“Auf jeden Fall kann man sich nicht verlaufen, man kommt immer wieder an der Mauer an /In ogni caso non ci si può perdere, alla fine si arriva sempre al muro è la frase che pronuncia Marion, la donna di cui Damiel si innamora, entrambi protagonisti del film. Die Mauer / il Muro non è l’argomento principale del film ma se non fosse stato in servizio, a mio avviso, Wenders non avrebbe concepito il film come poi lo ha realizzato.
Il film è un tessuto tra passato e presente, tra una città che cinquant’anni prima era il centro dell’Europa, una cultura secolare da cui non era possibile prescindere ed una città ridotta a larva ma abitata da persone con bisogni desideri, pulsioni, in ricerca continua della propria identità. L’immateriale vuole uscire dalla prigione celeste della sua veggenza impotente : riuscirà ma dovrà pagare un prezzo elevato, di assistere al processo inverso dell’umano che rinuncia a se stesso per sublimarsi in ideale , farsi uno con un’umanità lacerata. [Riccardo Gullotta]
Sarà meglio però lasciare il campo agli specialisti e, tra questi, a Fabio Fulfaro che, a mio avviso, ha colto
con singolare capacità critica e rara sensibilità la cifra del film, una delle testimonianze artistiche più importanti del XX secolo, prima, dopo, sopra e contro la guerra.
La leggera invisibilità dell’angelo. La necessaria pesantezza dell’uomo. Tutto Il cielo sopra Berlino vive di questa dicotomia apparentemente non ricomponibile. Wim Wenders cerca un punto di vista fuori dall’umano per fare parlare i luoghi, dare una voce alle strade, alle piazze, ai muri, alle chiese, ai cieli capovolti. Non interessa narrare una storia, interessa dare forma alla Storia attraverso l’Immagine-Tempo: Damiel (Bruno Ganz) e Cassiel (Otto Sander) sono i due angeli protagonisti che, pur discutendo di etereo, aspirano alla carnalità dell’umano. Marion è l’acrobata da circo che si destreggia senza rete per resistere alla malattia del tempo; l’angelo Damiel osservandone le evoluzioni se ne innamora e diventa uomo. L’esile trama è il pretesto per intrecciare il bianco e nero del noumeno con il colore del fenomeno: gli angeli vedono l’essenza delle cose e la fotografia di Henri Alekan (mago delle luci di René Clément, Jean Cocteau e Marcel Carné) compie il miracolo di dare la voce ad ogni singolo riflesso di luce, ad ogni ombra proiettata sul muro.
Aiutato dai dialoghi e monologhi scritti da Peter Handke, Wenders riesce a mantenersi in equilibrio su un tono metafisico che non scade mai nel retorico e, sulle “ali del desiderio” volteggia con riprese aeree tra la dea della Vittoria e la vecchia chiesa bombardata di Kaiser Wilhelm, tra una deserta Postdamer Platz e la Biblioteca Centrale dove vorticano migliaia di pensieri, poesie (Rilke) e musiche: l’effetto finale è di un coro sacro nel tempio della cultura. Questi luoghi non dimenticano la grande tragedia della Berlino rasa al suolo alla fine della seconda guerra mondiale: le immagini di repertorio girate dagli americani dopo il loro ingresso nella capitale ne sono un doloroso memento. Rimane un muro a separare l’est dall’ovest, una linea invalicabile che testimonia uno stato di pace apparente. […]
Lo sguardo del regista tedesco è colmo di partecipazione per ogni singolo essere vivente: il mondo sognato dai bambini (gli unici che possono vedere gli angeli, gli unici a guardare ancora verso il cielo) in contrapposizione alla memoria storica di una Berlino coperta di macerie e cadaveri, testimone di una identità violata. La divisione del muro come linea di lacerazione tra il desiderio e la realtà contingente; il tentativo di valicarla, bloccando il tempo in una istantanea fotografica, dà un senso alla vita: l’angelo Bruno Ganz ha bisogno di umanizzarsi per sentire, per gioire, per amare, per soffrire.
