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Ballata degli impiccati

Fabrizio De André
Langue: italien


Fabrizio De André

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Fabrizio De André, Ballata degli impiccati


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(Georges Brassens)
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(Georges Brassens)
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(Serge Reggiani)


fabfuma
[1968]
Testo di Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio
Musica di Fabrizio De André
Lyrics by Fabrizio de André and Giuseppe Bentivoglio
Music by Fabrizio de André
Album: Tutti morimmo a stento

La musica è ispirata alla canzone ebraica Erev Shel Shoshanim

Figline di Prato, 6 settembre 1944. Civili impiccati dai tedeschi e dai fascisti per rappresaglia.
Figline di Prato, 6 settembre 1944. Civili impiccati dai tedeschi e dai fascisti per rappresaglia.


Un discorso sospeso
di Riccardo Venturi

Questo sito si occupa, per definizione, della violenza del potere e della confusione, dello sconvolgimento che essa ingenera. La stessa parola "guerra", "war" in inglese, ci riporta a questa cosa: è l'antica radice germanica, sia in italiano che in inglese, della "confusione", in tedesco "Ver-wirrung". La confusione, quindi, come elemento necessario perché il potere possa esercitare la sua violenza. La quale si esprime, e non potrebbe essere altrimenti, anche nella pena di morte. La pena capitale, cioè primaria, senza ritorno. Le guerre niente altro sono che delle gigantesche esecuzioni di massa, di soldati, di civili, di cose, di popoli, di paesaggi.

Si è quindi voluto, nell'ambito nel neonato percorso sulla pena di morte, inserire questa canzone di Fabrizio De André. Questa terribile canzone di quel terribile album che è Tutti morimmo a stento. Una canzone che ha radici antichissime, perché l'impiccato ha, da sempre, quasi la funzione di condannato a morte "esemplare", sia per l'ignominia particolare riservata a tale tipo di esecuzione (all'interno della condanna a morte vi è anche l'estrema perversione delle condanne "nobili" e di quelle "ignominiose"), sia per le connotazioni rituali e magiche che essa ha assunto sin da epoche remote. Non a caso l'Impiccato è una carta dei tarocchi. L'afflusso di sangue improvviso e forzato provoca nell'uomo impiccato un'erezione, e le donne sotto al patibolo toccano il corpo morto per augurare fecondità e virilità al compagno. L'orina dell'impiccato (un'altra reazione fisica usuale) viene raccolta e fatta oggetto di rituali magici. E gli impiccati divengono figure-simbolo, personaggi letterari, simulacri ammonitori. L'albero degli impiccati è una delle immagini che si tramanda dalla notte dei tempi, un'immagine al tempo stesso simbolica e ben reale (si veda, ad esempio, Strange Fruit).

In particolare, questa canzone di De André promana direttamente, anche se non ne riprende il testo, dalla Ballade des pendus [Épitaphe Villon] di François Villon, il grande poeta "maledetto" francese del Medioevo, che sulla forca aveva visto morire i suoi compagni. Poesia che fu poi musicata da Louis Bessières e interpretata Serge Reggiani; ma le influenze villoniane sono decisive anche su Brassens, autore a sua volta di diverse canzoni dove sono presenti impiccati, prima fra tutte La messe au pendu. Ma nella sua canzone, De André va molto oltre. La tradizione degli impiccati vuole che essi, come del resto molti altri condannati a morte, raccontino la loro triste vita ed i motivi che li hanno portati al patibolo, cogliendo un'ultima occasione per chiedere perdono a Dio e agli uomini ("mais priez Dieu que tous nous vueylle absouldre"). De André ci presenta degli impiccati che non chiedono nessun perdono.

Ci presenta degli impiccati pieni di furore e di rancore. Ci presenta una bestemmia, non una preghiera. Ci presenta una frase che dovrebbe essere ricordata a tutti coloro che, nel mondo, ancora oggi, pronunciano una condanna a morte: Prima che fosse finita, ricordammo a chi vive ancora che il prezzo fu la vita per il male fatto in un'ora. Si potrebbe andare oltre e ricordare "a chi vive ancora", che spesso e volentieri la vita è il prezzo per non aver fatto niente di male, neppure in un'ora, neppure in un minuto. E' addirittura il prezzo riservato a chi si è rifiutato di fare del male, dato che l'impiccagione è una delle più diffuse pratiche di esecuzione applicate ai disertori. A chi, quindi, si rifiuta di uccidere, viene riservata la pena ignominiosa. La stessa applicata a chi combatte per la libertà da un'oppressore; la fotografia qua sopra non è che una delle migliaia di prove al riguardo.

Gli impiccati di questa canzone sono uomini fino in fondo. Non indulgono alla paura del "divino", neppure nel momento estremo. Si augurano umanissimamente che chi li ha fatti finire a quel modo abbia a subire lo stesso destino. Arrivano ad augurare il male al beccamorti che li ha sotterrati come se nulla fosse, come da suo mestiere. Niente di più lontano da Brassens e dalla sua umana compassione per il "Fossoyeur". E' la canzone del rancore, questa. Il rancore di chi si vede strappare la vita da un potere che ha deciso la morte, magari lo stesso potere che biascica su qualche panca di chiesa che solo Dio ha facoltà di dare e togliere la vita, ma che poi, in terra, agisce in tutt'altro modo.

