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da "Radio Rebelde"

Testo di Dino Frisullo
Il testo è ripreso da FuoriRegistro

dino-frisullo

È il canto del popolo Curdo per il Capodanno, che coincide con il primo giorno di primavera: una festa per un popolo distrutto e perseguitato nella sua stessa terra. Il testo è di Dino Frisullo, presidente dell’Associazione Azad, che si occupa di dare voce ai Curdi in tutto il mondo. Arrangiato ed eseguito in classico stile MCR, si avvale dei fiati di Daniele Sepe.

(da La Grande Famiglia)


6 giugno 2003
Questa notte ci ha lasciato Dino.


È morto a Perugia assistito dai suoi familiari fino all'ultimo istante. È stato per tutti e tutte noi un esempio, una persona che non ha mai smesso un attimo di aiutare i piu' bisognosi, i migranti, i rifugiati politici e tutti coloro a cui i piu' elementari diritti sono negati, come hanno dimostrato le sue appassionate battaglie per il popolo curdo e per quello palestinese.

Ci lascia con un'eredita' pesante da accettare, perche' ha affrontato la sfida politica e dei diritti per tutti i popoli lavorando notte e giorno. Era segretario dell' associazione nazionale antirazzista Senza confine e portavoce nazionale dell'associazione Azad per la liberta' del popolo kurdo.


Ramblers Dub - Una Perfecta Excusa - Carretera Austral - La legge giusta - Primo potere - Maisha - Veleno - Pirata satellitare – Ghetto - Mamagranda - Newroz - Terra del fuoco - Triste, solitario y final

Danza nel sole, danza nel vento
salta col fuoco finché non si è spento
porta la legna, ravviva la brace
danza con noi questa danza di pace

Balla col fuoco e poi canta ancora
rompi la notte, vicina è l'aurora
il passo e' forte, la voce sicura
oggi è finita galera e tortura!

Newroz è il nuovo giorno il Newroz
Newroz abbatte i muri il Newroz

È primavera, sbocciano i fiori
dolci gli odori, caldi i colori
radici forti nei nostri cuori
dure le spine per gli oppressori

Fiore di monte, fiore di neve
e' sbocciato un fiore tra grate e catene
fiore cresciuto da sangue e dolore
fiore di fuoco, fiore d'amore...

Newroz è il nuovo giorno il Newroz
Newroz è primavera il Newroz

Fuori di casa giù nella via
che spari pure la gendarmeria
corri sorella, ormai non sei più sola
per ogni sparo una pietra che vola

Giù nei villaggi si balla e si danza
dalle montagne è un fuoco che avanza
fuoco che porta la dignità
balli di gioia e di libertà

Newroz è il nuovo giorno il Newroz
Newroz è primavera il Newroz
Newroz è il nuovo giorno il Newroz
Newroz abbatte i muri il Newroz

envoyé par Riccardo Venturi - 6/7/2007 - 14:55



Langue: espagnol

Versione spagnola di Santiago
NEWROZ

Danza en el sol, danza en el viento
salta con el fuego mientras no se apague
trae la leña, reaviva las brasas
danza con nosotros esta danza de paz.

Baila con el fuego y después canta otra vez
la noche rompe, se acerca el amanecer
el paso es fuerte, la voz segura:
¡Hoy se terminan cárcel y tortura!

Newroz es el nuevo día el Newroz
Newroz tira los muros el Newroz

Es primavera, se abren las flores,
dulces los olores, cálidos los colores
raíces fuertes en nuestros corazones
duras las espinas para los opresores.

Flor de montaña, flor de la nieve,
brotó una flor entre rejas y cadenas
flor crecida con sangre y dolor
flor de fuego, flor de amor...

Newroz es el nuevo día el Newroz
Newroz es primavera el Newroz

Fuera de casa, allá a la calle,
que está disparando la gendarmería
corre hermana, ya no estás sola
por cada disparo hay una piedra que vuela.

Abajo en los pueblos se baila y se danza
desde las montañas es un fuego que avanza
fuego que porta la dignidad
bailes de alegría y de libertad

Newroz es el nuevo día el Newroz
Newroz es primavera el Newroz
Newroz es el nuevo día el Newroz
Newroz tira los muros el Newroz

envoyé par Santiago - 23/6/2016 - 01:13


Gianni Sartori - 6/11/2020 - 21:05


Gianni Sartori - 9/11/2020 - 01:42


KURDISTAN DEL SUD: PDK E UPK REPRIMONO LE MANIFESTAZIONI DI PROTESTA

(Gianni Sartori)

Per protestare contro la sospensione delle borse di studio - una decisione del governo regionale -ormai da diversi giorni gli studenti sono in agitazione nel Kurdistan del Sud (Nord dell’Iraq). E’ infatti dal 2014 che non vengono più corrisposte a chi non è in grado (come invece si possono permettere i figli delle famiglie ricche o comunque appartenenti alla élite politica) di frequentare qualche università privata. A questo si aggiungono le contestazioni per le condizioni disagiate in cui versano i dormitori universitari.

