Have you heard about a people
and their occupied homelands?
They fought alongside allies in the war against Saddam
The liberators of Rojava
Those brave women our friends
Some gave their lives for freedom
and they'd do it all again.
So I sing today for the YPJ
in solidarity for those in Kurdistan
There's martyrs there from almost everywhere
They come from far and wide to lend a hand
If only everyone could understand
The revolution rests in their loving hands.
Those guerrillas fought islamic state
and all that they stood for
Put an end to the caliphate
a bolt across the door
The women's protection unit
was the first of its kind
The jihadis ran when they saw ladies behind the gun sights.
So I sing today for the YPJ
in solidarity for those in Kurdistan
There's martyrs there from almost everywhere
They come from far and wide to lend a hand
If only everyone could understand
The revolution rests in their loving hands.
There's something strange happening
Turkey has intervened
And pushed our freedom fighters
right out of Afrin
The government is sanctioning
A pillage by the state
and murdering the very people they vow to protect.
So I sing today for the YPJ
in solidarity for those in Kurdistan
There's martyrs there from almost everywhere
They come from far and wide to lend a hand
If only everyone could understand
The revolution rests in their loving hands.
So I sing today for the YPJ
in solidarity for those in Kurdistan
There's martyrs there from almost everywhere
They come from far and wide to lend a hand
If only everyone could understand
The revolution rests in their loving hands.
Have you heard about a people
and their occupied homelands?
They fought alongside allies in the war against Saddam
The liberators of Rojava
Those brave women and men
Some gave their lives for freedom
and they'd do it all again.
So I sing today for the YPJ
in solidarity for those in Kurdistan
There's martyrs there from almost everywhere
They come from far and wide to lend a hand
If only everyone could understand
The revolution rests in their loving hands.
and their occupied homelands?
They fought alongside allies in the war against Saddam
The liberators of Rojava
Those brave women our friends
Some gave their lives for freedom
and they'd do it all again.
So I sing today for the YPJ
in solidarity for those in Kurdistan
There's martyrs there from almost everywhere
They come from far and wide to lend a hand
If only everyone could understand
The revolution rests in their loving hands.
Those guerrillas fought islamic state
and all that they stood for
Put an end to the caliphate
a bolt across the door
The women's protection unit
was the first of its kind
The jihadis ran when they saw ladies behind the gun sights.
So I sing today for the YPJ
in solidarity for those in Kurdistan
There's martyrs there from almost everywhere
They come from far and wide to lend a hand
If only everyone could understand
The revolution rests in their loving hands.
There's something strange happening
Turkey has intervened
And pushed our freedom fighters
right out of Afrin
The government is sanctioning
A pillage by the state
and murdering the very people they vow to protect.
So I sing today for the YPJ
in solidarity for those in Kurdistan
There's martyrs there from almost everywhere
They come from far and wide to lend a hand
If only everyone could understand
The revolution rests in their loving hands.
So I sing today for the YPJ
in solidarity for those in Kurdistan
There's martyrs there from almost everywhere
They come from far and wide to lend a hand
If only everyone could understand
The revolution rests in their loving hands.
Have you heard about a people
and their occupied homelands?
They fought alongside allies in the war against Saddam
The liberators of Rojava
Those brave women and men
Some gave their lives for freedom
and they'd do it all again.
So I sing today for the YPJ
in solidarity for those in Kurdistan
There's martyrs there from almost everywhere
They come from far and wide to lend a hand
If only everyone could understand
The revolution rests in their loving hands.
envoyé par Riccardo Gullotta - 14/10/2019 - 23:06
Langue: italien
Traduzione italiana / Wergera Italiantalî / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös:
Riccardo Gullotta
Riccardo Gullotta
CANZONE PER L'YPJ [1]
Hai sentito parlare di un popolo
e delle loro terre occupate?
Hanno combattuto a fianco degli alleati nella guerra contro Saddam
I liberatori del Rojava
Quelle donne coraggiose amiche nostre
Alcuni di loro hanno dato la vita per la libertà
e lo farebbero di nuovo.
Perciò canto oggi per l'YPJ
per solidarietà con quelli del Kurdistan
Ci sono lì martiri quasi da ogni parte
Vengono da ogni posto per dare una mano
Se tutti potessero capire…
La rivoluzione è affidata alle loro mani amorevoli.
Quei guerriglieri hanno combattuto lo stato islamico
e tutto ciò che rappresentavano
Hanno messo fine al califfato
Hanno sbarrato il passo
L'unità di protezione delle donne
è stata la prima del genere
I jihadisti scapparono quando videro donne che puntavano i fucili.
Perciò canto oggi per l'YPJ
per solidarietà con quelli del Kurdistan
Ci sono lì martiri quasi da ogni parte
Vengono da ogni posto per dare una mano
Se tutti potessero capire…
La rivoluzione è affidata alle loro mani amorevoli.
Sta accadendo qualcosa di strano
La Turchia è intervenuta
E ha cacciato i nostri combattenti per la libertà
via da Afrin [2]
Il governo sta autorizzando
Un saccheggio di stato
e uccidendo le stesse persone che si erano impegnati a proteggere.
Perciò canto oggi per l'YPJ
per solidarietà con quelli del Kurdistan
Ci sono lì martiri quasi da ogni parte
Vengono da ogni posto per dare una mano
Se tutti potessero capire…
La rivoluzione è affidata alle loro mani amorevoli.
Perciò canto oggi per l'YPJ
per solidarietà con quelli del Kurdistan
Ci sono lì martiri quasi da ogni parte
Vengono da ogni posto per dare una mano
Se tutti potessero capire…
La rivoluzione è affidata alle loro mani amorevoli.
Hai sentito parlare di un popolo
e delle loro terre occupate?
