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Hildebrandslied

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[ca. VIII secolo]
Ms. 2 ms. theol. 54
Murhardsche Bibliothek, Kassel, Deutschland

Hildebrandslied. 2 ms. theol. 54, Murhardsche Bibliothek, Kassel. Foglio 76/v.
Hildebrandslied. 2 ms. theol. 54, Murhardsche Bibliothek, Kassel. Foglio 76/v.


LA CANZONE DI ILDEBRANDO

Ogni tanto mi ricordo di essere stato, nel secolo passato, un cosiddetto "filologo germanico" di formazione. Così oggi mi è venuto a mente il vecchio Hildebrandslied, uno dei capisaldi di qualsiasi corso universitario in filologia germanica, e mi sono detto: Ha delle tematiche che… ma non andiamo troppo oltre, e vediamo prima che cosa è esattamente, la Canzone di Ildebrando. Vedremo poi dopo come può andare a rifinire nelle "Canzoni contro la guerra".

Lo Hildebrandslied è una delle più antiche testimonianze poetiche in lingua tedesca. Si tratta di un frammento di poesia epico-eroica allitterativa consistente in sessantotto versi; racconta un episodio del ciclo di Teodorico. Già da questo nome avrete sicuramente capito in quali remote epoche ci stiamo spingendo; non sappiamo ovviamente nulla né dell'autore, e neppure se la canzone (perché di Lied si parla) abbia mai avuto una musica o una sorta di cantillazione (anche se la cosa è perfettamente ipotizzabile, dato che tutta l'antica poesia epica era concepita per il canto o comunque per l'accompagnamento ritmico con la musica).

L'unica testimonianza manoscritta della Canzone di Ildebrando è conservata nella città di Kassel, presso la Murhardsche Bibliothek (Biblioteca Murhardiana) con segnatura 2 Ms. theol. 54. Il testo dello Hildebrandslied si trova alle pagine 1/r e 76/v di un codice pergamenaceo altomedievale. La maggior parte del codice era stata composta attorno all'anno 830 nel monastero di Fulda, e contiene i testi biblici detti Sapientia Salomonis e Jesus Sirach in latino. Lo Hildebrandslied è palesemente un'aggiunta posteriore risalente alla IV decade del IX secolo; da molti tale aggiunta è considerata una sorta di "esercizio di scrittura" di un qualche amanuense, che così ebbe a tramandare l'unico frammento di poesia epica germanica antica in una lingua diversa dall'islandese antico.

Tale unicum epico fu dunque trascritto da uno sconosciuto monaco Fuldano. E' nell'antica fase del tedesco detta alto tedesco antico (Althochdeutsch), ma in una lingua che (oltre ad essere ovviamente lontanissima dal tedesco moderno) presenta caratteristiche assolutamente aberranti anche dai monumenti letterari coevi. E' infatti scritto in una sorta di "miscuglio" tra alto e basso tedesco antico; ciò si spiega probabilmente con il fatto che l'ignoto copista (che non trascriveva a memoria) aveva con sé testimonianze del carme nelle due varianti linguistiche (storicamente divise dalla cosiddetta seconda mutazione consonantica). Tale "accozzaglia pantedesca" rappresenta, come detto, l'unico frammento dell'antica epica germanica non riconducibile al ciclo nordico dell'Edda Antica; la sua importanza sia per la letteratura tedesca, sia per la disciplina della filologia germanica, è dunque enorme. La prima edizione dello Hildebrandslied si deve a due personaggi famosissimi: i fratelli Grimm. Coloro che da noi sono più che altro noti per la loro raccolta di favole, erano in realtà due filologi di prim'ordine. Secondo alcune ipotesi basate sulle particolari caratteristiche linguistiche del frammento, il Carme di Ildebrando potrebbe rappresentare l'unico frammento scritto della lingua Longobarda.

Così tanto per cominciare ad introdurre il discorso della guerra in questa pagina del tutto "speciale", diciamo che il preziosissimo manoscritto fu incamerato a forza dagli Stati Uniti nel 1945 come parte del bottino di guerra; alcuni antiquari staccarono una delle due pagine del carme e la vendettero poi per 1000 dollari (praticamente niente, dato il reale valore anche economico). Soltanto nel 1972, quando il manoscritto era già stato restituito alla Germania, la pagina (danneggiata) fu reintegrata nel codice.