Il 24 novembre in migliaia hanno manifestato a Sulaymaniyah davanti al governatorato mentre a Erbil veniva bloccata la strada per Kirkuk.

Manifestazioni che sono state represse e disperse brutalmente dalle forze di sicurezza, utilizzando sia lacrimogeni in gran quantità che i cannoni ad acqua.

Impedendo nel contempo ai giornalisti di documentare e testimoniare su quanto stava accadendo.

Nel frattempo da parte del Consiglio dei ministri del KRG (il governo regionale) veniva presa la decisione di destinare dei fondi per risolvere almeno la questione dei dormitori, fornire servizi e dare un aiuto agli studenti. Troppo poco comunque per tacitare le proteste.

Se finora era stato soprattutto il PDK (il partito del clan Barzani) a intervenire contro gli studenti in agitazione, il 24 novembre sono entrate in azione anche le forze di sicurezza dell’UPK (Unione patriottica del Kurdistan, il partito del clan Talabani) entrando nell’Università di Souleimaniyeh per mettere fine alle richieste organizzate di ripristino delle borse di studio. Esplicite immagini dell’intervento repressivo sono state diffuse in rete dagli stessi studenti.

Così a Erbil, in particolare alla facoltà di Farmacia, dove sono intervenute le forze del PDK. In attesa presumibilmente di bloccare ogni sede universitaria in agitazione.

Per gli studenti dissenzienti si tratterebbe dell’ulteriore conferma di quanto vanno denunciando da tempo. Ossia che PDK e UPK - oltre a spartirsi le rendite petrolifere e governare con un nepotismo conclamato - sono disposti a usare anche la violenza contro le legittime richieste della popolazione impoverita.

Non è certo da oggi, bensì da qualche anno che nel Kurdistan del Sud si protesta sia per il generale impoverimento, sia contro la corruzione della classe politica. Costituita sostanzialmente dalle famiglie Barzani e Talabani (al potere ormai da tre decenni) che detengono il potere tramandandolo di padre in figlio e nipote. Famiglie che si sono arricchite grazie ai proventi del petrolio mentre per i giovani diseredati si aprivano solo le strade dell’emigrazione, dell’esilio.

Come si è visto in maniera drammatica in questi giorni alla frontiera tra Polonia e Bielorussia dove alcuni curdi sono morti di freddo e di stenti nel tentativo di raggiungere la Germania. Così come troviamo  molti curdi tra gli accampati nei pressi di Calais che sperano di approdare un giorno in Gran Bretagna.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 25/11/2021 - 06:29


TORTURATA, VIOLENTATA E INFINE “SUICIDATA”:

IL CALVARIO DI UN’ALTRA PRIGIONIERA POLITICA CURDA

Gianni Sartori

Di Garibe Gezer mi ero occupato circa due mesi fa denunciando le ignobili sevizie a cui veniva sottoposta dai suoi carcerieri.

Torturatori e aguzzini che ora hanno completato l’opera di annientamento nei confronti di questa prigioniera politica rinchiusa nel carcere di massima sicurezza (di tipo F) di Kandira a Kocaeli.

Secondo la versione fornita dall’amministrazione carceraria, la giovane curda - arrestata a Mardin ancora nel 2016 - si sarebbe“suicidata”.

Numerose donne, esponenti delle Madri della Pace, del Movimento delle Donne Libere (TJA), dell’Associazione di aiuto alle famiglie dei prigionieri (TUHAY DER) e dell’HDP, si sono riunite davanti all’ospedale di Kocaeli per riavere il corpo della giovane vittima. Hanno poi portato a spalla la bara scandendo slogan contro la repressione nonostante la polizia intervenisse per impedirlo.

Nella tarda serata del 10 dicembre è stata sepolta a Kerbora, la città dove era nata 28 anni fa. 

Ma la versione ufficiale sulla morte di Garibe Gezer non ha convinto Eren Keskin. In quanto avvocato e co-presidente dell’Associazione dei Diritti dell’Uomo (IHD) si è chiesta come la detenuta abbia potuto suicidarsi visto che si trovava in isolamento (per una sanzione disciplinare), sotto lo sguardo perenne delle telecamere.