Hanno combattuto a fianco degli alleati nella guerra contro Saddam
I liberatori del Rojava
Quelle donne e uomini coraggiosi
Alcuni di loro hanno dato la vita per la libertà
e lo farebbero di nuovo.
Perciò canto oggi per l'YPJ
per solidarietà con quelli del Kurdistan
Ci sono lì martiri quasi da ogni parte
Vengono da ogni posto per dare una mano
Se tutti potessero capire…
La rivoluzione è affidata alle loro mani amorevoli.
Hai sentito parlare di un popolo
e delle loro terre occupate?
Hanno combattuto a fianco degli alleati nella guerra contro Saddam
I liberatori del Rojava
Quelle donne coraggiose amiche nostre
Alcuni di loro hanno dato la vita per la libertà
e lo farebbero di nuovo.
Perciò canto oggi per l'YPJ
per solidarietà con quelli del Kurdistan
Ci sono lì martiri quasi da ogni parte
Vengono da ogni posto per dare una mano
Se tutti potessero capire…
La rivoluzione è affidata alle loro mani amorevoli.
Quei guerriglieri hanno combattuto lo stato islamico
e tutto ciò che rappresentavano
Hanno messo fine al califfato
Hanno sbarrato il passo
L'unità di protezione delle donne
è stata la prima del genere
I jihadisti scapparono quando videro donne che puntavano i fucili.
Perciò canto oggi per l'YPJ
per solidarietà con quelli del Kurdistan
Ci sono lì martiri quasi da ogni parte
Vengono da ogni posto per dare una mano
Se tutti potessero capire…
La rivoluzione è affidata alle loro mani amorevoli.
Sta accadendo qualcosa di strano
La Turchia è intervenuta
E ha cacciato i nostri combattenti per la libertà
via da Afrin [2]
Il governo sta autorizzando
Un saccheggio di stato
e uccidendo le stesse persone che si erano impegnati a proteggere.
Perciò canto oggi per l'YPJ
per solidarietà con quelli del Kurdistan
Ci sono lì martiri quasi da ogni parte
Vengono da ogni posto per dare una mano
Se tutti potessero capire…
La rivoluzione è affidata alle loro mani amorevoli.
Perciò canto oggi per l'YPJ
per solidarietà con quelli del Kurdistan
Ci sono lì martiri quasi da ogni parte
Vengono da ogni posto per dare una mano
Se tutti potessero capire…
La rivoluzione è affidata alle loro mani amorevoli.
Hai sentito parlare di un popolo
e delle loro terre occupate?
Hanno combattuto a fianco degli alleati nella guerra contro Saddam
I liberatori del Rojava
Quelle donne e uomini coraggiosi
Alcuni di loro hanno dato la vita per la libertà
e lo farebbero di nuovo.
Perciò canto oggi per l'YPJ
per solidarietà con quelli del Kurdistan
Ci sono lì martiri quasi da ogni parte
Vengono da ogni posto per dare una mano
Se tutti potessero capire…
La rivoluzione è affidata alle loro mani amorevoli.
[1] Yekîneyên Parastina Jin , Unità di Protezione delle Donne : Brigata femminile del’YPG, Yekîneyên Parastina Gel, Unità di Protezione Popolare del movimento di resistenza curdo in Siria.
[2] Il cantone di Afrin, popolato in prevalenza da curdi è stato invaso ed occupato dalla Turchia e dal filoturco TSFA, Esercito siriano libero, da Gennaio 2018. I Curdi hanno capitolato nel marzo 2018. Si sono registrati uccisioni di civili indiscriminati, l’uso dell’artiglieria contro i civili, stupri e saccheggi.
Resoconto delle vicende belliche
[2] Il cantone di Afrin, popolato in prevalenza da curdi è stato invaso ed occupato dalla Turchia e dal filoturco TSFA, Esercito siriano libero, da Gennaio 2018. I Curdi hanno capitolato nel marzo 2018. Si sono registrati uccisioni di civili indiscriminati, l’uso dell’artiglieria contro i civili, stupri e saccheggi.
Resoconto delle vicende belliche
envoyé par Riccardo Gullotta - 14/10/2019 - 23:24
NON SI PLACA LA VIOLENZA IN ROJAVA:
ATTACCO DELLE HRE CONTRO UN BLINDATO TURCO PER VENìDICARE LA DISTRUZIONE DI SEHID VESTA
(Gianni Sartori)
Ovviamente non ci auguriamo la morte di nessuno. Tantomeno di poveri cristi in divisa – non sappiamo se volontari o di leva – che magari della questione curda ne capivano poco o nulla. Soltanto le bugie della propaganda di Stato. Poveri cristi che – è scontato – adesso verranno pianti dalle loro famiglie.
Quindi nessun commento tipo “chi semina vento raccoglie tempesta”. Anche perché coloro che han versato odio, razzismo e intolleranza nei confronti dei curdi sono gli attuali detentori del potere di Ankara. Non la “mano d’opera”, la manovalanza utilizzata.
Certo. E’ pacifico che questo episodio contribuirà ad alimentare ulteriormente la spirale dell’odio mettendo in sordina la possibilità di una dignitosa soluzione politica del conflitto.
Stando alle notizie di agenzia, il 25 luglio cinque soldati turchi sono morti (e una decina feriti) ad Afrin in seguito all’esplosione – azionata a distanza – di un ordigno.
A rivendicare l’attacco, le Forze di liberazione di Afrin (HRE – Hêzên Rizgariya Efrînê) che hanno anche diffuso un video dell’esplosione.
In questo modo – sostengono – hanno voluto vendicare l’oltraggio, la profanazione delle tombe dei militanti curdi per mano delle bande islamiste alleate della Turchia.
I soldati viaggiavano su un mezzo blindato (BMC Kirpi) sulla strada tra Mereske e Meryemine nel distretto di Shera.
