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800° [Åttahundra grader]

Ebba Grön
Lingua: Svedese


Ebba Grön

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Inga fler folkmord i mitt namn
(Jan Hammarlund)
Häng gud
(Ebba Grön)
Sov mitt barn i ro
(Roland Von Malmborg)


[1979]
Album: Kärlek & Uppror

"Toccante metafora della società, così ricca di ogni bene materiale, ma povera di valori"; così nel seguente, ed esteso, commento a questa impressionante canzone degli Ebba Grön. Ma non è tutto, per questa canzone. La metafora della società, alla fine degli anni '70, fa ancora i conti con la bomba atomica. Questa società fredda e vuota dove si "congela a morte" rischia di essere "riscaldata a 800° gradi", cioè di essere spazzata via dal "biggest blow"... [RV]

"800° är en punklåt av det svenska punkbandet Ebba Grön. Låten är det första spåret på Ebbas andra album Kärlek & Uppror. Låten handlar om kärnvapenkrig och hur det är innan kriget slår ut, innan atombomben faller. Då den kom i början av 1980-talet rådde kyliga relationer i det då pågående kalla kriget, som maktspänningen mellan NATO-medlemsstaterna och Warszawapaktens medlemsstater kallades."
sv.wikipedia

"800°" è un brano punk della punk band svedese Ebba Grön. Il brano è il primo pezzo del secondo album degli Ebba, "Kärlek & Uppror" ["Amore e rivolta"]. Il brano parla della guerra atomica e di come vada prima che la guerra scoppi, prima che la bomba atomica cada. Quando il brano uscì all'inizio degli anni '80, dominavano relazioni gelide nell'ambito della guerra fredda allora in corso."


ebgg
Chiedi chi erano gli Ebba Grön, si potrebbe dire parafrasando il titolo di una delle più belle canzoni degli Stadio. Si potrebbe, però a questo interrogativo, apparentemente semplice – ma, nella realtà dei fatti, destinato a suonare come un vero e proprio arcano –, quasi nessun italiano saprebbe rispondere. E certamente non per ignoranza o pressappochismo in campo musicale (piaghe che, comunque, colpiscono seriamente una buona fetta dei nostri connazionali), bensì semplicemente per il fatto che questo gruppo punk svedese – che, con i suoi brani spietatamente critici e graffianti, ha fatto la storia della musica scandinava – non è mai arrivato a influenzare la cultura musicale del nostro paese. E probabilmente nemmeno quella di nessun altro paese, oltre alla Svezia, nazione all’interno della quale – per ragioni linguistiche, ma non solo – è rimasta confinata la notorietà degli Ebba Grön, popolarità che, tra la fine degli anni ’70 e la prima metà degli anni ’80, raggiunse il suo culmine, e che, a più di diciassette anni di distanza dallo scioglimento del gruppo, non si è ancora esaurita. Un successo indiscutibile, quindi, testimoniato dal grande interesse che questa band riesce ancora oggi a suscitare nelle nuove generazioni. Un successo fatto di buona musica beat, di testi polemici, duri, schietti al limite della crudezza (che, purtroppo, a meno che non si mastichi un po’ di svedese, non è possibile apprezzare), di denuncia sociale (pensate un po’, nella civilissima Svezia!) e costruito su una vigorosa contestazione di tutto ciò che è autorità, nonché su una tenace insubordinazione nei confronti delle istituzioni, insubordinazione messa in pratica dagli stessi componenti del gruppo e spinta fin quasi al punto da rasentare l’anarchia.

