Η σονάτα του σεληνόφωτος

I sonáta tou selinófotos
[1956]
Testo / Στίχοι / Lyrics / Paroles / Sanat:
Ghiannis Ritsos /Γιάννης Ρίτσος
Musica / Μουσική / Music / Musique / Sävel:
Ludwig van Beethoven - Klaviersonate nr. 14 op. 27 nr. 2 (1° movimento)
Interpreti / Ερμηνεία / Performed by / Interprétée par / Laulavat:
1. Moni Ovadia
2. Hristos Tsagas / Χρήστος Τσάγκας
3. Melina Mercouri / Μελίνα Μερκούρη
4. Karyofyllia Karabeti / Καρυοφυλλιά Καραμπέτη





Evento felice e singolare quello proposto dalla prima interpretazione : l’incontro di tre mondi che si compenetrano sfidando gli accadimenti e il tempo. La Grecia, da cui ha avuto origine la civiltà occidentale; la Mitteleuropa, mondo nuovo, proteso verso orizzonti in continuo mutamento; la cultura ebraica, un mondo antico, meno visibile ma che ha attraversato la storia con processi di inculturazione travagliati e fecondi. Di questi mondi sono testimoni : Ritsos, poeta che più di altri ha fuso l’impegno politico e sociale con l’arte senza soluzioni di continuità; Beethoven , che ha trasposto in musica le attese e gli entusiasmi della modernità ; Moni Ovadia, ermeneuta, attento ascoltatore delle nostre inquietudini.
Sono tre mondi che intersecandosi offrono prospettive ed esitazioni elaborate nei secoli e nei millenni . Uno è più propenso a muoversi nella luce, nel logos anche quando trasla nell’arte e nei momenti bui ; l’altro è annuncio, nel segno di una tenacia senza facili figurazioni di magnifiche sorti e progressive , l’altro ancora è coscienza critica, fede perenne nell’uomo in continua e sofferta tensione dialettica con l’Uno, scaturigine di valori laici irriducibili e perciò parte integrante della cultura occidentale.

Il testo

Fa parte della raccolta Quarta Dimensione / Τέταρτης Διάστασης. Ritsos la pubblicò nel 1956, quattro anni dopo il suo ritorno dai “campi di rieducazione” per i prigionieri politici : Limnos nel 1948, Makronissos nel maggio 1949 e Ai Stratis nel 1952. Negli anni successivi dopo il rientro Ritsos continuò ad essere politicamente impegnato nel direttivo dell’Eda [ Ενιαία Δημοκρατική Αριστερά / Sinistra democratica unita], attività che gli avrebbe valso nel 1967 un altro periodo di carcerazione sotto la dittatura dei colonnelli a Ghiaros, Leros e Samo.

I protagonisti del poema sono una donna anziana, colta, ed un giovane. Il protagonista vero è però l’altra dimensione, quella che dà titolo alla raccolta, cioé la memoria come categoria spazio-temporale che può opporsi al riflusso, alle pulsioni di morte ed elevare il quotidiano rendendo così ciascuna esistenza partecipe della Storia e del Mito, ma senza trionfalismi. Uno spazio dove uno forse resiste senza speranza / ίσως εκεί που κάποιος αντιστέκεται χωρίς ελπίδα , come recita un altro poema della stessa raccolta. Insomma la memoria con i suoi portati è una sfida alla morte e alle torsioni che sanno di morte. Alla luce di ciò i riferimenti del testo al teatro greco classico assumono il loro significato. Il mito è però declinato diversamente che in altri poeti greci del secolo scorso: qui non è richiamo nostalgico, suggestione fantastica, ma elemento che accompagna l’impegno nel presente. Ritsos da vita ad una rielaborazione della realtà che, almeno a parere di chi scrive, sarà poi trasferita in immagini di rara potenza sullo schermo da Theo Anghelopoulos vent’anni dopo.

La donna è presa dal desiderio di una vita nuova che il poeta personifica nel giovane silente. Sotto lo sguardo benevolo della luna la donna narra il suo vissuto cercando un riscatto per non lasciare l’intero campo alla sopraffazione della morte. Sono forti i simboli, il chiarore della luce / Selene, l’orsa / Artemide ad evocare il conflitto tra vita e morte, tra quiescenza e lotta. Ed ecco il cambiamento di registro: la donna riscopre negli stessi elementi, che aveva sempre visto come dei lacci, degli strumenti capaci invece di portare una nuova linfa. Ma Ritsos è troppo segnato dai dolori , drammi familiari e soprattutto dalle sconfitte tragiche di una generazione, per concepire un epilogo dall’esito catartico scontato. Non ha la fede del credente né la sicurezza che il mito possa essere risolutivo una volta per tutte. Nulla può garantire certezze, nessun finale assolutorio. Ecco quindi emergere il giovane, che nel suo silenzio sembrava volesse assecondare il monologo della donna, lasciarsi andare allo scherno , a prendere le distanze dalle pulsioni e figurazioni della donna. Il giovane appare come l’alter ego della donna, è la parte vitale, il desiderio di vivere non mediato che si contrappone all’attesa della morte verso cui la donna, alla fine, appare esitante. La sensazione che Ritsos sembra lasciarci è che nessuno dei due stereotipi prevale sull’altro. Quella tensione nata con l’umanità, fatta di slanci e di ripiegamenti, non può cessare; continua sì ma, si direbbe, con consapevolezze inedite.
[Riccardo Gullotta]

La musica

La sonata fu composta nel 1802. Consiste di tre movimenti, Adagio sostenuto, Allegretto,Presto agitato. Non fu Beethoven a titolarla “Sonata al chiaro di luna” ma un critico tedesco.
Quello che accompagna la recita del testo è l’Adagio. Si riporta il commento musicale dell’intera Mondscheinsonate.

