Ma parliamo dunque di questi imboscati
che stanno in officine a faticarsi
dovrebbero anch'essi imparare a disertar
e anche questa guerra deve terminar.
Ma parliamo dunque dí questi imboscati
che tornano alla sera stanchi e faticati
dovrebbero anch'essi imparare a disertar
e anche questa guerra dovrebbe terminar.
che stanno in officine a faticarsi
dovrebbero anch'essi imparare a disertar
e anche questa guerra deve terminar.
Ma parliamo dunque dí questi imboscati
che tornano alla sera stanchi e faticati
dovrebbero anch'essi imparare a disertar
e anche questa guerra dovrebbe terminar.
Contributed by Bernart Bartleby - 2018/11/13 - 21:06
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Un canto raccolto negli anni 60 a Novara e ad Arzignano (VI), presente nel volume "E non mai più la guerra", di Cesare Bermani e Antonella De Palma, pubblicato dalla Società di mutuo soccorso Ernesto de Martino nel 2015
Riportato anche in "Al rombo del cannon: Grande Guerra e canto popolare", di Franco Castelli, Emilio Jona e Alberto Lovatto, Neri Pozza editore.
Nella propaganda ufficiale la figura dell'imboscato era assimilata a quella del disertore, traditori della patria. Già nelle trincee il sentimento era diverso, che gli imboscati erano gli ufficiali nelle retrovie e i signori e i ministri che tiravano i fili della guerra stando a casa "con le loro mogli sui letti di lana", come recita un'altra strofetta di quel periodo. Ma qui la coscienza di classe e insieme la lucida consapevolezza che un lavoratore non può che essere contro la guerra trasformano l'operaio/imboscato e il soldato/disertore in due protagonisti positivi della Storia.
Peccato che questa coscienza fosse – e continui sempre ad essere – minoritaria...