E' un discorso sospeso. Il dolore non genera qui rassegnazione, ma rabbia. La Ballata degli impiccati di De André è, in questo senso, anche una canzone politica. Da quei corpi che tirano calci al vento si promette che la storia non finisce qui. Continua, e continuerà per sempre, gridando contro.
Tutti morimmo a stento
ingoiando l'ultima voce
tirando calci al vento
vedemmo sfumare la luce.

L'urlo travolse il sole
l'aria divenne stretta
cristalli di parole
l'ultima bestemmia detta.

Prima che fosse finita
ricordammo a chi vive ancora
che il prezzo fu la vita
per il male fatto in un'ora.

Poi scivolammo nel gelo
di una morte senza abbandono
recitando l'antico credo
di chi muore senza perdono.

Chi derise la nostra sconfitta
e l'estrema vergogna ed il modo
soffocato da identica stretta
impari a conoscere il nodo.

Chi la terra ci sparse sull'ossa
e riprese tranquillo il cammino
giunga anch'egli stravolto alla fossa
con la nebbia del primo mattino.

La donna che celò in un sorriso
il disagio di darci memoria
ritrovi ogni notte sul viso
un insulto del tempo e una scoria.

Coltiviamo per tutti un rancore
che ha l'odore del sangue rappreso
ciò che allora chiamammo dolore
è soltanto un discorso sospeso.

envoyé par Riccardo Venturi - 16/3/2007 - 21:55




Langue: anglais

Versione inglese di Riccardo Venturi
Dal newsgroup it.fan.musica.de-andre
Livorno, 11 ottobre 2000, "fatta durante un temporale, in un mezzogiorno buio".
English Version by Riccardo Venturi
From the Usenet newsgroup it.fan.musica.de-andre
Leghorn, October 11, 2000, "made at a stormy dark noon".
BALLAD OF THE HANGED

We all did die in anger
Swallowing our last voice,
Kicking out in the wind
We all saw the light fade away.

Our cry flooded the sun,
The air did in us tighten;
Words turned into crystals,
The last curse we did shout.

Before it was all over
The survivors did we remind
That the price was our life
For the evil we did in one hour.

Then we all slipp'd in the chill
Dying in trouble and in distress
And an old prayer did we say,
The prayer of the unpardoned.

He, who laughëd at our defeat,
At our shame, at the way we did die,
May he die by the same rope
Learning so how this knot is made.

He, who poured earth on our bones
And untroubled went his way home,
May he be buried with his face contorted
Early in a misty and gloomy morning.

The woman, who disguis'd with her smiles
The embarrassment she felt at our memory,
May she see ev'ry night on her face
The ravages of time passing by.

To ev'rybody do we bear a grudge
That smells of clotted blood,
What we then called pain and sorrow
Is a question left without an answer.

16/3/2007 - 22:05




Langue: anglais

La versione inglese di Dennis Criteser [2014]
Dal blog Fabrizio De André in English

"La ballata degli impiccati" is closely related to a 1462 poem, "Ballade des pendus" by François Villon, written in prison while waiting for his execution. Whereas Villon asks for pity for the condemned, the lyrics of De Andrè and Bentivoglio express rancor for those who judged, for those who buried, even for those who remembered, all of whom will inevitably also meet their ends.

Tutti morimmo a stento, released in 1968, was one of the first concept albums in Italy. In De Andrè's own words, the album "speaks of death, not of bubble gum death with little bones, but of psychological death, moral death, mental death, that a normal person can encounter during his lifetime." After the success of Volume I, De André was provided for this next album a cutting edge recording studio complete with an 80-member orchestra, directed by Gian Piero Reverberi, and a children's chorus. The whole project was under the direction of Gian Piero's brother Gian Franco Reverberi. This album also met with commercial success, becoming the highest selling album in Italy in 1968. In 1969 a version of the album was made with De Andrè re-recording the vocals in English. The album was not officially released." - Dennis Criteser
BALLAD OF THE HANGED MEN

We all died a hard death,
swallowing the last voice.
Kicking in the wind,
we watched the light fade away.

The cry overwhelmed the sun,
the air became close,
crystals of words,
the final curse uttered.

Before it was all over
we remembered for whoever still lived
that the cost was life
for the harm done in an hour.

Then we slipped on the ice
of a dead man without neglect
reciting the ancient credo
of whoever dies without pardon.

Whoever mocked our defeat
and our extreme shame and our way,
choked by the very same grip
he might learn to recognize the knot.

Whoever spread the earth over the bones
and took to the road again, tranquil,
even he might arrive at the grave shocked,
with the fog of the early morning.