Pertanto, quella degli Ebba Grön è, come si può comprendere, una storia complessa. Una storia fatta di musica, politica e contestazione giovanile, ed inizia ta, per caso, nel 1977 – anno “ribelle” al quale si fa risalire la nascita della musica punk in Europa, genere che, in realtà, già qualche anno prima, aveva visto la luce con i britannici Sex Pistols, unanimemente considerati i veri fondatori del filone – nel centro sociale di Stoccolma chiamato “Oasen” (l’Oasi), locale che svolgeva la duplice funzione di punto d’incontro giovanile e di laboratorio sperimentale di nuove tendenze musicali. Fu qui che si incontrarono, provenienti da esperienze artistiche diverse, i tre membri fondatori della band. L’allora giovanissimo Joakim Thåström (oggi solista ed indiscusso re della ballata svedese), voce e chitarra della band – che assunse il nome di Pimme –, Gunnar Ljungstedt, batterista – il Gurra degli Ebba – e Lennart Eriksson, bassista e chitarrista – che, a seguito della nascita del gruppo, si diede il nome d’arte di Fjodor. E fu qui che vide la luce il primo disco degli Ebba – Oasen, per l’appunto –, inciso dal vivo e realizzato – nonostante la forte ostilità della classe politica svedese, che voleva la chiusura del centro sociale – grazie al contributo, anche economico, di altri gruppi musicali amatoriali di Stoccolma.
Per un breve periodo di tempo la band si fece chiamare “The Haters” (coloro che odiano) denominazione che, però, quasi subito si trasformò in quella con cui il gruppo è passato alla storia: Ebba Grön. Questa, già di per sé, la dice lunga sul carattere contestatario, quasi eversivo, della band. Ebba Grön era, infatti, il nome in codice attribuito dalla polizia svedese al noto terrorista Norbert Kröscher, un nome che, quindi, non lasciava presagire nulla di buono.

La filosofia ribelle degli Ebba trovò la sua più piena concretizzazione nel 1979, anno che vide la pubblicazione, dopo l’esperimento di “Oasen” (che conteneva solo tre brani), del primo vero album della band, quel “We’re only in it for the drugs” considerato universalmente il capolavoro del gruppo e il più “punk” dei tre album che la band realizzò prima di sciogliersi, dopo una breve ma intensa carriera, nel 1983.
Composto da 12 brani, esso inizia con la canzone che dà il titolo all’album, “We’re only in it for the drugs” (Ci siamo solo per la droga), una sorta di manifesto del gruppo, incorniciato da una melodia orecchiabile, intriso di eccessi verbali e caratterizzato da una vigorosa denuncia della vita degradata condotta dai giovani nelle periferie.

Det finns inget att göra i den här trista förorten,
det finns ingenting här för oss.
Nå ursäkta jag överdrev litegrann, vi kan ju
knarka, supa och slåss.
Så har det alltid varit här ute...


“Non c’è niente da fare in questi tristi sobborghi,
non c’è niente qui per noi.
Beh, scusate se ho esagerato un pochino, ma ci
droghiamo, beviamo e facciamo a botte.
È sempre stato così da queste parti...”

Ed anche

Vi ville bara ha ett plejs för såna som oss.
Vi var trötta på zombielivet och att aldrig
vänta på nåt, att bara hänga runt och glo
sen plötsligt har dagen gått...


“Volevamo solo un posto per quelli come noi.
Eravamo stanchi di una vita da zombie e di non aspettarci mai
niente, di bighellonare e di guardare stupidamente
che improvvisamente il giorno se n’è andato...”
(e qui il riferimento è all’Oasen).

Vi började med konserter,
det va band och det kom folk.
Vi tyckte det gick jävligt bra,
vi började få flyt.
Det tyckte inte den svenska byroåkratin,
det tyckte inte vår stolta maskin.
Dom sa stopp, det här verkar vara
rena jävla anarkin.
Dessutom uppför ni er som
nåra jävla svin...


“Abbiamo iniziato con i concerti,
abbiamo messo su una band e sono venute delle persone.
Pensavamo fosse tremendamente bello,
iniziavamo a venire a galla.
Ma questo non lo credeva la burocrazia svedese,
non lo credeva la nostra fiera macchina (burocratica).
Dissero fermatevi, questa sembra essere
solo fottuta anarchia.
Allora ci siamo comportati come
dei fottuti maiali...”

