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La storia di Bortolo Pezzuti

Andrea Polini
Language: Italian


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Nato a Branico di Costa Volpino (Bergamo) nel 1927, ucciso nel Lager di Bolzano il 1° aprile 1945, manovale.
La vigilia di Natale del 1944, Bortolo Pezzutti si era recato da Costa Volpino (Bergamo), dove abitava, a Lovere per andare al cinema. Nel locale fu notato, per un foulard rosso che portava al collo, da alcuni fascisti della Legione "Tagliamento". All'intimazione di togliersi immediatamente quel fazzoletto, il ragazzo rispose con un diniego. Fu subito arrestato e, qualche giorno dopo, consegnato alle SS di Brescia. Internato a Bolzano, Bortolo fu massacrato di botte nella "cella nera" la notte di Pasqua del 1945 e sventrato da Michael Seifert e dal suo commilitone Otto Sain ("con un oggetto tagliente", com'è scritto nella sentenza del Tribunale militare di Verona che, nel 2000, ha condannato all'ergastolo, in contumacia, Mischa Seifert).

Seifert, allora caporale delle SS, dal 1951 abitava in Canada. Dopo la sentenza veronese è stato arrestato a Vancouver. Nell'Alto Sebino, dove Bortolo Pezzutti non è stato dimenticato, un comitato che porta il suo nome e il Circolo culturale "Gambini" hanno avviato, nel marzo 2007, una raccolta di firme perché "Mischa" fosse estradato in Italia, come è poi avvenuto nel febbraio del 2008. Morirà nel 2013 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere

Sull'orrenda morte di Bortolo Pezzutti, una commovente poesia in dialetto è stata scritta da Egidio Meneghetti, anch'egli passato dal Lager di Bolzano

Dai capi di imputazione del processo a Michael Seifert:

"7. nella notte tra il 31 marzo (sabato santo) e il primo aprile (Pasqua) 1945, in concorso con il Sein, nelle celle di isolamento del Lager, dopo aver inflitto violente bastonature al giovane prigioniero Pezzutti Bartolo, lo uccideva squarciandogli il ventre con un oggetto tagliente;"
Il freddo sui monti e sul lago
il faggio sul fuoco in cascina
sul monte alto e Cervera
lenta si posa la sera
è ancora tempo di guerra
dadi tirati da un cieco
decideranno la sorte
giorno di vita o di morte
ma qui domani è Natale
con un foulard rosso al collo
Bortolo scende al paese
luci di festa già accese
Bortolo ha diciott'anni
come i ragazzi di fronte
la loro divisa è una gabbia
negli occhi non luce ma sabbia
Alt una voce lo ferma
ma non per dare un saluto
cosa ti porti lì addosso
togli quello straccio Rosso
Bortolo che non capisce
che chiede che vuole un perché
ma la risposta è nel buio
nel camion che lo porta lontano.

Gelo nell'aria a Bolzano
fa freddo di più che in casera
neve sul filo spinato
sulla baracca e sul prato
là in fondo al campo una cella
molto più nera e più fredda
sangue sul muro e per terra
chi è preso per caso e chi scappa
ma è primavera sul lago
inverno nel cuor della mamma
Bortolo tenta la sorte
via da quel campo di morte
le guardie hanno mani callose
come tuo padre o le tue
use a spaccar la paghera
alla falce e alla preghiera
ma quelle mani e i vent'anni
le coprono quelle divise
non le bagna il sudore
portano sangue e dolore
dopo tre giorni di strazio
scannato la notte di Pasqua
finisce il dolore e la guerra
la bocca riempita di terra

Contributed by dq82 - 2017/5/5 - 10:14




Language: Italian (Veneto Padovano)

Così l'intellettuale veneto Egidio Meneghetti, deportato a Bolzano, ricordava in una celebre poesia in dialetto le sadiche gesta di Michael "Misha" Seifert e di Otto Sein, di due terribili "Ucraini" che terrorizzavano il campo. La poesia, Bortolo e l’ebreeta, fu pubblicata inizialmente con lo pseudonimo di Antenore Foresta, e raccolta poi nel volume "Cante in piassa", stampato a Venezia nel ’55.
Egidio Meneghetti (Verona, 1892 – Padova 1961) fu farmacologo di fama. Antifascista, aderì al movimento Giustizia e Libertà di cui divenne uno dei massimi esponenti nel Veneto. Fondatore del CLN regionale, membro di spicco dell’esecutivo dell’esecutivo militare regionale, nel gennaio ’45 fu arrestato dalla banda Carità, pesantemente interrogato e quindi consegnato alle SS che lo portarono a Bolzano per poi avviarlo ai Lager della Germania. L’interruzione della linea del Brennero impedì il compimento di questo disegno. Meneghetti fu liberato al momento della liquidazione del campo, tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1945. Prorettore dell’Ateneo padovano al fianco di Concetto Marchesi, divenne rettore nel dopoguerra.