Veniamo adesso alle vere ragioni per cui ho deciso di inserire lo Hildebrandslied nelle CCG. Ragioni che hanno ovviamente a che fare con la storia che esso racconta. Come detto, il carme narra un episodio del ciclo epico di Teodorico; il fatto che vi sia nominato anche Odoacre pone l'epoca degli avvenimenti narrati al V secolo, nel periodo immediatamente successivo alla deposizione dell'ultimo imperatore Romano d'Occidente, Romolo Augustolo (476 d.C.). Siamo quindi davvero agli albori del Medioevo.

Il guerriero Ildebrando ha abbandonato la moglie ed il figlio per seguire Teodorico nelle sue campagne di guerra. Dopo trent'anni torna a casa; al confine gli si para però davanti un giovane guerriero con la sua armata personale. Ildebrando gli chiede dunque hwer sin fater wari, cioè chi sia suo padre; il giovane gli risponde che suo padre è tale Ildebrando, il quale capisce quindi di avere davanti Adubrando, suo figlio. Padre e figlio, quindi, si ritrovano uno davanti all'altro, ognuno alla guida della propria armata; il padre ha dato la sua parola d'onore a Teodorico di procedere nell'avanzata, ed il figlio deve difendere il suo territorio. Le ragioni della guerra spingeranno quindi il padre ed il figlio o all'uccisione dell'uno da parte dell'altro, oppure ad uccidersi a vicenda. A tutto questo si aggiunga che ad Adubrando è stato raccontato che il padre è morto in battaglia, e che quindi non crede minimamente alle parole del vecchio che gli sta davanti; situazione ancora più tragica per Ildebrando, che è cosciente di avere davanti il proprio figlio (che dovrà uccidere o dal quale dovrà essere ucciso) senza che quest'ultimo gli creda. Il carme è purtroppo incompleto e non possiamo sapere come si conclude l'episodio; comunque sia, è da presupporre una fine tragica.

E' il destino di tutte le guerre. Quante volte questo episodio, narrato in questo antichissimo documento, si sarà ripetuto nella storia? Padri e figli l'uno contro l'altro, che devono obbedire da un lato all' "onore", dall'altro alla difesa della propria casa, e che verranno entrambi travolti. Nel carme, la cosa è accentuata dall'uso di un termine particolarissimo, proprio dell'antica lingua tedesca: padre e figlio vengono indicati con un unico termine astratto, sunufatarungo, alla lettera qualcosa come (se esistesse) "padre-e-figlità" (in tedesco moderno sarebbe *Sohnväterung), a sottolineare l'unione inscindibile tra di loro sebbene si preparino ad ammazzarsi e sebbene il figlio non creda di avere di fronte il padre. Ed è una cosa che mette autenticamente i brividi. [RV]
Ik gıhorta dat ſeggen
dat ſih urhettun ænon muotın
hıltıbrant entı hadubrant untar herıun tuem
ſunu fatarungo ıro ſaro rıhtun
garutun ſe ıro gudhamun gurtun ſih ıro ſuert ana
helıdoſ ubar rınga do ſie to dero hıltu rıtun
hıltıbrant gımahalta herıbranteſ ſunu her uuaſ heroro man
feraheſ frotoro her fragen gıſtuont
fohem uuortum ƿer ſin fater ƿarı
fıreo ın folche …
eddo ƿelıhheſ cnuoſleſ du ſiſ
ıbu du mı enan ſageſ ık mı de odre uuet
chınd ın chunıncrıche chud ıſt mın al ırmındeot
hadubrant gımahalta hıltıbranteſ ſunu
dat ſagetun mı uſere lıutı
alte antı frote dea erhına ƿarun
dat hıltıbrant hættı mın fater ıh heıttu hadubrant
forn her oſtar gıhueıt floh her otachreſ nıd
hına mıtı theotrıhhe entı ſinero degano fılu
her fur laet ın lante luttıla ſitten
prut ın bure barn unƿahſan
arbeo laoſa her raet oſtar hına
deſ ſid detrıhhe darba gıſtuontum
fatereſ mıneſ dat uuaſ ſo frıuntlaoſ man
her ƿaſ otachre ummet tırrı
degano dechıſto untı deotrıchhe
darba gıſtontun her ƿaſ eo folcheſ at ente ımo ƿaſ eo peh&a tı leop
chud uuaſ her … chonnem mannum
nı ƿanıu ıh ıu lıb habbe …
ƿettu ırmıngot quad hıltıbrant obana ab hevane
dat du neo dana halt mıt ſuſ ſippan man
dınc nı gıleıtoſ …
ƿant her do ar arme ƿuntane bauga
cheıſurıngu gıtan ſo ımo ſe der chunıng gap
huneo truhtın dat ıh dır ıt nu bı huldı gıbu
hadubrant gımahalta hıltıbranteſ ſunu
mıt geru ſcal man geba ınfahan
ort ƿıdar orte …
du bıſt dır alter hun ummet ſpaher
ſpenıſ mıh mıt dınem ƿuortun ƿılı mıh dınu ſperu ƿerpan
pıſt alſo gıalt& man ſo du eƿın ınƿıt fortoſ
dat ſagetun mı ſeolıdante
ƿeſtar ubar ƿentılſeo dat ınan ƿıc furnam
tot ıſt hıltıbrant herıbranteſ ſuno
hıltıbrant gımahalta herıbranteſ ſuno
ƿela gıſihu ıh ın dınem hruſtım
dat du habeſ heme herron goten
dat du noh bı deſemo rıche reccheo nı ƿurtı
ƿelaga nu ƿaltant got quad hıltıbrant ƿeƿurt ſkıhıt
ıh ƿallota ſumaro entı ƿıntro ſehſtıc ur lante
dar man mıh eo ſcerıta ın folc ſceotantero
ſo man mır at burc enıgeru banun nı gıfaſta
nu ſcal mıh ſuaſat chınd ſuertu hauƿan
breton mıt ſinu bıllıu eddo ıh ımo tı banın ƿerdan
doh maht du nu aodlıhho ıbu dır dın ellen taoc
ın ſuſ heremo man hruſtı gıƿınnan
rauba bıhrahanen ıbu du dar enıc reht habeſ
der ſi doh nu argoſto quad hıltıbrant oſtar lıuto
der dır nu ƿıgeſ ƿarne nu dıh eſ ſo ƿel luſtıt
gudea gımeınun nıuſe de mottı
ƿerdar ſih hıutu dero hregılo rumen muottı
erdo deſero brunnono bedero uualtan
do lettun ſe ærıſt aſckım ſcrıtan
ſcarpen ſcurım dat ın dem ſcıltım ſtont
do ſtoptun to ſamane ſtaım bort chludun
heƿun harmlıcco huıtte ſcıltı
untı ımo ıro lıntun luttılo ƿurtun
gıƿıgan mıtı ƿabnum

