Spoglie le rive, il sole,
schiassa contro gli scogli.
Fame rinasce fame
nella pietra e muore
senza ricordi.
Falce viene, si trascina nel sale
e il sale ancora
scava sete nella sete
tra i fischi del corno.
Nel morso di un dolore,
nel cielo svuotato,
nelle cime bruciate il giorno risale il seme.
Scopre le rive il sole
e nel mattino avrà
nuova fame per arare il fondo
e alle cime bruciate ritornare.
Rive lontane dagli occhi, rive lontane.
E nella fame il seme,
il solco aperto dalle mani.
È questo il figlio e andrà per mare,
è questo l'uomo che cadrà.
Dalle secche corre a riva
per riportare il sole ai piedi del pianto
quando il giorno scopre
il solco nel sale,
nel solco la fame,
il canto che muore
e ritornerà
per finire su un campo steso al sole.
Spoglie le rive, il sole,
schiassa contro gli scogli.
Fame ha trovato fame
nella pietra e muore
senza ricordi.
Falce viene, si trascina nel sale,
e il sale ancora
batte sete sulla sete
tra i fischi del corno.
Nel morso di un dolore,
nel petto spogliato,
nelle cime bruciate il giorno risale il seme.
Scopre le rive il sole
e nel mattino avrà
nuova sete per arare il fondo
e dalle secche alla tanca illuminare.
Rive lontane negli occhi, rive lontane.
E nella sete il seme,
il cuore aperto tra le mani.
È freddo il sonno,
è grande il mare,
è alto il giorno che cadrà.
Dalle secche corre a riva
per riportare il sole ai piedi del pianto
quando il giorno scopre
gli occhi nel sale,
negli occhi la fame,
un uomo che muore
e risplenderà
di terra impastata e nera al sole.
schiassa contro gli scogli.
Fame rinasce fame
nella pietra e muore
senza ricordi.
Falce viene, si trascina nel sale
e il sale ancora
scava sete nella sete
tra i fischi del corno.
Nel morso di un dolore,
nel cielo svuotato,
nelle cime bruciate il giorno risale il seme.
Scopre le rive il sole
e nel mattino avrà
nuova fame per arare il fondo
e alle cime bruciate ritornare.
Rive lontane dagli occhi, rive lontane.
E nella fame il seme,
il solco aperto dalle mani.
È questo il figlio e andrà per mare,
è questo l'uomo che cadrà.
Dalle secche corre a riva
per riportare il sole ai piedi del pianto
quando il giorno scopre
il solco nel sale,
nel solco la fame,
il canto che muore
e ritornerà
per finire su un campo steso al sole.
Spoglie le rive, il sole,
schiassa contro gli scogli.
Fame ha trovato fame
nella pietra e muore
senza ricordi.
Falce viene, si trascina nel sale,
e il sale ancora
batte sete sulla sete
tra i fischi del corno.
Nel morso di un dolore,
nel petto spogliato,
nelle cime bruciate il giorno risale il seme.
Scopre le rive il sole
e nel mattino avrà
nuova sete per arare il fondo
e dalle secche alla tanca illuminare.
Rive lontane negli occhi, rive lontane.
E nella sete il seme,
il cuore aperto tra le mani.
È freddo il sonno,
è grande il mare,
è alto il giorno che cadrà.
Dalle secche corre a riva
per riportare il sole ai piedi del pianto
quando il giorno scopre
gli occhi nel sale,
negli occhi la fame,
un uomo che muore
e risplenderà
di terra impastata e nera al sole.
Contributed by Riccardo Gullotta - 2020/4/15 - 00:35
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[2015]
Testo e musica / Lyrics and music / Paroles et musique / Sanat ja sävel :
Jacopo Incani [ Iosonouncane ]
Album: Die
Recensione di Daniele Mengoli
[…]Die è questo: un viaggio lisergico all’interno di un istante lunghissimo e rivelatore[…]
[…] rimane fascinoso e magnetico dall’inizio alla fine, mantenendo registri prodigiosamente alti con punte di assoluta, abbacinante magia. Le liriche prendono la forma di una lunga elegia i cui versi, col pretesto di una narrazione semplice, la storia di un uomo in mare e della sua donna che ne teme la morte, raccontano invece della difficile simbiosi individuo – terra – universo, dell’armonia tiranna e violenta scaturita dal rincorrersi di albe e tramonti che invecchiano la carne, del sole (citato ventinove volte) che scava rughe e asciuga la terra, del mare e del suo sale che corrode il legno e l’anima: in definitiva, del disperato, struggente e bellissimo alternarsi di vivere e morire (Die in sardo e latino vuol dire giorno, in inglese è morire). […]
“Tanca” è epicità preistorica, marcia magniloquente, acuta e violenta nella sua disperazione ragionata, autolesionista, complice nel sangue. La morte come sanificazione, la paura di essa come pavida riverenza.
[Riccardo Gullotta]