Vogghiu cantari a sta strata riali
Menzu di tanti nobuli signuri
Menzu di tanti nobuli signuri
Lu statu è bonu e lu vogghiu avantari
Pirsuni onesti e picciotti d’onuri [1]
Pirsuni onesti e picciotti d’onuri
La rosa russa misi a’mmuttunari
Lu alofaru nun perdi lu culuri
Lu alofaru nun perdi lu culuri
Licenza iu vi vogghiu addimannari
Addiu scocca di rosa e biancu ciuri
Addiu scocca di rosa e biancu ciuri
Menzu di tanti nobuli signuri
Menzu di tanti nobuli signuri
Lu statu è bonu e lu vogghiu avantari
Pirsuni onesti e picciotti d’onuri [1]
Pirsuni onesti e picciotti d’onuri
La rosa russa misi a’mmuttunari
Lu alofaru nun perdi lu culuri
Lu alofaru nun perdi lu culuri
Licenza iu vi vogghiu addimannari
Addiu scocca di rosa e biancu ciuri
Addiu scocca di rosa e biancu ciuri
[1] Non ha a che vedere con il significato, acquisito nell’Ottocento, di gregario mafioso.
envoyé par Riccardo Gullotta - 19/6/2020 - 19:43
Langue: italien
Traduzione italiana / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös :
Riccardo Gullotta
Riccardo Gullotta
ALLA DONNA DI S.NINFA
Voglio cantare in questa strada di re
Tra tanti nobili
Tra tanti nobili
Le condizioni sono buone e ne voglio parlar bene
Persone oneste e giovani onorevoli
Persone oneste e giovani onorevoli
La rosa rossa ha messo i germogli
Il garofano non scolorisce
Il garofano non scolorisce
Vogliate concedermi il commiato
Addio fiocco di rosa e bianco fiore
Addio fiocco di rosa e bianco fiore.
Voglio cantare in questa strada di re
Tra tanti nobili
Tra tanti nobili
Le condizioni sono buone e ne voglio parlar bene
Persone oneste e giovani onorevoli
Persone oneste e giovani onorevoli
La rosa rossa ha messo i germogli
Il garofano non scolorisce
Il garofano non scolorisce
Vogliate concedermi il commiato
Addio fiocco di rosa e bianco fiore
Addio fiocco di rosa e bianco fiore.
envoyé par Riccardo Gullotta - 19/6/2020 - 22:25
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[ XVII sec ]
Testo e musica / Lyrics and music / Paroles et musique / Sanat ja sävel :
Anonimo
Interpreti / Performed by / Interprétée par / Laulavat:
1. Pino De Vittorio
Album: Siciliane- The Songs of an Island [ 2013 ]
2. Matilde Politi
Album : Folk Songs from Sicily [ 2009 ]
Delle forme musicali siciliane nell’Evo moderno
Abbiamo avuto occasione di accennare su queste pagine al lavoro degli etnografi dell’Ottocento che cercarono e lasciarono traccia delle tradizioni popolari siciliane, in particolare musiche e canti. Abbiamo citato Giuseppe Pitrè,Lionardo Vigo, Serafino Guastella. Nel nostro tempo alcuni musicisti ed etnomusicologi hanno affrontato l’impresa non facile di reinterpretare alcune composizioni del Seicento e Settecento. La passione e l’applicazione hanno prodotto meraviglie, ci trasportano tre o quattro secoli addietro con una strumentazione , ritmi ed esecuzioni sapienti. Laboratorio ‘600, fondato dal musicologo Franco Pavan, maestro di liuto e tiorbo e il tenore Pino De Vittorio sono parte di questa benvenuta operazione culturale che ha anche il merito di farci riflettere sulla ricchezza delle espressioni artistiche e folcloriche di un’isola immaginata in letargo per tre secoli oltre a farci apprezzare il barocco siciliano in musica.
Di tutt’altro genere invece è l’interpretazione di Matilde Politi calata nel folk, nel mondo dei cantastorie, a ritmo di valzer e percussioni. Anche questa interpretazione è interessante, più immediata rispetto alla prima, che rimane colta e in parte mediata a livello cerebrale, ma certamente non fredda.
Per cogliere meglio origini e sviluppi delle canzuni siciliane del ‘700, ‘800 vale la pena di dare un’occhiata al seguente saggio di Franco Pavan.