Ormai dal marzo 2018 Afrin si trova sotto l’occupazione turca. Recentemente – in luglio – soldati e miliziani filoturchi avevano distrutto il cimitero di Sehid Vesta prelevando dalle tombe i resti di civili curdi e combattenti delle YPG/YPJ e delle FDS (Forze democratiche siriane) caduti per difendere la città. Spregiudicatamente il governo turco aveva divulgato la notizia (e le immagini) falsificandola. Raccontando che i cadaveri provenivano da una fossa comune riempita con persone giustiziate dai combattenti curdi.
Ovviamente si trattava di un falso, presto smascherato con documenti e testimonianze da parte di varie associazione e istituzioni che operano nel Nord-Est siriano.
A questo oltraggio – e al successivo tentativo di attribuire ai curdi la responsabilità delle vittime – le HRE hanno creduto di dover rispondere.
Gianni Sartori
ATTACCO DELLE HRE CONTRO UN BLINDATO TURCO PER VENìDICARE LA DISTRUZIONE DI SEHID VESTA
(Gianni Sartori)
Ovviamente non ci auguriamo la morte di nessuno. Tantomeno di poveri cristi in divisa – non sappiamo se volontari o di leva – che magari della questione curda ne capivano poco o nulla. Soltanto le bugie della propaganda di Stato. Poveri cristi che – è scontato – adesso verranno pianti dalle loro famiglie.
Quindi nessun commento tipo “chi semina vento raccoglie tempesta”. Anche perché coloro che han versato odio, razzismo e intolleranza nei confronti dei curdi sono gli attuali detentori del potere di Ankara. Non la “mano d’opera”, la manovalanza utilizzata.
Certo. E’ pacifico che questo episodio contribuirà ad alimentare ulteriormente la spirale dell’odio mettendo in sordina la possibilità di una dignitosa soluzione politica del conflitto.
Stando alle notizie di agenzia, il 25 luglio cinque soldati turchi sono morti (e una decina feriti) ad Afrin in seguito all’esplosione – azionata a distanza – di un ordigno.
A rivendicare l’attacco, le Forze di liberazione di Afrin (HRE – Hêzên Rizgariya Efrînê) che hanno anche diffuso un video dell’esplosione.
In questo modo – sostengono – hanno voluto vendicare l’oltraggio, la profanazione delle tombe dei militanti curdi per mano delle bande islamiste alleate della Turchia.
I soldati viaggiavano su un mezzo blindato (BMC Kirpi) sulla strada tra Mereske e Meryemine nel distretto di Shera.
Ormai dal marzo 2018 Afrin si trova sotto l’occupazione turca. Recentemente – in luglio – soldati e miliziani filoturchi avevano distrutto il cimitero di Sehid Vesta prelevando dalle tombe i resti di civili curdi e combattenti delle YPG/YPJ e delle FDS (Forze democratiche siriane) caduti per difendere la città. Spregiudicatamente il governo turco aveva divulgato la notizia (e le immagini) falsificandola. Raccontando che i cadaveri provenivano da una fossa comune riempita con persone giustiziate dai combattenti curdi.
Ovviamente si trattava di un falso, presto smascherato con documenti e testimonianze da parte di varie associazione e istituzioni che operano nel Nord-Est siriano.
A questo oltraggio – e al successivo tentativo di attribuire ai curdi la responsabilità delle vittime – le HRE hanno creduto di dover rispondere.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 26/7/2021 - 00:11
Gianni Sartori - 4/10/2022 - 19:13
CHI HA UCCISO (e per conto di chi) Nagihan Akarsel?
Gianni Sartori
Ovviamente qualsiasi ipotesi in merito alla possibile complicità di elementi legati al PDK (Partito Democratico Curdo) di Barzani sarebbe prematura e ingiusta. Ciò non toglie che sia perlomeno sospetto il fatto che i presunti assassini di Nagihan Akarsel (uccisa nel distretto di Bahtiyar il 4 ottobre alle ore 9,30 da quella che possiamo definire una squadra della morte a tutti gli effetti) siano stati fermati nel territorio di Koyê ad un posto di blocco (l’ultimo prima di quelli del PDK) dell’UPK (Unione Patriottica Curda, l’altra grande formazione curda – storica e meno disposta a dialogare con Ankara – in territorio iracheno) mentre cercavano di raggiungere Hewlêr. Presumibilmente per rifugiarsi in una zona controllata dal PDK.
In base a quanto comunicato dalle forze di sicurezza locali di Sulaymaniyah la cattura dei sospetti uccisori della universitaria e giornalista di Jineolojî è stata resa possibile dalla collaborazione delle forze di sicurezza di Koyê. Giunte immediatamente sul luogo del delitto, le forze di sicurezza di Sulaymaniyah avevano subito cominciato a indagare arrivando, grazie al prezioso contributo della popolazione che ha dato precise informazioni (nel giro di poche ore, già nella serata di martedì 4 ottobre) a catturare i sospetti.
Per ora non vengono divulgate altre indicazioni sull’operazione di polizia, tanto meno sull’identità delle persone fermate di cui, precisano nel comunicato “proseguono gli interrogatori”.
Inevitabile ricordare che da tempo il clan Barzani e il PDK non nascondono di collaborare attivamente con la Turchia. Talvolta anche a spese di quella parte del loro stesso popolo che invece fa riferimento ad altre organizzazioni (UPK, PKK…). Ovviamente per il movimento curdo i principali sospettati, perlomeno come mandanti, rimangono gli agenti del MIT, il servizio segreto turco.
L’indignazione per la brutale esecuzione della femminista curda si va esprimendo con decine di manifestazioni già preannunciate un po’ dovunque nel mondo (anche in Italia). Significativa quella che si è svolta “a caldo” martedì 4 ottobre (nel giorno stesso del delitto) a Parigi in place della République. Indetta dalle Femmes kurdes en France (TJK-F) contro “questi femminicidio che colpiscono le donne curde e del mondo intero”.
