Mino Macrò: Prima che ai patri bordelli
GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCGLingua: Italiano
Prima che ai patri bordelli
apponessero i sigilli
non era su un letto di rose
che stavan le pubbliche spose
Rinchiuse tra quattro mura
come suore di clausura,
a subir gli umori ed i fiati
di storpi, fanti e prelati
Ma dopo quel giro di vite
le mie pecorelle smarrite
rimasero senza una guida
allo sbando, alla deriva...
Fu mentre che le ricontavo
e nel letto mi rigiravo
ch'ebbi un'illuminazione
mi s'accese com’un lampione!
Adottai quei fragili fiori
colle intezioni migliori
dar loro la mia protezione
divenne la mia professione
Affrontai mille battaglie
per instradar le mie figlie
ammalate d'agorafobia
alle quali spianai la via
Ogni orfanella traviata
la rimisi in carreggiata
ma per evitar incidenti
con calze catarifrangenti
Come Diogene colla lanterna
in ogni bar, ogni taverna
ricercavo il gentiluomo
per dargli l'illecito pomo
Certo non fidarsi è meglio
perciò da dietro un cespuglio
controllavo che ogni cliente
lo mangiasse educatamente
Una volta un tipo prolisso
con la faccia da stoccafisso
mi disse che l'intimidivo
"Va via...", gl'intimai, "lavativo!"
Col terrore del mal francese
non potevo allentar le difese
le mie bimbe immacolate
nessuno le avrebbe sporcate
E così per esserne certo
volevo veder il referto
d'una seria peniscopia
altrimenti sbarravo la via!
Una volta un pezzo di bue
divorato ormai dalla lue
sogguardò i seni di Jessica
così lo sbattei in sala celtica! (*)
Fu proprio l'eccesso di zelo
la causa del mio sfacelo:
i clienti fuggivano altrove
verso più pratiche alcove
«Con i tuoi nobili intenti
ci hai tolto il pane dai denti,
vogliamo gestirci da sole!»
mi disse l'ingrata prole
Così quelle degenerate
serpi venali e spietate
coll'accusa di sfruttamento
mi fecero sbattere dentro
Credevo in quella famiglia
ma fu un focolare di paglia
e se uno mi chiama magnaccia
io lo prendo e gli spacco la faccia!
apponessero i sigilli
non era su un letto di rose
che stavan le pubbliche spose
Rinchiuse tra quattro mura
come suore di clausura,
a subir gli umori ed i fiati
di storpi, fanti e prelati
Ma dopo quel giro di vite
le mie pecorelle smarrite
rimasero senza una guida
allo sbando, alla deriva...
Fu mentre che le ricontavo
e nel letto mi rigiravo
ch'ebbi un'illuminazione
mi s'accese com’un lampione!
Adottai quei fragili fiori
colle intezioni migliori
dar loro la mia protezione
divenne la mia professione
Affrontai mille battaglie
per instradar le mie figlie
ammalate d'agorafobia
alle quali spianai la via
Ogni orfanella traviata
la rimisi in carreggiata
ma per evitar incidenti
con calze catarifrangenti
Come Diogene colla lanterna
in ogni bar, ogni taverna
ricercavo il gentiluomo
per dargli l'illecito pomo
Certo non fidarsi è meglio
perciò da dietro un cespuglio
controllavo che ogni cliente
lo mangiasse educatamente
Una volta un tipo prolisso
con la faccia da stoccafisso
mi disse che l'intimidivo
"Va via...", gl'intimai, "lavativo!"
Col terrore del mal francese
non potevo allentar le difese
le mie bimbe immacolate
nessuno le avrebbe sporcate
E così per esserne certo
volevo veder il referto
d'una seria peniscopia
altrimenti sbarravo la via!
Una volta un pezzo di bue
divorato ormai dalla lue
sogguardò i seni di Jessica
così lo sbattei in sala celtica! (*)
Fu proprio l'eccesso di zelo
la causa del mio sfacelo:
i clienti fuggivano altrove
verso più pratiche alcove
«Con i tuoi nobili intenti
ci hai tolto il pane dai denti,
vogliamo gestirci da sole!»
mi disse l'ingrata prole
Così quelle degenerate
serpi venali e spietate
coll'accusa di sfruttamento
mi fecero sbattere dentro
Credevo in quella famiglia
ma fu un focolare di paglia
e se uno mi chiama magnaccia
io lo prendo e gli spacco la faccia!
