They promise us this,
and they promise us that.
But all we ever get is a stab in the back.
They tell us what to do and they push us around,
And then they have the gall to push us around.
When are they going to learn, when will they stop?
When are they going to learn to stop this genocide?
and they promise us that.
But all we ever get is a stab in the back.
They tell us what to do and they push us around,
And then they have the gall to push us around.
When are they going to learn, when will they stop?
When are they going to learn to stop this genocide?
Contributed by Dq82 - 2017/9/30 - 15:44
SEMPRE IN TEMA DI COLONIZZAZIONI, QUASI UNA RECENSIONE
Gianni Sartori
Confesso in anticipo. Non ho ancora letto “Landness. Una storia geoanarchica”. Solo una recensione apparsa su “la lettura”.
Quindi questa non è altro che la “recensione di una recensione”. Quando - e se - avrò analizzato anche il testo vero e proprio ne riparleremo. Eventualmente.
Ma mi basta e avanza per qualche osservazione. Intanto sul titolo, forse pretenzioso e fondato, credo, solo sul fatto che tratta di due insigni geografi anarchici, Eliseo Reclus e Petr Kropotkin.
Quest’ultimo arbitrariamente definito “inviso a zar e sovietici” (qui quasi equiparati, ma si può?). Caso mai si dovrebbe parlare di “bolscevichi” in quanto nessuno nella Russia rivoluzionaria era più “sovietico” (nel senso originario di consiliare) degli anarchici. Basta pensare a Kronstadt e alla machnovščina.
Senza dimenticare che Lenin nutriva un profondo rispetto per l’illustre libertario e lo incontrò in varie occasioni. Raccogliendo in parte le sue richieste di scarcerazione per alcuni anarchici arrestati (non tutti purtroppo) e consentendo poi a quelli rinchiusi di partecipare ai funerali del Kropotkin stesso. Ne parlava Victor Serge (l’unico bolscevico a cui gli anarchici consentirono di partecipare) ricordando come, sempre purtroppo, molti dopo la cerimonia funebre dovessero rientrare in galera.
Ma, appunto, si trattava di una responsabilità bolscevica, non dei sacrosanti principi sovietici (ripeto, nel senso di consiliari).
E credo esista ancora un museo dedicato a Kropotkin e risalente appunto agli anni venti.
Fosse stato solo per questo non avrei perso tempo a scriverne. Ma nella recensione di Danilo Zagaria c’è di più (e a mio avviso di peggio).
Parte (e conclude) rievocando la discutibile impresa del colonialista James Cook che grazie al contributo di un nativo (forse suo malgrado e con il senno di poi definibile “collaborazionista”) arrivò a “scoprire” Australia e Nuova Zelanda. Tupaia, questo il nome dell’ingenuo indigeno, era presumibilmente uno sciamano che per l’esploratore realizzò una mappa dettagliata (traduzione grafica della sua “mappa mentale”) dei percorsi tradizionalmente utilizzati dagli abitanti dell’Oceania. Con l’indicazione della distanza tra la miriade di isole e isolette indicata non in miglia, ma in giorni. Quelli necessari (la distanza temporale) per la navigazione e tramandati di generazione in generazione attraverso i canti religiosi. Di tutto questo Cook seppe appropriarsene aprendo la strada alla colonizzazione europea e all’oppressione dei nativi. Talvolta al vero e proprio genocidio come nel caso degli aborigeni australiani. Un’impresa assai discutibile.
Tracciarne l’elogio (cito testuale: “Resta da capire se sapremo fare come Cook “: madonna, speriamo di no!) mi sembra ben poco “anarchico”.
Almeno per come la vedo io.
Gianni Sartori
Gianni Sartori
Confesso in anticipo. Non ho ancora letto “Landness. Una storia geoanarchica”. Solo una recensione apparsa su “la lettura”.
Quindi questa non è altro che la “recensione di una recensione”. Quando - e se - avrò analizzato anche il testo vero e proprio ne riparleremo. Eventualmente.
Ma mi basta e avanza per qualche osservazione. Intanto sul titolo, forse pretenzioso e fondato, credo, solo sul fatto che tratta di due insigni geografi anarchici, Eliseo Reclus e Petr Kropotkin.
Quest’ultimo arbitrariamente definito “inviso a zar e sovietici” (qui quasi equiparati, ma si può?). Caso mai si dovrebbe parlare di “bolscevichi” in quanto nessuno nella Russia rivoluzionaria era più “sovietico” (nel senso originario di consiliare) degli anarchici. Basta pensare a Kronstadt e alla machnovščina.
Senza dimenticare che Lenin nutriva un profondo rispetto per l’illustre libertario e lo incontrò in varie occasioni. Raccogliendo in parte le sue richieste di scarcerazione per alcuni anarchici arrestati (non tutti purtroppo) e consentendo poi a quelli rinchiusi di partecipare ai funerali del Kropotkin stesso. Ne parlava Victor Serge (l’unico bolscevico a cui gli anarchici consentirono di partecipare) ricordando come, sempre purtroppo, molti dopo la cerimonia funebre dovessero rientrare in galera.
Ma, appunto, si trattava di una responsabilità bolscevica, non dei sacrosanti principi sovietici (ripeto, nel senso di consiliari).
E credo esista ancora un museo dedicato a Kropotkin e risalente appunto agli anni venti.
Fosse stato solo per questo non avrei perso tempo a scriverne. Ma nella recensione di Danilo Zagaria c’è di più (e a mio avviso di peggio).
Parte (e conclude) rievocando la discutibile impresa del colonialista James Cook che grazie al contributo di un nativo (forse suo malgrado e con il senno di poi definibile “collaborazionista”) arrivò a “scoprire” Australia e Nuova Zelanda. Tupaia, questo il nome dell’ingenuo indigeno, era presumibilmente uno sciamano che per l’esploratore realizzò una mappa dettagliata (traduzione grafica della sua “mappa mentale”) dei percorsi tradizionalmente utilizzati dagli abitanti dell’Oceania. Con l’indicazione della distanza tra la miriade di isole e isolette indicata non in miglia, ma in giorni. Quelli necessari (la distanza temporale) per la navigazione e tramandati di generazione in generazione attraverso i canti religiosi. Di tutto questo Cook seppe appropriarsene aprendo la strada alla colonizzazione europea e all’oppressione dei nativi. Talvolta al vero e proprio genocidio come nel caso degli aborigeni australiani. Un’impresa assai discutibile.
Tracciarne l’elogio (cito testuale: “Resta da capire se sapremo fare come Cook “: madonna, speriamo di no!) mi sembra ben poco “anarchico”.
Almeno per come la vedo io.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 2022/11/4 - 16:46
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Lyrics and music by Peter Butler and Wally McArthur
Wrong Side Of The Road is a ground breaking 1981 Australian film, road movie, rock documentary, musical drama, it followed 2 days of life on the road for two Aboriginal rock/reggae bands which were largely unknown to mainstream Australia: No Fixed Address e Us Mob.
Its a great film it tackled the taboo subject of racism in Australia head on, a topic which one would say still is pretty taboo.
Each band gets a side each on the album, No fixed address later released their groundbreaking Ep "From My Eyes"