Il gentile ritmo ternario dell'Adagio trova il suo naturale respiro cantabile all'interno d'una semplice forma tripartita, A - B - A', in cui la sezione centrale, variando il movimento delle terzine di crome dell'accompagnamento, suona come un delicato svolgimento modulante della sezione principale. La ripresa del tema avviene all'insegna di impercettibili mutamenti di luce e di una lieve intensificazione dell'espressione, mentre la breve coda conclusiva insiste sull'inciso iniziale della melodia eseguito al basso a guisa di un pedale da cui si stacca e su cui ricade per due volte il movimento delle terzine, così come si era ascoltato nell'episodio centrale.
Definito una volta da Liszt «un fiore fra due abissi», l'Allegretto in re bemolle maggiore ha le dimensioni e il carattere espressivo rasserenato di un intermezzo che, con la grazia danzante del suo tema e la simmetria della forma, sembra rievocare certo stile galante del Settecento.
Sulla fragilità crepuscolare dell'Allegretto sì abbatte invece con inaudita violenza l'impetuoso dilagare del Presto agitato conclusivo, in cui quanto di represso era nei tempi precedenti, e nell'Adagio sostenuto in ispecie, sembra erompere con un empito di rabbiosa energia. Costruito in forma-sonata, il Presto agitato si basa su due temi di carattere fra loro contrastante. Al primo tema in do diesis minore - un energico arpeggio che sale fino a schiantarsi su un accordo violentemente ribattuto - segue (sempre in modo minore) un secondo tema dal profilo ansiosamente incalzante. Tre codette portano dapprima alla ripetizione letterale dell'Esposizione, quindi allo Sviluppo, nel quale entrambi i temi vengono ripresentati e opportunamente trasfigurati. Nella Ripresa Beethoven, fra il prolungamento del primo tema e la ripresa del secondo, omette la ripetizione del ponte modulante, sortendo l'effetto, invero mirabile, di avvicinare, fino a toccarsi, i principi opposti d'opposizione e di implorazione di cui i due temi sono espressione. Necessità retorica vuole quindi che le tre codette conducano alla sua naturale conclusione il discorso musicale. Conclusione che Beethoven però allontana con una coda estremamente audace in cui, all'ennesima violenta ripercussione dell'accordo del primo tema, la stessa materia musicale sembra frantumarsi in una impressionante serie di accordi arpeggiati di settima diminuita. La ripresa del secondo tema ha un effetto straniante e rinvia ulteriormente la conclusione del movimento. Una nuova serie di arpeggi e una scala cromatica aventi carattere di cadenza approdano a due battute con l'indicazione «Adagio», in cui il precipitoso moto del finale sembra arrestarsi, per quindi finalmente dar luogo all'ultima, impetuosa volata del tema principale, che la Sonata conclude con la perentoria violenza del suo accordo ribattuto.
[Andrea Schenardi]

Le interpretazioni

Moni Ovadia alterna nella sua recita brani del testo greco con gli stessi in italiano nella traduzione di Nicola Crocetti.Il commento musicale è affidato al pianista Vincenzo Pasquariello. A conferire ulteriore espressività concorre la coreografa Ornella Balestra a cui il regista Moni Ovadia ha affidato l’interpretazione visiva degli stati d’animo della donna.

La seconda interpretazione è quella dell’attore Hristos Tsagas, autentico mattatore che calcò le scene del teatro greco dagli anni ’60. Fu direttore di numerose opere teatrali, attore cinematografico, oltre che fondatore della compagnia Palkoseniko / Παλκοσένικο, senza scopo di lucro. La lettura di Tsagas offre un respiro da tragedia classica, fa prevalere l’accento conflittuale rispetto alla modulazione in chiave esistenzialista di Moni Ovadia.

Nella terza interpretazione Melina Mercouri fa rivivere la Donna in Nero insieme al ritratto di se stessa: una donna di grande femminilità che non tradì mai il suo ruolo di intellettuale impegnata specie negli anni bui. Attrice a tutto tondo, è rimasta anche dopo tanti anni dalla sua scomparsa, a parere di chi scrive, l’anima più autentica della Grecia della seconda metà del Novecento nella sua pienezza femminile ed artistica.

Karyofyllia Karabeti è l’interprete della quarta rappresentazione qui proposta. Attrice di teatro, cinematografica e televisiva. Notevoli i suoi ruoli di protagonista di tragedie greche classiche per il Teatro Nazionale greco / Εθνικό Θέατρο anche all’estero.