(*) Il termine sala celtica o reparto celtico o meno frequentemente sala anticeltica indicava in Italia e talvolta viene ancor usato, quei reparti ospedalieri utilizzati per il ricovero e la cura delle malattie a trasmissione sessuale. L’etimologia deriva da una arcaica denominazione dell'infezione luetica detta morbo Gallico o morbo Celtico (it.wikipedia)
inviata da Bernart Bartleby - 12/3/2018 - 13:08
Su Beniamino Ricotta, in arte Mino Macrò, c'è anche un piccolo giallo - o una cantonata - in Rete. Edmondo Salvemini, che allo sfortunato protettore e busker ha dedicato pure un sito (che gli strumenti di controllo danno per virulento), l'anno scorso ha contribuito su YouTube un audio intitolato Beniamino Ricotta interpreta "Tre rose" di Massimo Bubola...
C'era qualcosa che non mi tornava e sono andato a verificare la data del brano originale: 1981...
Ora, se Mino Macrò è morto di fame nel 1965, come avrebbe fatto a proporre la cover di un brano del 1981?
Mah...
C'era qualcosa che non mi tornava e sono andato a verificare la data del brano originale: 1981...
Ora, se Mino Macrò è morto di fame nel 1965, come avrebbe fatto a proporre la cover di un brano del 1981?
Mah...
B.B. - 12/3/2018 - 14:15
Tutta la vita di Mino Macrò spiega anche il suo "nome d'arte": macro in francese significa proprio "protettore, prosseneta" (grafia estremamente popolare di maquereau "sgombro, maccarello" (il pesce); prosseneta". Il termine è passato anche in italiano.
Riccardo Venturi - 12/3/2018 - 20:33
Grazie Riccardo per l'etimologia, che avvalora il fatto che Beniamino Ricotta / Mino Macrò sia realmente esistito.
Infatti, dopo la sua cover di un brano posteriore di 16 anni alla sua morte, e dopo non aver trovato alcuna traccia in Rete del volume "Milano morta" di tal Piero Mainardi, che sarebbe stato edito nel 1978 dalla Mondadori, negli Oscar, e che è citato come unica fonte da tal Edmondo Salvemini sulle sue pagine, segnalate come virulente, dedicate a Macrò, beh, dopo tutto questo cominciavo ad avere qualche dubbio sulla reale esistenza del protettore / busker / morto di fame in questione.
Saluti
Infatti, dopo la sua cover di un brano posteriore di 16 anni alla sua morte, e dopo non aver trovato alcuna traccia in Rete del volume "Milano morta" di tal Piero Mainardi, che sarebbe stato edito nel 1978 dalla Mondadori, negli Oscar, e che è citato come unica fonte da tal Edmondo Salvemini sulle sue pagine, segnalate come virulente, dedicate a Macrò, beh, dopo tutto questo cominciavo ad avere qualche dubbio sulla reale esistenza del protettore / busker / morto di fame in questione.
Saluti
B.B. - 12/3/2018 - 22:45
Ma quindi, Riccardo, il cognome Macron - proprio quello lì - avrebbe la stessa origine etimologica?
Saluti
Saluti
B.B. - 13/3/2018 - 08:08
:-)) Non lo penso proprio, casomai ho immaginato un antico cognome scozzese (tipo Mac Roon) passato in Francia, non sarebbe il primo caso del genere. "Macrò" deriva da maquereau, il pesce che anche in italiano si chiama "maccarello" (e più comunemente sgombro), e che pure in inglese si chiama mackrel. Il tutto dal medio olandese mackereel, sembra (ma già nel mediolatino è attestato macarellus). Non è però chiaro come dallo "sgombro" si sia passati al "ruffiano".
Terminando però con le etimologie, ti confesso che quando hanno eletto il presidente francese, mi è venuto pure a me di fare un'identità tra Macron e Macro, e mi sa anche a parecchi in Francia. D'altronde, di presidenti puttanieri ce ne sono stati legioni...e in tutto il mondo!
Terminando però con le etimologie, ti confesso che quando hanno eletto il presidente francese, mi è venuto pure a me di fare un'identità tra Macron e Macro, e mi sa anche a parecchi in Francia. D'altronde, di presidenti puttanieri ce ne sono stati legioni...e in tutto il mondo!
Riccardo Venturi - 13/3/2018 - 10:30
Da La Repubblica
"IL PESCE RUFFIANO AMATO DA PLINIO
Il nome dello sgombro, chiamato anche maccarello (nome molto diffuso a Roma), lacerto e ciortone (nome toscano) tutti dalla etimologia curiosa, sembra derivare dal greco e dal nome della famiglia degli scombroidi. Già nel 78 d.C. Plinio lodava lo sgombro di Cetara nel suo “Historia Naturalis”. Maccarello invece è un nome che comincia ad apparire nel XVI secolo e proverrebbe dal francese “maquereau”, che significa “ruffiano”, riferito al fatto che lo sgombro nelle migrazioni si riunisce in branchi con aringhe e calamari e ne favorisce la riproduzione. Lacerto, dal latino, indica invece un muscolo guizzante e, infine, ciortone ha l’etimo più divertente ma anche quello più certo: il nome infatti è una storpiatura dei pescatori italiani dall’inglese “short tuna”, come lo chiamavano gli americani presenti nell’immediato dopoguerra nel litorale toscano fra Viareggio e Livorno."