inviata da Riccardo Venturi - 21/3/2007 - 21:27




Lingua: Italiano

Versione italiana

Riprodotta da:

PER UN'INTERPRETAZIONE DEL CARME DI ILDEBRANDO

Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia
Seminario di Filologia Germanica
Anno Accademico 1972-1973
Edizioni C.L.U.S.F., Firenze 1973

Traduzione al cura del III Gruppo - Linguistica Sincronica

Patrizia Bettarini
Ivana Bevacqua
Massimo Giachi
Edith Heidegger-Moroder
Annemarie Krahl-Vacca
Manuela Pagni
Beatrice Romano
Valeria Villani

Seminario coordinato dal prof. Piergiuseppe Scardigli.
CARME DI ILDEBRANDO

Sentii raccontare che
si sfidarono a duello
Ildebrando e Adubrando fra due schiere,
padre e figlio. Prepararono le loro armature,
si misero le maglie di ferro, si cinsero con la spada,
gli eroi, sopra la corazza, quindi corsero al combattimento.
Parlò Ildebrando - egli era il più anziano
e il più esperto della vita - e cominciò a domandare,
con poche parole, chi fosse suo padre
nel popolo degli uomini,
"o di quale stirpe tu sia;
se me ne nomini una, saprò anche le altre,
figliolo, nel regno: tutto mi è noto nel popolo dei Germani".
Disse Adubrando, figlio di Ildebrando:
"Mi disse la nostra gente, che viveva allora,
che mio padre si chiamava Ildebrando. Io mi chiamo Adubrando,
tempo fa egli andò verso oriente, fuggendo l'odio di Odoacre,
via con Teodorico, fra i suoi seguaci numerosi.
Egli abbandonò in patria la giovane sposa
nella sua casa e un bambino piccolo
senza eredità: e si diresse verso oriente.
Allora Teodorico ebbe bisogno
di mio padre, giacché era un uomo senza parenti.
Egli era oltremodo irato verso Odoacre,
era il prediletto dei seguaci di Teodorico.
Era sempre in testa all'esercito, ché il combattimento gli piaceva anche troppo:
era famoso presso tutti gli uomini prodi.
Non credo che egli sia ancora in vita".
"Chiamo a testimone il dio dei Germani, su dal cielo,
che tu non hai mai avuto lite con un uomo
a te altrettanto parente".
Quindi egli si sfilò dal braccio le armille attorcigliate
fatte di monete imperiali, che gli aveva dato il re,
sovrano degli Unni: "Questo ti do in segno di buona disposizione d'animo".
Disse Adubrando, figlio di Ildebrando:
"Con il giavellotto bisogna accettare i doni,
punta contro punta.
Tu sei, vecchio Unno, molto furbo,
mi inganni con le tue parole, per poi colpirmi con la tua lancia.
Vecchio come sei, non hai mai fatto altro che inganni.
Mi dissero i marinai
là sul mare dei Vandali, che lo portò via il combattimento.
Morto è Ildebrando, figlio di Eribrando".
Disse Ildebrando, figlio di Eribrando:
"Ben vedo io dalla tua corazza
che in patria hai un buon sovrano,
e che da questo regno non sei mai stato esiliato."
"Oh, dio onnipotente, qual triste fato!
Errai sessanta, fra estati e inverni, lontano dalla patria,
dove mi si assegnò sempre alla schiera degli arcieri:
tuttavia in nessun luogo mi colse la morte,
e ora mi deve colpire mio figlio con la spada,
e uccidermi con la sua arma, oppure io divenire il suo uccisore.
Ma tu potrai facilmente, se la tua forza è sufficiente,
contro un uomo così vecchio conquistare la corazza,
e impossessarti delle spoglie, se ne hai qualche diritto."
"Sia il più vigliacco della gente orientale
colui che adesso si rifiuta di combattere, dato che desideri tanto la lotta.
Decida lo scontro,
chi di noi due oggi dovrà privarsi della sua spoglia
o chi riuscirà a impossessarsi di ambedue queste corazze."