Gianni Sartori
Gianni Sartori
Ovviamente qualsiasi ipotesi in merito alla possibile complicità di elementi legati al PDK (Partito Democratico Curdo) di Barzani sarebbe prematura e ingiusta. Ciò non toglie che sia perlomeno sospetto il fatto che i presunti assassini di Nagihan Akarsel (uccisa nel distretto di Bahtiyar il 4 ottobre alle ore 9,30 da quella che possiamo definire una squadra della morte a tutti gli effetti) siano stati fermati nel territorio di Koyê ad un posto di blocco (l’ultimo prima di quelli del PDK) dell’UPK (Unione Patriottica Curda, l’altra grande formazione curda – storica e meno disposta a dialogare con Ankara – in territorio iracheno) mentre cercavano di raggiungere Hewlêr. Presumibilmente per rifugiarsi in una zona controllata dal PDK.
In base a quanto comunicato dalle forze di sicurezza locali di Sulaymaniyah la cattura dei sospetti uccisori della universitaria e giornalista di Jineolojî è stata resa possibile dalla collaborazione delle forze di sicurezza di Koyê. Giunte immediatamente sul luogo del delitto, le forze di sicurezza di Sulaymaniyah avevano subito cominciato a indagare arrivando, grazie al prezioso contributo della popolazione che ha dato precise informazioni (nel giro di poche ore, già nella serata di martedì 4 ottobre) a catturare i sospetti.
Per ora non vengono divulgate altre indicazioni sull’operazione di polizia, tanto meno sull’identità delle persone fermate di cui, precisano nel comunicato “proseguono gli interrogatori”.
Inevitabile ricordare che da tempo il clan Barzani e il PDK non nascondono di collaborare attivamente con la Turchia. Talvolta anche a spese di quella parte del loro stesso popolo che invece fa riferimento ad altre organizzazioni (UPK, PKK…). Ovviamente per il movimento curdo i principali sospettati, perlomeno come mandanti, rimangono gli agenti del MIT, il servizio segreto turco.
L’indignazione per la brutale esecuzione della femminista curda si va esprimendo con decine di manifestazioni già preannunciate un po’ dovunque nel mondo (anche in Italia). Significativa quella che si è svolta “a caldo” martedì 4 ottobre (nel giorno stesso del delitto) a Parigi in place della République. Indetta dalle Femmes kurdes en France (TJK-F) contro “questi femminicidio che colpiscono le donne curde e del mondo intero”.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 5/10/2022 - 16:27
SIMPATIE PER ERDOGAN CRESCONO, ANCHE A “SINISTRA”….?
Gianni Sartori
Avendo avuto la possibilità di confrontarmi a lungo (fine sessanta, primi settanta…del secolo scorso) con stalinisti dichiarati o mascherati (chi sentenziava “Faremo come in Spagna…” con un preciso riferimento al maggio ’37, anche se si dichiarava leninista, di fatto era uno stalinista), certi commenti ai miei articoli sui Curdi da parte di “campisti” comunque intesi e variegati (neostalinisti? Rosso-bruni? …) non mi impressionano più di tanto.
Accusare i Curdi di collaborazionismo con l’imperialismo statunitense per quella che era e rimane un’alleanza tattica, militare (e, presumo, anche transitoria), oltre che vergognoso è semplicemente osceno. Cosa avrebbero dovuto fare? Farsi massacrare dall’Isis in nome della purezza ideologica? Affidarsi ai regimi di Damasco o magari di Teheran?
Ma per favore!
Nessuno, non io almeno, si scandalizza più di tanto per il fatto che i palestinesi accettino aiuti dalla Turchia (così come in passato appoggiarono perfino Saddam, anche nella repressione dei curdi). Un popolo oppresso, a rischio genocidio (o come minimo etnocidio), come appunto sia i palestinesi che i curdi, ha innanzitutto non solo il diritto, ma anche il dovere di sopravvivere.
Talvolta i metodi possono apparire non proprio eleganti, ma… sappiamo che non è un pranzo di gala. E aggiungo: purtroppo!
Quanto all’estrazione del petrolio, i curdi stanno semplicemente utilizzando una risorsa del Rojava. Tra l’altro in maniera il meno impattante possibile per l’ambiente (“solo quanto ci serve, non vogliamo un’altra Dubai” mi aveva detto recentemente un portavoce di UIKI).
E sorvoliamo sull’oscena confusione (voluta o frutto di ignoranza?) tra PDK (v. Barzani, questo sì collaborazionista, anche della Turchia), PKK (v. Ocalan) e YPG (v. Rojava).
Di fatto, dopo aver sostenuto sia il regime di Damasco che quello di Teheran, ora sembra che tra i “campisti” si vada diffondendo una certa simpatia per Erdogan (quello che utilizza armi chimiche contro i curdi nel nord dell’Iraq e che si prepara alla prossima invasione su larga scala del Nord della Siria).
Forse era destino. In fondo tra “autoritari” (eufemismo) ci si intende.
Gianni Sartori
Gianni Sartori
Avendo avuto la possibilità di confrontarmi a lungo (fine sessanta, primi settanta…del secolo scorso) con stalinisti dichiarati o mascherati (chi sentenziava “Faremo come in Spagna…” con un preciso riferimento al maggio ’37, anche se si dichiarava leninista, di fatto era uno stalinista), certi commenti ai miei articoli sui Curdi da parte di “campisti” comunque intesi e variegati (neostalinisti? Rosso-bruni? …) non mi impressionano più di tanto.
Accusare i Curdi di collaborazionismo con l’imperialismo statunitense per quella che era e rimane un’alleanza tattica, militare (e, presumo, anche transitoria), oltre che vergognoso è semplicemente osceno. Cosa avrebbero dovuto fare? Farsi massacrare dall’Isis in nome della purezza ideologica? Affidarsi ai regimi di Damasco o magari di Teheran?