The woman who concealed in a smile
the discomfort of giving us memory -
you rediscover every night on your face
an insult of time and some dross.

We cultivate for everyone a resentment
that smells like clotted blood.
What we then called sadness
is just a suspended discourse.

envoyé par Riccardo Venturi - 9/2/2016 - 21:49




Langue: français

Version française – La Ballade des Pendus – Marco Valdo M.I. – 2008.
Chanson italienne – Ballata dei impiccati – Fabrizio De André et Giuseppe Bentivoglio – 1968

baalladpen


Un discours suspendu
par Riccardo Venturi

Ce site s'occupe, par définition, de la violence du pouvoir et de la confusion, de la dévastation qu'elle entraîne. Le même mot « guerre », « guerra » en italien, « war » en anglais, [«werra» (en francique)] nous reporte à ceci : elle est l'ancienne racine germanique, tant en italien qu'en anglais, de la confusion, en allemand « Verwirrung ». La confusion, donc, comme élément nécessaire pour que le pouvoir puisse exercer sa violence. Laquelle s'exprime, et il ne pourrait en être autrement, aussi au travers de la peine de mort. La peine capitale, c'est-à-dire primaire, sans retour. Les guerres ne sont rien d'autre que de gigantesques exécutions de masse, de soldats, de civils, de choses, de peuples et de paysages.

On a donc voulu, dans le cadre du parcours sur le peine de mort, insérer cette chanson de Fabrizio De André. Cette terrible chanson de ce terrible album qu'est Nous mourûmes tous à grand peine. Une chanson qui a des racines très anciennes, car le pendu a, de toujours, quasiment la fonction de condamné à mort « exemplaire », soit en raison de la honte particulière attachée à ce type d'exécution (à l'intérieur-même des condamnations à mort, il y a aussi l'extrême perversion des condamnations « nobles » et des « ignominieuses »), soit en raison des connotations rituelles et magiques qu'elle a assumés depuis les époques révolues. Ce n'est pas par hasard que le Pendu est une carte du tarot. L'afflux de sang soudain et forcé provoque chez l'homme pendu une érection et les femmes sous le gibet touchent le corps du mort pour assurer fécondité et virilité à leur compagnon. L'urine du pendu (une autre réaction physique usuelle) est recueillie et fait l'objet de rituels magiques. Et les pendus deviennent des figures symboliques, des personnages littéraires, des simulacres édifiants. L'arbre des pendus est une des images qui se transmet de la nuit des temps, une image en même temps symbolique et bien réelle (voir, par exemple, Strange Fruit).

En particulier, cette chanson de De André provient directement, même s'il n'en reprend pas le texte, de la Ballade des Pendus de François Villon, le grand poète maudit du Moyen-Âge, qui avait vu mourir sur le gibet ses amis. Une poésie qui fut par la suite mise en musique par Louis Bessières et interprétée par Serge Reggiani ; mais les influences villoniennes sont décisives aussi sur Brassens, auteur à son tour de diverses chansons où sont présents les pendus, parmi toutes La messe au pendu (on ajoutera le merveilleux Verger du Roi Louis). Mais dans sa chanson, Fabrizio De André va bien au delà. La tradition des pendus veut que ceux-ci, comme du reste beaucoup d'autres condamnés à mort, racontent leur triste vie et les motifs qui les ont conduits au gibet, en cueillant cette dernière occasion de demander pardon à Dieu et aux hommes ("mais priez Dieu que tous nous vueylle absouldre"). De André nous présente des pendus qui ne demandent aucun pardon.

Il nous présente des pendus remplis de fureur et de rancœur. Il nous présente un blasphème, pas une prière. Il nous présente une phrase qui devrait être rappelée à tous les gens qui, dans le monde, encore aujourd'hui, prononcent une condamnation à mort :

Avant même qu'elle fût finie
nous rappelâmes à ceux qui vivent encor
que le prix payé fut notre vie
pour un mal fait en une heure.


On pourrait aller plus loin et rappeler à ceux qui vivent encor, que volontiers et souvent la vie est le prix à payer pour n'avoir rien fait de mal, ni même une heure, ni même une minute. C'est même le prix réservé à celui qui s'est refusé à faire le mal, vu que la pendaison est une des pratiques les plus répandues pour l'exécution des déserteurs. À celui qui donc se refuse à tuer, est réservée la peine ignominieuse. La même appliquée à celui qui combat pour la liberté contre un oppresseur; la photographie ci-dessus n'est qu'une des milliers de preuves à cet égard.

Les pendus de cette chanson sont des hommes jusqu'au bout. Ils ne se prêtent pas à la peur du « divin », même pas au dernier moment. Ils souhaitent unanimement que celui qui les a fait finir de cette façon ait à subir le même destin. [Comme disait Brassens : « Gare au Gorille !!!! »; De André aussi du reste, qui le traduisit... NDT]. Ils en viennent à souhaiter du mal aux croque-morts qui les a enterrés comme si de rien n'était, par profession. Rien n'est plus loin de Brassens et de son humaine compassion pour le « Fossoyeur ». Celle-ci est chanson de rancœur. La rancœur de celui qui se voit arracher la vie par un pouvoir qui a décidé sa mort, peut-être même le même pouvoir qui bredouille de quelque chaire d'église que seul Dieu a le pouvoir de donner et de retirer la vie, mais qui, ensuite, sur terre, agit tout autrement.

