Language   

Pazzia da lavoro

Ennio Morricone
Language: Instrumental


Ennio Morricone

Related Songs

Ferragnez
(Francesco Vaccini)
Construção
(Chico Buarque de Hollanda)
Quittin' Time
(Keith Whitley)


[1971]
Composto da / Composed by / Composé par / Säveltäjä: Ennio Morricone
Dalla colonna sonora original del film / From the original soundtrack of the motion picture / Tiré de la bande originale du film / Elokuvan alkuperäisestä ääniraidasta :
La classe operaia va in paradiso
(The Working Class Goes to Heaven, Elio Petri, 1971)
(La classe ouvrière va au paradis, Elio Petri, 1971
(Työväenluokka nousee taivaaseen, Elio Petri, 1971)

«Lavoratori, buongiorno. La direzione aziendale vi augura buon lavoro. Nel vostro interesse, trattate la macchina che vi è stata affidata con amore. Badate alla sua manutenzione. Le misure di sicurezza suggerite dall'azienda garantiscono la vostra incolumità. La vostra salute dipende dal vostro rapporto con la macchina. Rispettate le sue esigenze, e non dimenticate che macchina più attenzione uguale produzione. Buon lavoro.»

classoperQuesto è l'annuncio che, ogni mattina, viene diffuso nella Fabbrica B.A.N., dove lavora l'operaio Ludovico Massa, detto Lulù, “31 anni con due famiglie da mantenere (una composta dalla ex moglie e il loro figlio, l'altra dalla sua nuova compagna e il figlio di lei) e con alle spalle già 15 anni di lavoro presso la fabbrica B.A.N., due intossicazioni da vernice e un'ulcera. Milanista, stakanovista e sostenitore del lavoro a cottimo, grazie al quale, lavorando a ritmi infernali, riesce a guadagnare abbastanza da permettersi l'automobile e altri beni di consumo, Lulù è amato dai padroni, che lo utilizzano come modello per stabilire i ritmi ottimali di produzione, e odiato dai colleghi operai per la sua diligenza che viene scambiata per servilismo. Nonostante ciò, non riesce ad essere contento della sua situazione, in quanto i ritmi di lavoro sono talmente sfiancanti che, tornato a casa, riesce a malapena a mangiare e ad annichilirsi davanti alla televisione, non ha nessuna vita sociale, nessun dialogo con i propri cari, non riesce neppure più ad avere rapporti con la compagna. La sua vita continua in questa totale alienazione, che lo porta a ignorare gli slogan di protesta urlati e scritti dagli studenti fuori dai cancelli, finché un giorno ha un incidente sul lavoro e perde un dito (dopo aver cercato di estrarre manualmente un pezzo rimasto incastrato nel macchinario).”

Comincia così La classe operaia va in paradiso, film diretto nel 1971 da Elio Petri, da lui scritto assieme a Ugo Pirro e interpretato da Gian Maria Volonté e Mariangela Melato. Sono tutti nomi che evocano una stagione in cui esisteva e prosperava il cinema italiano, prima che esso terminasse stancamente la sua vita perlopiù in insulse storie familiari e “intimiste”. Il film ottenne, tra tonnellate di polemiche, la Palma d'Oro al Festival di Cannes del 1972; presente in sala a Porretta Terme (dove il film fu presentato in anteprima mondiale, in occasione della Mostra Internazionale del Cinema Libero), il regista francese Jean-Marie Straub dichiarò che tutte le copie del film sarebbero dovute essere bruciate seduta stante. «Con il mio film sono stati polemici tutti, sindacalisti, studenti di sinistra, intellettuali, dirigenti comunisti, maoisti. Ciascuno avrebbe voluto un'opera che sostenesse le proprie ragioni: invece questo è un film sulla classe operaia»; queste le parole di Elio Petri.

Perché si tratta di un film il cui tema centrale è l'alienazione da e per lavoro. Un film che racconta la fabbrica italiana degli anni '70 del secolo scorso ed il rapporto alienato e malato degli operai con la macchina e i tempi di produzione. Un film la cui “colpa” principale è proprio quella di decretare e auspicare la morte del lavoro prima che esso conduca a morte personale e di classe. Logico che tutto ciò gli procurasse guai e critiche aspre: il “blocco del lavoro”, che va dal padronato alla stessa classe operaia, dalle “sinistre” alle “destre” e al “mondo cattolico”, non poteva perdonarglielo. Un film che “esce al di fuori della fabbrica per accusare sia il movimento studentesco, spesso troppo distante e 'astratto' dai reali problemi degli operai, che i sindacati, spesso invece collusi con i padroni con cui concertano e decidono della vita degli operai stessi, per arrivare fin dentro le case, evidenziando come l'alienazione dell'uomo-macchina continui anche nella vita di tutti giorni, contaminando i rapporti personali.” Ora che, finalmente, siamo arrivati da una parte all'esaltazione (e quasi alla santificazione) di Marchionne e del marchionnismo, dopo tutto un percorso di decomposizione della coscienza di classe; ora che il “lavoro” altro non è che un cadavere che puzza, e che, quanto più puzza, tanto più ammorba ed uccide tutto ciò che incontra (quasi sempre presentato e travestito da “futuro”, scordando regolarmente che il “futuro” è soltanto la rappresentazione che ne danno le classi dominanti), sarebbe ora di riguardarselo ben bene questo film di quarantotto anni fa.

Un suo punto centrale sono le visite che Lulù, dopo la sua presa di coscienza, va a fare all'anziano Militina (interpretato da Salvo Randone), un operaio che per il lavoro è impazzito davvero: si trova, infatti, in manicomio. Da queste visite, Lulù capisce che, oramai, anche per lui il lavoro si sta trasformando in pazzia. Nessuna breccia nel muro del lavoro, come invece Lulù sogna al termine del film per vedere lui stesso, Militina e tutta la classe operaia immersa in una fitta nebbia. Una breccia che, ora più che mai, dovrebbe essere espressa chiaramente mandandolo definitivamente affanculo, il “lavoro”; smascherandolo, rifiutandolo, riducendolo alla sua essenza di principale strumento e fine dell'oppressione, sia come concetto che come pratica. Di questo parla appunto il film di Elio Petri, che continua a aggirarsi come un fantasma nel cimitero che, in Italia e altrove, siamo diventati.

Del film sarebbe stato forse opportuno presentare l'intera colonna sonora, scritta dal Maestro Ennio Morricone. Ne presentiamo qui, però, soltanto un brano che si intitola, significativamente, “Pazzia da lavoro”. Si tratta, ovviamente, di un secco, drammatico, alienante brano strumentale; ma la grandezza di un musicista consiste proprio nell'affidare alla musica anche le parole. E' la musica che parla ed esprime. Giustamente qualcuno, nei commenti al video YouTube che qui viene presentato, ha accostato a Construção di Chico Buarque de Hollanda. [RV]

Contributed by Riccardo Venturi - 2019/8/19 - 06:10




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