Ma per favore!
Nessuno, non io almeno, si scandalizza più di tanto per il fatto che i palestinesi accettino aiuti dalla Turchia (così come in passato appoggiarono perfino Saddam, anche nella repressione dei curdi). Un popolo oppresso, a rischio genocidio (o come minimo etnocidio), come appunto sia i palestinesi che i curdi, ha innanzitutto non solo il diritto, ma anche il dovere di sopravvivere.
Talvolta i metodi possono apparire non proprio eleganti, ma… sappiamo che non è un pranzo di gala. E aggiungo: purtroppo!
Quanto all’estrazione del petrolio, i curdi stanno semplicemente utilizzando una risorsa del Rojava. Tra l’altro in maniera il meno impattante possibile per l’ambiente (“solo quanto ci serve, non vogliamo un’altra Dubai” mi aveva detto recentemente un portavoce di UIKI).
E sorvoliamo sull’oscena confusione (voluta o frutto di ignoranza?) tra PDK (v. Barzani, questo sì collaborazionista, anche della Turchia), PKK (v. Ocalan) e YPG (v. Rojava).
Di fatto, dopo aver sostenuto sia il regime di Damasco che quello di Teheran, ora sembra che tra i “campisti” si vada diffondendo una certa simpatia per Erdogan (quello che utilizza armi chimiche contro i curdi nel nord dell’Iraq e che si prepara alla prossima invasione su larga scala del Nord della Siria).
Forse era destino. In fondo tra “autoritari” (eufemismo) ci si intende.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 19/11/2022 - 10:16
Qual’è dopo cinque anni la situazione di Afrin?
Violenze, sequestri, stupri da parte delle milizie jihadiste sono all’ordine del giorno. Mentre prosegue la colonizzazione (e sostituzione etnica) nei territori occupati militarmente dalla Turchia. Nella sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica e delle organizzazioni internazionali.
Violenze, sequestri, stupri da parte delle milizie jihadiste sono all’ordine del giorno. Mentre prosegue la colonizzazione (e sostituzione etnica) nei territori occupati militarmente dalla Turchia. Nella sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica e delle organizzazioni internazionali.
AFRIN CINQUE ANNI DOPO
Gianni Sartori
Afrin nel 2018 veniva sottoposta all’occupazione dei militari turchi e degli ascari jihadisti.
Da allora subisce ininterrottamente repressione, violazioni dei diritti umani e pulizia etnica.
E’ di questi giorni la notizia (diffusa dall’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo - OSDH) dell’ennesimo scempio alla dignità umana. E, come spesso accade, anche stavolta la vittima è una donna. O meglio, una bambina di dieci anni violentata da Ehmed Memdûh (Ebû Deham), un comandante diAl-Sultan Suleiman Shah “Al-Amshat”, organizzazione jihadista sostenuta da Ankara.
Dopo aver commesso il delitto lo stupratore si sarebbe rifugiato a Kura, un villaggio del distretto di Jindires (località da dove potrebbe essersi già allontanato in quanto accolto dalla rabbiosa indignazione popolare).
Non è - ovviamente e purtroppo - il primo episodio del genere. Come aveva ripetutamente dichiarato il Comitato delle donne del cantone di Shehba. Denunciando come “le donne sono le principali vittime delle forze turche e dei mercenari loro alleati che commettono crimini disumani nei confronti della popolazione curda di Afrin, con uccisioni, sequestri di persona e stupri”.
Chiedendo alle organizzazioni internazionali di “prendere coscienza della gravità di tale situazione e di agire a protezione della popolazione civile di Afrin, vittima di questi odiosi crimini”.
Dello stesso tenore il comunicato dell'agenzia Mezopotamya secondo cui “questo stupro ai danni di una bambina non è il primocrimine commesso dalla Turchia e dalle gang sue affiliate contro le donne e i bambini in Afrin sotto occupazione.
Stupri, massacri (…) e sequestri di persona sono ormai ordinaria amministrazione. Afrin è occupata ormai da cinque anni e tali azioni disumane proseguono senza interruzione”.
Tra gli episodi più recenti, il sequestro in aprile di almeno tre civili nel distretto di Rajo e di Shera.
Da parte della cosiddetta “polizia militare” (una forza paramilitare costituita da mercanti filo-turchi).
Si tratta di Hisên Mistefa Nûrî Hidik (43 anni) del villaggio di Dêrsewanê, di Mihemed Xelîl (36 ans) originario di Meiriskê e di una terza persona, un trentenne pare, di cui non si conosce l’identità.
Prima dell’invasione turca il cantone di Rojava era abitato prevalentemente da curdi.
Nel marzo Afrin 2018 (nonostante l’eroica resistenza delle YPG/YPJ) era ormai circondata, assediata, bombardata. In un attacco aereo veniva distrutto l’unico ospedale uccidendo 16 civili. Si calcola siano stati oltre 500 i civili di Afrin morti sotto i bombardamenti turchi ( senza contare quelli assassinati dalle milizie jihadiste).
E nel frattempo nei distretti del cantone occupato prosegue la creazione di colonie per le famiglie dei mercenari filo-turchi. Con l’evidente intenzione di mutare in maniera irreversibile la composizione demografica della regione.
E’ di questi giorni la notizia dell’inaugurazione nei pressi del centro di Afrin dell’ennesima colonia di 500 unità abitative denominata (come annunciato dal “Consiglio locale” sottoposto agli occupanti turchi) “Al-Amal 2”. Opera finanziata dai finanziamenti della cosiddetta Autorità internazionale di aiuto e sviluppo “Ansar”.