Quindi essi dapprima si lanciarono l'uno contro l'altro contro i frassini,
a colpi violenti: cosicchè essi si conficcarono negli scudi.
Allora a grandi passi si diressero l'un contro l'altro, infransero gli scudi,
colpirono con grande violenza i bianchi scudi,
finché le loro tavole di tiglio andarono in pezzi
sotto i colpi delle armi

inviata da Riccardo Venturi - 19/9/2007 - 14:59




Lingua: Inglese

English version by D.L. Ashliman [1997]
Versione inglese di D.L. Ashliman [1997]

Una bella versione inglese da questa pagina.
HILDEBRAND'S SONG

I have heard tell,
that two chosen warriors, Hildebrand and Hadubrand,
met one another, between two armies.
Father and son, the champions examined their gear,
prepared their armor, and buckled their swords
over their chain mail, before riding out to battle.
Hildebrand, the older and more experienced man, spoke first,
asking, with few words who his father was
and from which family he came.
"Tell me the one, young man, and I'll know the other,
for I know all great people in this kingdom."
Hadubrand, the son of Hildebrand, replied:
"Old and wise people who lived long ago
told me that my father's name was Hildebrand.
My name is Hadubrand.
Long ago he road off into the East with Dietrich,
and his many warriors, fleeing Otacher's wrath.
He rode off into the East, leaving his wife at home
with a small child, deprived of his inheritance.
Dietrich, a man with but few friends,
came to rely upon my father.
His feud with Otacher grew more intense,
and my father became his best-loved warrior.
He was at the front of every battle, wanting to be in every duel.
.....
Brave men knew him well.
....."
"With Almighty God in Heaven for a witness,
may you never go to battle against your next of kin."
And he took from his arm a band of rings,
braided from the emperor's gold,
which the King of the Huns had given to him.
"I give you this in friendship."
Hadubrand, the son of Hildebrand, replied:
"A gift should be received with a spear,
point against point.
You are a cunning old Hun,
leading me into a trap with your words,
only to throw your spear at me.
You have grown old by practicing such treachery.
Sailors traveling westward across the Mediterranean Sea
told me that he fell in battle.
Hildebrand, the son of Heribrand, is dead."
Hildebrand, the son of Heribrand, replied:
"I see from your battle gear
that you have a good master at home,
and that you have never been banished by your prince.
.....
Alas, Lord God, fate has struck.
Sixty times I have seen summer turn to winter
and winter to summer in a foreign land.
I was always placed on the front lines;
I was never killed while storming a fortress,
and now my own child should strike me with his sword
and hit me with his ax, if I don't kill him first.
But if you have the courage, you can easily
win the armor from an old man like me,
and take away the spoils, if you have any right to them.
.....
Not even the worst of the men from the East
would turn down the the chance to fight with you,
with your desire to duel. Cost what it may,
let us see who will boast of this gear
and who will lay claim to these two suits of chain mail."
Then they let sail their ashen spears,
Sharp showers, sticking in their shields.
They came closer on foot, splitting each other's bright boards,
striking fiercely until their weapons shattered their shields.
.....