Nell’ottobre scorso, con una Iniziativa parlamentare delle donne del Partito Democratico dei popoli(HDP), veniva segnalato che Garibe era stata posta in isolamento per 22 giorni dopo il suo trasferimento - il 15 marzo - dalla prigione di Kayseri in quella di Kandira dove in queste ore ha perso la vita. Il 24 maggio, agenti penitenziari, sia uomini che donne, erano entrati nella sua cella per picchiarla. Si leggeva nel rapporto che “mentre le guardiane le tenevano le braccia bloccate, gli uomini la picchiavano sulla schiena.

I suoi abiti venivano strappati, le venivano tolti i pantaloni per essere quindi trascinata per i capelli, seminuda, nell’area riservata ai detenuti maschi”.

Scaraventata in una “cella imbottita completamente isolata e controllata 24 ore su 24”.

E qui subiva “violenze sessuali da parte dei carcerieri”.

A causa delle violenze subite, secondo il rapporto di HDP, la prigioniera avrebbe cercato di porre fine ai suoi giorni. Portata nell’infermeria del carcere, vi subiva altri maltrattamenti e non veniva curata.

Messa in isolamento, il 7 giugno tentava di appiccare il fuoco alla sua cella e veniva gettata nuovamente in una cella imbottita. In una conversazione telefonica con la sorella era riuscita a informare i familiari che sarebbe stata posta ancora in isolamento e che nei suoi confronti venivano esercitate altre restrizioni disciplinari. Quanto alle lettere, alcune sono state censurate, altre mai spedite.

Nonostante le sue proteste e denunce degli abusi subiti in carcere fossero note da tempo, nessuna inchiesta era mai stata avviata.

Agli avvocati dell’Ufficio di aiuto giuridico contro la violenza sessuale e lo stupro, che si erano recati al carcere insieme a quelli dell’Associazione degli avvocati per la libertà (OHD), non veniva concessa la possibilità di assistere all’autopsia.

Una vicenda quella di Garibe Gezer purtroppo analoga a tante altre.

La sua famiglia in particolare ha pagato un prezzo molto alto nella lotta di liberazione. Nell’ottobre 2014 il fratello Bilal era caduto combattendo a Kobane. Un altro fratello, Mehemet Emin Gezer, si era recato al commissariato di Dargeçit per poterne recuperare il corpo, ma era stato colpito dalla polizia delle operazioni speciali rimanendo paralizzato. Altri membri della famiglia erano poi stati ugualmente incarcerati.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 10/12/2021 - 23:52


DOPO LE ELEZIONI TURCHE
Gianni Sartori

Turchia: qualche considerazione a posteriori (“a bocce ferme”, relativamente ferme almeno) post elettorale.

Con qualche segnale di speranza (anche se sappiamo che il peggio può sempre arrivare).

Ricordando soprattutto che la questione principale, quella determinante,rimane l’economia. Quella turca (con la la lira in caduta libera) è messa piuttosto male, naviga a vista e non si esclude un naufragio.

Stando ai dati forniti per il 2023 da Enag (Gruppo di ricerca sull’inflazione) l’inflazione si aggira sul 58,9% e l’aumento dei prezzi al consumo arriva al 128%. Una tendenza che si mantiene e conferma almeno dal 2019.

L’aumento del costo della vita, insopportabile per una fetta consistente di popolazione, è sicuramente uno dei principali fattori degli scarsi risultati conseguiti dal partito di Erdogan alle ultime lezioni municipali del 31 marzo.

Tra i segnali di speranza di cui si diceva, il buon risultato del Partito DEM (Partito Popolare per l’Uguaglianza e la Democrazia; ex HDP, disciolto in quanto minacciato di interdizione).

Nonostante le ben note difficoltà incontrate, ha riconquistato le 66 municipalità da cui era stato forzatamente rimosso e ne ha guadagnate altre 16. Sia “in solitaria” che con qualche coalizione come nel distretto di Mersin (con Torosiar) o a Esenyurt (un distretto di Instanbul). Così nel comune metropolitano di Diyarbakir (più del 64%, 13 distretti su 17).

Ovviamente la maggior parte dei voti provengono dal Bakur (territori curdi sotto amministrazione turca nel sud-est della Turchia), nonostante tutte le ambigue manovre (brogli veri e propri) poste in campo da Ankara. Per esempio inviando a votare in massa militari provenienti dalle zone di frontiera e riuscendo così a impedire la vittoria del partito curdo a Şırnak, Çukurca, Uludere, Beytüşşebap e Şemdinli.