C'est un discours suspendu. La douleur ne génère pas ici de la résignation, mais de la rage. La Ballade des Pendus de De André est, dans ce sens, encore une chanson politique. De ces corps qui lancent des coups de pieds au vent, on promet que l'histoire ne se termine pas ici. Elle continue, et continuera pour toujours, en criant contre.
LA BALLADE DES PENDUS

Nous mourûmes tous à grand peine
engloutissant notre ultime cri.
Balançant des coups de pieds au vent,
nous vîmes s'estomper la lumière.

Notre hurlement emporta le soleil
Notre air se raréfia.
Des cristaux de mots dirent
notre ultime blasphème.

Avant même qu'elle fût finie
nous rappelâmes à ceux qui vivent encor
que le prix payé fut notre vie
pour un mal fait en une heure.

Puis nous balançâmes dans le gel
d'une mort sans abandon
en récitant l'antique credo
de ceux qui meurent sans pardon.

Que celui qui se moqua de notre détresse
de notre honte extrême et de notre façon
de suffoquer, connaisse
le nœud du même étranglement.

Que celui qui répandit la terre sur nos os
et reprit tranquillement son chemin
parvienne lui aussi bouleversé à la fosse
dans le brouillard du petit matin.

Que la femme qui cacha par un sourire
le désagrément de se souvenir de nous,
découvre chaque nuit sur son visage
une insulte du temps et une scorie.

Nous cultivons pour tous une rancœur
qui a l'odeur du sang caillé.
Ce qu'alors, nous appelions douleur
est seulement un discours suspendu.

envoyé par Marco Valdo M.I. - 25/9/2008 - 13:33




Langue: espagnol

Versione spagnola di Santiago
BALADA DE LOS COLGADOS

Todos morimos con dificultad
tragando la última voz
tirando patadas al viento
vimos apagarse la luz.

El grito abrumó al sol
el aire se volvió estrecho,
cristales de palabras,
la última blasfemia dicha.

Antes de que terminara
recordamos a quien aún vivía
que el precio fue la vida
por el mal hecho en una hora.

Después resbalamos en la escarcha
de una muerte sin abandono
recitando el antiguo credo
de quien muere sin perdón.

Quien ridiculizó nuestra derrota
y la extrema vergüenza y el modo,
sofocado por idéntico agarre
aprenda a conocer el nudo.

Quien con tierra esparció nuestros huesos
y retomó tranquilo el camino
alcance también él, abrumado, la fosa
con la niebla de la madrugada.

La mujer que ocultó en su sonrisa
el disgusto de darnos memoria
encuentre cada noche en el rostro
un insulto del tiempo, una escoria.

Cultivamos para todos rencor
con olor de la sangre seca
lo que ahora llamamos dolor
es solamente un discurso en suspenso.

envoyé par Santiago - 6/9/2016 - 05:12




Langue: allemand

Versione tedesca da questa pagina
Deutsche Übersetzung aus dieser Seite
BALLADE DER ERHÄNGTEN

Wir alle starben mühsam
Die letzte Stimme verschluckend,
Und gegen den Wind tretend,
Sahen wir das Licht verschwimmen.

Der Schrei überwältigte die Sonne
Die Luft wurde eng
Wortfetzen,
Den letzten Fluch ausgesprochen.

Bevor es zu Ende war
Erinnerten wir diejenigen, die weiterleben
Dass der Preis das Leben war
Für das Böse, getan in einer Stunde.

Dann glitten wir in die Kälte
Eines Todes ohne Abschied
Und sprachen das antike Glaubensbekenntnis
Derer, die ohne Vergebung sterben.

Wer unsere Niederlage verhöhnte
Die extreme Scham und die Art
Erstickt durch denselben Würgegriff
Soll auch den Knoten kennenlernen.

Wer die Erde auf unsere Knochen streute
Und unbesorgt seinen Weg fortsetzte
Soll auch verstört das Grab erreichen
Im Nebel des frühen Morgens.

Die Frau, die in einem Lächeln verbarg
Das Unbehagen uns in Erinnerung zu behalten
Möge wiederfinden, in jeder Nacht, auf ihrem Gesicht
Die Beleidigung der Zeit und den Abschaum.

Für jeden hegen wir einen Groll
Der den Geruch von geronnenem Blut hat
Das was wir damals Schmerz nannten
Ist nur ein unterbrochenes Gespräch.

envoyé par Riccardo Venturi - 19/9/2007 - 15:24




Langue: portugais

Tradução portuguesa de Riccardo Venturi
7 de janeiro de 2013

Desenho de Francisco Goya.
Desenho de Francisco Goya.
BALADA DOS ENFORCADOS

Todos morremos com pena
engolindo a última voz,
dando pontapés ao vento
vimos esvair-se a luz.