Nel 2001, per iniziativa del nostro sito (n.d.r. deportati.it) e di un giornalista canadese, la traduzione in inglese di questa poesia è stata pubblicata con grande evidenza dal Vancouver SunI in occasione della giornata degli ex combattenti, provocando grande emozione, specie nel quartirere nel quale allora viveva l'ex criminale nazista Michael Seifert.
deportati.it
E sempre, note e giorno,
i du Ucraini,
Missa e Oto,
che iè del'Esse-Esse.

Nel bloco dele cele come Dio
comanda i Ucraini Missa e Oto:
el tormento de tuti ghe va drio
e quando i ciama tuti se fa avanti
e quando i parla scolta tuti quanti
e quando i tase tuti quanti speta
e le done spaise le le fissa
come pàssare fa cola siveta.

Le man de Missa
vive par so conto.
El g'à vint'ani
co' 'na rossa schissa
sensa pél da sinquanta,
la crapa tonda coi cavei rasà
invanti la se pianta
sensa col,
e le mane... le mane... quele mane...
Querte da mace nere e peli rossi,
coi dedi desnoseladi, longhi, grossi,
che termina a batocio,
anca quando ch'el dorme o no'l fa gnente,
piàn a piàn le se sèra, le se strense,
le se struca, le spàsema in convulso,
se fa viola le onge, s'cioca i ossi
e deventa sponcion i peli rossi.
Ma po' tuto de colpo le se smola,
le casca a pingolón, sfinide, rote,
i déi se fiapa come bissi morti
e continua sta solfa giorno e note
e tuti se le sente intorno al col.
(...)
Un furlàn magro biondo
co' 'na bocheta rossa da butina:
l'avea tentà de scapàr via dal campo
e l'é finido nela cela nera.

Tri giorni l'à implorado
Missa e Oto,
tri giorni l'à sigà
"No voi morìr",
tri giorni l'à ciamado
la so mama.

E nela note avanti dela Pasqua
s'à sentido là drento un gran roveio,
come de gente
che se branca in furia
e un sigo stofegado in rantolàr.

Ma dopo no se sente
che 'n ansemàr
pesante e rauco e ingordo
come quando a le bestie del seraglio
i ghe dà carne cruda da màgnar.

L'è Pasqua. De matina. E lu l'è in tera
lungo tirado
duro come'l giasso:
ocio sbarado
nela facia nera,
nuda la pansa, cola carne in basso
ingrumada de sangue e rosegà.

Nela pace de Pasqua tase tuti.
Imobili. De piera.
E nela cela nera
tase el pianto de Bortolo Pissuti.
(...)

Stanote s'è smorsada l'ebreeta

come 'na candeleta
de seriola
consumà.

Stanote Missa e Oto
ià butà
nela cassa
du grandi oci in sogno
e quatro pori osseti
sconti da pele fiapa.

E adesso nela cassa
ciodi i pianta
a colpi de martèl
e de bastiema
(drento ale cele tuti i cori trema
e i ciodi va a piantarse nel servèl).

E a cavàl dela cassa
adesso i canta
esequie e litamie:

" heiliges Judenschwein
ora pro nopis,
zum Teufel Schweinerei
ora pro nopis "

Stanote s'è smorsada l'ebreeta
come 'na candeleta
de seriola
consumà.

Quel giorno che l'è entrada nela cela
l'era morbida, bela
e par l'amór
maura,
ma nela facia, piena
de paura,
sbate du oci carghi de'n dolór
che'l se sprofonda in sècoli de pena.

I l'à butada
sora l' tavolasso,
i l'à lassada sola,
qualche giorno,
fin tanto che 'na sera
Missa e Oto
i s'à inciavado nela cela nera
e i gh'è restà par una note intiera.

E dala cela vièn par ore e ore
straco un lamento de butìn che more.

Da quela note no l'à più parlà,
da quela note no l'à più magnà.

L'è là, cuciada in tera, muta, chieta,
nel scuro dela cela
che la speta
de morir.

Sempre più magra la deventa e picola,
sempre più larghi ghe deventa i oci.