Nel 2021 un’altra colonia (“Terra di Speranza”) veniva realizzata nel villaggio di Kafr Kalbin (nell’area occupata di Azaz, a nord di Alep) grazie al finanziamento della Gestione turca delle catastrofi e delle urgenze (AFAD) e dell’Organizzazione internazionale di aiuto “Anser”.
La colonizzazione turca dei territori siriani occupati era stata avviata fin dai primi momenti dell’occupazione. Già nel novembre 2018 a sud di Afrin nasceva il complesso abitativo “Al-Qarya Al-Shamiyya” (già nel nome destinato ai miliziani di “Al-Jabha Al-Shamiyya”). Al momento di calcola che le colonie di popolamento realizzate dalla Turchia siano almeno 25 (in soli cinque anni!). E non va certo meglio per i curdi che vivono in Turchia. A Istanbul,il 2 maggio è stato assassinato Cihan Aymaz, musicista curdo e attivista di HDP.
Sarebbe stato accoltellato da un fascista turco per essersi rifiutato di cantare l’inno “Ölürüm Türkiyem “ (“Io morirò per teTurchia”). Il giorno dopo molti giovani (non solo curdi) che si erano riunitiper manifestare la loro indignazione venivano arrestati. Almeno due di loro sono stati anche torturati. Si tratta di Kafr Kalbin e di Muhammet İkto (militanti dell’Assemblea dei giovani del partito Yesil Sol).
Nella serata del 7 maggio veniva poi assassinato nel villaggio di Setkar (provincia di Şirnak) il militante curdo Temel Temel, parente dell’ex sindaco di Elkê. Un episodio che fa temere il ritorno dei famigerati squadroni della morte attivi in Bakur (Kurdistan del Nord, sotto occupazione turca) negli anni novanta. Forse riesumati in occasione della campagna elettorale.
Gianni Sartori
Gianni Sartori
Afrin nel 2018 veniva sottoposta all’occupazione dei militari turchi e degli ascari jihadisti.
Da allora subisce ininterrottamente repressione, violazioni dei diritti umani e pulizia etnica.
E’ di questi giorni la notizia (diffusa dall’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo - OSDH) dell’ennesimo scempio alla dignità umana. E, come spesso accade, anche stavolta la vittima è una donna. O meglio, una bambina di dieci anni violentata da Ehmed Memdûh (Ebû Deham), un comandante diAl-Sultan Suleiman Shah “Al-Amshat”, organizzazione jihadista sostenuta da Ankara.
Dopo aver commesso il delitto lo stupratore si sarebbe rifugiato a Kura, un villaggio del distretto di Jindires (località da dove potrebbe essersi già allontanato in quanto accolto dalla rabbiosa indignazione popolare).
Non è - ovviamente e purtroppo - il primo episodio del genere. Come aveva ripetutamente dichiarato il Comitato delle donne del cantone di Shehba. Denunciando come “le donne sono le principali vittime delle forze turche e dei mercenari loro alleati che commettono crimini disumani nei confronti della popolazione curda di Afrin, con uccisioni, sequestri di persona e stupri”.
Chiedendo alle organizzazioni internazionali di “prendere coscienza della gravità di tale situazione e di agire a protezione della popolazione civile di Afrin, vittima di questi odiosi crimini”.
Dello stesso tenore il comunicato dell'agenzia Mezopotamya secondo cui “questo stupro ai danni di una bambina non è il primocrimine commesso dalla Turchia e dalle gang sue affiliate contro le donne e i bambini in Afrin sotto occupazione.
Stupri, massacri (…) e sequestri di persona sono ormai ordinaria amministrazione. Afrin è occupata ormai da cinque anni e tali azioni disumane proseguono senza interruzione”.
Tra gli episodi più recenti, il sequestro in aprile di almeno tre civili nel distretto di Rajo e di Shera.
Da parte della cosiddetta “polizia militare” (una forza paramilitare costituita da mercanti filo-turchi).
Si tratta di Hisên Mistefa Nûrî Hidik (43 anni) del villaggio di Dêrsewanê, di Mihemed Xelîl (36 ans) originario di Meiriskê e di una terza persona, un trentenne pare, di cui non si conosce l’identità.
Prima dell’invasione turca il cantone di Rojava era abitato prevalentemente da curdi.
Nel marzo Afrin 2018 (nonostante l’eroica resistenza delle YPG/YPJ) era ormai circondata, assediata, bombardata. In un attacco aereo veniva distrutto l’unico ospedale uccidendo 16 civili. Si calcola siano stati oltre 500 i civili di Afrin morti sotto i bombardamenti turchi ( senza contare quelli assassinati dalle milizie jihadiste).
E nel frattempo nei distretti del cantone occupato prosegue la creazione di colonie per le famiglie dei mercenari filo-turchi. Con l’evidente intenzione di mutare in maniera irreversibile la composizione demografica della regione.
E’ di questi giorni la notizia dell’inaugurazione nei pressi del centro di Afrin dell’ennesima colonia di 500 unità abitative denominata (come annunciato dal “Consiglio locale” sottoposto agli occupanti turchi) “Al-Amal 2”. Opera finanziata dai finanziamenti della cosiddetta Autorità internazionale di aiuto e sviluppo “Ansar”.
Nel 2021 un’altra colonia (“Terra di Speranza”) veniva realizzata nel villaggio di Kafr Kalbin (nell’area occupata di Azaz, a nord di Alep) grazie al finanziamento della Gestione turca delle catastrofi e delle urgenze (AFAD) e dell’Organizzazione internazionale di aiuto “Anser”.
La colonizzazione turca dei territori siriani occupati era stata avviata fin dai primi momenti dell’occupazione. Già nel novembre 2018 a sud di Afrin nasceva il complesso abitativo “Al-Qarya Al-Shamiyya” (già nel nome destinato ai miliziani di “Al-Jabha Al-Shamiyya”). Al momento di calcola che le colonie di popolamento realizzate dalla Turchia siano almeno 25 (in soli cinque anni!). E non va certo meglio per i curdi che vivono in Turchia. A Istanbul,il 2 maggio è stato assassinato Cihan Aymaz, musicista curdo e attivista di HDP.