Ogni commento a questi versi tratti da “We’re only in it for the drugs” sarebbe del tutto superfluo.

Molto significative, oltre che apprezzabili dal punto di vista melodico, sono anche “Pervers politiker” (Politico perverso) – in cui gli Ebba Grön espressero a tinte molto forti la loro avversione per la politica svedese –, “Det måste vara radion” (Deve essere la radio) – breve brano in stile beat in cui la radio viene dipinta come la principale responsabile dell’apatia giovanile –, “Schweden Schweden” (Svezia, Svezia – titolo in tedesco) – ironica, ma pungente critica della società svedese – e “Totalvägra” (Rifiuto totale) – in cui gli Ebba manifestarono, in maniera molto polemica, tutta la loro avversione per il servizio militare (Joakim Thåström subì la reclusione per renitenza alla leva).
Queste canzoni, insieme alle restanti sette, fecero la fortuna degli Ebba Grön che, dopo una breve serie di concerti nelle periferie svedesi, iniziarono una vera tournée, dal titolo significativo di “Turister i tillvaron” (Turisti nell’esistenza), tournée che segnò l’apoteosi della band.

La fama piovuta addosso al gruppo ebbe, però, lo stesso effetto dell’acqua sul fuoco, giacché non fece altro che stemperare il forte spirito polemico che aveva animato gli Ebba all’inizio della carriera. I testi si fecero, così, meno aggressivi e la musica, più curata, assunse delle sonorità decisame nte più commerciali, allontanandosi dal punk puro. Questa transizione ebbe luogo nel 1981, anno del secondo album degli Ebba Grön, “Kärlek och uppror” (Amore e ribellione), disco, che, a dispetto del titolo, vide una certa moderazione degli eccessi verbali che, in grande quantità, avevano caratterizzato il precedente “We’re only in it for the drugs”. Ciò non significò, comunque, una completa sterilizzazione della carica polemica che aveva ispirato la prima produzione musicale della band. Questa, infatti, trovò nuove forme espressive, più moderate, ma non meno pungenti delle precedenti, materializzandosi negli undici nuovi brani che la band presentò al suo folto pubblico. Tra essi spiccano, in un contesto generale caratterizzato da una qualità molto elevata, la splendida “800 grader” (800 gradi) – toccante metafora della società, ricca di ogni bene materiale, ma povera di valori –, l’aspra “Mamma, pappa, barn” (Mamma, papà, bambino) – cruda raffigurazione, fatta attraverso gli occhi di un bambino, del disfacimento della famiglia moderna –, la polemica “Stockholms pärlor” (le perle di Stoccolma) – in cui ricompaiono, nella loro durezza, gli eccessi verbali e lo spirito ribelle degli Ebba Grön – e la malinconica “Mental istid” (Glaciazione mentale) – nella quale, quasi in contrapposizione alla società tecnologica, oggetto della critica del brano, si odono solo la chitarra di Lennart Eriksson e la voce cantilenante di Joakim Thåström.

