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Moria

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Moria

[2019]
Μουσική Musica / / Music / Musique / Sävel:
OP3

Ερμηνεία Interpreti / / Performed by / Interprétée par / Laulavat:
OP3

Album: SmyrnAe



 Lesvos, Molyvos  39 22' 39''N  26 11' 24''E ,2019    Collina dei salvagente abbandonati  foto di Francesca Ghirardelli
Lesvos, Molyvos 39 22' 39''N 26 11' 24''E ,2019 Collina dei salvagente abbandonati foto di Francesca Ghirardelli



L’inferno apre sempre nuove succursali, una di queste supera l’immaginazione. Si trova a soli 1.200 km dall’Italia, nell’isola di Lesbo, Egeo orientale, 6 miglia dalla costa turca. E’ l’hotspot Mòria [Μόρια], 8 km a nordovest di Mitilene, coordinate: 39° 8' 04” N 26°30'12” E.


Hotspot di Moria, 2020  foto di Giorgos Moutafis
Hotspot di Moria, 2020 foto di Giorgos Moutafis



L’approdo

Skala Sikamineas: un piccolo villaggio tra baie frastagliate, dove la polizia difficilmente può arrivare e le motovedette della Guardia Costiera non possono avvicinarsi a causa delle scogliere, un pericolo serio per le barche dei migranti. Per abbattere i costi i trafficanti impiegano adesso gommoni made in China dal costo di 100 €, a perdere.
Dopo lo sbarco, dei volontari provvedono a fornire coperte isotermiche e ad avviare i migranti esausti verso il punto di raccolta per rifocillarli. Venivano raggruppati poi nel campo di “transito” di Skala Sikamineas. Dal 31 Gennaio 2020 le autorità greche lo hanno chiuso.
La composizione su base etnica dei migranti che sbarcano a Lesbo è attualmente la seguente: Afgani 77%, Siriani 8 %, Congolesi 6%. Gli afgani per lo più scappano dai talebani, i siriani dalle zone di guerra. Riguardo all’età, i minori costituiscono il 39%, i bambini di età inferiore a 12 anni sono il 25% del totale dei migranti.
I migranti che dichiarano a Frontex di cercare protezione internazionale vengono portati all’ufficio della polizia dell’hotspot, dove fanno domanda di asilo e registrano le impronte.



Tenda a Olive Grove ,2020  foto di Annalisa Camilli
Tenda a Olive Grove ,2020 foto di Annalisa Camilli




Moria [Μόρια]

Il campo fu aperto a ottobre 2015 in una base militare in disuso come centro di identificazione per richiedenti asilo per una capacità attuale dichiarata di 2.757 persone. La situazione di affollamento è resa dalle seguenti cifre ufficiali, aggiornate al 6 aprile 2020 dalla rete:

Richiedenti asilo trattenuti a Moria: 18.812 (quasi 7 volte la capacità massima)
Detenuti (incluse le persone in fase di espulsione): 222
Totale dei migranti registrati nell’isola di Lesbo: 20.952

Spazio per famiglie di 4 persone: 6 mq o meno
Punti di prelievo di acqua potabile: 1 ogni 1300 persone
Bagni: 1 ogni 167 persone
Doccia: 1 ogni 242 persone


Il campo originario di Moria è recintato; nella parte superiore corre un cordone di filo spinato. L’ingresso è vietato a giornalisti e alle Ong. La recinzione è piuttosto inutile, presenta in più punti smagliature che consentono il passaggio. Intorno al campo è situato l’accampamento sorto per accogliere i successivi arrivi, l’Olive Grove ovvero la giungla. Qui sono stipati in 13.000 senza energia elettrica. È costituito da tende arrangiate con tutto ciò che gli occupanti riescono a trovare: teli, legni, cartoni ricoperti da isolanti termici. Il freddo d’inverno è insopportabile, anche con stufette e fornelli. Quando piove, rivoli di melma, rifiuti e generi primari sono un tutt’uno.
La fila per un pasto si misura in ore, due anche tre, ma di cibo non sempre ce n’è per tutti. L’acqua viene distribuita per pochi minuti la sera. L’assistenza sanitaria da precaria è diventata praticamente inesistente da metà 2019. Con il calare del buio la situazione si fa inimmaginabile. Andare al bagno per le donne comporta lo stupro. Giovani in preda alla disperazione e alla rabbia, ubriachi e spesso sotto l’effetto di droghe devastanti si lasciano andare a violenze di ogni genere. I militari che presidiano il campo non intervengono se non in extremis, come è successo il 2 febbraio scorso dopo un’immane rissa con feriti gravi per accoltellamenti.

