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Carmen Arvale

anonimo
Lingua: Latino (Latino arcaico / Old Latin)


Lista delle versioni e commenti


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[V/IV secolo a.C. / 5th / 4th century b.C.]
Redazione nota / Known version:
Acta Fratrum Arvalium, I sec. d.C. / 1st century.
Armonizzazioni moderne:
a) Paulo Stekel, Qadosh, 2009
b) Hildigunnur Runarsdóttir, per coro / choir, 2013

carmenarvale

L'iscrizione degli Acta Fratrum Arvalium ritrovata nel 1778. Il Carmen Arvale è nella parte evidenziata.


A proposito di Marte e di guerra per la capezzagna.
dell'Anonimo Toscano del XXI Secolo, 6 febbraio 2017.

“C'è chi la capezzagna difende”; così ha tradotto Krzystof Wrona nella Piosenka walcząca, dalla sua lingua materna, obbligandomi a andare a vedere che cosa fosse, questa “capezzagna”. "Ciascuna delle due strisce di terreno che rimangono da arare alle estremità del campo, dove l'aratro inverte la marcia; anche capitagna, cavedagna.". E così, poiché si procede sempre per associazione d'idee (la quale è, in generale, la più fertile attività dell'intelletto umano), mi è venuto il desiderio di andare un po' a vedere che cosa si dicesse, in epoche alquanto remote, a proposito dell'origine della guerra: questioni agricole, di difesa e conquista di campi e pascoli. Su questo, le fonti classiche (e particolarmente latine, in una società che ebbe sempre presente la sua origine rurale riproponendola costantemente come fonte e esempio di virtù) sembrano non avere alcun dubbio: la guerra ha origine dall'agricoltura in quanto fonte primaria, anzi unica, di sostentamento e ricchezza. Ci si comincia a sbudellare a vicenda, in soldoni, per il terreno del vicino, oppure per difendere la propria capezzagna dal vicino.

E' cominciato quindi, questo excursus (o incursus, a scelta), proponendo un brano dal Libro V del De rerum natura di Lucrezio, dove si parla appunto delle origini della guerra; un brano dove si parla esplicitamente di “depredare greggi e campi”. Agricoltura e allevamento, insomma; includendo nell'allevamento, va detto, anche le donne in quanto perfetto capo di bestiame da riproduzione (il mito del Ratto delle Sabine va ricondotto fondamentalmente a questo, con il conseguente conflitto armato). Lucrezio, nel suo brano, nomina anche le “schiere di Marte”; ed è qui che si innesta la presente paginetta, dedicata stavolta ad uno dei più antichi e venerabili monumenti della lingua latina che ci permette di dare uno sguardo, giustappunto, al dio Marte. Il “dio della guerra”, come sarà noto a tutti.

Il Carmen Arvale, o Carmen fratrum Arvalium è l'unico frammento sopravvissuto del canto liturgico tradizionale dei Fratelli Arvali, un antichissimo collegio sacerdotale romano. I Fratelli Arvali (nome derivato da arvus “campo coltivato, terra lavorata”; la radice linguistica è la stessa di arare, aratro) si dedicavano al culto della dèa Dia, il che fa vedere che, nella notte de' tempi, Dio (Deus, dyauh, Zeus) aveva pure una versione femminile associata, ovviamente, alla fertilità; più tardi, l'antica Dia fu associata generalmente a Cerere, cosa che sarebbe piaciuta senz'altro a Alda Merini che era nata il 21 a primavera. I Fratelli Arvali si riunivano in un dato luogo sulla Via Portuense (che menava al Romanus Portus situato leggermente a nord di Ostia), detto, appunto Lucus Deae Diae “radura della Dea Dia” e vi officiavano sacrifici in suo onore perché continuasse ad assicurare la fertilità dei campi coltivati.