inviata da Riccardo Venturi - 21/3/2007 - 22:20




Lingua: Gotico

Versione in lingua gotica / Gothic version / Version en langue gothique / Gootinkielinen versio:
Gothic Speaker [L. Trans.]
Hildibrandis liuþ

Ik gahausida þata qiþan
þatei sik ushaitandane ainaha gamotun
Hildibrand jah Hadubrand miþ harjam twaim
Sunus jah atta ize sarwa manwidedun.
Manwidedun eis ize haifstaskairpa, gairdaidedun sik ize hairu ana
Haliþs, ufaro hriggam, þan eis du hilda iddjedun
Hildibrand qaþ Heribrandis sunus:
is was alþjiza manna,
Libainais frodiza
Is fraihnan dugann
Fawaim waurdam, hvas is atta wesi
Libaine in liuþa
Aiþþau hvileikis kunjis þu sijais.
Jabai þu mis ainana qiþais
Ik mis anþarata kann
Barn in þiudangardja
Kunþ ist mis allans fairhvuþiudos
Hadubrand qaþ Hildibrandis sunus:
þata qeþun mis unsarai liudeis
Aldai jah frodai þaiei airizans wesun
þatei Hildibrand haihaiti meins fadar
Ik haitada Hadubrand
Faura is austrai gawandida
Flauh is Otahris moþs
Hina miþ þiudareika jah seinaize haifstjande filu
Is fralaus in landa leitilans bileiþandans
Bruþs bawiþai, barn unwahsan
Arbilaus
Is rann austrai hina
þis fram þiudareika þaurbos stodun
Attins meinis:
Sa was swe liufs manna
Is was Otahair
Unbilaistiþs woþs
Haifstjandai liufista
miþ þiudareika.
Is was aiw liuþis at andja, imma was aiw haifst du liubamma:
Kunþs was is, amala manne.
Ni wenja ik ju libaiþ.
"Waistu guþ" qaþ Hildibrand iupana af himinis,
þatei þu ni aiw þans miþ sis silbam mannam ni gawalides"
Wandida is ufar armans biwindedans
Gulþans kaisarahriggans gitanans,
Swe imma þans kaisar gaf, Hunne tuha:
"Þatei ik þus ita nu bi godein gibau"
Hadubrand qaþ, Hildibrandis sunus:
"Miþ gaiza skal gibos andniman uzds wiþra uzd
Þu is, alþeis Hunna, filu froþs

inviata da Riccardo Venturi - 9/3/2021 - 05:36


I Menhir l'hanno musicato: qui c'è la prima parte http://video.giovani.it/menhir-hildebr...

Menhir Hoernerfest 2009
Menhir Hoernerfest 2009

8/7/2009 - 20:20


Grazie per la segnalazione: Così lo Hildebrandslied diviene canzone a pieno titolo in questo sito. Anche una soddisfazione personale per il sottoscritto e per la sua vecchia "intuizione" nell'inserire questo splendido e venerabile carme. Oltretutto la versione musicale dei Menhir è veramente molto bella.

Riccardo Venturi - 8/7/2009 - 23:00


Qui c'è un'altra canzone solo ispirata alla guerra epica tra "father and son" Link

26/12/2011 - 22:04


"Ci rimane, invece, l'austera e cupa melodia su cui venivano intonate le venti strofe dello Hildebrandslied, una fra le più antiche saghe dell'epica popolare germanica." (Massimo Mila, Breve storia della musica, Einaudi 1963, p. 36).

Sfogliando l'opera del grande storico della musica, mi sono accorto di questa breve frase che non solo conferma la mia intuizione, ma addirittura informa che di questo componimento sarebbe esistita una musica originale e conservata.

