יש מצב

David Grossman, scrittore e “intellettuale progressista di punta” in Israele (almeno così si dice), è stato, tra le sue varie cose, per un periodo collaboratore fisso di “Repubblica”. E così, per forza di cose, la sua più recente iniziativa è stata resa nota in Italia proprio da “Repubblica”, nei giorni scorsi: una “cantata di pace da cantarsi in ebraico e arabo” (e fornita di una precisa traduzione inglese). Si intitola, in ebraico, Yesh matsav, che alla lettera significa: “C'è una situazione”, o anche: “C'è uno status, uno stato di cose”. Le motivazioni sono spiegate da David Grossman stesso nell'introduzione (qui sopra riportata): in Israele si parla semplicemente della “Situazione”, vale a dire l'eterno stallo, il conflitto dal quale non si esce e non si uscirà mai. E così David Grossman (in collaborazione con musicisti, cori, artisti, produttori, traduttori), in questo 2017, torna a proporre nobilissime intenzioni, stavolta addirittura in musica e corredate anche con le parole consolatorie del profeta Isaia: “Questa è la poesia che abbiamo creato. Il nostro modo per chiedere una cosa semplice: quella che io sarò ancora un un uomo libero, un popolo libero, nel mio paese, a casa mia, nella mia anima”.

Lo ripeto: assolutamente nobile e assai suggestivo. Yesh matsav è anche, decisamente, una bella composizione e non c'è da stupirsene visto il livello degli artisti che vi hanno partecipato. Una canzone, dice Grossman, seppure una piccola cosa potrebbe essere d'aiuto. Inoltre può essere cantata sia in ebraico che in arabo, una cosa che -specialmente all'esterno- fa molta “presa” (facendo magari presente che l'arabo è lingua ufficiale in Israele accanto all'ebraico, e che ebraico e arabo insieme si vedono ovunque, persino nei cartelli stradali.) Quel che continua a fare un po' disperatamente scuotere la testa, è però sempre l'ambiguità di fondo di tali tentativi, ed anche quella di un David Grossman. Il quale, peraltro, la “Situazione” la conosce benissimo e che dà costantemente quel senso del barcamenarsi che è più che tipico degli israeliani “progressisti”, o almeno di quel che attualmente ne resta e che, aggiungo, ne è voluta restare tra “progresso”, “pace” e prese di posizione che, alla fin fine, si sono uniformate tranquillamente in certi momenti di crisi acuta (il sostegno di Grossman alla guerra libanese, certe “sorprendenti” sue parole di appoggio al Benji Nethanyahu, ecc.). Sono peraltro, voci come quella di Grossman, che in Israele sono tutt'altro che ascoltate: sembrano, casomai, fatte apposta per accreditare ancora, all'estero, la presenza di una “volontà di pace” che, nella realtà dei fatti, non esiste da nessuna parte. Un Grossman, in definitiva e anche al di là della sua reale sincerità, è autenticamente come una sorta di “gatto nel sacco”, per parafrasare il titolo di una sua fortunatissima trasmissione televisiva per i bambini (חתול בשק , Hatul besaq). Sta nel sacco e miagola, ma temo che i suoi pur bei miagolii siano ignorati dai più. Quando poi esce dal sacco, miagola (come la famosa Noa) alla guerricciola e al potere. E questa è la “Situazione”, anzi l'impasse totale, di tutto ciò che accade in Palestina, dove, tra “diritti ad esistere”, “trattative di pace”, “road maps” e quant'altro, si è andati alla (peraltro disperatamente normale) radicalizzazione di tutta una serie di gatti che si mordono la coda. Vale a dire: la “Situazione” si è trasformata piuttosto un un orrendo “diritto all'inesistenza” per tutti quanti. Un'inesistenza che si trascina e si trascinerà. E non servirà proprio nessuna canzone, pur bella e ispirata.

Ciononostante, nello spirito di testimonianza e di documentazione che è caratteristica della “sezione ebraica” di questo sito (ebraica nel senso linguistico, chiaramente), non si può certo fare a meno di inserire la Yesh matsav di Grossman, corredata con le sue versioni (araba e inglese). Ci piacerebbe però, in un modo o nell'altro, riuscire a sapere come è stata realmente percepita in Palestina, naturalmente se lo è stata. Il sospetto, lo ripeto, è che quasi nessuno se la sia filata, né in ebraico e né in arabo. A dire il vero, nemmeno Repubblica ci ha insistito tanto. Neppure un commento di Roberto Saviano, il che è tutto dire data la sua propensione filosionista. Noialtri, invece, da bravi e indefessi rompiscatole quali siamo, la inseriamo coscienziosamente e la commentiamo con un certo qual spirito critico, che poi è il reale succo della “Situazione”. Buon ascolto, e buon insediamento. [RV]