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Vi cunto e canto (Portella della Ginestra)

Tullio Bugari
Langue: italien


Tullio Bugari

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mezzadro

testo di Tullio Bugari, musica e voce Silvano Staffolani

Portella della Ginestra, primo maggio 1947. Il racconto nel libro e la canzone, “Vi cunto e canto”.
Domani è il Primo Maggio, settanta anni esatti dall’eccidio di Portella. Ho dedicato a questa vicenda uno dei racconti del libro, «Purtelja së Jinestrës», in lingua arbëreshe, la lingua di tanti in quella zona. Tutti i racconti del libro riguardano storie accadute tra il 1949 e il 1950, tranne questa di Portella, che risale a due anni prima, ma non potevo escluderla e non solo per la sua importanza ma anche perché da ragazzo ho avuto l’occasione di incontrare due persone presenti quel giorno a Portella, due superstiti per raccontare quella storia negli anni.

Il racconto che ho scritto e inserito nel libro nasce dunque da questo legame di sentimento. Ho raccolto quel racconto orale diretto e nel riproporlo ho cercato di ricreare la stessa situazione ed emozione della sera in cui li ascoltai, a cena con loro, in quella trattoria in un vicolo del centro storico di Trapani, il 30 aprile dei 41 anni fa.

Grazie a loro, anch’io sono entrato un po’ dentro questa storia, e poi sono entrato direttamente nel mio libro, insieme ai personaggi reali narrati; il racconto che nell’ordine del libro precede questo di Portella, e che ho dedicato alla Sicilia di Placido Rizzotto e Pio la Torre, termina con dialogo tra due ragazzi, nel quale lui anticipa a lei la storia di Portella:

“E la storia di cui parlavi?”
“La sera del 30 aprile, non so perché ma non c’era nessuno a cena. Perfino il cameriere della Fgci era via. Così m’invitarono al loro tavolo, come in famiglia. In televisione andava in onda qualcosa sul Primo Maggio, che era il giorno dopo. Un servizio su Portella della Ginestra, con interviste e scene dal film di Rosi. Loro due s’erano fatti silenziosi e a un certo punto la moglie mi fa: Noi c’eravamo quel giorno!”
“Davvero? E me lo dici solo ora? ‘Io so qualcosa..!’ Che disgraziato! Mi fai volare con la fantasia e invece tu… ma lo fai apposta, te la farò pagare.”
“L’ho scritto il loro racconto.”
“Hai preso appunti mentre parlavano?”
“No. L’ho fatto dopo, andando a memoria.”
“E perché?”
“Fu come se… non so, non mi resi conto subito di ciò che mi raccontavano. E poi eravamo a cena, tra un bicchiere e l’altro. L’ho riscritta qualche anno più tardi, dopo aver letto molti articoli e cronache… ho rivisto anche il film, che a tratti non coincideva col racconto. Così, quando l’ho scritto, al loro racconto ho mescolato anche altro, per dargli ordine, e poi perché non ricordavo tutto in modo esatto. Non ho più le loro parole dirette ma non ho dimenticato il loro modo di raccontare. Si davano il cambio, come se fosse un solo racconto alimentato da due voci intrecciate insieme. Come immagino sia stata la loro vita. Ricordo bene i loro visi, i gesti, i passi avanti e indietro dalla cucina. Il tono della voce. L’emozione che ti si rovescia dentro, come hai detto tu, che mi hanno trasmesso, su quanto accadde al ”Sasso Barbato”, la grossa pietra dove salivano i comizianti a fare la predica, come la chiamavano, che prendeva il nome dal sindacalista arbëreshë Nicola Barbato, Kola Barbati, uno dei fondatori dei fasci siciliani.”
“Perché non hai scritto subito questa storia?”
“E chi lo sa? Mi dissero tutti i nomi delle vittime, mi incuriosii di Margherita Clesceri, madre di 6 figli. Poi cercai delle informazioni…”
Tullio Bugari
Vi cunto e canto la storia di quel giorno
Che il cielo sparò sulla terra
Per fare la predica sul Sasso
Ci salì Giacomo Schirò un calzolaio
Faccio fatica a rievocare quegli istanti
L’aria fresca sul viso gli echi dei bambini
Il brusio delle voci che s’abbassa
L’attimo di silenzio che precede l’inizio
L’attimo di silenzio che precede l’inizio
“Compagne e compagni,
lavoratori del braccio e della mente”
Disse Schirò iniziando la predica
Poi i boati qualcuno che cade
Altri che battono le mani
Li scambiano per i mortaretti della festa
Li scambiano per i mortaretti della festa
Vi cunto e canto la storia di quel giorno
Che la terra si avvolse nel dolore
Dopo i boati le raffiche di mitraglia
Da più parti squarciano l’aria
Un’eternità
Muli cavalli e persone
Che ondeggiano fuggono cadono
Vedo una bambina è a terra
Vedo una bambina è a terra
Vedo una madre e una figlia cadere insieme
La madre sulla bocca ha il sangue
E l’altra figlia grida mamma
Cos’è questo sangue?
E la madre la guarda e piange
Poi il silenzio e tutto è immobile
E la madre la guarda e piange
Poi il silenzio e tutto è immobile
Vi cunto e canto la storia di quel giorno
Che il dolore straziò l’anima dei corpi
Solo il rumore dell’acqua del ruscello
E un dolore
Tutto attorno gente
E animali caduti
Una madre regge sulle braccia
Il piccolo figlio morto
Sulle alture della Cometa
Le ginestre sono mute
Sulle alture della Cometa
Le ginestre sono mute
I più giovani erano partiti allegri
Con le bandiere rosse
Tornano impauriti e feriti
Non piangono non ne hanno la forza
C’è un cavallo a terra
La bocca di sangue e il figlio che grida
E il padre, altro che cavallo,
Hanno ucciso la mamma
E il padre, altro che cavallo,
Hanno ucciso la mamma
Vi cunto e canto la storia di quel giorno
Che i corpi e le anime si rialzarono in piedi
Dal paese sale un camion
Per caricare morti e feriti
ma loro la madre
vogliono riportarla giù da soli
la adagiano sull’ala di un aereo
caduto durante la guerra
anche lei come un’ala
caduta dal cielo
la adagiano sull’ala di un aereo
caduto durante la guerra
anche lei come un’ala
caduta dal cielo

envoyé par Dq82 - 6/3/2019 - 18:26




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