Le immagini del Circo dopo lo spettacolo sono un omaggio a Chaplin; la stessa malinconia riempie di lacrime gli occhi di Marion che volteggia come un angelo ma si ritrova sola con sé stessa davanti allo specchio. L’amore è anche una prova di stabilità da funamboli. L’amore è questo sorreggersi a vicenda, tenendo ben ferma la corda degli equilibrismi. E Damiel aiutato da un altro ex angelo illustre (Peter Falk nel ruolo di sé stesso) riporterà il colore nella vita della giovane acrobata. Berlino diventa luogo simbolo della contraddizione dell’uomo moderno, come fulcro centrale di un male di vivere che è dominato dai granelli di clessidra del tempo. Il rock di Nick Cave and The Bad Seeds scuote nel profondo le anime condannate all’imperfezione. Necessitiamo di un Grande Narratore, un Omero (il poeta anziano interpretato da Curt Bois) che aiuti a conservare la memoria storica, per non commettere gli errori del passato. Abbiamo bisogno dell’amore per i personaggi di Ozu, della delicatezza del linguaggio di Truffaut, dello sguardo metafisico che scolpisce il tempo di Tarkovskij: a questi registi Wenders dedica il suo film.
Nota sulla foto d’archivio
La Anhalter Bahnhof fu una stazione ferroviaria costruita a metà dell’ Ottocento , non lontano dalla famosa, poi demolita, Potsdamer Platz. Nodo di un traffico intenso dalla capitale del Reich fu anche il terminale della Bagdadbahn , la ferrovia che connetteva Berlino a Baghdad e a Bassora, concepita per aggirare il canale di Suez. Il servizio fu inaugurato nel 1925, il viaggio durava 5 giorni. Chi fosse interessato ad una sua presentazione datata ma valida,nel quadro della strategia del Reich guglielmino antecedente la I guerra mondiale, può visionare il filmato inglese degli archivi Huntley.
La foto fu ripresa 33 anni fa, oggi l’area circostante ha un aspetto diverso.
Tutto ciò che rimane dell’imponente e vasta stazione è una parte del prospetto. Gran parte andò distrutta nella II guerra mondiale, parte dei ruderi furono demoliti nel dopoguerra. I resti della Anhalter Bahnhof e della Kaiser-Wilhelm-GedächtnisKirche [chiesa della commemorazione] rimangono come testimonianze che sollecitano riflessioni a chi visita Berlino. Per una singolare coincidenza furono progettate entrambe dall’architetto Schwechten.
Naturalmente non potevano non fare parte di alcune scene del film.
[1987]
Film / Movie / Elokuva:
Wim Wenders
Der Himmel über Berlin / Il cielo sopra Berlino / Wings of Desire / Les Ailes du désir / Berliinin taivaan alla
Musik / Musica / Music / Musique / Sävel:
Jürgen Knieper
Album: Der Himmel Über Berlin
“Auf jeden Fall kann man sich nicht verlaufen, man kommt immer wieder an der Mauer an /In ogni caso non ci si può perdere, alla fine si arriva sempre al muro è la frase che pronuncia Marion, la donna di cui Damiel si innamora, entrambi protagonisti del film. Die Mauer / il Muro non è l’argomento principale del film ma se non fosse stato in servizio, a mio avviso, Wenders non avrebbe concepito il film come poi lo ha realizzato.
Il film è un tessuto tra passato e presente, tra una città che cinquant’anni prima era il centro dell’Europa, una cultura secolare da cui non era possibile prescindere ed una città ridotta a larva ma abitata da persone con bisogni desideri, pulsioni, in ricerca continua della propria identità. L’immateriale vuole uscire dalla prigione celeste della sua veggenza impotente : riuscirà ma dovrà pagare un prezzo elevato, di assistere al processo inverso dell’umano che rinuncia a se stesso per sublimarsi in ideale , farsi uno con un’umanità lacerata. [Riccardo Gullotta]
Sarà meglio però lasciare il campo agli specialisti e, tra questi, a Fabio Fulfaro che, a mio avviso, ha colto
con singolare capacità critica e rara sensibilità la cifra del film, una delle testimonianze artistiche più importanti del XX secolo, prima, dopo, sopra e contro la guerra.
La leggera invisibilità dell’angelo. La necessaria pesantezza dell’uomo. Tutto Il cielo sopra Berlino vive di questa dicotomia apparentemente non ricomponibile. Wim Wenders cerca un punto di vista fuori dall’umano per fare parlare i luoghi, dare una voce alle strade, alle piazze, ai muri, alle chiese, ai cieli capovolti. Non interessa narrare una storia, interessa dare forma alla Storia attraverso l’Immagine-Tempo: Damiel (Bruno Ganz) e Cassiel (Otto Sander) sono i due angeli protagonisti che, pur discutendo di etereo, aspirano alla carnalità dell’umano. Marion è l’acrobata da circo che si destreggia senza rete per resistere alla malattia del tempo; l’angelo Damiel osservandone le evoluzioni se ne innamora e diventa uomo. L’esile trama è il pretesto per intrecciare il bianco e nero del noumeno con il colore del fenomeno: gli angeli vedono l’essenza delle cose e la fotografia di Henri Alekan (mago delle luci di René Clément, Jean Cocteau e Marcel Carné) compie il miracolo di dare la voce ad ogni singolo riflesso di luce, ad ogni ombra proiettata sul muro.