Questa volta non si pongono problemi sulla natura musicale e ritmica del carmen, che veniva non soltanto intonato ma anche danzato durante le processioni chiamate Ambarvalia, con cui si propiziava la fertilità della terra. Composto in versi di diversa lunghezza, ma fondamentalmente in saturnii, il Carmen Arvale fu ritrovato durante alcuni scavi archeologici effettuati in territorio vaticano nel 1778. Fatto singolare, l'iscrizione ritrovata era datata precisamente: 29 maggio 218 (dopo Cristo). Dopo la politica di restaurazione del mos maiorum (“costumi antichi”, o “degli avi”) voluta da Ottaviano Augusto, le originarie tradizioni romane furono lungamente tenute in vita seppure il loro senso reale risultasse oramai del tutto incomprensibile.

Quel che abbiamo ancora del Carmen Arvale è, quasi certamente, un frammento della redazione voluta da Augusto tra la fine del I secolo a.C. e l'inizio del I secolo d.C.; ma il Carmen risale probabilmente ad un periodo compreso tra il V e il IV secolo a.C. (sebbene alcuni studiosi, come il Prosdocimi nella sua enorme prefazione alla Storia della lingua di Roma di Giacomo Devoto, tendano a considerarlo un “falso d'epoca” augusteo). Assumendo che la struttura ritmica del frammento sia la medesima di tutto il canto, si può vedere come i primi cinque versi venissero ripetuti a ritmo lento per tre volte prima del triumpe finale che dava inizio alla danza rituale detta tripudium (ovvero “con tre piedi” nel senso di un triplo passo). Il triumpe finale è la prima testimonianza del grecismo θρίαμβος mediato in latino attraverso l'etrusco (la struttura fonetica del termine è etrusca, fatto comunissimo nel latino dell'epoca); fu in seguito “rigrecizzato” in triumphus, da cui il “trionfo”.

Come è lecito attendersi, il testo è particolarmente solenne, ed il carattere di danza sacra è testimoniato sia dalla presenza di particolari figure retoriche (iterazione, allitterazione, omoteleuto), sia dall'invocazione alle divinità: i Lari e, appunto, Marte. Marte? Che ci fa il “dio della guerra” in un carme dedicato alla fertilità dei campi, affinché essi non inaridiscano e muoiano?

Il dio Marte (più tardi identificato col greco Ares, in maniera alquanto imperfetta) ci è noto nella sua forma onomastica tarda, Mars (genitivo: Martis). Le sue forme più antiche erano svariate: Mavors (da cui Mars si dev'essere sviluppato per contrazione) e quelle “raddoppiate” come Marmar o Mamars (nel Carmen Arvale sono presenti più forme). Nella religione e nella mitologia romana più arcaica, Marte era piuttosto il dio del tuono e della pioggia, e di conseguenza della fertilità dei campi; era, insomma, associato direttamente alla tempesta e al fulmine. Il “dio della guerra” procede sì da qui, ma in un contesto mitologico già ellenizzato. Marte andava insieme a Dia, o Cerere, ed era divinità assolutamente agricola e di orizzonti necessariamente ristretti: il proprio campo, la capezzagna insomma.

L'identificazione con la difesa e con la guerra avviene esattamente per questo: Marte è, sia detto estremamente in breve, il guardiano armato dei campi. Divinità crudele e feroce, a lui spetta il compito sia di difendere la proprietà dagli attacchi esterni, sia quella di guidare una società contadina alla conquista dei campi altrui. La sua natura di “dio campestre” cede quindi ben presto il passo a quella di difensore armato dei campi da mali umani e soprannaturali; la sua natura guerresca emerge quindi subito. Campi, terreni e guerra si intrecciano immediatamente, così come poi sintetizzato mirabilmente da Lucrezio; non a caso veniva considerato il padre del popolo romano, stirpe di contadini che si lanciarono alla conquista del mondo intero a partire dalle loro primitive capezzagne dell'Ager Latinus.