Riccardo Venturi - 9/5/2012 - 11:29


Caro "Collega",
mille grazie per aver "resuscitato" il Carme d'Ildebrando. Anch'io, nell'altro secolo (1970-74) sono stato formato come "filologo" ad ampio spettro. E grazie per avermi fatto ritrovare tanti nomi cari, a cominciare da Piergiuseppe Scardigli, che coordinò tutto il nostro lavoro, che tu hai presentato in questa originalissima forma, e che, parliamoci chiaro, fu l'insegnante che più ci formò in quegli anni, dandoci un metodo di lavoro che poi poteva essere applicato a qualsiasi disciplina, praticamente.
Ho i lucciconi agli occhi.
Il tuo collega Massimo Giachi

Massimo Giachi - 5/9/2014 - 15:48


Carissimo Massimo,

ecco la dimostrazione vivente che gli imperscrutabili meandri del destino sono più potenti di "Facebook" e diavolerie consimilari. I corsi del prof. Scardigli li ho frequentati un po' di anni dopo di te (dal 1982 al 1986), ma il materiale che "girava" era quello dei seminari dei primi anni '70 (il Carme di Ildebrando, lo Heliand, l'Atlakviða eddico...), e ce l'ho ancora tutto quanto, conservato in modo pressoché religioso. Puoi quindi immaginare il piacere (e anche il positivo stupore) che mi prende nel conoscere in questo modo una persona che ha partecipato a quei seminari e alla stesura di quei volumoni dattiloscritti.

(A dire il vero un'altra partecipante l'ho conosciuta bene, ma perché mi ha fatto per anni da lettrice di lingua svedese: la dott.sa Berit Andersson Bisacchi).

Sono ben conscio di aver presentato lo Hildebrandslied in una forma...poco ortodossa, fornendone un'interpretazione particolare. Tutta questa pagina, naturalmente, va presa anche come una sorta di omaggio a anni lontani.

Ancora ti rinnovo il mio immenso piacere per il tuo intervento, Massimo, con la speranza di risentirci.

Riccardo Venturi - 5/9/2014 - 17:33


Caro Amico,
solo stasera ho ripreso in mano i nostri "ricordi massonici". Tu sei giovanino in confronto a noi ma hai fatto comunque in tempo a conoscere la Berit, che adesso ha circa 80 (!!) anni e che, nonostante i suoi sforzi, in sei mesi di scandinavistica è riuscita a insegnarmi solamente "jag älskar dig" o giù di lì...
Ma lo sai che il tuo cognome non mi è sconosciuto? Hai mai frequentato la gloriosa libreria Marzocco (quella vera) dove io ho lavorato dal 1970 al 1974 e poi dal 1979 al 1985, anno in cui sono passato in Giunti e poi, molto dopo, in Casalini Libri?
Saluti cari e filologici.
Max

Massimo Giachi - 18/9/2014 - 22:16


Carissimo Massimo, poiché fra pochi giorni compio 51 anni, sentirmi dare di "giovanino" mi fa un piacere clamoroso! :-) Immaginavo che la Berit fosse sull'ottantina, era già una donna di una cinquantina d'anni al tempo del lettorato quando c'ero io; però, devo dire, lo svedese me lo ha insegnato bene (ma il lettorato l'ho fatto per anni a' su' tempi). Mi chiedi se ho frequentato la Marzocco? Ma c'ero fisso, già a partire dai tempi del liceo...! Tuttora a casa ho centinaia di libri presi alla Marzocco, che ho letteralmente svuotato di ogni cosa che riguardasse lingue e linguistica. Figurati passarci ora; già mi faceva venire il magone che ci fosse la Libreria Martelli, ma perlomeno era una libreria, figurati ora che c'è "Eataly". Lasciamo perdere, sarò giovanino rispetto a te ma anch'io ho conosciuto una Firenze scomparsa. Oltre che alla Marzocco, ero fisso alla Seeber in via Tornabuoni, pensa un po'...ora c'è Max Mara. Ricordi. Ma tu hai conosciuto per caso anche il Raschellà...?

Riccardo Venturi - 18/9/2014 - 23:27


Fabrizio Domenico Raschellà deve addirittura avere un anno più di me. Quando sono entrato al seminario scardiglico sembrava già un esperto cultore della materia o, per meglio dire, "un unto del Signore", un po' per effetto di quell'imponente barbone. Credo che abbia insegnato per una vita all'Università della Tuscia.
C'è un'altra persona che vorrei rintracciare del mio gruppo di traduttori, e cioè Edith Heidegger-Moroder, che grazie al suo perfetto bilinguismo e alla sua conoscenza della storia linguistica del tedesco, è stata l'autentico motore di tutta l'operazione.
Buona serata, amico.
Max

Massimo Giachi - 21/9/2014 - 17:07


Il prof. Fabrizio Domenico Raschellà insegna adesso presso l'Università di Siena, dove è libero docente di filologia germanica, Massimo; ed è tuttora la persona che mi fa più piacere ricordare di "quegli anni" (i miei, intendo ovviamente). A lui devo, fra le altre cose, questa cosa qui (che è peraltro in corso di totale rifacimento; non appena sarà finito, scrivimi e te ne regalo una copia).

