho incontrato
la mia sola amica è stata la poesia
Tiro lacci come lire alle mie scarpe
ed il mio tetto è l’Orsa Maggiore
ed ho trovato il nome al mio disagio
la mia pazzia si chiama Ribellione
Per quello che posso
per quello che sento
per quello che voglio
per quello che penso
dovrei essere morto già da un pezzo!
nei fitti boschi di castagno e faggio
mio padre pensò a me come un dottore
e invece son lo scemo del villaggio
Mia madre mi trascinava in una chiesa
voleva farmi togliere il malocchio
il prete biascicava una preghiera
lei sembrava la madonna e lui pinocchio
E mi han mandato a scuola ero un somaro
e mi han scoperto a dir quello che penso
cioè che preferisco l’aria e il sole
e che la scuola in fondo non ha senso
E quindi mi han mandato a lavorare
assunto da un amico di famiglia
ma sai che l’unica cosa che ho imparato
è fare dei giochetti con sua figlia
Ho fatto più lavori e non duravo
perché mi distraevo col pensiero
era forte il richiamo di partire
e ho e ho smesso allora d’esser prigioniero
Della poesia io porto la bandiera
dei giorni assaporo ogni momento
non dovrebbe esser male lavorare
ma ho troppo da fare e proprio non ho tempo
Loro credon che io sia un ragazzino
di grande stazza e zero cervello
quando passo li sento borbottare
e nella piaga affondano il coltello
Li vedo scompisciarsi tra le risa
alcuni fanno il segno della croce
“ognuno è perso nella sua follia”
vorrei gridarlo eppure non ho voce
Per strada io trascino una catena
ognuno ha la sua croce non mi danno
tra le risa degli altri faccio pena
loro son come me ma non lo sanno
E adesso il manicomio è la mia casa
la luce accesa è quella delle stelle e
quando guardo fuori per la strada
chiudendo gli occhi vedo cose belle
Mi sforzo di pensar che il mondo è bello
che ogni uomo segua una propria via
e con tutta la gente che ho incontrato
la mia sola amica è stata la poesia
Tiro lacci come lire alle mie scarpe
ed il mio tetto è l’Orsa Maggiore
ed ho trovato il nome al mio disagio
la mia pazzia si chiama Ribellione
Per quello che posso
per quello che sento
per quello che voglio
per quello che penso
dovrei essere morto già da un pezzo!
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