Emblematico quanto è avvenuto nel distretto Kulp di Amed (Diyarbakir) dove il partito DEM ha superato AKP di 4.218 voti nonostante circa duemila soldati e poliziotti “di importazione” avessero preso parte alle votazioni.

Il 10 aprile i co-sindaci di Kulp (Murat İpek e Fatma Ay) e i membri del consiglio avevano potuto assumere ufficialmente il loro incarico festeggiati dalla popolazione con l’inno curdo "Her ne peş”

Così come a Veysel Karani (Ziyaret, distretto Baykan di Siirt) dove i co-sindaci eletti di DEM (Enes Cengiz e Berfin Evren) hanno ricevuto il certificato dalla giunta elettorale del distretto.

Il deputato di Siirt, Sabahat Erdoğan Sarıtaş e i co-presidenti provinciali del Partito DEM (Eşref Tekin e Rewşan Aslan) si erano uniti alla folla che entrava nel municipio per festeggiare.

Significativa ovviamente anchela vittoria (così possiamo definirla, ottenuta anche grazie a voti curdi) dei “laici” del CHP (Partito repubblicano del popolo, i kemalisti per quanto temperati da un po’ di socialdemocrazia). Stando alle agenzie sarebbero passati dal 30,1% (presidenziali del 2023) al 37,8% (quasi otto punti).

Al contrario l’AKP (il partito di Erdogan) retrocede di ben nove punti (dal 44,3% al 35,5%).

Purtroppo aumenta invece il Nuovo partito della prosperità (YRP, ex Refah), organizzazione islamista di estrema destra a cui sarebbero andati parte dei voti di AKP e di MHP (altro partito di estrema destra, quello dei “Lupi Grigi” che cala del 2,3%).

Altro elemento positivo, la restituzione da parte dell’Alto Consiglio elettorale (YSK) dell’incarico di sindaco di Van al candidato del Partito DEM Abdullah Zeydan (dopo che gli era stato arbitrariamente tolto dalla commissione elettorale locale). Una autentica novità questo atto di indipendenza in quanto finora YSK appariva sottoposto alle richieste di Erdogan. Da segnalare anche le dichiarazioni di Ekrem İmamoğlu (esponente di spicco di CHP e sindaco di Istanbul) a sostegno di Zeydan: “Non restituire il mandato al candidato del partito DEM sarebbe come negare la volontà del popolo di Van”.

Fatalmente - visto anche il contesto internazionale - vien da chiedersi cosa potrà ora accedere in attesa delle future elezioni turche del 2028.

In molti esponenti democratici (non solo curdi) cresce il timore che Erdogan intenda risollevarsi da questa prima sconfitta alimentando ulteriormente la sua guerra contro i curdi, sia in BaKur che in Rojava e Bashur.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 14/4/2024 - 09:47


Un comunicato dei capi tribali iracheni condanna senza mezzi termini l'invasione turca e – mentre rivolge un appello all'opinione pubblica mondiale – richiede l'intervento del governo iracheno. Esprimendo sostegno alla resistenza del PKK contro lo Stato islamico (appoggiato da Ankara)

NORD DELL'IRAQ: ANCHE I TRIBALI CONTRO L'INVASIONE TURCA

Gianni Sartori

Un comunicato dei capi tribali iracheni condanna senza mezzi termini l'invasione turca e – mentre rivolge un appello all'opinione pubblica mondiale – richiede l'intervento del governo iracheno. Esprimendo sostegno alla resistenza del PKK contro lo Stato islamico (appoggiato da Ankara)

Non senza ragione da più parti il progetto del Confederalismo democratico, originariamente elaborato dal movimento di liberazione curdo, ma a cui aderiscono e partecipano (v. In Rojava) popolazioni (armeni, ezidi, turcomanni, arabi...) e comunità religiose di origine diversa, viene considerato una possibilità di fuoriuscita dalle gabbie della “modernità capitalista”, dal nazionalismo sciovinista, dal fanatismo religioso integralista che insanguinano il Medio oriente.

Senza arrivare a darne per scontata la futura adesione anche da parte delle popolazioni non curde del Nord Iraq (Kurdistan del sud, Bashur), è sicuramente significativa la dura, esplicita presa di posizione contro l'invasione-occupazione turca e il riconoscimento del ruoloqui svolto dal PKK (in particolare contro l'Isis) da parte di alcuni capi tribali.

Mentre Ankara persevera nei suo attacchi (supportata dal PDK di Barzani) queste tribù irachene hanno reagito denunciando sia le minacce per la popolazione, sia la palese intenzione della Turchia di annettersi parte della regione per trasformarla in un territorio sotto controllo militare.

