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L'Arvulu Rossu

Cesare Basile
Lingua: Siciliano


Cesare Basile

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L'Arvulu Rossu - video


Nel 1939, a Catania, il questore Molina ingaggia la sua personale guerra contro la pederastia. Ossessionato dai iarrusi (gli omosessuali) li perseguiterà in ogni modo fino alla deportazione alle isole Tremiti. Molti di loro sono ragazzini che, in ossequio alla difesa della mascolinità italica, vengono sottoposti a ispezioni anali, prelievi di sangue, oltraggi corporali di ogni tipo per accertare dove nasce e come si contagia la differenza. Continuiamo ad essere figli dell’infamia.

La canzone è stata ispirata da La città e l'isola, bellissimo e amaro libro scritto sul caso da Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio.

Dalla relazione del Questore Molina si legge

“La piaga della pederastia in questo capoluogo tende ad aggravarsi e generalizzarsi perché giovani finora insospettati, ora risultano presi da tale forma di degenerazione sessuale. Questo dilagare di degenerazione in questa città ha richiamato l’attenzione della locale Questura che è intervenuta a stroncare o, per lo meno, ad arginare tale grave aberrazione sessuale che offende la morale. Ritengo pertanto indispensabile, nell’interesse del buon costume e della sanità della razza, intervenire con provvedimenti più energici perché il male venga aggredito e cauterizzato nei suoi focolai. A ciò soccorre, nel silenzio della legge, il provvedimento del Confino di polizia”.



L’Arvulu Rossu è una ballata che non si smetterebbe mai di ascoltare, che quasi inchioda il disco all’inizio (è la seconda traccia) costringendo l’ascoltatore a un loop infinito. È la storia atroce – raccontata in prima persona – della persecuzione messa in atto dal questore catanese Alfonso Molina contro gli jarrusi, gli omosessuali siciliani, sotto il regime fascista, soprattutto dalla notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1939:

«Li vanno a prendere sul posto di lavoro, a casa anche a letto. La polizia agisce contemporaneamente in molti punti diversi della città. L’ideale sarebbe catturarli tutti insieme nello stesso luogo […] Un gran viavai, polizia, carabinieri, e tanti arrusi e masculi che vengono fatti uscire spinti nei camioncini della questura e portati via».


[Gianfranco Goretti, Tommaso Giartosio, La Città e l’Isola, Donzelli Editore]

Una storia minuta – tenuta nascosta dalle grandi tragedie del novecento e dal peso della Storia – che Basile eleva attraverso la poesia di una lingua, la sua – quella di un’isola e di un popolo – ricca d’immaginazione e colori.

Una lingua ora dura, ora dolce che batte aspra sulla lingua di Basile, che stride tra i suoi denti, che si tende alta e sporca a raccontare – prima ancora che con le parole, con i toni, con le sfumature, con la rabbia – la vergogna della deportazione, la ferita dello scherno, il dolore dell’odio.

L’Arvulu Rossu è un affresco straordinario che, sorretto da un ritmo che sa di danze popolari, di tammorre, di chitarre all’ombra di un bar con un bicchiere di vino rosso sul tavolino, di processioni e canti antichi, ci catapulta tra le strade della meravigliosa città ai piedi dell’Etna – ‘nfacci a stu gran mari – e ci sembra di ascoltare l’andare e venire delle onde, il sapore acre della salsedine.

L’Arvolu Rossu è la sfida a una damnatio memoriae: il grande albero del titolo, il luogo dove s’incontravano gli omosessuali di Catania – dice che un tempo ha fatto frutto traviato / che frutto è / cuore di strada / amore calpestato – erto a simbolo, da una parte: del male, della devianza, del contagio; dall’altra: della libertà, del diritto all’amore contro la violenza dello Stato nella vita dei suoi cittadini – gli hanno fatto una barca di carta bollata / dall’altra parte del mare.
L'indipendente
Taliala sta città ca pari tuttu mari
è tuttu mari
mari unn'è ghiè
ma non ti po abbiari
taliala sta città ca pari tuttu mari

E c'è n'arvulu rossu 'nfacci a stu gran mari
chin'i quacina
sapi picchì
picchì ti po 'nfittari
ah c'è l' Arvulu Rossu 'nfacci a stu gran mari

Rici ca 'n tempu fici fruttu traviatu
chi fruttu è
cori stratariu
amuri scarpisatu
rici ca 'n tempu fici fruttu traviatu

A scutu di la razza 'sbirru fa sintenza
ci cava u malu
all'umanità
tu si mala simenza
a scutu di la razza u sbirru fa sintenza

Viremu quantu è russu u sangu ro jarrusu
chi russu è
ri cchi culuri
stu sangu 'mprastiatu
Molina dimmi quant'è russu u sangu ro sgaggiatu

Ci ficiru na varca di carta bullata
dabbanna o mari
c'è la virtù
oh rarica 'mpistata
cu n'appi n'appi e a masculanza fu sanata

9/9/2019 - 12:49



Lingua: Italiano

Traduzione italiana tratta dal video ufficiale
L'ALBERO GROSSO

Guardala questa città che sembra tutto mare
è tutto mare
mare dappertutto
ma non ti puoi buttare
guardala questa città che sembra tutto mare

E c'è un albero grosso in faccia a questo gran mare
pieno di calce
chissà perché
perché ti può infettare
ah c'è l'Albero Grosso in faccia a questo gran mare

Dice che un tempo ha fatto frutto traviato
che frutto è
cuore di strada
amore calpestato
dice che un tempo ha fatto frutto traviato

A scudo della razza uno sbirro fa sentenza
gli cava il male
all'umanità
tu sei cattiva semenza
a scudo della razza lo sbirro fa sentenza

Vediamo quanto è rosso il sangue di un frocio
che rosso è
di che colore
questo sangue imbrattato
Molina dimmi quanto è rosso il sangue di uno venuto male

Gli hanno fatto una barca di carta bollata
dall'altra parte del mare
c'è la virtù
oh radice infetta
chi ha avuto ha avuto e la mascolanza è stata sanata

9/9/2019 - 12:50




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