T'las capì? Ciau!
"IL PESCE RUFFIANO AMATO DA PLINIO
Il nome dello sgombro, chiamato anche maccarello (nome molto diffuso a Roma), lacerto e ciortone (nome toscano) tutti dalla etimologia curiosa, sembra derivare dal greco e dal nome della famiglia degli scombroidi. Già nel 78 d.C. Plinio lodava lo sgombro di Cetara nel suo “Historia Naturalis”. Maccarello invece è un nome che comincia ad apparire nel XVI secolo e proverrebbe dal francese “maquereau”, che significa “ruffiano”, riferito al fatto che lo sgombro nelle migrazioni si riunisce in branchi con aringhe e calamari e ne favorisce la riproduzione. Lacerto, dal latino, indica invece un muscolo guizzante e, infine, ciortone ha l’etimo più divertente ma anche quello più certo: il nome infatti è una storpiatura dei pescatori italiani dall’inglese “short tuna”, come lo chiamavano gli americani presenti nell’immediato dopoguerra nel litorale toscano fra Viareggio e Livorno."
T'las capì? Ciau!
B.B. - 13/3/2018 - 18:18
Ma senti te! :-)
Nota: in effetti anch'io ero abituato a chiamarlo "lacerto", all'Elba si dice solo così, né sgombri e né maccarelli o maccherelli. "Ciortone" non l'ho mai sentito dire, confesso. "Sgombro" mi sono abituato a dirlo dopo, probabilmente perché dai lacerti pescati in loco (anche da mio padre, grosso pescatore) sono, ohimè, passato a quelli in scatola, che sono soltanto "sgombri". Saluti pesciosi!
Nota: in effetti anch'io ero abituato a chiamarlo "lacerto", all'Elba si dice solo così, né sgombri e né maccarelli o maccherelli. "Ciortone" non l'ho mai sentito dire, confesso. "Sgombro" mi sono abituato a dirlo dopo, probabilmente perché dai lacerti pescati in loco (anche da mio padre, grosso pescatore) sono, ohimè, passato a quelli in scatola, che sono soltanto "sgombri". Saluti pesciosi!
Riccardo Venturi - 13/3/2018 - 19:45
Mi ricordo che soltanto qualche tempo fa incrociai un camion di qualche svuotacantine con su scritto per bene "Sgombri e traslochi"...
B.B. - 13/3/2018 - 21:39
×
Canzone composta da Beniamino Ricotta, in arte Mino Macrò (Palombara Sabina 1933 – Milano 1965).
Testo trovato in un articolo di Edmondo Salvemini su di un sito che non posso linkare perché parrebbe infetto. Comunque Salvemini fa riferimento ad un libro intitolato “Milano morta”, di cui è autore Piero Mainardi, come ispirazione per i suo scritto e fonte di ogni informazione su Mino Macrò.
Ho intitolato il brano dal primo verso, ma potrebbe anche intitolarsi “Il protettore iperprotettivo”, quale fu per breve tempo proprio Mino Macrò.
Beniamino Ricotta arrivò a Milano alla fine dei 50 in cerca di lavoro, come tanti. Visse di espedienti e nel 1958, quando i bordelli furono chiusi in forza della “Legge Merlin”, si inventò come protettore, ma secondo una filosofia molto particolare: il suo obiettivo non era infatti il lucro ma quello di proteggere qualche ragazza finita sulla strada, preoccupandosi delle sue protette fornendole di calze catarifrangenti per non essere investite la notte e, soprattutto, controllandole da vicino, per prevenire violenze, e controllando anche i clienti, che non fossero malintenzionati o affetti da malattie veneree. Le “buone intenzioni” del “protettore iperprotettivo” si scontrarono subito con la ragion di mercato: i clienti scomparvero e pure le ragazze, di conseguenza, lo mandarono a cagare, anzi, lo denunciarono come pappone, e Mino Macrò finì a San Vittore per un paio d’anni.
Uscito di galera il nostro si reinventò come busker, cantante di strada, ma il suo repertorio constava di una sola canzone, questa, autobiografica, autoironica, un po’ triste e brassensiana. Inutile dire che anche nella sua nuova carriera Mino Macrò non ebbe fortuna: lo trovarono morto di inedia una notte del 1965. Pesava solo qualche chilo in più dei suoi 32 anni.
Di Mino Macrò si perse quasi memoria e, quindi, anche la musica della sua unica canzone andò perduta: ci hanno pensato però di recente (2013) i Morgue Snack Bar.
Invito anche all’ascolto della bella versione che Mino Macrò fece di Questo mio amore (Una cosa già detta) di Fausto Amodei.