Sarebbe stato accoltellato da un fascista turco per essersi rifiutato di cantare l’inno “Ölürüm Türkiyem “ (“Io morirò per teTurchia”). Il giorno dopo molti giovani (non solo curdi) che si erano riunitiper manifestare la loro indignazione venivano arrestati. Almeno due di loro sono stati anche torturati. Si tratta di Kafr Kalbin e di Muhammet İkto (militanti dell’Assemblea dei giovani del partito Yesil Sol).
Nella serata del 7 maggio veniva poi assassinato nel villaggio di Setkar (provincia di Şirnak) il militante curdo Temel Temel, parente dell’ex sindaco di Elkê. Un episodio che fa temere il ritorno dei famigerati squadroni della morte attivi in Bakur (Kurdistan del Nord, sotto occupazione turca) negli anni novanta. Forse riesumati in occasione della campagna elettorale.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 8/5/2023 - 22:59
MANO TESA DELL'AANES A DAMASCO
Gianni Sartori
Nonostante i ripetuti attacchi del regime alla regione di Deir ez-Zor, l'AANES chiede a Damasco di ripristinare il dialogo per una soluzione politica che garantisca sia l'unità della Siria che l'autonomia per i territori del nord e dell'est.
Proseguono ormai da parecchi giorni gli attacchi da parte di Damasco, con il sostegno di organizzazioni fiancheggiatrici filo-iraniane (v. Difa al-Watni, Difesa della patria, a quanto pare apprezzata anche da Ankara) irrobustite con miliziani pachistani e afgani, nella regione di Deir Ez-Zor. Area a maggioranza araba, in gran parte desertica ma petrolifera (in cui si mantiene la presenza di circa 900 militari statunitensi) sotto il controllo delle forze arabo-curde. Come da manuale il maggior numero di vittime si contano tra la popolazione civile. Tra gli ultimi incidenti, il bombardamento delle città di Abu Hemam (una vittima accertata: Resmiya Salih al-Id di 40 anni), Kishkiye e della zona rurale di Bisêra. Si calcola che in una settimana (dal 7 agosto) negli attacchi contro Deir Ez-Zor siano morte almeno una quindicina di persone (una trentina i feriti accertati).
Scontata la ferma condanna per tali operazioni (e della propaganda di guerra con cui si vorrebbe attribuire alle FDS – Forze Democratiche Siriane - la responsabilità del conflitto) da parte dell'Amministrazione autonoma democratica del nord e dell'est della Siria (AANES) che tuttavia non rinuncia alla possibilità di un confronto con il regime. Invitandolo a “mettere da parte la demagogia e la retorica ostile per impegnarsi in un sincero dialogo nazionale per il futuro della Siria”.
Accusati di “collaborare con gli Stati Uniti”, i curdi a loro volta accusano il regime di “utilizzare un linguaggio di odio e tradimento”. Inoltre con il suo operato Damasco “impedisce di occuparsi seriamente della questione autonomia o separatismo". E' noto che ai curdi viene rinfacciato di voler frantumare la Siria mentre in realtà si tratterebbe soltanto di riconoscere l'autonomia (fondata sul Confederalismo democratico) dei territori già amministrati dall'AANES.
Concetto ribadito ancora una volta dal PYD (Partito dell'unione democratica) che ha rilanciato la proposta di un “dialogo nazionale” e la necessità impellente di negoziati. In quanto “la soluzione del conflitto in corso sta nelle mani dei Siriani e non nei forum internazionali come Astana o Ginevra”.
Per cui il governo siriano dovrebbe “abbandonare le soluzioni militari e concentrarsi sul dialogo politico per garantire l'unità e l'integrità della Siria”.
Un approccio alla questione che non è esclusivo dei Curdi. In questi giorni si è tenuta a Hesekê una riunione tra i leader tribali (sia arabi che curdi) che si sono trovati concordi sia nel condannare gli attacchi di Damasco a Deir ez-Zor, sia nel sostegno alle FDS. Nella dichiarazione finale, comunicata dallo sceicco Hesen Ferhan (co-presidente del Consiglio della Tribù Tey), si leggeva che “noi come tribù appoggiamo le FDS e le Forze Asayish di Ordine Pubblico con i nostri uomini, donne e giovani. E garantiremo la sicurezza del nostro paese con ogni mezzo necessario”. Con una richiamo alla “nostra esperienza che è l'arma più potente contro i tentativi di spezzarne l'unità”. Protezione e sicurezza del paese che rappresentano un “sacro dovere per ogni membro delle nostre tribù e clan del nord e dell'est della Siria”. Con l'appello finale a “tutti i popoli della regione affinché sostengano le FDS e le Forze Asayish anteponendo l'interesse del paese a ogni altra questione”.
Stando almeno a tale comunicato sembrerebbero rientrate le rivendicazioni di alcune tribù arabe (in particolare della tribù Akaiadat) favorevoli al ripristino della sovranità diretta di Damasco (per i curdi tali tribù sarebbero state sobillate dal regime). L'anno scorso una rivolta araba nella regione di Deir ez-Zor era scoppiata in contemporaneità (difficile pensare a una coincidenza, piuttosto a un coordinamento) con gli attacchi delle formazioni jihadiste filoturche a Manbij e Tell Tamer.