Quando qualche anno fa iniziai il lavoro di ricerca sulle Siciliane, composizioni musicali scritte su testi in lingua siciliana, non avrei mai potuto immaginare le sorprese, i tesori e le meraviglie che questo percorso mi avrebbe svelato. Attraverso una serie di piccole e grandi porte sono stato condotto per mano da illustri studiosi del passato, da musicisti curiosi, da oscuri tipografi, da etnografi sapienti e illuminati, attraverso stanze ricoperte da migliaia di documenti poetici e musicali che riguardavano la tradizione di una delle regioni più straordinarie del Mediterraneo. La terra di Sicilia, per noi italiani, è uno dei due cuori pulsanti, insieme a quello toscano, che ci hanno donato la lingua letteraria. Ed è anche il centro di una storia musicale particolarissima, alimentata proprio dal bacino del Mare Nostrum, dall’Africa, dal mondo arabo, dalla enorme quantità di viaggiatori che attraversarono l’isola, dai contatti mai chiusi col continente. Ma mentre le composizioni in musica che risalgono all’Evo medio sono oggi maggiormente note ed eseguite, poco o quasi nulla possiamo avere il piacere di ascoltare nelle sale da concerto del periodo che risale al XVII e al XVIII secolo.
Un periodo che vide una straordinaria fioritura poetica in lingua siciliana - si ragiona in termini di decine di migliaia di scritti – che si riflette in una sensibilità fuori dall’ordinario per la cura, la diffusione ed anche le edizioni dei testi. A questo particolare mondo si unì quello sonoro, che fu scritto e trascritto in decine di manoscritti e stampe, declinando in musica un aspetto legato soprattutto allo schema strofico dell’ottava e quindi alla metrica principale utilizzata per l’improvvisazione. Accanto ad una tradizione culta, o semi culta, viveva con una forza inaudita una tradizione musicale “popolare” che recava con sé, anche in questo caso, una storia culturale secolare. Così, accanto ad un insieme di manoscritti e di stampe che nel corso del Seicento e nel Settecento raccolgono vere e proprie collezioni di testi da cantare in lingua siciliana. accompagnati generalmente dalla chitarra spagnola, possiamo porre il lavoro di alcuni viaggiatori, musicisti o demologi, che trascrissero il canto delle terre e dei mari di Sicilia. Essi ci hanno così consegnato uno scrigno preziosissimo di tesori che noi abbiamo cercato di restituire almeno in parte con questa registrazione. Grazie a queste persone oggi possediamo un patrimonio di trascrizioni di musiche che avremmo altrimenti perso a causa dell’affievolirsi della tradizione orale. Fra questi vanno sicuramente ricordati almeno Giacomo Meyerbeer (1791-1864), Giuseppe Pitrè (1841-1916) e Alberto Favara (1863-1923). Seppur così diversificata, questa tradizione musicale contiene tratti comuni evidenti e fortissimi, tanto da permettere di poter confrontare proficuamente fonti a stampa secentesche con brani tramandati per via orale e trascritti agli inizi del XIX secolo.
Le forme musicali di origine popolare trascritte da Meyerbeer nel corso di un suo viaggio siciliano del 1816 possono essere distinte in arie e canzonette, storie, canzuni, canti religiosi, balli e canzoni a ballo, andando a dipingere un’articolata realtà sonora della tradizione siciliana. Dal repertorio delle arie abbiamo registrato l’affascinante Sullu sullu, scritta con uno stile poetico tardo settecentesco che ricorda le liriche dell’abate Meli, che
godettero di un’enorme fortuna. Fra le storie, ovvero le canzoni narrative, abbiamo scelto la versione trascritta da Favara della nota e assai diffusa ballata C’erano tri surelle, mentre un esempio di canzune può essere ravvisata nella bellissima A la Santaninfara .
Per quanto riguarda la musica da danza, è istruttivo il confronto che possiamo realizzare per Li cinque passi, danza già presente nella raccolta di Bernardo Storace Selva di varie compositioni d’intavolatura per cimbalo ed organo (Venezia, 1664), o per la Capona, inclusa nel Libro Quarto d’Intavolatura di Chitarrone di Johannes Hieronimus Kapsperger pubblicato a Roma nel 1640. Entrambi i brani infatti furono trascritti da Meyerbeer durante il suo viaggio del 1816.
Un'altra fonte assai interessante come termine di confronto è il volume Nuova Chitarra di Regole, Dichiarazioni e Figure pubblicato da don Antonino di Micheli a Palermo nel 1680, che contiene tipi di danze e canzuni siciliane annotate anche dal musicista tedesco. Nel repertorio alla siciliana sopravvivono forti gli echi dell’influenza ellenica e araba, particolarmente nell’uso di intervalli melodici e armonici fortemente inconsueti, legati non solo alla preferenza per la scrittura modale. Un’eco di questa peculiarità si può rilevare ancora grazie ad un preziosissimo manoscritto napoletano, ora conservato a Milano, che contiene la Siciliana per E, (da intendersi come siciliana in re minore, secondo le indicazioni dettateci dall’alfabeto della chitarra spagnola) che ancora in pieno Settecento riporta passaggi armonici particolarmente scabrosi. Un tratto caratterizzante del repertorio è inoltre dato dalle capacità interpretative del cantante, che dovettero essere fortemente peculiari non solo in ambito popolare ma anche colto.