“Kärlek och uppror” ebbe un notevole successo commerciale, ma il 1981 fu l’ultimo anno felice degli Ebba Grön. Già nel 1982 cominciarono, infatti, ad emergere le prime inquietanti avvisaglie della crisi che, l’anno seguente, avrebbe portato il gruppo allo scioglimento. Il singolo “Scheisse” (cazzate – titolo in tedesco), carta di presentazione dell’album ̶ 0;Ebba Grön”, fu quasi un fiasco, e fu immediatamente seguito dal brano “Vad pojkar vill ha” (Quello che i ragazzi vogliono), pubblicato da Thåström, che ne attribuì la paternità al fantomatico gruppo chiamato Rymdimperiet. Questa mossa fu il chiaro segnale del malessere che attraversava gli Ebba, ormai profondamente divisi in merito al percorso artistico che il gruppo avrebbe dovuto seguire. La pubblicazione di “Vad pojkar vill ha” – brano che segnava un ritorno alla vecchia produzione della band, e che riscosse un successo decisamente superiore rispetto a “Scheisse” – rivelò, anche, il reale obiettivo di Thåström, che intendeva chiudere la parentesi Ebba Grön e dare inizio ad una nuova esperienza professionale, caratterizzata da un ritorno alle origini. La rottura, alla base della quale c’era la piega eccessivamente commerciale presa dalla band, segnò, infatti, un punto di non ritorno, ed il discreto successo dell’album “Ebba Grön”, pubblicato quello stesso anno, non fu sufficiente a sanarla. Nel febbraio del 1983 venne, infatti, annunciato ufficialmente lo scioglimento del gruppo, scioglimento che pose fine all’esperienza esaltante di un gruppo di ragazzi ribelli che, partendo dalle strade dei sobborghi di Stoccolma, erano riusciti a realizzare il sogno della loro vita.

da questa pagina
Varför förklara när jag slutat tro?
Vad finns det kvar mer än the biggest blow?
Den e så hundraprocentigt effektiv
nä den tar våra liv

Vi fryser ihjäl det är så kallt
stackars barn men snart blir det varmt
Ja vi fryser ihjäl det är så kallt
stackars barn men snart blir det varmt

Det blir åttahundra grader
Du kan lita på mej du kan lita på mej
Åttahundra grader
Du kan lita på mej du kan lita på mej

Människor med stirrande blick
du grät fast du inte fick
Varma kläder men så kalla kårar
inte konstigt när jag bara ser dårar

Vi fryser ihjäl det är så kallt
stackars barn men snart blir det varmt
Ja vi fryser ihjäl det är så kallt
stackars barn men snart blir det varmt

Det blir åttahundra grader
Du kan lita på mej du kan lita på mej
Åttahundra grader
Du kan lita på mej du kan lita på mej

Ibland känns det ingenting alls
Dom skulle kunna hugga av min hals
Bara så jävla tom
när jag väntar på min egen dom

Vi fryser ihjäl det är så kallt
stackars barn men snart blir det varmt
Ja vi fryser ihjäl det är så kallt
stackars barn men snart blir det varmt

Det blir åttahundra grader
Du kan lita på mej du kan lita på mej
Åttahundra grader
Du kan lita på mej du kan lita på mej

inviata da Riccardo Venturi - 27/1/2007 - 03:01



Lingua: Italiano

Versione italiana di Riccardo Venturi
29 gennaio 2007
Congeliamo a morte, fa così freddo
poveri bambini, ma presto farà caldo
sì, congeliamo a morte, fa così freddo
poveri bambini, ma presto farà caldo

Ci saranno ottocento gradi
puoi darmi retta puoi darmi retta
Ottocento gradi
puoi darmi retta puoi darmi retta

Gente con gli sguardi attoniti
quasi piangevi perché non avevi
vestiti caldi, e i corpi sono così freddi
non è strano se vedo solo dei pazzi

Congeliamo a morte, fa così freddo
poveri bambini, ma presto farà caldo
sì, congeliamo a morte, fa così freddo
poveri bambini, ma presto farà caldo

Ci saranno ottocento gradi
puoi darmi retta puoi darmi retta
Ottocento gradi
puoi darmi retta puoi darmi retta

Tra l'altro non si prova niente
dovrebbero sapere come tagliarmi il collo
è tutto così orribilmente vuoto
mentre aspetto la mia condanna a morte

Congeliamo a morte, fa così freddo
poveri bambini, ma presto farà caldo
sì, congeliamo a morte, fa così freddo
poveri bambini, ma presto farà caldo

Ci saranno ottocento gradi
puoi darmi retta puoi darmi retta
Ottocento gradi
puoi darmi retta puoi darmi retta

29/1/2007 - 18:23




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