Nel comunicato  si riconosce apertamente che “mentre il PKK combatte lo Stato islamico, la Turchia lo sostiene”. Inoltre lo Stato turco “conduce la sua aggressione contro tutti i popoli iracheni, in particolare contro i Curdi, allo scopo di occupare la regione”.

Dure critiche, come si diceva, al PDK che “coopera con lo Stato turco, mentre il governo di Bagdad rimane in silenzio. Un silenzio che pone interrogativi in merito ai crimini perpetrati dallo Stato turco occupante”.

In quanto capi tribali e sceicchi iracheni “noi condanniamo tali attacchi e rivolgiamo un appello alla comunità internazionale, al governo iracheno e al parlamento iracheno invitandoli ad assumersi le loro responsabilità umanitarie, morali e giuridiche di fronte a questi crimini ponendo termine agli attacchi da parte dello Stato turco occupante contro il nostro popolo e le nostre terre”.

Dichiarandosi pronti a “proteggere la sovranità dell'Irak” e denunciando come la Turchia abbia l'intenzione di “modificare la demografia della regione”. Oltre naturalmente a voler saccheggiare le risorse irachene.

Opponendosi all'occupazione turca e sostenendo apertamente “il nostro popolo in Irak e nella regione del Kurdistan, denunciamo ancora una volta che le azioni dello Stato turco sono delittuose e criminali”.

In calce al comunicato le loro firme:

Capo della tribù Jiburi, Şêx Teklif el-Ebd Alî Cibur

Capo della tribù Sedat Haydari, Seyid Ahmet Allavi Haydari

Capo della tribù Sedat Şerfa nell'Eufrate centrale, Seyit Nazım Şerifi

Capo della tribù İfari nell'Eufrate centrale, Şêx Malik Casım İfari

Seyit Gazali Atiya Musewi

Capo della tribù Kerit, Şêx Zahir Kazım Marhun

Capo della tribù Hamidat, Şêx Cemal Ferit Hamidayi

Capo della tribù Beni Hasan, Şêx Emir Musena Hasnevi

Capo della tribù El-Şibl, Şêx Mohan Al-Atiyah

Capo della tribù Sedat Gawalb, Seyit Hüseyin Berekat Şami

Capo delle tribù Şemer del centro dell'Eufrate, Şêx Mutaib Muhammed Şemeri

Capo della tribù Akra, Şêx Muhammed Abdulemir Şalan Keravi

Capo della tribù Xefaciyan a Najaf, Şêx Raad Hüseyin Hafaci

Capo della tribù Şebal a Divaniyah, Şêx Halit Cehl Natur

Capo della tribù Awabd a Divaniyah, Seyid Hamid Merzuq Abadi

Una presa di posizione alquanto significativa anche se forse non determinante in un quadro complesso e tormentato come quello odierno dell'Iraq.

Sia dal punto di vista economico (v. il blocco dei flussi petroliferi deciso dalla Turchia, l'oleodotto Kirkuk-Ceyhan.) che delle relazioni tra governo federale (Goi) e governo regionale del Kurdistan (Krg) con sede a Erbil. A cui vanno ad aggiungersi le complicate relazioni tra Baghdad e Washington (v. le questioni aperte in seno alla coalizione internazionale).

Sempre accesa la questione della ripartizione delle risorse economiche Tra Erbil e Baghdad, rinfocolata con le ultime decisioni della Corte suprema irachena.

Oltre che sul contenzioso per il petrolio (a lungo esportato da Erbil bypassando il governo federale) e sulla ripartizione dei profitti, la Corte suprema è intervenuta - contestandola come incostituzionale - sulla presenza di undici seggi per le minoranze etnico-religiose nel parlamento del Krg. Questione sollevata da due esponenti dell'Upk (Unione patriottica del Kurdistan) che accusavano il Pdk (Partito democratico del Kurdistan) di controllare tali seggi. Antiche rivalità tra le diverse formazioni curde che riemergono talvolta forse strumentalmente e che al momento verrebbero ulteriormente alimentate da piccoli partiti cristiani e turkmeni già estromessi dal parlamento regionale.

Quanto alla criminalità (in senso lato), se negli ultimi tempi si sono intensificate le misure per contrastare il contrabbando di dollari (vietando ad alcune banche di operare transazioni in valuta statunitense), meno efficaci appaiono gli interventi per frenare il ricorrente risorgere della minaccia jihadista. Nonostante i recenti arresti di qualche presunto appartenente all'Isis (in particolare tra quelli rimpatriati da al-Hol che ne “ospita” ancora migliaia).

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 17/7/2024 - 12:21




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