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[2015]

Album : The Other Side

theoterside
Since the risings started there are many tales you could tell
One person’s liberation may be another’s prison cell
When authority collapses, many things can take its place
Sectarian nightmares and liberated space
Some are hunting for the heathens, set to form a Caliphate
Some are fighting for their survival, and for a socialist state
Such as in the north of Syria, just south of PKK
A city’s name that’s whispered in the wind — Kobane

The town grew up with the railway from Baghdad to Berlin
Soon became a refuge for those fleeing the Sultan
In Syria they called it Land of the Arab Spring
No one knew what movements history would bring
A city full of Kurdish people divided from the rest
Cut off to the east, forsaken by the West
The only sensible thing to do was run away
But instead thousands stood and fought — Kobane

Students met in Suruc, wise beyond their years
And the leaders of the world all shed crocodile tears
When the bombs went off they said this cannot stand
The same ones who kept the aid out from those who’d try to lend a hand
The same men who kept the aid out, the very same ones
Who didn’t want the PYG to have ammo for their guns
As to the future of the city, no one alive can say
But its name sails across the borders — Kobane

envoyé par adriana - 22/5/2016 - 08:44


KOBANE TRA ATTACCHI CON I DRONI E MINACCE DI NUOVE INVASIONI
Gianni Sartori

Sarà stata anche una coincidenza, ma l’attacco turco del 25 dicembre contro un’abitazione nel distretto di Şehîd Peyman (a est di Kobane) che è costato la vita a cinque persone, (due al momento dell’attacco, altre tre il giorno dopo per le ferite riportate) ha tutta l’aria di una ritorsione per un attentato già pianificato dallo Stato islamico, ma sventato dalle FDS.
Questi i nomi delle cinque vittime, forniti dall’Amministrazione autonoma del Nord e dell’Est della Siria (AANES): Nûjiyan Ocalan, Viyan Kobanê, Rojîn Ehmed Îsa, Mirhef Xelîl Îbrahîme un giovane chiamato Walid (di cui non si conosce ancora il nome completo).
Tutti loro militavano nel Movimento delle giovani donne o nel Movimento dei giovani rivoluzionari.
Almeno quattro degli altri feriti sono ancora all’ospedale.
Mentre gli abitanti di Kobane scendevano in strada per protestarecontro queste azioni terroristiche (e anche per l’indifferenza mostrata in più occasioni dalla comunità internazionale) le Forze democratiche siriane (FDS) con un comunicato mettevano in evidenza come “non è una coincidenza se l’attacco contro Kobanê è avvenuto nello stesso giorno di un’operazione riuscita contro lo Stato islamico”.

Stando sempre al comunicato delle FDS, si sarebbe trattato di una operazione pianificata contro una prigione di Hassakê. I membri delle bande jihadiste pronti a entrare in azione sono stati arrestati e imprigionati. Tra di loro un personaggio già conosciuto, l’emiro Mihemed Ebd Elewad, responsabile di numerosi massacri nella regione. Non è certo fuori luogo pensare che la Turchia si sia risentita per questo colpo inferto dalle FDS a una banda di integralisti sul libro paga di Ankara.

Il continuo stillicidio di operazioni del genere (bombardamenti e attacchi con droni, a spese soprattutto dei civili) potrebbe anche esprimere la frustrazione di Erdogan per le difficoltà incontrate nel procedere a un’ulteriore invasione nel nord e nell’est della Siria. Infatti, diversamente da quanto accadde nel 2019 quando Trump sostanzialmente dette il suo benestare all’attacco turco contro una parte del Rojava, oggi come oggi la comunità internazionale sembrerebbe (il condizionale resta d’obbligo) meno disposta a chiudere entrambi gli occhi.
O almeno questa sembra essere l’opinione (o forse la speranza) di un comandante delle FDS recentemente intervistato da Al-Monitor.
Mazlum Kobane (conosciuto anche come Mazlum Abdi) ritiene di potersi fidare dell’impegno preso da Biden di non abbandonare la regione, anche se quanto è avvenuto recentemente in Afghanistan, lo ammette, non è incoraggiante (dal punto di vista dei curdi ovviamente). In ogni caso considera assolutamente necessario un accordo tra i curdi e Damasco, un accordo di cui solamente la Russia può rendersi garante. Ovviamente il comandante intervistato non è un ingenuo e non ha scordato quanto avvenne solo qualche anno fa, quando la Russia consentì alla Turchia di invadere Afrin.

I dubbi sul futuro del Rotava quindi permangono.
Anche per questo, sia per timore di una nuova aggressione turca che per la pessima situazione economica (tra siccità e Covid-19), molti curdi se ne vanno passando illegalmente la frontiera.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 27/12/2021 - 15:57


Alleati dell’esercito statunitense quanto si tratta di combattere l’Isis sul terreno, i curdi siriani finiscono poi nelle “liste nere” di Washington.

