Il venticinque aprile si commemora
la persa libertà riconquistata
ma, detto alla Baudelaire, torpor che smemora
pervade questa Italia smemorata.
Perdonerete allor se ho qualche remora
a unirmi alla nazional vulgata
cantando forte l’inno di Mameli
e chi non è d’accordo mi quereli.
Tanti fervori e fastidiosi zeli
da un po’ di tempo m’hanno nauseato.
Lo stringersi a coorte penso celi
solo un nazionalismo edulcorato.
Chi pecora si sente è ben che beli,
chi vuole il can pastor sia contentato
ma io, che canto il libero pensiero,
esco dal gregge e non ne fo mistero.
Che questa Italia è bella, son sincero,
lo sanno tutti e lo so bene anch’io
ma come Pietro Gori pugno fiero
e il mondo inter qual patria è il mio disio.
Se allora il tedesco forestiero
fe’ come le civette tuttomio,
quest’oggi chi soggioga e tiene oppressi
è chi pro domo sua fa gli interessi.
Se rammentiamo i disumani eccessi
di nazi e fasci al pari delinquenti,
ci siam dimenticati che quei cessi
facevan l’interesse dei potenti.
Se dico il falso che mi si sconfessi:
Gerarchi che affondavano i lor denti
in patria e sul suolo africano
son stati Mussolini, Balbo e Ciano.
Finché andavan mano nella mano
col führer a braccetto anche il ciborio
si son mangiati ma a svelar l’arcano
fu l’otto di settembre. Quel Vittorio
Emanuel scappò e del leviatano
con svastica o con fascio littorio
l’istinto predatorio fu palese
ché quello che potéa pigliare prese.
Con camionette e treni, in più riprese,
da casa nostra alla Germania parte
una marea di cose e vilipese
son le città col bieco furto d’arte.
Tante candele lor tennero accese
al dio Mammona più che al divo Marte.
Curiosità: Tra i tanti ladrocini
Tedesco fu anche il Wermut di Martini. [1]
E mentre il furor degli aguzzini
s’accese contro i fieri partigiani,
col benestare dei repubblichini
si saccheggiò l’Italia a piene mani.
Se ci libereremo dai confini
sconfiggerem chi lucra sugli umani
perché si sa che il motto della fiera
famelica sempr’è dividi e impera.
Che questa festa laica e sincera
assieme al Maggio dei lavoratori
ci sproni a liberar la terra intera
dal giogo di strozzini e sfruttatori.
Passi l’inverno e venga primavera,
per l’umanità tutta sboccin fiori
e ovunque uno sfruttato si ribelli
facciam che accorran schiere di fratelli.
la persa libertà riconquistata
ma, detto alla Baudelaire, torpor che smemora
pervade questa Italia smemorata.
Perdonerete allor se ho qualche remora
a unirmi alla nazional vulgata
cantando forte l’inno di Mameli
e chi non è d’accordo mi quereli.
Tanti fervori e fastidiosi zeli
da un po’ di tempo m’hanno nauseato.
Lo stringersi a coorte penso celi
solo un nazionalismo edulcorato.
Chi pecora si sente è ben che beli,
chi vuole il can pastor sia contentato
ma io, che canto il libero pensiero,
esco dal gregge e non ne fo mistero.
Che questa Italia è bella, son sincero,
lo sanno tutti e lo so bene anch’io
ma come Pietro Gori pugno fiero
e il mondo inter qual patria è il mio disio.
Se allora il tedesco forestiero
fe’ come le civette tuttomio,
quest’oggi chi soggioga e tiene oppressi
è chi pro domo sua fa gli interessi.
Se rammentiamo i disumani eccessi
di nazi e fasci al pari delinquenti,
ci siam dimenticati che quei cessi
facevan l’interesse dei potenti.
Se dico il falso che mi si sconfessi:
Gerarchi che affondavano i lor denti
in patria e sul suolo africano
son stati Mussolini, Balbo e Ciano.
Finché andavan mano nella mano
col führer a braccetto anche il ciborio
si son mangiati ma a svelar l’arcano
fu l’otto di settembre. Quel Vittorio
Emanuel scappò e del leviatano
con svastica o con fascio littorio
l’istinto predatorio fu palese
ché quello che potéa pigliare prese.
Con camionette e treni, in più riprese,
da casa nostra alla Germania parte
una marea di cose e vilipese
son le città col bieco furto d’arte.
Tante candele lor tennero accese
al dio Mammona più che al divo Marte.
Curiosità: Tra i tanti ladrocini
Tedesco fu anche il Wermut di Martini. [1]
E mentre il furor degli aguzzini
s’accese contro i fieri partigiani,
col benestare dei repubblichini
si saccheggiò l’Italia a piene mani.
Se ci libereremo dai confini
sconfiggerem chi lucra sugli umani
perché si sa che il motto della fiera
famelica sempr’è dividi e impera.
Che questa festa laica e sincera
assieme al Maggio dei lavoratori
ci sproni a liberar la terra intera
dal giogo di strozzini e sfruttatori.
Passi l’inverno e venga primavera,
per l’umanità tutta sboccin fiori
e ovunque uno sfruttato si ribelli
facciam che accorran schiere di fratelli.
envoyé par Giovanni Bartolomei da Prato - 25/4/2020 - 11:34
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GIOVANNI BARTOLOMEI DA PRATO – In quarantena (magari) da Prato