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Lettera di Ida Dalser

Gianni Maroccolo
Language: Italian


Gianni Maroccolo

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Un concetto, quello di follia, indagato nella sua ambivalenza: da un lato la patologia vera e propria; dall’altro tutto ciò che devia dalla norma e fugge al controllo dell’ordine costituito, quel limbo melmoso entro cui il Potere ha sempre relegato l’eterodossia, la diversità, l’individualità non addomesticabile, la capacità di vedere oltre, l’insofferenza a riconoscersi dentro determinate regole.
dalla recensione su Index Music

Ida Dalser con il figlio Benito Albino Mussolini
Ida Dalser con il figlio Benito Albino Mussolini


Ida Dalser era una donna che ebbe una relazione con Benito Mussolini dal quale ebbe un figlio, Benito Albino, nato nel 1915. Mussolini nello stesso anno aveva sposato con rito civile Rachele Guidi, ma - avendo riconosciuto il figlio - venne obbligato a versare un assegno alla Dasler.

Dopo l'ascesa al potere del fascismo, Ida Dasler venne internata nel manicomio di Pergine Valsugana e in seguito in quello di San Clemente a Venezia. Nel 1935 riuscì a scappare durante una vacanza e a raggiungere la famiglia a Sopramonte, in provincia di Trento, ma fu rintracciata e rispedita in manicomio dove morì nel 1937, ufficialmente per emorragia cerebrale.

Il figlio Benito Albino venne affidato al prefetto ma successivamente fu anch'egli internato in manicomio dove morì nel 1942.

[...] Nel 1915, quando il futuro Duce si era da tempo legato a Rachele Guidi e aveva avuto da lei la figlia Edda, un'altra sua amante - la trentina Ida Dalser - gli diede il suo primogenito maschio: Benito Albino, che il bersagliere Mussolini legalmente riconobbe come proprio figlio naturale.

Ida Dalser

Ma già negli anni successivi, ancora nel pieno della Grande Guerra, il Mussolini politico cercò di sottrarre il figlio alla madre, e tentò di far rinchiudere quest'ultima, cittadina austriaca, in una qualche patria galera. Quel che non riuscì all'ex leader socialista riuscì più facilmente al Duce del fascismo.

A partire dal 1926 Ida fu internata in manicomio, dapprima vicino Trento poi a Venezia, dove morì undici anni più tardi. Quanto a Benito Albino (cui mai più fu permesso di rivedere la madre), nel 1935 venne lui stesso dato per pazzo e rinchiuso nel manicomio milanese di Mombello, entro le cui mura si spense, nel 1942, a soli ventisei anni.

[...]

Fra i documenti ritrovati, più di tutti colpiscono le lettere che per oltre un decennio Ida Dalser trovò il modo di trasmettere ai congiunti, nonostante l'occhiuta sorveglianza cui la donna venne sottoposta da un manicomio all'altro. Molte altre missive Ida inoltrò alle autorità fasciste, al papa Pio XI, a Mussolini in persona, chiedendo pietà per se stessa e per il figlio. Non una lucida follia, piuttosto una folle lucidità la accompagno durante i vent'anni intercorsi fra la nascita di «Benitino, il nostro piccolo grande amore» (come Ida lo definì in una lettera al Duce) e la morte (in crudo linguaggio burocratico) della «demente Dalser». La quale - dopo una rocambolesca fuga dal manicomio di Venezia, e l'immediata reazione della polizia fascista - si congedò dal figlio che le era stato rapito per sempre con parole tutt'altro che insensate: «Benito non piangere, porto il tuo cuore nella tomba».

Così il Duce distrusse la famiglia segreta - di Sergio Luzzato, dal Corriere della Sera del 14.1.2005
Eppure io
sono sepolta in un volgare manicomio
tra tisici e sifilitici
fra urla demoniache che mi assordano giorno e notte
e priva di notizie dei miei familiari
nonché del mio fanciullo
e dei miei bisogni più impellenti
senza scarpe
senza scarpe fra poveri spiriti
esasperati e dementi

E mi hanno piombata
in una fetentissima cella
chiusa a catenaccio senz'aria
che chiedevo per pietà
tra pazzi furiosi e urla demoniache
rubate le vesti

Non satura l'infermiera di avermi legato mani e piedi
applicandomi le torture del medioevo
m'ha imbacuccata la testa con le coperte di lana
nelle quali svenni soffocata
senza aiuto!
perché l'ordine era così!

Mille volte la fucilazione nella schiena
piuttosto che vivere tormenti senza pace alla mercé dei bruti

Mi dibatto da dieci mesi fra stenti e dolori inauditi
in una miserabile cella e un vitto intollerabile
mai una passeggiata, un raggio di sole
qui non v'è apparecchi elettrici col motore
per le inalazioni e la circolazione del sangue

Costì c'è la camicia di forza
i covili in cui accettano le persone sagge
per renderle folli

Contributed by Lorenzo - 2020/6/19 - 20:55




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