Si ha così nel frammento del Carmen Arvale tutta la natura originaria non solo del popolo romano, ma probabilmente di ogni popolo: da una parte gli dèi “familiari”, i Lari che debbono proteggere il focolare domestico patriarcale, dall'altra Marte, il dio tonante e guardiano che fa piovere acqua e sangue. Questa è l' “origine della guerra”, che fondamentalmente non è cambiata. Certamente, non a caso la restaurazione del collegio dei Fratelli Arvali fu decretata in epoca augustea, vale a dire quando, con squisita opera di propaganda dopo i tumulti terribili dell'epoca precedente, si effettuava l'operazione della “Pax Romana”, la fine delle guerre in un mondo finalmente pacificato e di ritorno alla mitica “Età dell'Oro” a prezzo della libertà. Ma, prima, Marte aveva lavorato a pieno ritmo in tutte le sue prerogative di dio padre che protegge e ammazza. Le stesse del Dio monoteistico cristiano, se ci si pensa bene; with Mars on our side.

Il Carmen Arvale, come detto, rappresenta tra i più antichi monumenti della lingua latina, che qui appare in una forma del tutto arcaica. Restaurato come canto rituale, già ai tempi di Augusto non veniva più compreso, secondo testimonianze ben precise. La moderna indagine linguistica ha permesso di intenderlo, ma sempre con notevoli incertezze e con molteplicità di ipotesi; qui riportiamo solo quella generalmente accettata, rinunciando a “note linguistiche” che, in questo caso, dovrebbero essere più ampie della pagina stessa, ma specificando che il "Latino arcaico" in cui è stato tramandato sarebbe per alcuni un esempio, in realtà, della lingua Sabina. In epoca moderna, è diventato un canto rituale della Religione Wicca, ivi inserito dal suo fondatore Gerald Gardner. Ha avuto alcune armonizzazioni, tra le quali spiccano quella del brasiliano Paulo Stekel (nell'album Qadosh (2009) e quella dell'islandese Hildigunnur Runarsdóttir (per coro). [AT-XXI]

Enos Lases iuuate.
Enos Lases iuuate.
Enos Lases iuuate.

Neue lue rue Marmar sins incurrere in pleores.
Neue lue rue Marmar sins incurrere in pleores.
Neue lue rue Marmar sins incurrere in pleores.

Satur fu fere Mars limen sali sta berber.
Satur fu fere Mars limen sali sta berber.
Satur fu fere Mars limen sali sta berber.

Semunis alternei aduocapit conctos.
Semunis alternei aduocapit conctos.
Semunis alternei aduocapit conctos.

Enos Marmor iuuato.
Enos Marmor iuuato.
Enos Marmor iuuato.

Triumpe. Triumpe. Triumpe. Triumpe. Triumpe.

inviata da L'Anonimo Toscano del XXI Secolo - 6/2/2017 - 11:30



Lingua: Italiano

Traduzione italiana dell'Anonimo Toscano del XXI secolo.


Armonizzazione: Hildigunnur Runarsdóttir
Interpreti: Gradualekor Langholkskirkju (Islanda)
Direzione: Jón Stefansson
Chiesa di Sant Gaietà, Barcellona, 10 giugno 2013.


Come detto, "tradurre" il Carmen Arvale non è possibile con certezza; da specificare che alla sua interpretazione, a volte con risultati sorprendenti (come nel caso del Nacinovich) sono stati dedicati saggi interi, e ponderosi assai. Non è qui il caso di sottilizzare, naturalmente, e la traduzione che propongo si limita all'interpretazione generalmente accettata.
CARME DEI FRATELLI ARVALI

Aiutateci, Lari.
Aiutateci, Lari.
Aiutateci, Lari.

Non lasciare, Marte, che tanti siano colpiti della sventura e dalla rovina.
Non lasciare, Marte, che tanti siano colpiti dalla sventura e dalla rovina.
Non lasciare, Marte, che tanti siano colpiti dalla sventura e dalla rovina.

Sii sazio, feroce Marte, balza oltre la soglia e resta qua.
Sii sazio, feroce Marte, balza oltre la soglia e resta qua.
Sii sazio, feroce Marte, balza oltre la soglia e resta qua.

A turno invocate tutti gli dèi delle sementi.
A turno invocate tutti gli dèi delle sementi.
A turno invocate tutti gli dèi delle sementi.

Aiutaci, Marte.
Aiutaci, Marte.
Aiutaci, Marte.

Trionfo. Trionfo. Trionfo. Trionfo. Trionfo.

6/2/2017 - 11:52




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