O grito arrastou o sol,
o ar fez-se estreito,
cristais de palavras,
a última praga dita.

Antes de tudo acabar
lembrámos aos sobreviventes
que o preço foi a vida
pelo mal feito numa hora.

Escorregámos no gelo
duma morte não aliviada,
dizendo o antigo credo
dos que morrem sem perdão.

Quem se riu da nossa derrota
e do modo e da vergonha dela,
sufocado pelo mesmo aperto
aprenda a conhecer o nó.

Quem nos espalhou terra nos ossos
retomando tranquilo o caminho,
chegue desfigurado à sua fossa
no nevoeiro da madrugada.

A mulher que escondeu sorrindo
a pena de ela nos recordar,
cada noite ache na sua cara
um insulto do tempo e uma escória.

A todos guardamos rancor
que cheira a sangue coalhado,
o que então chamámos dor
só é uma história em suspenso.

7/1/2013 - 18:42




Langue: grec moderne

Μετέφρασε στα ελληνικά ο Ρικάρδος Βεντούρης
Traduzione in greco di Riccardo Venturi
29.2.2016

Αθήνα, μάιος 1944. Atene, maggio 1944.
Αθήνα, μάιος 1944. Atene, maggio 1944.
ΜΠΑΛΑΝΤΑ ΤΩΝ ΚΡΕΜΑΣΜΕΝΩΝ

Όλοι μας πεθάναμε με κόπο
καταπίνοντας την τελευταία φωνή,
δίνοντας κλοτσιές στον άνεμο
είδαμε το φως να σβήσει.

Η κραυγή παρέσυρε τον ήλιο,
σφίχτηκε ο αέρας.
Κρύσταλλοι από λόγια,
η τελευταία βλαστήμια μας.

Πριν όλα να τελείωσαν
θυμίσαμε στους επιζώντες
ότι πληρώσουμε με τη ζωή
το κακό που κάναμε σε μία ώρα.

Και γλιστρήσαμε στην παγωνιά
του ανήσυχου θανάτου
λέγοντας τα παλαιά πιστεύω
των ασυγχόρητων αποθανόντων.

Όσοι χλεύασαν την ήττα μας,
την εσχάτη ντροπή και τον τρόπό της,
ας πνιχτούν με το ίδιο σφίξιμο,
ας μάθουν τον ίδιο κόμπο.

Όσοι χύσανε γη στα οστά μας
και ξανάπηραν ήρεμα τον δρόμο,
κι αυτοί ας ταφούν ταραγμένοι
στην ομίχλη νωρίς το πρωί.

Η γυναίκα που χαμογελώντας
ντράπηκε να μας δώσει μνήμη,
κάθε νύχτα ας βρει στο πρόσωπο
προσβολές του τρέχοντος χρόνου.

Γι' όλους έχουμε μνησικακία
που μυρίζει πηχτό αίμα,
ό,τι, τότε, το είπαμε πόνο
είναι μόνο κομμένα λόγια.

29/2/2016 - 11:35




Langue: russe

Traduzione russa di Andrej Travin
Перевод с итальянского Андрея Травина

БАЛЛАДА ПОВЕШЕННЫХ

Мы умирали, страдая,
звук свой последний глотая.
Ветер ногами пиная,
видели, как свет исчезает.

Солнце наш крик услыхало.
Воздух подставил объятья.
Слова превратились в кристаллы
невысказанного проклятья.

Прежде, чем все завершилось,
мы всем показали умело:
зло, что за час получилось,
стоило нам жизни целой.

Вот мы скользнули из бреда
к гибели без расслабленья,
вымолвив древнее кредо
тех, кто умирал без прощенья.

Тот, кто осмеял пораженье,
позорил нас или конфузил,
в подобном другом удушенье
пусть сам узнаёт этот узел.

Те, кто нас в землю зарыли,
шли дальше своею дорогой,
Пусть кто-то в тумане и пыли
подходит к могиле убогой.

А та озорная девчонка,
что легкой улыбкою скрыла
желанье сказать нам вдогонку,
лицом навсегда изменилась.

Взращенная злоба ворчаньем
легла вместе с кровью на плечи.
А то, что назвали страданьем -
недоговоренные речи.

envoyé par Riccardo Venturi - 24/11/2014 - 00:17




Langue: polonais

Polskie tłumaczenie / Traduzione polacca / Polish translation / Traduction polonaise / Puolankielinen käännös:
Azalia (Agnieszka) (L. Trans.)
Ballada powieszonych

Wszyscy umarliśmy w męczarniach,
dławiąc w gardle ostatnie słowo,
kopiąc wiatr,
widzieliśmy, jak gaśnie światło.

Krzyk przyćmił słońce,
powietrze stało się gęste,
kryształki słów złożyły się
w ostatnie wypowiedziane przekleństwo.

