Tra le fiamme che bruciarono Gherardo Segalello
Persi le forze mie, persi l’ingegno.
Nel sangue che di monte Rubello fece un mare
La morte m’è venuta a visitare.
Persi l’intento, persi anche il fiato
nel 1300 sulla piazza del mercato
Persi l’amore che al mondo mi teneva abbracciato
Persi i tuoi occhi nel giogo
Che sulle anime impone il peccato.
E si sentiva levarsi un canto
Maledizione sulle donne e gli uomini liberi
E sopra i secoli posarsi un manto
E il paradiso dei pezzenti fare discepoli.
Forza piangete mestissime madri
Coi mattoni della legge hanno alzato prigioni.
E siamo incatenati al par dei manigoldi
Alle pietre delle religioni che alzano bordelli.
Forza piangete nuovi arrivati,
dalle coste della loro storia vi hanno vomitati
piangi amore i giorni e il mistero
che volevamo vivere
ma già crescevamo servi del dolore
figli della separazione
E sentivamo levarsi il suo canto
Dentro l’odore di marcio dell’oro mischiato all’incenso
E le nostre voci a ripeterlo nel vento
E i nostri pugni e i nostri bastoni sul vostro convento
E le nostre voci a ripeterlo nel tempo
E i nostri pugni e i nostri bastoni come il vero tradimento.
Così sul fosco fin del secolo nascente
Intesi l’opra di Gherardo e della sua gente.
La terra è di chi l’ara, il pane di chi ne ha bisogno,
donne e uomini son pari, nostra patria è il mondo intero.
Così intesi la memoria di chi non trascrive
Di chi sopra i secoli non lascia scoria
Genti del popolo, genti più vive
Di voi son testimone
Di voi noi portiamo le carni straziate
L’amore, la morte, l’azione
Di voi noi portiamo le carni sul rogo
E che cenere sia da concime.
Persi le forze mie, persi l’ingegno.
Nel sangue che di monte Rubello fece un mare
La morte m’è venuta a visitare.
Persi l’intento, persi anche il fiato
nel 1300 sulla piazza del mercato
Persi l’amore che al mondo mi teneva abbracciato
Persi i tuoi occhi nel giogo
Che sulle anime impone il peccato.
E si sentiva levarsi un canto
Maledizione sulle donne e gli uomini liberi
E sopra i secoli posarsi un manto
E il paradiso dei pezzenti fare discepoli.
Forza piangete mestissime madri
Coi mattoni della legge hanno alzato prigioni.
E siamo incatenati al par dei manigoldi
Alle pietre delle religioni che alzano bordelli.
Forza piangete nuovi arrivati,
dalle coste della loro storia vi hanno vomitati
piangi amore i giorni e il mistero
che volevamo vivere
ma già crescevamo servi del dolore
figli della separazione
E sentivamo levarsi il suo canto
Dentro l’odore di marcio dell’oro mischiato all’incenso
E le nostre voci a ripeterlo nel vento
E i nostri pugni e i nostri bastoni sul vostro convento
E le nostre voci a ripeterlo nel tempo
E i nostri pugni e i nostri bastoni come il vero tradimento.
Così sul fosco fin del secolo nascente
Intesi l’opra di Gherardo e della sua gente.
La terra è di chi l’ara, il pane di chi ne ha bisogno,
donne e uomini son pari, nostra patria è il mondo intero.
Così intesi la memoria di chi non trascrive
Di chi sopra i secoli non lascia scoria
Genti del popolo, genti più vive
Di voi son testimone
Di voi noi portiamo le carni straziate
L’amore, la morte, l’azione
Di voi noi portiamo le carni sul rogo
E che cenere sia da concime.
envoyé par adriana - 17/3/2018 - 17:14
×
Parole e musica di Francesco Pelosi
Lyrics and music by Francesco Pelosi
Paroles et musique de Francesco Pelosi
Sanat ja musiikki: Francesco Pelosi
Album : Il rito della città
- 1260
- Nordest
- Il rito della città
Il rito della città, album d’esordio di Francesco Pelosi uscito il 6 ottobre 2017 e anticipato dal singolo O Morte, ha come protagonista la città, luogo di partenza di un’indagine sentimentale e sonora che, più che suggerita, gli è stata costretta per diritto di nascita. Leonard Cohen cantava di non avere scelta, poiché nato con una “golden voice”. Più o meno allo stesso modo, nascere in una città di provincia, stretto fra due fabbriche e inondato di mitologie a basso prezzo (ma costosissime per l’anima), dall’osteria alla resistenza e dal cattolicesimo al mercato globale, non lascia scampo. Bisogna darsi da fare per raccogliere ciò che di vero esiste ancora in quel piccolo mondo nuovo che ci ha accolti. Si scopre così, non senza amarezza o rassegnazione, che esistono spiriti affini, che alcune mitologie sono ancora vive e concrete e che il viaggio, per quanto difficoltoso a arduo, esiste, si manifesta.
Il rito che ne consegue e che abbiamo imparato ad ammansire per non esserne divorati completamente è allora la porta spalancata del passato che ci permette di appoggiarci e dare il colpo di reni verso l’avanti. Il bancone di un bar. Il letto di un amante. Il legno di una chitarra.
Alcuni santi guidano l’impresa, pochi amici si fermano ancora a cantare tutta la notte, molti critici avversano. L’entropia sembra governare. Ma un fiore sboccia ancora tra le labbra e custodito fra un seno e un palmo irradia il mondo di vita. In alto i calici allora (e un goccio a terra per i defunti), il rito della città non è soltanto distruzione servile e malinconico annegamento. È un gesto antico che comprende i nostri giorni, ci guarda nelle viscere e quieto come un orso soffia il suo respiro sui cuori. Di questo si è cercato di cantare. Suggestioni e mitologie. Carne e magia. Materia e Immaginazione.
Canzoni fatte di maglia sdrucita e pasta per le mani. Ricordi, dissolvenze, spietate constatazioni e amore irriducibile. Chi metterà un piede nel cerchio della danza non potrà non partecipare al rito. Costa ben poco: un ascolto dedicato e senza indulgenze, un tempo lento, una coperta, un fuoco, un bicchiere di vino e qualcuno con cui condividerlo.
"Secondo Gioacchino da Fiore, il 1260 avrebbe visto l’inizio dell’Età dello Spirito. Vero è che in quell’anno Gherardo Segalello, dopo essere stato rifiutato dall’ordine dei francescani (probabilmente perché povero e ignorante), cominciò la sua predicazione eretica nella città di Parma. Predicazione che lo porterà, pur non fondando mai un ordine, ad avere numerosi seguaci, ad essere fonte d’ispirazione per Fra’ Dolcino e, infine, a venire bruciato vivo dall’Inquisizione nel 1300."
Dalla pagina facebook dell'autore