O vecchia Morte,
Tu che vivi nei cuori,
Nascosta sotto le buone intenzioni,
Le alte concezioni,
Le idee perfette, le belle parole, i sogni.
O buona Morte,
Dormi dentro la bocca dell'orco
Dove ogni pensiero l'ha,
L'amore è un banchetto,
È una maschera, una rabbia, uno sfogo l'affetto.
O vecchia Morte,
O buona Morte,
Prendi questo mio corpo,
Prendi questo mio cuore
Prendi questo dolore,
Prendi queste paure,
Prendi questa canzone,
Questa colpa, questa vergogna,
Questa illusione.
Portale a fermentare
Nel fondo del fondo, dov'è il tuo reame,
Portami a fermentare
Nel fondo del fondo, dov'è il mio reame.
O vecchia Morte,
O buona Morte,
O regina Morte
Prendi questa mia fredda speranza
Da mendicante
O vecchia Morte,
O buona Morte.
Tu che vivi nei cuori,
Nascosta sotto le buone intenzioni,
Le alte concezioni,
Le idee perfette, le belle parole, i sogni.
O buona Morte,
Dormi dentro la bocca dell'orco
Dove ogni pensiero l'ha,
L'amore è un banchetto,
È una maschera, una rabbia, uno sfogo l'affetto.
O vecchia Morte,
O buona Morte,
Prendi questo mio corpo,
Prendi questo mio cuore
Prendi questo dolore,
Prendi queste paure,
Prendi questa canzone,
Questa colpa, questa vergogna,
Questa illusione.
Portale a fermentare
Nel fondo del fondo, dov'è il tuo reame,
Portami a fermentare
Nel fondo del fondo, dov'è il mio reame.
O vecchia Morte,
O buona Morte,
O regina Morte
Prendi questa mia fredda speranza
Da mendicante
O vecchia Morte,
O buona Morte.
inviata da Riccardo Venturi - 19/8/2018 - 07:28
Bella, anche se secondo me l'unico che si può permettere di dare del tu alla Morte è Vic Chesnutt
Lorenzo - 19/8/2018 - 12:36
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Testo e musica di Francesco Pelosi
Lyrics and music by Francesco Pelosi
Paroles et musique de Francesco Pelosi
Sanat ja musiikki: Francesco Pelosi
Album: Il rito della città
- 1260
- Nordest
- Il rito della città
Il rito della città, album d’esordio di Francesco Pelosi uscito il 6 ottobre 2017 e anticipato dal singolo O Morte, ha come protagonista la città, luogo di partenza di un’indagine sentimentale e sonora che, più che suggerita, gli è stata costretta per diritto di nascita. Leonard Cohen cantava di non avere scelta, poiché nato con una “golden voice”. Più o meno allo stesso modo, nascere in una città di provincia, stretto fra due fabbriche e inondato di mitologie a basso prezzo (ma costosissime per l’anima), dall’osteria alla resistenza e dal cattolicesimo al mercato globale, non lascia scampo. Bisogna darsi da fare per raccogliere ciò che di vero esiste ancora in quel piccolo mondo nuovo che ci ha accolti. Si scopre così, non senza amarezza o rassegnazione, che esistono spiriti affini, che alcune mitologie sono ancora vive e concrete e che il viaggio, per quanto difficoltoso a arduo, esiste, si manifesta.
Il rito che ne consegue e che abbiamo imparato ad ammansire per non esserne divorati completamente è allora la porta spalancata del passato che ci permette di appoggiarci e dare il colpo di reni verso l’avanti. Il bancone di un bar. Il letto di un amante. Il legno di una chitarra.
Alcuni santi guidano l’impresa, pochi amici si fermano ancora a cantare tutta la notte, molti critici avversano. L’entropia sembra governare. Ma un fiore sboccia ancora tra le labbra e custodito fra un seno e un palmo irradia il mondo di vita. In alto i calici allora (e un goccio a terra per i defunti), il rito della città non è soltanto distruzione servile e malinconico annegamento. È un gesto antico che comprende i nostri giorni, ci guarda nelle viscere e quieto come un orso soffia il suo respiro sui cuori. Di questo si è cercato di cantare. Suggestioni e mitologie. Carne e magia. Materia e Immaginazione.
Canzoni fatte di maglia sdrucita e pasta per le mani. Ricordi, dissolvenze, spietate constatazioni e amore irriducibile. Chi metterà un piede nel cerchio della danza non potrà non partecipare al rito. Costa ben poco: un ascolto dedicato e senza indulgenze, un tempo lento, una coperta, un fuoco, un bicchiere di vino e qualcuno con cui condividerlo.
Sono ragionevolmente certo che, nell'oceano, nell'universo infinito delle parole in musica, esistano ben poche canzoni dedicate alla Morte (al di fuori del rock satanico o roba del genere). Dico alla Morte in sé, non alla morte di qualcuno o di qualcosa; insomma, alla Nera Signora, che rimane Signora -chissà perché- anche nelle lingue dove è di genere maschile (der Tod). Alla Morte come tale, non per invocarla per qualcuno o per sé; come qualcosa che esiste, che fa parte, e forzatamente, dell'esistenza. Francesco Pelosi è, fondamentalmente, un mistico; ha prodotto, appunto, un bellissimo album mistico dove attualità e inattualità, passato e presente si mescolano inestricabilmente. Cosa del tutto naturale per questa figura altamente medievale anche nell'aspetto, perché il Pelosi lo si situa facilmente a cavallo nel buio di una foresta verso il XIII secolo o anche prima, lui che avrebbe passato di una spanna anche Carlomagno, noto per la sua statura che veniva considerata gigantesca. Non a caso, nell'album Il rito della città, questa stupefacente O Morte (uscita come singolo “pilota” dell'intero album) è preceduta da Sonno, e precede la segalelliana e dolciniana 1260. Francesco Pelosi è, naturalmente, nato nel 1260 e ho dei precisi sospetti sul fatto che potrebbe raccontarci di persona quel che accadde sul Monte Rubello, mentre cantava la canzoncina di quell'altro mistico del Borinage. Così, ad un certo punto, appare naturale questa canzone sulla Morte, sulla Vecchia Morte, sulla buona Morte che, giusto in quegli anni là, veniva laudata da un anarchico umbro, tale Francesco di Ser Bernardone, senz'altro anch'egli tra i santi che accompagnano il Pelosi nella sua città rituale, che è città di Dio anche se Dio è l'essere più mortale che possa esistere, e per Parma è ben noto che si aggirano un paio di Leonardi Cohen (l'altro è, naturalmente, Rocco Rosignoli) con le loro golden voices. Oltre a quello propriamente detto: chi altro può essere il “sacerdote” che canta nel Rito della città, dato che Cohen significa, in ebraico, “sacerdote”? E cosí, la vecchia e buona Morte si becchi, opportunamente, la Sua canzone che sembra avere attraversato i secoli, partita da quando era una normale compagna di viaggio, come una presenza, come un'umana entità da rispettare e, all'occorrenza, da gabbare. Presente, come nel sontuoso attacco di questa canzone, nei cuori, sotto le buone intenzioni, le alte concezioni, le idee perfette, le belle parole, i sogni.. Presente nelle Paure di sempre e nelle Illusioni; e, alla fine, viene da pensare che solo parlando chiaramente della Morte, ricominciando a farne presenza costante e non oppressiva, si possa veramente apprezzare e amare la vita. [RV]