Quel che verrebbe umilmente da suggerire al presidente Bashar al-Assad è di preoccuparsi non tanto per le richieste di autonomia avanzate dai curdi, ma piuttosto dei territori persi nel nord-ovest (con i villaggi di al-Bab, Azaz, Jarabulus, Rajo, Tal Abyad, Ras al-Ayn...). Territori occupati militarmente da Ankara in almeno tre fasi: agosto 2016 con l'operazione “Scudo dell’Eufrate”, gennaio 2018 (“Ramo d’ulivo”) e ottobre 2019 (“Primavera di pace”). Definitivamente entrati a far parte della cosiddetta “fascia di sicurezza” sotto controllo turco. Di fatto una provincia turca che dipende dal Governatorato di Gaziantep. Per non parlare della questione del Golan sempre sotto occupazione israeliana.
Gianni Sartori
Gianni Sartori
Nonostante i ripetuti attacchi del regime alla regione di Deir ez-Zor, l'AANES chiede a Damasco di ripristinare il dialogo per una soluzione politica che garantisca sia l'unità della Siria che l'autonomia per i territori del nord e dell'est.
Proseguono ormai da parecchi giorni gli attacchi da parte di Damasco, con il sostegno di organizzazioni fiancheggiatrici filo-iraniane (v. Difa al-Watni, Difesa della patria, a quanto pare apprezzata anche da Ankara) irrobustite con miliziani pachistani e afgani, nella regione di Deir Ez-Zor. Area a maggioranza araba, in gran parte desertica ma petrolifera (in cui si mantiene la presenza di circa 900 militari statunitensi) sotto il controllo delle forze arabo-curde. Come da manuale il maggior numero di vittime si contano tra la popolazione civile. Tra gli ultimi incidenti, il bombardamento delle città di Abu Hemam (una vittima accertata: Resmiya Salih al-Id di 40 anni), Kishkiye e della zona rurale di Bisêra. Si calcola che in una settimana (dal 7 agosto) negli attacchi contro Deir Ez-Zor siano morte almeno una quindicina di persone (una trentina i feriti accertati).
Scontata la ferma condanna per tali operazioni (e della propaganda di guerra con cui si vorrebbe attribuire alle FDS – Forze Democratiche Siriane - la responsabilità del conflitto) da parte dell'Amministrazione autonoma democratica del nord e dell'est della Siria (AANES) che tuttavia non rinuncia alla possibilità di un confronto con il regime. Invitandolo a “mettere da parte la demagogia e la retorica ostile per impegnarsi in un sincero dialogo nazionale per il futuro della Siria”.
Accusati di “collaborare con gli Stati Uniti”, i curdi a loro volta accusano il regime di “utilizzare un linguaggio di odio e tradimento”. Inoltre con il suo operato Damasco “impedisce di occuparsi seriamente della questione autonomia o separatismo". E' noto che ai curdi viene rinfacciato di voler frantumare la Siria mentre in realtà si tratterebbe soltanto di riconoscere l'autonomia (fondata sul Confederalismo democratico) dei territori già amministrati dall'AANES.
Concetto ribadito ancora una volta dal PYD (Partito dell'unione democratica) che ha rilanciato la proposta di un “dialogo nazionale” e la necessità impellente di negoziati. In quanto “la soluzione del conflitto in corso sta nelle mani dei Siriani e non nei forum internazionali come Astana o Ginevra”.
Per cui il governo siriano dovrebbe “abbandonare le soluzioni militari e concentrarsi sul dialogo politico per garantire l'unità e l'integrità della Siria”.
Un approccio alla questione che non è esclusivo dei Curdi. In questi giorni si è tenuta a Hesekê una riunione tra i leader tribali (sia arabi che curdi) che si sono trovati concordi sia nel condannare gli attacchi di Damasco a Deir ez-Zor, sia nel sostegno alle FDS. Nella dichiarazione finale, comunicata dallo sceicco Hesen Ferhan (co-presidente del Consiglio della Tribù Tey), si leggeva che “noi come tribù appoggiamo le FDS e le Forze Asayish di Ordine Pubblico con i nostri uomini, donne e giovani. E garantiremo la sicurezza del nostro paese con ogni mezzo necessario”. Con una richiamo alla “nostra esperienza che è l'arma più potente contro i tentativi di spezzarne l'unità”. Protezione e sicurezza del paese che rappresentano un “sacro dovere per ogni membro delle nostre tribù e clan del nord e dell'est della Siria”. Con l'appello finale a “tutti i popoli della regione affinché sostengano le FDS e le Forze Asayish anteponendo l'interesse del paese a ogni altra questione”.
Stando almeno a tale comunicato sembrerebbero rientrate le rivendicazioni di alcune tribù arabe (in particolare della tribù Akaiadat) favorevoli al ripristino della sovranità diretta di Damasco (per i curdi tali tribù sarebbero state sobillate dal regime). L'anno scorso una rivolta araba nella regione di Deir ez-Zor era scoppiata in contemporaneità (difficile pensare a una coincidenza, piuttosto a un coordinamento) con gli attacchi delle formazioni jihadiste filoturche a Manbij e Tell Tamer.
Quel che verrebbe umilmente da suggerire al presidente Bashar al-Assad è di preoccuparsi non tanto per le richieste di autonomia avanzate dai curdi, ma piuttosto dei territori persi nel nord-ovest (con i villaggi di al-Bab, Azaz, Jarabulus, Rajo, Tal Abyad, Ras al-Ayn...). Territori occupati militarmente da Ankara in almeno tre fasi: agosto 2016 con l'operazione “Scudo dell’Eufrate”, gennaio 2018 (“Ramo d’ulivo”) e ottobre 2019 (“Primavera di pace”). Definitivamente entrati a far parte della cosiddetta “fascia di sicurezza” sotto controllo turco. Di fatto una provincia turca che dipende dal Governatorato di Gaziantep. Per non parlare della questione del Golan sempre sotto occupazione israeliana.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 13/8/2024 - 08:52
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Lee Brickley
Album / Albûm :
Songs for Rojava
Non dimentichiamo e non dimenticheremo Lorenzo , caduto il 18 Marzo 2019 a Baghouz per difendere i diritti umani.