Mentre la prevista riconciliazione tra Ankara e Damasco ne mette in pericolo l’autonomia conquistata nel Rojava.

CURDI TRA L’INCUDINE E IL MARTELLO

Gianni Sartori

Forse dire che i Curdi potrebbero tra breve cadere dalla padella direttamente nelle braci sarebbe eccessivo. In realtà ci stanno già da tempo.

Il diritto legittimo, non solo alla sopravvivenza, ma anche all’autodeterminazione giustifica (a mio avviso perlomeno) alcune alleanze (presumibilmente provvisorie e solo militari) con soggetti talvolta poco presentabili (vedi gli USA). Anche perché siamo comunque in quello che magari impropriamente viene detto “Medio-Oriente” dove alleanze transitorie e rovesciamenti di fronte sono pane quotidiano.

Tuttavia ci sarebbe da aspettarsi un po’ già di coerenza, linearità, se non proprio stabilità.

Vedi la recente notizia (la denuncia del ricercatore Matthew Petti è stata pubblicata sul sito di Kurdish Peace Institute) secondo cui alcuni  comandanti curdi siriani delle FDS (Forze democratiche siriane) e dirigenti del PYD (Partito dell’unione democratica) come Salih Muslim e Asya Abdullah che nella lotta contro l’Isis agiscono in sintonia con i soldati statunitensi, contemporaneamente sono stati inseriti dal FBI nella lista delle persone sorvegliate per terrorismo.

In particolare il nome di entrambi sarebbe reperibile nella lista Selectee, quella che elenca le persone a cui non è consentirò salire su un aereo statunitense.

Per i curdi interessati si tratterebbe di una grave convergenza da parte del FBI con le richieste del MIT (il servizio segreto turco). Una contraddizione lampante. Nella migliore delle ipotesi, un cedimento alle richieste di Ankara.

E non si tratta di figure sconosciute.
Uno dei principali “sotto sorveglianza speciale”, Asya Abdullah, nel 2015 aveva incontrato il presidente francese mentre il figlio di Muslim è caduto nel 2013 combattendo contro al-Qaeda. Entrambi inoltre si sono incontrati con autorità, politiche e militari, statunitensi per concordare operazioni contro le milizie jihadiste.

Almeno per Muslim, di cui la Turchia ha richiesto a più riprese l’arresto in quanto presunto membro del PKK (tuttavia nel 2013 era stato inviato ad Ankara per i colloqui di pace, poi sfumati), c’era un precedente. Nonostante le ripetute richieste del Congresso per concedere all’esponente curdo di poter entrare negli USA e poter parlare a Washington, tale permesso (un visto) gli era stato ripetutamente negato dall’ufficio immigrazione. 

Ulteriore incongruenza. Mentre Muslin che ha sempre negato di avere legami con il PKK (definendo il PYD come una organizzazione distinta) si trova inserito nella lista di sorveglianza speciale e di interdizione al volo, dei nomi di due comandanti delle FDS come Mazlum Abdi e Ilham Ahmad i cui trascorsi nel PKK sono noti, non c’è traccia (almeno ufficialmente).

Altri nomi curdi inseriti nella lista Selectee, quelli di Remzi Kartal e Zübeyir Aydar, ex membri del Parlamento turco (costretti forzatamente a lasciare il paese) e rappresentanti dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK), un coordinamento della diaspora curda in Europa di cui farebbero parte sia il PKK che il PYD. Per entrambi, come Muslim, un mandato d’arresto da parte della procura turca emesso dopo l’orrendo attentato del 2016 in cui sono rimasti uccisi 36 civili. L’atto criminale era stato rivendicato da un gruppo estremista curdo (I falchi della libertà, in aperto dissenso con il PKK) di cui è nota la deriva terroristica. Appare scontato che i tre esponenti curdi chiamati strumentalmente in causa dalla Turchia non avevano niente a che vedere con tale orrendo delitto. 

Nella lista anche due membri del Congresso nazionale del Kurdistan (altra organizzazione della diaspora curda da tempo impegnata nella ricerca di una soluzione politica), Adem Uzun (arrestato in Francia nel 2012 e immediatamente rilasciato) e Nilufer Koç a cui ancora nel 2011 il Tesoro statunitense avrebbe imposto sanzioni finanziarie per sospetti legami con il PKK.

Questo per quanto riguarda i rapporti con i Curdi da parte degli Stati Uniti. E la Russia? Direi che non li tratta meglio, anzi.