Zanim nastąpił koniec,
przypomnieliśmy tym, którzy jeszcze żyją,
że życie było ceną
za zło uczynione w ciągu jednej godziny.

Potem sunęliśmy przez lód
nieubłaganej śmierci,
odmawiając starą modlitwę
tych, którzy umierają bez przebaczenia.

Ten, który szydził z naszej porażki,
wielkiego wstydu i rodzaju śmierci,
niech uduszony w ten sam sposób
pozna ten węzeł.

Kto sypnął ziemię na nasze kości,
i poszedł dalej nieporuszony,
niech również skończy w masowym grobie
we mgle o brzasku.

Kobieta, która pod uśmiechem skryła
zakłopotanie wobec wspomnienia o nas,
niech każdej nocy znajdzie na swej twarzy
skazę i ślady przemijającego czasu.

Żywimy do wszystkich urazę,
która ma zapach zakrzepłej krwi.
To, co wtedy nazywaliśmy bólem,
jest jedynie niedokończoną rozmową.

envoyé par L'Anonimo Toscano del XXI Secolo - 12/10/2020 - 17:34




Langue: finnois

Traduzione finlandese di Juha Rämö
Traduzione / Translation / Traduction / Suomennos: Juha Rämö
HIRTETTYJEN BALLADI

Kovan kuoleman me kuolimme,
viimeiset sanamme niellen,
jalat ilmassa sätkien,
kun valo silmissämme hiipui.

Huutomme hukutti auringon,
ilma puristui ympärillemme,
sanamme muuttuivat kristalliksi
viimeisen kirouksemme myötä.

Ennen kuin kaikki oli loppu
olimme merkki eloonjääville,
että elämä oli hinta
yhden tunnin pahuudesta.

Sitten luisuimme kylmyyteen,
kuolemaan ilman hyvästejä,
huulilamme ikivanha uskontunnustus
niiden, jotka anteeksiannotta kuolevat.

Se joka pilkkasi tappiotamme,
sen tapaa ja ääretöntä häpeää,
kuolkoon samaan hirttoköyteen,
tuntekoon kaulallaan saman solmun.

Se joka heitti multaa luillemme
ja vailla huolta matkaansa jatkoi,
kasvot irveessä hautansa kohdatkoon
varhaisen aamun autereessa.

Se nainen joka kätki hymyn taakse
haluttomuutensa muistaa meitä,
nähköön joka yö kasvoillaan
ajan hampaan armottomat jäljet.

Jokaista kohtaan me tunnemme vihaa,
jossa on vuodatetun veren haju.
Se mitä silloin kutsuimme tuskaksi,
on vain kesken jäänyt keskustelu.

envoyé par Juha Rämö - 15/5/2016 - 10:20




Langue: turc

Türkçe çeviri / Traduzione turca / Turkish translation / Traduction turque / Turkinkielinen käännös: L. Trans.
Asılmışların baladı [1]

Can çekişerek öldük hepimiz,
yutarak [gırtlağımızdaki] son sesi,
tekmeler savurarak rüzgara,
giderek yittiğini gördük ışığın.

Çığlığımız güneşi altüst etti,
hava kaskatı kesildi
billur kelimeler
ettiğimiz son küfür oldu.

Her şey bitmeden,
hatırlattık henüz sağ olanlara:
Bedelini canımızla ödediğimizi,
bir saatte yaptığımız kötülüğün.

Sonra buz gibi soğuğu içine
daldık imansız [2] bir ölümün,
eski amentüsünü söyleyerek
bağışlanmadan ölenlerin.

Alaya alan hezimetimizi,
aşırı utancımızı ve aynı sıkışla
boğuluşumuzu,
tanımayı öğrensin ilmiği.

Toprak saçıp kemiklerimize
sakince yoluna devam eden,
o da allak bullak ulaşsın toprağa,
tan vaktinin sisi ile.

O kadın, bir gülümseyişte
bizi hatırlamanın utancını gizleyen,
her gece yüzünde bulsun
o günden bir hakareti ve bir posayı.

Herkese kin besliyoruz:
Koyu kan kokusu sinmiş kinimize;
o zamanlar acı dediğimiz şey,
askıda kalan bir tartışma yalnızca.
[1] Başlık, doğrudan 15. yüzyıl Fransız şairi Villon'un Ballade des pendus adlı şiirine bir göndermedir. Villon şiirine ve Orhan Veli Kanık'ın olağanüstü çevirisine internetten kolayca ulaşılabilir.

[2] İtalyanca abbandono sözcüğünün anlamlarından biri, 'Tanrı'ya tam teslimiyet', 'Tanrı'nın iradesine mutlak anlamda razı olma'dır.

envoyé par L'Anonimo Toscano del XXI Secolo - 12/10/2020 - 17:41


Sapete se e' possibile trovarla in formato MIDI ?

Saluti

Guglielmo - 24/9/2008 - 13:41


è un bel sito

Paolino - 6/6/2010 - 15:09


la foto dei patigiani impiccati dai nazisti si riferisce ai 29 martiri di Figline di PRATO (non Figline Valdarno!) fatto avvenuto il 06-09-1944.