Contributed by dq82 - 2017/5/5 - 10:17




Language: English

L’11 novembre di ogni anno, in Canada, è il Remembrance day, il giorno in cui il paese si ferma – alle 11 di mattina – in ricordo dei caduti canadesi in tutte le guerre. È una data molto sentita, tanto nel 2001, a due mesi esatti dall’attacco terroristico a New York e a Washington.
Rick Ouston, il giornalista canadese che ha seguito di persona tutto il processo di primo grado a Verona, sollevando nella sua città lo scandalo della presenza a Vancouver di un criminale di guerra, ha pensato che bisognasse fare qualcosa per ricordare questo scandalo nel giorno in cui si commemorano le vittime delle guerre. Rick ha scritto al nostro sito, e in pochi giorni abbiamo trovato la soluzione. Mary Rizzo, italo-americana che collaborava con noi come traduttrice, si è messa prontamente a disposizione. Insieme abbiamo riletto "Bortolo e l’ebreeta", di Egidio Meneghetti; Mary ha tradotto in inglese il testo; Rick Ouston ha accompagnato la traduzione con una lunga e dettagliata presentazione per i suoi lettori, ricordando il processo di Verona e la condanna inflitta a "Misha" per i suoi orrendi delitti. L’11 novembre 2001 la poesia tradotta da Mary Rizzo e i testi di corredo di Rick Ouston sono usciti con molta evidenza sul Vancouver Sun, provocando un certo scalpore.
Ai parrocchiani della chiesa cattolica del suo quartiere, che hanno saputo che il parroco aveva destinato circa 2000 dollari per la difesa di Seifert in occasione del processo di appello, e che hanno visto l’ex criminale andare a messa tutte le domeniche come un qualunque pio immigrato, deve aver fatto un certo effetto leggere le parole di Meneghetti che raccontano della sadica ferocia di quel "Misha" di tanti anni fa, a cavalcioni sulla cassa nella quale aveva sbattuto il corpo ormai senza vita di una ragazzina ebrea che aveva violentato e seviziato, piantar chiodi nel legno cantando una litania blasfema contro la povera vittima innocente del suo sadismo.
E quando Seifert è uscito dalla messa, per la prima volta qualcuno gli si è fatto incontro, urlandogli tutto il proprio sdegno per quei delitti orribili. Anche nel quartiere dove risiede da decenni di Commercial Street, dunque, il clima attorno al criminale nazista è cambiato.
deportati.it



Such was the way that the Venetian intellectual Egidio Meneghetti, deported to Bolzano, recalls in a renowned poem in dialect, the acts of sadism of Michael "Misha" Seifert and Otto Sein, the two terrible "Ukrainians" who terrorized the camp.
And ceaselessly, night and day,
the two Ukrainians,
Misha and Otto,
who are in the SS.
In the cell blocks, as if they themselves were God
the Ukrainians Misha and Otto reign supreme:
they ignite everyone’s torments
and when they summon everyone advances
and when they speak everyone listens
and when they are silent one and all wait
and the frightened women stare at him
they way a sparrow stares and an owl.

Misha’s hands
have a life of their own.
He’s only twenty
with a red forehead
bald as a man of fifty,
his round head, hair shorn off
is inclined forward
without a neck
and the hands…the hands…those hands…
covered with black marks and red hairs,
with knotty fingers, long, thick
and ending like the tongue of a bell,
even while he sleeps, or does nothing at all,
slowly, slowly, come evening, he clutches them into fists
he rubs them, they make convulsed spasms,
the nails turn purple, he cracks his knuckles
and the red hairs stand on end.
But, suddenly the fingers unfold,
falling as if dead, exhausted, broken,
the fingers shrink like dead snakes
and this goes on constantly, day and night
and everyone can feel their presence around their necks

(…)
A young blond Friulian
whose mouth was small, red and girl-like:
once tried to escape from the camp
and he ended up in the black cell.
For three days he implored
Misha and Otto,
three days spent shouting
"I don’t want to die",
for three days he cried for his Mamma.
And in the night of the Easter vigil
such noise was heard coming from that cell,
it sounded like people
in furious altercation
and a suffocated cry that muted into a death rattle.
But just after that, one could hear
a sort of panting
heavy and coarse and greedy
as if it were caged beasts
pouncing upon the raw meat thrown their way.

It is Easter. In the morning. And he is on the ground
stretched out
hard as ice:
eyes opened wide
in a black face,
his stomach naked, with the flesh
torn apart and caked in blood.
In the peace of Easter everyone is silent
Immobile. Still as stone.
And in the black cell
The cry of Bortolo Pissuti was silenced as well.

(…)
Tonight the small Jewish girl died
just like a candle
made of tallow
burnt down to the wick.

Tonight Misha and Otto
threw her
in the coffin
two huge, dreamy eyes
and four poor little bones
hidden by pale skin.
And now in the coffin
they are pounding nails
and with every blow of the hammer
a curse is nailed down
(in the cells, every heart trembles
and the nails are pounded into their brains).
And before the coffin
now they are singing
funeral rites and litanies:
"heiliges Judenschwein
ora pro nopis,
zum teufel Schweinerei
ora pro nopis"

Tonight the small Jewish girl died
just like a candle
made of tallow
burnt down to the wick.

On the day that she first entered the cell
she was soft, lovely
and ripe
for love
but in her face,
full of fear,
two eyes that blink with the pain
and that sink in centuries of sorrow.
They threw her
upon the dirty table,
and they abandoned her there,
several days,
until it happened one evening
that Misha and Otto
shut themselves in the black cell
and they stayed there the entire night.

And emanating from the cell
for hours and hours
the tired lament of a baby who is dying.
From that night on, she never again spoke,
from that night on, she never again ate.
And there, huddled on the floor, mute, still,
in the obscurity of the cell
she is waiting
for death to take her.
She becomes ever more skinny and small,
ever more large become her eyes.

Contributed by dq82 - 2017/5/5 - 10:19




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