Due fra i principali trattatisti dell’arte canora, Pier Francesco Tosi e Giovanni Battista Mancini si soffermano per breve, ma interessantissimo momento, proprio su questo aspetto. Il primo scrive nel 1723: I passaggi e i trilli nelle Siciliane sono errori. E lo scivolo e lo strascino delizie e Mancini aggiunge nel 1774: Se il trillo, per ragione di esempio, si mischiasse in un tempo di Siciliana, ne risulterebbe tosto un pessimo effetto, poiché il moto di quel tempo richiede portamento e insieme legamento di voce, e il trillo inconseguenza gli recherebbe caricatura. Uno sguardo ancor più completo, anche se forse di parte, circa la diffusione della moda delle arie alla siciliana nel corso del secolo XVII ce lo offre Pietro Della Valle nella sua lettera indirizzata a Lelio Guidiccioni e intitolata Della musica dell'età nostra che non è punto inferiore, anzi è migliore di quella dell'età passata, datata 16 gennaio 1640:
malinconici, le quali io, prima forse di tutti, portai in Roma da
Napoli prima, e poi anche da Sicilia: dove l’anno 1611 ebbi in
Messina un’aria che ora la sento cantare in Roma per una delle
più belle, e mi furono anche donati due libri manoscritti di ottave
siciliane assai buone, che ancora li conservo; e infin d’allora,
presa un poco quella maniera, anche io di mia testa in quel tuono
siciliano schizzai qualche cosa che ho fra li miei scartafacci, e
come si vede son cose affettuosissime: ne’ tempi addietro in
Roma non si erano mai sentite; oggi ci si cantano così bene
come nell’istessa Sicilia, né so se meglio possa farsi.”
Una vera e propria moda, oseremmo dire, testimoniata in effetti da un notevole corpus, come prima accennavo, di composizioni in siciliano conservate soprattutto nei canzonieri per chitarra spagnola. Ma le tipografie veneziane non rimasero immuni, tanto da vedere pubblicate nelle importanti antologie di Giovani Stefani del 1618 e Carlo Milanuzii del 1625 gli splendidi brani che qui riproponiamo. Un altro aspetto di grande rilevanza legato alla storia musicale di Sicilia è relativo al patrimonio tramandato dagli orbi, cantastorie ciechi, che almeno a partire dal XVII secolo si posero, come seppur prudentemente osserva la studiosa Elsa Guggino, a metà strada fra il “culto” e il “popolare”. Protetti anche dai padri Gesuiti, agli orbi spettava la conservazione e la riproposizione, fra le altre cose, del patrimonio musicale religioso in lingua siciliana, un patrimonio di una ricchezza inaudita. La composizione centrale del repertorio era la Passio, della quale riportiamo la versione trascritta, per quanto riguarda la linea del canto, da Alberto Favara. In un’ottava di Paolo Catania, padre benedettino di Monreale inserita nel suo Teatro ove si rappresentano le miserie humane. E le mentite apparenze di questo fallace mondo, pubblicato a Palermo nel 1665, possiamo leggere i seguenti versi che ci illuminano sulla strumentazione usata dai ciechi nel Seicento:
A sonu d’Arpa, ò Chitarra, ò Liutu,
E benchì privu di la vista sia,
Cerca cantandu succursu, ed aiutu,
Leta la vita in canti, e puisia
La passa, è lu strumentu lu so scutu;
Buscando lu guadagnu giustamente
'Ntra li miserij soi campa contenti.
Se vedi un cieco cantare per la via
al suono dell’arpa, o della chitarra, o del liuto
e benché si aprivo della vista
cerca cantando soccorso ed aiuto
lieta la vita in canti e poesia
la passa, e lo strumento è il suo scudo
cercando il guadagno giustamente
tra le miserie sue vive contento.
Uno degli strumenti principali utilizzato dai ciechi per accompagnarsi divenne in seguito anche il violino, come dimostrano numerose trascrizioni, fra le quali quelle dello stesso Meyerbeer del 1816, ma la loro forza maggiore risiedette soprattutto nella potenza interpretativa del loro canto. La tradizione degli orbi è oggi praticamente interrotta, ma le tracce del loro portato culturale sono state in parte raccolte e conservate grazie al lavoro di un buon numero di studiosi, tra i quali spicca la già citata Elsa Guggino. Il nostro lavoro ha voluto rappresentare uno sguardo su questo meraviglioso e sterminato repertorio, solo una goccia nell’oceano di un mondo magico. In nessun modo si è voluto riproporre una interpretazione di tipo “popolare” – non ne saremmo mai in grado non appartenendo ad un mondo culturale che porta sulle spalle secoli di storia – ma soltanto essere modestamente interpreti di un repertorio che ha coinvolto la nostra curiosità e la nostra passione per la musica. Tutto quello che abbiamo fatto, scelta della strumentazione compresa, cerca di seguire le parole di François Couperin: ...preferisco ciò che mi commuove a ciò che mi stupisce. Parole oggi che paiono troppo di sovente dimenticate