ALESSANDRO GODI PRATO - 23/3/2011 - 10:48


Questa è l'ultima canzone che ascolto oggi prima di tornarmene a casa mia e mi torna improvvisamente alla mente la bella versione di questo capolavoro letterario ad opera di un cantautore erroneamente abbastanza ignorato, mi pare: Stefano Tessadri. E' un autore interessante che credo abbia realizzato solamente tre dischi dal 2004 al 2008: "Dietro ogni attesa", "Malacuore", "Passione e veleno". Poi solo silenzio discografico: peccato! Ma sono davvero tempi duri, questi e bisogna accontentarsi....almeno non dimentichiamo ("finisce la strada, comincia il confine").
Milanese, classe 1974, mi piace la zona d'ombra in cui nascono le sue canzoni, da Tom Waits al mariachi, da Morricone al tango, il suo modo nevrotico di raccontare il macabro esorcismo della vita e della morte. "Amor di sangue" sono certo che parla dell'omicidio di Erba. Quella coppia di "normali sanguinari" che invece di smorzarsi a vicenda la violenza, fecero il contrario. Bene, la commedia umana continua("in questo enorme girotondo, non vedi come casca il mondo")

Flavio Poltronieri - 28/3/2017 - 14:34


Ben tornato Fla :)

Che sfumatura ha la Luce là ? acha, acha

Sono veramente contento per te

Prima Vera Estate

Kris

Kris Bran - 29/3/2017 - 05:39


Grazie Kris Bran, mi chiedi della luce...

..przez okno wpada slonce, moj pokoj nagle ozyl, milosci byl to blask..

Flav Kadorvrec'her

Flavio Poltronieri - 29/3/2017 - 13:05


Un anonimo attacco di deandreismo acuto? ;-D

k - 12/10/2020 - 18:35


E' circa dal 1238 che soffro di deandreismo acuto, quando ancora ero l'Anonimo Toscano del XIII Secolo. Diversi miei racconti sulla Peste Nera del 1348 (quando ero l'Anonimo Toscano del XIV Secolo) mi sono stati fregati di qua e di là, tra cui parecchie novellette di quel Boccaccio che è assurto a fama imperitura, mentre io -ora come allora- faccio un'imperitura fame. Va da sé che molto del "Medioevo" deandreiano io l'ho vissuto di persona, assistendo peraltro a numerose impiccagioni (tra le quali la mia, almeno due o tre volte). Come non essere deandreista cronico....?

L'Anonimo Toscano del XXI Secolo - 12/10/2020 - 18:52


...beh, ci si può sempre cercare una via d'uscita da tante reincarnazioni ;-)

... che ne so, forse ci si può pur provare a buttarsi nell'inesistente, cioè, nel futuro???

...non sacci...

13/10/2020 - 01:22


Tendo a credere che il cosiddetto "futuro" non sia altro che la sua rappresentazione programmata e imposta dalle classi dominanti. La definizione non è mia, è di O.S. (un sonatore di fisarmonica ternano), ma credo che possa essere generalmente accettabile quali che siano le classi dominanti in questione, e quale che sia il colore o tendenza di cui si ammantano. Per questo, in generale, non sopporto il "futuro", ancorché inesistente. Non intendo far parte del teatrino del "futuro", e per questo rimembro il mio plurisecolare passato che è il mio sistema di stare nel presente. Potrà essere opinabile, senz'altro, ma -come ho detto parecchie volte- mi piace la lingua finlandese anche perché non ci ha il futuro. Si usa solo il presente, e lorsignori si attaccassero. Al limite, bene anche il polacco e le altre lingue slave che distinguono il "futuro momentaneo" da quello "durativo". Saluti cari.

L'Anonimo Toscano del XXI Secolo - 13/10/2020 - 09:03


Non occorre spingersi sino al Baltico rischiando di fare indigestione di desinenze finniche (15 casi applicati a tutto, anche alla coppoladimi….a). A meno di non nutrire una sana passione per le finniche e le lapponi che ne varrebbero bene anche 150 di desinenze. Nel belpaese c’è un’altra lingua che si fregia di non avere l’indicativo futuro tout court, né momentaneo, né continuativo: il siciliano. È una lingua nata nel passato per il presente e nel presente per il passato.
Calorosi saluti agli Anonimi, Semianonimi e agli Acronimi ( a cui il server é devotamente grato per il risparmio cospicuo di bytes).

Ectoplasma apolide del neolitico - 13/10/2020 - 16:21


Carissimo Ectoplasma Apolide del Neolitico, il tuo intervento mi ha dato molto piacere, sinceramente. Esso mi dà anche l'occasione per ribadire la mia più totale estraneità ai talebanismi, agli assoluti, alle ricerche della Verità (rivelate, filosofiche, ecc.) e quant'altro; ad esempio, la mia avversione nei confronti del Futuro ha, lo confesso, qualche eccezione sia pur rara. Ti vorrei quindi parlare di una cosa che, data la tua remotissima antichità ben maggiore della mia, conoscerai senz'altro: il futuro della lingua falisca.