Riccardo Venturi - 21/9/2014 - 17:26


Grazie, caro amico, e mille scuse per il lungo silenzio, ma prima la Fiera del Libro di Francoforte e poi un altro viaggio di lavoro mi hanno impedito di dedicarmi a questa piacevole serie di scambi di ricordi e informazioni. Ho cercato in tutti i modi di mettermi in contatto con la nostra comune collega Edith Heidegger-Moroder a Bolzano ma non ci sono riuscito. Le due mail che mi hanno indicato non funzionano più e non me la sono sentita di importunarla per telefono. Certo che sarebbe forse la persona a cui queste tue note farebbero più piacere... Se lo vedi o se lo senti, o se gli scrivi, salutami tanto il mitico Fabrizio Domenico.
Max

Massimo Giachi - 27/10/2014 - 23:01


Carissimi tutti e due, è con grande piacere che tramite Massimo sono arrivata a questa pagina e al vostra scambio. Anch'io ho un ottimo ricordo del mitico prof.Scardigli e del suo insegnamento, e mi ricordo benissimo del Carme che Riccardo ha riesumato in modo così originale - perché no... il terribile pensiero di un figlio che non riconosce il padre o non vuole riconoscerlo e poi rimane ucciso dalla sua mano può essere davvero una canzone contro la guerra che è solo follia distruttiva. E purtroppo, sempre attuale... Ragazzi, vi auguro tutto il bene per il 2015!
Edith

Edith Heidegger Moroder - 31/12/2014 - 17:46


Carissima Edith, innanzitutto cari auguri di un felice anno nuovo a te e a Massimo, che spero continui a leggere il sito. Mi fa un piacere particolare, lo potrai immaginare, che questa pagina particolare sia diventata un po' il...punto di raccolta di alcune persone che condividono una formazione e, certamente, dei ricordi assai precisi. Davvero una bella cosa, perdipiù basata su cose squisitamente inattuali e totalmente al di fuori dei canali consueti (social networks ecc.). Devo dirti, Edith, che hai -tra le altre cose- colto esattamente il senso di questa pagina; tant'è che, in questo 2015, ho intenzione di continuare a "spulciare" tra le antiche opere alla ricerca di altre cose "papabili" per un'analisi e un'interpretazione. Ancora cari saluti, Edith, e, spero, a risentirci presto.

Riccardo Venturi - 1/1/2015 - 15:07


Certo che cont)inuo a consultare il sito, anzi, come vedete, sto addirittura facendo proseliti! Mi piacerebbe molto vedere, un giorno o l'altro, il commento di qualche altro filologo di professione o per passione, che so, lo stesso Fabrizio Domenico Raschellà o Leonardo Cecchini (la Edith forse lo ha intravisto in facoltà qualche volta, era uno scandinavista, anche lui un "bambino" della classe accademica 1970.... Adesso fa il docente di italianistica in Danimarca e forse in ufficio da qualche parte ho anche il suo indirizzo di posta elettronica.
Buon proseguimento di 2015, cari amici. Io nei prossimi giorni sarò un po' impegnato in degli esami clinici ma la settimana prossima mi metterò di nuovo in contatto con voi per respirare...profumo di piazza Brunelleschi.
Ciao a presto.
Massimo Giachi

Massimo Giachi - 6/1/2015 - 21:32


Buongiorno a tutti, mi scuso di inserirmi in così personali (e bei) ricordi. Ahimè io non ho frequentato i vostri corsi ma sono particolarmente interessata a questo brano e ad alcune righe che ho trovato su questa pagina al riguardo. In particolare mi riferisco a questa "Secondo alcune ipotesi basate sulle particolari caratteristiche linguistiche del frammento, il Carme di Ildebrando potrebbe rappresentare l'unico frammento scritto della lingua Longobarda."
Essendo quel che si definisce (soprattutto fuori dall'Italia) "una ricercatrice indipendente" vi chiederei cortesemente di darmi qualche riferimento bibliografico sullo studio: in ogni testo o convegno si riferisce e ripete che non esistono testi in longobardo ma soltanto singoli sostantivi contenuti nei testi latini giuridici di Rotari e seguenti.
Grazie mille in anticipo e complimenti vivissimi per il sito.

Elvira Bevilacqua (sito e pagina facebook La Storia Viva) - 27/7/2015 - 12:57


Non sapevo dove inserire questa richiesta... lo faccio qui...