Aiutato dai dialoghi e monologhi scritti da Peter Handke, Wenders riesce a mantenersi in equilibrio su un tono metafisico che non scade mai nel retorico e, sulle “ali del desiderio” volteggia con riprese aeree tra la dea della Vittoria e la vecchia chiesa bombardata di Kaiser Wilhelm, tra una deserta Postdamer Platz e la Biblioteca Centrale dove vorticano migliaia di pensieri, poesie (Rilke) e musiche: l’effetto finale è di un coro sacro nel tempio della cultura. Questi luoghi non dimenticano la grande tragedia della Berlino rasa al suolo alla fine della seconda guerra mondiale: le immagini di repertorio girate dagli americani dopo il loro ingresso nella capitale ne sono un doloroso memento. Rimane un muro a separare l’est dall’ovest, una linea invalicabile che testimonia uno stato di pace apparente. […]
Lo sguardo del regista tedesco è colmo di partecipazione per ogni singolo essere vivente: il mondo sognato dai bambini (gli unici che possono vedere gli angeli, gli unici a guardare ancora verso il cielo) in contrapposizione alla memoria storica di una Berlino coperta di macerie e cadaveri, testimone di una identità violata. La divisione del muro come linea di lacerazione tra il desiderio e la realtà contingente; il tentativo di valicarla, bloccando il tempo in una istantanea fotografica, dà un senso alla vita: l’angelo Bruno Ganz ha bisogno di umanizzarsi per sentire, per gioire, per amare, per soffrire.
Le immagini del Circo dopo lo spettacolo sono un omaggio a Chaplin; la stessa malinconia riempie di lacrime gli occhi di Marion che volteggia come un angelo ma si ritrova sola con sé stessa davanti allo specchio. L’amore è anche una prova di stabilità da funamboli. L’amore è questo sorreggersi a vicenda, tenendo ben ferma la corda degli equilibrismi. E Damiel aiutato da un altro ex angelo illustre (Peter Falk nel ruolo di sé stesso) riporterà il colore nella vita della giovane acrobata. Berlino diventa luogo simbolo della contraddizione dell’uomo moderno, come fulcro centrale di un male di vivere che è dominato dai granelli di clessidra del tempo. Il rock di Nick Cave and The Bad Seeds scuote nel profondo le anime condannate all’imperfezione. Necessitiamo di un Grande Narratore, un Omero (il poeta anziano interpretato da Curt Bois) che aiuti a conservare la memoria storica, per non commettere gli errori del passato. Abbiamo bisogno dell’amore per i personaggi di Ozu, della delicatezza del linguaggio di Truffaut, dello sguardo metafisico che scolpisce il tempo di Tarkovskij: a questi registi Wenders dedica il suo film.
Nota sulla foto d’archivio
La Anhalter Bahnhof fu una stazione ferroviaria costruita a metà dell’ Ottocento , non lontano dalla famosa, poi demolita, Potsdamer Platz. Nodo di un traffico intenso dalla capitale del Reich fu anche il terminale della Bagdadbahn , la ferrovia che connetteva Berlino a Baghdad e a Bassora, concepita per aggirare il canale di Suez. Il servizio fu inaugurato nel 1925, il viaggio durava 5 giorni. Chi fosse interessato ad una sua presentazione datata ma valida,nel quadro della strategia del Reich guglielmino antecedente la I guerra mondiale, può visionare il filmato inglese degli archivi Huntley.
La foto fu ripresa 33 anni fa, oggi l’area circostante ha un aspetto diverso.
Tutto ciò che rimane dell’imponente e vasta stazione è una parte del prospetto. Gran parte andò distrutta nella II guerra mondiale, parte dei ruderi furono demoliti nel dopoguerra. I resti della Anhalter Bahnhof e della Kaiser-Wilhelm-GedächtnisKirche [chiesa della commemorazione] rimangono come testimonianze che sollecitano riflessioni a chi visita Berlino. Per una singolare coincidenza furono progettate entrambe dall’architetto Schwechten.
Naturalmente non potevano non fare parte di alcune scene del film.