Come sicuramente ricorderai, il falisco (parlato nell'Etruria meridionale e attestato da una serie di iscrizioni che vanno dal VII al II secolo prima dell'Acrobata Palestinese, scritte in un alfabeto molto simile a quello latino) presenta una curiosa e famosa “didascalia” apposta ad una figura presente in una kylix di squisita fattura, risalente al IV secolo prima del suddetto Acrobata, la quale rappresenta Dioniso e Arianna completamente ignudi. Dioniso si avvicina a Arianna con delicatezza, per baciarla; lei, bellissima, si concede e s'inarca porgendo all'amante la sua bocca. Sulla sinistra, però, incombe una civetta, fin dall'antichità uccello del malaugurio: ricorda ai due innamorati, e a tutti noi, che la vita è breve.

Kylix falisca da Civita Castellana, IV sec. d.C. (Roma, Museo di Villa Giulia)
Kylix falisca da Civita Castellana, IV sec. d.C. (Roma, Museo di Villa Giulia)


La “didascalia”, peraltro assai famosa, recita in lingua falisca: Fodie uino pipafo, cra carefo. Il linguista sbrigativo ci parla di due futuri, corrispondenti a quelli latini in -bo (carefo è identico al latino carebo); ma eran tempi, quelli, in cui tutto era assai più fluido di adesso. Futuro e congiuntivo si confondevano volentieri, come nello spagnolo latinoamericano attuale (cuando vuelvas); cosicché, la traduzione spesso presentata dell'iscrizione (“oggi berrò vino, domani non ne avrò”) non è del tutto esatta. Il mio antenato, l'Anonimo Etrusco del IV Secolo Anteacrobata, mi ha -in certe oziose conversazioni- parlato con estrema cognizione di causa (la conoscenza delle lingue è una tradizione nella mia famiglia) del valore volitivo del primo “futuro”, e del valore eventuale del secondo; un'eventualità, però, che è resa drammaticamente certa dalla presenza della civetta. In pratica: “Oggi voglio bere del vino, perché domani c'è il caso che non ne abbia più”. Domani sarò morto, addio Arianna gnuda, addio vino, addio giovinezza, addio alla vita.

Quale miglior sistema di questi due “futuri” per vivere, invece, il presente senza sprecarlo in futilità, in morali, in paure, in odio, in guerre, in scannamenti non di rado a base di “soprannaturale” e via discorrendo? Non a caso, i medesimi Bacco e Arianna li ritroviamo, “belli e l'un dell'altro ardenti”, nel celeberrimo componimento attribuito a Lorenzo de' Medici detto il Magnifico (potrei però dire che un mio stretto parente, l'Anonimo Toscano del XV secolo, ci aveva messo quantomeno una manina): Quant'è bella giovinezza, che si fugge; tuttavia, chi vuol esser lieto sia, del doman non v'è certezza. A pensarci bene, questa è la vera “traduzione” dell'iscrizione falisca coi “futuri” e con la civetta che incombe.

Il linguista un po' più avvisato potrà poi dire che quei “futuri” (falisco e latino; il falisco, rispetto al latino, ha una spiccata predilezione per la “f” al posto della “b” e anche della “h”) son formati storicamente, come l'imperfetto in -ba, aggiungendo alla base verbale una terminazione derivata da una delle radici del complesso verbo “essere”, *-bh-; in pratica la stessa del perfetto latino fui e dell'infinito fore. Carefo / carebo = “sono a non avere, mi sta mancando”, o ancora: “può darsi che io non abbia”. In pratica, indica originariamente un presente incerto, o di valore generale. E' un “futuro” e non lo è; ed è, a mio parere, l'indicazione perfetta di quel che siamo: esseri senzienti, dotati di raziocinio, ma incapaci di non sprecare la vita a pensare a quel che accadrà, a prevedere, a combinare, ad assicurarsi la “posterità” interrompendo per questo il presente. Unica tra tutte le lingue indoeuropee, il gallese celtico ha mantenuto questo antico “futuro” nel suo valore primordiale: canaf significa sia “io canto” senza connotazione temporale (“io canto perché so cantare”), sia di futuro eventuale (“forse canto”).

L'Anonimo Toscano del XXI Secolo - 13/10/2020 - 18:35


Fodie uino pipafo, cra carefo
Sono pro :-D

L'ombra dell'uomo - 13/10/2020 - 23:18


… malum sit, perdiana, goddamn, parbleu, verdammt, caramba, чёрт [čiort], اللعنة [allaena], botta_e_sangu… / imprecazione di sconcerto.
Abbiamo un’eccellenza in glottologia, possibile che i soliti faraoni miopi non abbiano convinto ATXXI ad occupare una cattedra prestigiosa e che la Crusca non l’abbia cooptato come accademico ordinario?

Ectoplasma fuori stagione - 14/10/2020 - 22:39




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