Nella tabella seguente, ricavata con qualche difficoltà, sono riportati l’evoluzione della popolazione dell’hotspot e il numero di arrivi di migranti nell’isola.


AWS Moria



I numeri ci confermano che con l’aumento degli arrivi aumentano le presenze nel campo, cioè quello che doveva essere un campo di transito, ancorché precario, si è trasformato sotto gli occhi dell’Europa in una galera a cielo aperto per intrappolare lì, in quella frontiera, il flusso dei disgraziati.

Nell’isola c’è un solo ospedale, a Mitilene, con 250 posti letto, cioè in teoria 2,3 posti per mille persone, media decisamente bassa. Anche in questo campo la situazione è in netto peggioramento: dall’estate del 2019 l’assistenza sanitaria in Grecia è preclusa ai migranti ed ai richiedenti asilo.
I residenti greci a Lesbo sono 86.000, il rapporto tra popolazione migrante e greca è dunque di 1:4. In realtà occorre considerare che il distretto di Mitilene conta 29.000 greci ed una superficie di 107 kmq, quindi il rapporto effettivo tra migranti e residenti è di 2:3. La densità sfiora i 450 ab/kmq. In condizioni di forte eterogeneità tra comunità e gruppi questi sono indicatori da rivolta sociale.

Gli abitanti di Lesbo sono stati nel passato accoglienti verso i migranti, memori dell’esodo dei Greci nel 1922 dall’Asia minore. Molti profughi dall’ex Jugoslavia furono accolti negli anni ’90. Adesso però non ce la fanno più; razzisti e oltranzisti di destra, tra cui Alba dorata, non ha perso tempo a fomentare paure ed odio.
Gli incendi si susseguono: il 2 marzo scorso è stato appiccato il fuoco ad un centro delle ‘Onu per migranti; il 7 marzo è stata la volta di un centro comunitario per rifugiati della Ong svizzera One Happy Family, in cui erano attivi servizi di cucina, sanitari e scolastici, andati completamente distrutti con conseguente chiusura del centro; un altro incendio, il 16 marzo all’interno del campo di Moria, ha causato la morte di un bambino.

Da febbraio gli attivisti delle Ong ed i volontari che prestano soccorso ai gommoni dei migranti rischiano il linciaggio. I residenti che hanno aiutato in passato i migranti subiscono minacce. Le Ong che hanno supplito in gran parte alla carenza dei servizi e ai disservizi della burocrazia hanno dovuto arrendersi.
Nei primi tre mesi di quest’anno sono 5 i morti per cause non naturali a Moria: due ferimenti mortali a gennaio, un suicidio sospetto nella struttura di detenzione, il bambino di cui si è accennato ed un afgano a fine marzo per overdose di sedativi.

Il coronavirus sta già dando un’ulteriore mazzata, numerose e unanimi le voci di protesta per evacuare i campi per diminuire la distanza tra persone e il forte rischio di contagio, ma alla data del 7 aprile i dati ufficiali ci dicono che i cristi che stanno a Moria li sono e li rimangono.

Olive Grove foto di Annalisa Camilli
Olive Grove foto di Annalisa Camilli



La politica europea dei flussi migratori nei Balcani

Sino a novembre 2015 le porte della UE, in particolare della Germania, erano aperte ai rifugiati attraverso la Balkan route. Da allora lo status venne praticamente ridotto ai provenienti da Afghanistan, Siria, Iraq.
Il 18 marzo 2016 UE e Turchia hanno firmato una Dichiarazione, che sebbene sollevi molte obiezioni giuridiche di merito e metodo, equivale di fatto ad un accordo internazionale. I punti chiave sono: l’impegno della Turchia a bloccare i flussi migratori irregolari verso l’Europa, di riprendere in carico i migranti che, entrati illegalmente in Europa dalla Turchia dal 20 marzo 2016, non ottengono l’asilo dalle istituzioni europee, di dislocare nella Unione Europea migranti siriani a fronte di altrettanti siriani espulsi dalla UE, quindi con rapporto di scambio 1:1. La UE si è impegnata a erogare alla Turchia 6 milioni € a fronte degli oneri derivanti dalla gestione dei bisogni primari dei rifugiati siriani in Turchia.
In effetti dal 2016 il flusso dei migranti in arrivo in Grecia per mare si è decisamente ridotto. Da 856.000 del 2015 a 29.700 nel 2017, nel 2019 59.700.

In due parole: è l’esternalizzazione delle frontiere della UE. Era sembrata la soluzione per tutti, un modello perfino da applicare da parte della Commissione Europea ad altre situazioni e ad altri paesi di transito. Ma anche ad un esame sommario appare evidente che non si può sdoganare, dato che poggia su due piedi di argilla.

