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Il silenzio della colomba

Pooh
Langue: italien


Pooh

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[1996]
Album: Amici per sempre

Valerio Negrini è stata la voce, attraverso quei Pooh da lui stesso fondati quel 1966, di brani di una intensità poetica incommensurabile.
Per la personalità, l'immedesimazione, la profondità e tutto ciò che possiamo dire "la qualità" dei testi, quanto per la quantità; è davvero incredibile quanti siano stati i temi affrontati dalla penna di Negrini.
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Di lui, purtroppo, non si sa moltissimo. Poco si sa delle sue letture, dei suoi riferiment. Le sue idee sulla società, sulla politica, sulla religione, sono palesi in tutti i suoi testi e non occorrono autoattestati per quelli.

È sempre rimasto il "quinto Pooh", il Pooh nell'ombra; quello che non calcava i palchi, che non si incipriava, che non troneggiava sotto i riflettori e nel fumo dei loro spettacolari concerti, e che non raccoglieva gli applausi, ma era un signore tracagnotto, con un vocino da cartone animato, calvo, con due grandi occhiaie e due occhi da eterno bambino, ai quali "l'immensità impresse lo stupore".

Era un poeta e, personalmente, credo basti un tuffo in quei suoi occhi, in qualsiasi delle sue (poche) fotografie superstiti, per rendersene conto.

All'inizio, nei e coi Pooh, ha anche cantato e suonato in qualità di batterista; era già, rispetto agli altri Pooh, una figura molto a sé. Diciamo pure che, esteticamente, cozzava proprio.
Dal '72 in poi, precisamente da "Alessandra", lo sostituì alle percussioni Stefano D'Orazio.
Da allora, nel complesso, svolse il solo ruolo (ma si direbbe fondamentale) dello scrittore dei testi.

"Ho sempre avuto un piede sul palcoscenico, perché ho fatto il musicista e so bene come funziona, ma l’altro piede ce l’ho per terra, prendo la metropolitana, che è una cosa che probabilmente gli artisti non fanno, e non faranno mai nella vita.
Quindi, vedo come vivono le persone e vivo quello che vivono le persone. Quindi lo racconto.”
Ecco spiegato com'è che, dalle canzoni cantate dalle quattro pop-star più celebri d'Italia, riuscite a cogliere parole che non possono che venire da un poeta anonimo di periferia.

C'è differenza tra paroliere e poeta. Lo disse una volta Ornella Vanoni: il paroliere è colui il quale riempie delle righe per potere accompagnare delle note; quasi un pretesto, un supporto assolutamente ancillare.
Il poeta è invece chi scrive facendo del testo il perno fondante di tutta la canzone; testi che, perciò, stanno in piedi anche senza la musica. E, in qualche caso, meglio ancora come può succedere per i versi di Negrini, mai sufficientemente considerato nel ventaglio dei "cantautori" di professione, e invece non solo facentene parte a giustissimo titolo, ma un baluardo nei confronti del quale anche i migliori e ben più omaggiati "poeti della canzone d'autore" italiana, non di rado, sbiancano.

In occasione della sua morte (il 3 gennaio del 2013), le radio, la televisione, i giornali e tutti gli apparati mediatici cantando,
ne hanno onorato la memoria ripercorrendo le tappe della carriera dei Pooh; i loro viaggi all'estero (per la scrittura della Trilogia del Viaggio), i loro concerti, ecc.

Secondo me, la storia dei Pooh, con le loro vittorie e sconfitte, le classifiche, i concerti fino in Giappone, ecc., sono un conto e meritano una narrazione.

La storia di Valerio Negrini incrociava sicuramente, e accompagnava, quella dei Pooh, ma meritava uno scorcio a parte, tutta un'altra angolatura. Che invece l'ipocrisia, l'inerzia e l'ignoranza di Stato, non gli ha mai minimamente dedicato.

Valerio Negrini va trattato come un autore e un poeta a sé stante e un giorno, spero, qualcuno rediga qualcosa in tal senso.

Questo brano, un brano contro la violenza sulle donne (la peggiore che esista; lo stupro), è in "Amici per sempre" del 1996.

Voce (o urlo di Munch) del maestro Facchinetti,
penna di Valerio.
Ti chiederanno se li hai visti in faccia,
come ti han spogliata e se hai ceduto in fretta,
sotto quale tipo di minaccia,
o se è stato un gioco andato troppo in là.

E anche ammesso che finiscano in galera,
quest'anno non verrà più primavera.
Senti addosso quelle mani ancora:
è un primo amore che non scorderai.

È la fine dell'innocenza
in quest'alba gelida di polizia.
È il silenzio della colomba
affogata di pioggia e buttata via.

E vuoi dimenticare.
E vuoi volare via.
Sarà una lunga strada
verso casa,
quando verranno a prenderti.

Se non lo fa nessuno,
ti chiedo scusa io
per quelli che hanno un nome
e una faccia,
che puoi chiamare "uomini"...

Perché in questa città vigliacca,
a parole son tutti eroi.
Ma tu hai perso le scarpe e il cuore
e non sai più chi sei.

E non ci perdonerai.

E non bastan mille docce per lavarti,
e la gente parla molto con gli sguardi.
Sei già dall'altra parte della vita.
Forse a scuola non ci tornerai.

E anche ammesso che finiscano in galera,
quest'anno non verrà più primavera.
Li senti addosso a respirare ancora
ed è un respiro che non scorderai.

È la fine dell'innocenza;
carta straccia, lacrime e formalità.
È il silenzio della colomba
che sognava il mare e non ci arriverà.

Come dimenticare?
Come volare via?
Nel cuore più profondo del tuo cuore,
l'inferno ha fatto i cuccioli.

Se non lo fa nessuno,
ti chiedo scusa io
per quelli che hanno un nome
e una faccia,
che puoi chiamare "uomini"...

Poi, il tempo è dalla tua parte.
In qualche modo, ce la farai.
Perché le donne san stare al mondo
molto più di noi.

Ma non ci perdonerai.

envoyé par Salvo Lo Galbo - 22/5/2016 - 11:58




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