Contributed by Bernart Bartleby - 2020/3/22 - 16:08
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Musica della compositrice greca Eleni Karaindrou / Ελένη Καραΐνδρου (1941-)
Nella colonna sonora del film di Theodoros "Theo" Angelopoulos / Θεόδωρος Αγγελόπουλος (1935-2012) intitolato "Il passo sospeso della cicogna" / "Το μετέωρο βήμα του πελαργού"
Profughi di vari paesi che il governo greco ha riunito in un limbo, forse più un ghetto, in attesa di un ipotetico trasferimento verso altri confini, vivono in un tempo sospeso, mitico, una vita impoverita vendendo patate coltivate sotto la neve, ubriacandosi nella bettola fumosa, piangendo con lunghi lamenti i cadaveri che di tanto in tanto una rivolta abortita sul nascere o un maldestro tentativo di superare il confine dissemina sui campi gelati o appende al braccio di una gru.
Cultura dell’esclusione, un confine artificiale segnato sul terreno, un villaggio globale senza connessione, il passo sospeso sulla linea blu:
Linea blu, territorio greco – linea bianca: terra di nessuno – linea rossa: territorio turco.
Il tempo della storia finisce in una linea colorata, difesa da uomini in divisa, stivali di cuoio e camionette rumorose. Uomini, donne e bambini come pedine di una scacchiera mosse da mani invisibili, ma c’è chi si rifiuta di esserlo:
L’uomo politico, speranza di rinnovamento nel Paese, promessa di un futuro migliore dopo tanto lottare, aveva lasciato questo messaggio nella segreteria telefonica della moglie, e al Parlamento riunito in attesa di un suo gran discorso aveva detto:
E poi via, sparito, [...] andato via per sempre.
Theo Angelopoulos, Tonino Guerra, Petros Markaris e Thanassis Voltinos scrivono il film, Angelopoulos lo dirige, Eleni Karaindrou lo intride di una musica che fonde le sonorità balcaniche con i ritmi del rebetiko, la musica greca nata “dalla disperazione di un’antica crisi, una delle musiche che hanno costruito l’identità moderna della Grecia, trasportando con sé il dolore dell’esilio e la ribellione alle violenze della storia. È una musica contro il potere, non autorizzata, indebita.” (V. Capossela).
Il passo sospeso della cicogna, girato trent’anni fa, si apre con una scena di mare, elicotteri che rastrellano a pelo d’onda, pilotina della guardia costiera e gommone che setacciano in cerca di corpi.
La voce esterna:
E’ la voce di Alexandre, l’uomo che ancora si pone domande, spulcia archivi, intesse inchieste e arriva al confine. Ma lì il suo passo resta sospeso.
Un giorno mio marito attraverserà il fiume e verrà a prendermi… ha detto al giornalista la giovane donna che indossa ancora l’abito bianco del matrimonio.
Il bambino sulla riva racconta al regista dell’uomo di mezza età ormai sparito davvero per sempre, quello che gli raccontava la favola dell’aquilone. L’ha visto camminare sull’acqua con una valigia in mano e poi sparire lontano nella foschia.
“Ma non mi ha raccontato come finisce la favola”, aggiunge col broncio dei bambini che vogliono sapere come finiscono le favole.
“Ma come finisce la favola?”
Tempo immobile, le favole non hanno un finale, la scena si sposta sul piazzale del sobborgo e il colonnello beffardo che accompagna Alexandre sghignazza parlando dei profughi sotto la sua giurisdizione:
Film “sulla comunicazione, sulle frontiere che la impediscono“, sulle “frontiere linguistiche, culturali, le barriere frapposte dalle religioni e dall’intolleranza”, sarebbe fin troppo facile esercizio definirlo attuale, profetico, necessario e tutte le belle parole che scorrono sempre a fiumi e non cambiano niente. [...]
(Paola Di Giuseppe, "Il passo sospeso della cicogna" di T. Angelopoulos")