Per rendersene conto è necessaria una rapida premessa. La direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo stabilisce le procedure per la protezione internazionale. Sono fondamentali i concetti e gli articoli relativi a Safe third country / Paese terzo sicuro e Country of first asylum / Paese di primo asilo. Orbene la Turchia è stata riconosciuta dalla UE come “Stato terzo sicuro”. Ciò che invece non è: la Turchia riconosce la Convenzione di Ginevra del 1951 soltanto ai profughi di origine europea. Infatti i 3.600.000 siriani in Turchia non godono della protezione internazionale prevista per i profughi, il loro status giuridico è di Temporary protection / Geçici koruma. I migranti di altra provenienza, Afgani, Pakistani,Iraqeni n Turchia non godono nemmeno di tale status. Inoltre la Turchia non rispetta il principio di non respingimento / non refoulement secondo le norme del diritto internazionale. Sono stati segnalati molti casi di afgani e pakistani rimandati dalla Turchia al loro paese di origine con grave pericolo per la loro incolumità.

L’altro motivo di crisi è il consistente squilibrio tra arrivi in Grecia e riammissioni in Turchia con il relativo addensamento dei migranti negli hotspot greci per mesi e anni, essendo impedita dalle norme la possibilità di spostare nella terraferma i migranti durante l’esame delle domande di richiesta di asilo.

A complicare la situazione è sopraggiunto il deteriorarsi dei rapporti tra Turchia e UE a causa della politica turca nel distretto di Idlib dove decine di migliaia di siriani travolti dalla guerra premono sul confine meridionale turco. Da qui la richiesta turca di estendere i finanziamenti previsti nell’accordo del 2015, materia negoziabile, e la richiesta di un intervento diplomatico dell’UE per trovare una soluzione alla questione Idlib in senso favorevole alla Turchia, pretesa invece non negoziabile di per sé, attesa la debolezza della politica estera europea.

Per dare un’informazione non sbilanciata occorre aggiungere al quadro delle responsabilità di Ankara e Bruxelles anche quelle di Atene.
Fino all’estate 2019 la responsabilità della gestione dei campi per rifugiati in Grecia spettava al Ministero delle Politiche migratorie [Υπουργείο Μετανάστευσης & Ασύλου]. Dall’8 luglio scorso, il nuovo governo di centrodestra, guidato da Nea Dimokratia, l’ha trasferita ad un dipartimento del Ministero per la Protezione civile [Υπουργείο για την προστασία των πολιτών] , responsabile in Grecia della pubblica sicurezza. Di fatto il nuovo governo ha adottato nel complesso una linea più dura sull’immigrazione rispetto al governo Tsipras. Non ha più concesso la carta per l’assistenza sanitaria a cittadini non europei, impedendo così l'accesso al sistema sanitario greco. Una situazione di degrado umano denunciata dalle organizzazioni umanitarie. Il decisionismo del nuovo governo si è rivelato fallimentare tant’é che il Ministero soppresso è stato ripristinato appena sei mesi dopo, a metà gennaio 2020.

La legge greca 4636/2019, votata a novembre e in vigore dall’1 gennaio 2020, ha inasprito le norme sul riconoscimento dell’asilo, tra cui l’estensione delle misure di reclusione negli hotspot. Da più parti si osserva che le misure introdotte di recente sono concepite più come strumento dissuasivo verso arrivi di nuovi profughi che per snellire le procedure di esame delle richieste d’asilo e per alleggerire il sovraccarico degli hotspots.

A pagare sono sempre i migranti su cui grava adesso anche lo spettro della pandemia tanto più grave se si pensa alle condizioni di estremo affollamento degli hotspot. Pochi giorni fa i campi, vicini ad Atene, di Ritsona, 2500 persone, e Malakasa, 1700 persone, sono stati isolati con un cordone sanitario per l’insorgenza del contagio al loro interno. E, si noti, non si parla più da anni di migranti economici: qui si tratta nella stragrande maggioranza di gente perseguitata dai talebani e di famiglie che fuggono dalla guerra nel nord della Siria, di gente insomma che chiede soltanto di sopravvivere. Alcuni di loro sono condannati a morte: o nel loro paese o nell’odissea dei viaggi senza Itaca o per pandemia.

[Riccardo Gullotta]
strumentale

inviata da Riccardo Gullotta - 8/4/2020 - 00:31


Riccardo Gullotta - 2/7/2020 - 23:36


Riccardo Gullotta - 11/9/2020 - 08:48


Riccardo Gullotta - 19/9/2020 - 19:03




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