Dottore egregio non mi scappi
Non mi scappi proprio adesso
Mi son tolto anche il berretto
Non le manco di rispetto
Sono Adelchi Veronesi
Il fratello di Vittorio
Le ho portato una valigia
Lunga cinquecento metri
Ci sta dentro la sua vita
Una giacca lacerata
Hanno detto di Vittorio
Che fu lui l’aggressore
Che ci fu colluttazione
Ma è solo un’invenzione
“Mio fratello ragionava
Lui non era un impulsivo
Fulminato da una scarica
Ancora prima di parlare
Un’imboscata vera e propria
La perizia lo dichiara”
Poi via l’hanno portato
Sulle spalle trasportato
Ma il sangue di Vittorio
Non si sa dove è finito
Non ce n’era più nel corpo
Ma era poco sulla strada
E poco anche sulla giacca
Lo dico io dov’è finito
Nei vestiti inzuppati
Di chi in spalla quella notte
Per cinquecento metri
Di peso lo ha portato
Non mi scappi egregio dottore
Non mi scappi proprio adesso
Le ho portato una valigia
Lunga cinquecento metri
Non mi scappi egregio dottore
Non mi scappi proprio adesso
Non rifiuti questa valigia
Lunga cinquecento metri
Non mi scappi egregio dottore
Non mi scappi proprio adesso
Non rifiuti questa valigia
Lunga cinquecento metri
Il sangue dei nostri fratelli morti e il pianto dei vivi non devono suscitare in noi disperati propositi ma debbono farci vedere più chiaro in noi stessi e renderci più fermi, più decisi e più combattivi nella lotta che da anni sosteniamo per la causa proletaria.*
Non mi scappi proprio adesso
Mi son tolto anche il berretto
Non le manco di rispetto
Sono Adelchi Veronesi
Il fratello di Vittorio
Le ho portato una valigia
Lunga cinquecento metri
Ci sta dentro la sua vita
Una giacca lacerata
Hanno detto di Vittorio
Che fu lui l’aggressore
Che ci fu colluttazione
Ma è solo un’invenzione
“Mio fratello ragionava
Lui non era un impulsivo
Fulminato da una scarica
Ancora prima di parlare
Un’imboscata vera e propria
La perizia lo dichiara”
Poi via l’hanno portato
Sulle spalle trasportato
Ma il sangue di Vittorio
Non si sa dove è finito
Non ce n’era più nel corpo
Ma era poco sulla strada
E poco anche sulla giacca
Lo dico io dov’è finito
Nei vestiti inzuppati
Di chi in spalla quella notte
Per cinquecento metri
Di peso lo ha portato
Non mi scappi egregio dottore
Non mi scappi proprio adesso
Le ho portato una valigia
Lunga cinquecento metri
Non mi scappi egregio dottore
Non mi scappi proprio adesso
Non rifiuti questa valigia
Lunga cinquecento metri
Non mi scappi egregio dottore
Non mi scappi proprio adesso
Non rifiuti questa valigia
Lunga cinquecento metri
Il sangue dei nostri fratelli morti e il pianto dei vivi non devono suscitare in noi disperati propositi ma debbono farci vedere più chiaro in noi stessi e renderci più fermi, più decisi e più combattivi nella lotta che da anni sosteniamo per la causa proletaria.*
inviata da Dq82 + Tullio Bugari - 18/5/2020 - 17:22
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musica di Silvano Staffolani
Si veda anche Prendete quella canaglia
Dedicato a Vittorio Veronesi, partigiano e sindacalista dei braccianti, ucciso a Bancole (Porto Mantovano) il 17 maggio 1950. Nel video, Gianni Veronesi ricorda suo zio Vittorio con le parole di Sandro Pertini.
Alcuni mesi dopo l’uccisione di Vittorio, suo fratello Adelchi raccolse i vestiti insaguinati che Vittorio indossava quella notte per consegnarli al magistrato che si stava occupando del processo, che si stava svolgendo secondo il vecchio ordinamento di allora, soltanto in istruttoria, senza dibattimento e quindi intervento di avvocati, utilizzando solo la prima ricostruzione “a caldo”. Secondo Adelchi quei vestiti erano la prova di come realmente s’erano svolti i fatti, per ristabilire la verità perché tra indagini e processo la realtà sembrava capovolta, gli aggressori erano diventati Vittorio e i due amici insieme a lui, uno dei quali restò anche gravemente ferito. Ma non vollero nemmeno riceverlo e dovette riportarsi a casa la valigia.