Chi saprebbe dirmi cosa c'è scritto intorno all'Yggdrasill, l'albero cosmico della mitologia norrena?

Grazie.

20/3/2024 - 21:24


Ciao. Non si tratta di un’iscrizione dal significato particolare, bensì dell’intero alfabeto runico antico di 24 segni, detto fuþark (dalla sequenza dei primi sei segni: f, u, Þ (=th), a, r, k). Credo comunque che si tratti di un’immagine moderna creata “ad hoc”. Le autentiche iscrizioni runiche, tra le altre cose, hanno perlopiù fini molto pratici, tipo quella del famoso “marchio di fabbrica” sui perduti corni d’oro di Gallehus:

ᛖᚲᚺᛚᛖᚹᚨᚷᚨᛊᛏᛁᛉ᛬ᚺᛟᛚᛏᛁᛃᚨᛉ᛬ᚺᛟᚱᚾᚨ᛬ᛏᚨᚹᛁᛞᛟ

ek hlewagastiR holtijaR horna tawido

“Io, Lægast di Holt, fabbricai i corni”


La lingua, come sicuramente saprai, è l'antico nordico runico, fase assai vicina al protogermanico. I corni di Gallehus risalgono circa al V secolo d.C.. Saluti!

Riccardo Venturi - 20/3/2024 - 23:23


Grazie mille!

21/3/2024 - 09:44


Prego, è un piacere!

Riccardo Venturi - 21/3/2024 - 10:34


Ho chiesto sapendo delle vostre competenze linguistiche...
Volevo evitare di esporre una patch, molto bella nel soggetto, ma che poteva avere una scritta non appropriata...

In effetti, l'intero alfabeto runico non è molto appropriato ad accompagnare l'Albero Cosmico, però quanto meno non si tratta di una frase insensata o, peggio, neonazista o similare.

21/3/2024 - 11:32


Beh, diciamo che quel che sappiamo effettivamente dell'antico nordico runico è affidato a un corpus di iscrizioni su pietra o altri materiali duri dalla consistenza assai limitata. Al massimo una frase, tipo il "marchio di fabbrica" dei corni ritrovati a Gallehus da una contadina; ma, il più delle volte, si tratta di una sola parola (spesso di difficile interpretazione), di mezze parole e non di rado di singoli segni sparsi dai quali non si interpreta proprio un bel niente.

Sarebbe quindi difficile "scrivere" alcunché in antico nordico runico, né frasi insensate, né messaggi neonazisti o di natura consimilare. L'alfabeto runico è, tra le altre cose, una dimostrazione pratica di meticciato, chiamamolo così. Non rappresenta alcun "mistero" con connotazioni mistiche, esoteriche, o via discorrendo. E' un alfabeto di chiarissima derivazione meridionale, anzi, propriamente etrusca. Non bisogna stupirsene: cose, persone, innovazioni, ceramiche, manufatti e, naturalmente, alfabeti, giravano imperterriti per l'Europa antica, un continente che non aveva frontiere se non quelle naturali, che venivano valicate anch'esse.

Le cretinate tardo-romantiche, wagneriane e nazionalistiche ottocentesche hanno creato tutta quest'aura di deleterio "misticismo" su cose, come appunto le iscrizioni runiche, che di mistico non avevano assolutamente nulla. La questione dell' "alfabeto iniziatico" è assolutamente futile: ovvio che, in tali epoche, la conoscenza di una qualsiasi scrittura era riservata a pochissimi che, per un motivo o per l'altro, potevano permetterselo. Il 99,99% delle popolazioni non sapevano né leggere e né scrivere in un qualsiasi alfabeto, compreso quello latino.

Ti puoi quindi mettere al collo in modo del tutto tranquillo il medaglione di Yggdrasill (non so se è un medaglione, ma lo sembra :-P) senza timore di esser preso per uno dell'Ahnenerbe o per un nazista dell'Illinois. E puoi anche approfondire l'antica mitologia germanica come tale, perché è bellissima e sommamente interessante. Il problema non è quello, ma è la putrida pseudo-mitologia che è stata fatta sulla mitologia. Un'invenzione tardo-romantica che ha avuto orribili conseguenze e continua ad averne.

Saluti cari!

PS. L’alfabeto runico a corredo del frassino Yggdrasill coi suoi nove mondi nati dal sacrificio di Ymir magari può essere carino dal punto di vista estetico; ma io ci avrei messo piuttosto una frase originale dalla Völuspá o dagli Hávamál, oppure, meglio ancora, dalla Ymiskviða.

Riccardo Venturi - 21/3/2024 - 12:52




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