Nonostante un approccio altalenante alla questione curda, tra varie incertezze e tentennamenti, anche la Russia sembra ormai schierata apertamente con Ankara (e anche con Teheran) per quanto riguarda la questione curda.
Diversamente dal recente passato quando qualche dubbio lo manifestava, vedi nel 2021 l’incontro di Lavrov a Mosca con Ilham Ahmed, presidente del comitato esecutivo del Consiglio democratico siriano.

Ulteriore conseguenza della guerra in Ucraina e del ruolo di "mediatore" assunto da Erdogan?

Comunque sia, l’impressione che ne ricavano i curdi del Rojava è questa. Proprio Sergueï Lavrov il 31 gennaio ha dichiarato in conferenza stampa che qualsiasi novità, qualsiasi riunione in merito alla normalizzazione dei rapporti tra Ankara e Damasco dovrà vedere il coinvolgimento di Russia e Iran (insieme alla Turchia, entrambi membri della troïka di Astana).

L’amicizia storica (per quanto non priva di incrinature, vedi quando la Turchia impose l’allontanamento di Ocalan) tra Erdogan e Bashar al-Assad si era frantumata con la guerra civile del 2011. Acqua (quasi) passata evidentemente.

I negoziati proseguono, tanto che i capi dei rispettivi servizi segreti si sarebbero incontrati recentemente a Mosca (e non era certo la prima volta).
Se per Damasco è prioritario che la Turchia ritiri i suoi soldati e le milizie che controlla dal nord della Siria (smettendo di sostenere, finanziariamente e militarmente, alcune delle forze di opposizione al regime), per Ankara l’obiettivo principale rimane quello di riuscire ad annichilire sia le FDS che le Unità dei protezione del popolo (YPG, quelle che si son fatte massacrare per sconfiggere l’Isis).
E' invece possibile che Bashar al-Assad non abbia rinunciato definitivamente a portare tali organizzazioni dalla sua parte. Spezzando una volta per tutte il legame tra i curdi siriani e l'ingombrante  presenza statunitense.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 2/2/2023 - 09:01


SE 42 ANNI VI SEMBRAN POCHI….
Gianni Sartori


La condanna a 42 di carcere per Selahattin Demirtas suona come una ritorsione del sultano-presidente e un’ingiuria alla dignità umana

Un palese insulto, prima ancora che ai diritti umani, al semplice buonsenso. Questo si può dire della condanna a 42 anni di carcere per il prigioniero politico Selahattin Demirtas (in prigiono dal 2016). Tanto che perfino i media occidentali, in genere piuttosto restii - soprattutto negli ultimi tempi - a criticare Erdogan e il suo governo islamista alleato dell’estrema destra.diAccusato di “attentato all’integrità dello stato”, “incitamento a commettere crimine”, “propaganda terroristica” e varie amenità, in realtà le “colpe” di Demirtas sono ben altre.

Aver sostenuto le proteste di massa del 2014 per l’attacco e assedio di Daesh (supportato da Ankara) alla città siriana di Kobane.

Proteste costata la vita a decine di persone, uccise sia dalle forze di sicurezza turche, sia - presumibilmente - da miliziani salafiti.

A tale proposito il partito DEM aveva emesso questo comunicato:

“Nel 2014, con l’Isis sul punto di prendere il controllo della città di Kobane, sono scoppiate proteste massicce e democratiche in tutto il mondo, anche in molte città della Turchia. Durante queste proteste, 46 civili, 34 dei quali erano membri e sostenitori dell’HDP, sono stati uccisi da gruppi pro-Isis, su provocazione delle forze di sicurezza turche.

Nonostante la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che ha chiarito che l’HDP non può essere considerato responsabile delle violenze, l’attuale governo ha continuato ad avviare un procedimento giudiziario contro i membri esecutivi dell’HDP, compresi i co-presidenti Figen Yüksekdağ e Selahattin Demirtaş. Gli imputati hanno confutato tutte le accuse, ma la corte ha proseguito i processi sotto chiara influenza politica. L’illecito giudiziario è stato evidente fin dall’inizio, quando si è scoperto che il giudice iniziale era membro di un’organizzazione criminale, ed è stato palese in ogni momento. La Corte ha ingiustamente condannato molti politici dell’HDP sulla base di accuse infondate.”

E comunque la “colpa” più grave di Demirtas e dei sui compagni è stata quella aver osato fondare un partito democratico di sinistra. Il Partito Democratico del Popolo (HDP) in grado di attirare consensi anche da una parte dell’elettorato non curdo, ottenendo ben sei milioni di voti (80 seggi su 550). Una forza politica diventato in breve tempo il terzo “incomodo” nel Parlamento. Spezzando di fatto il controllo esercitatovi da Recep Tayyip Erdogan fin dal 2015. Tanto da dover ricorrere a elezioni anticipate per riconquistarlo (alleandosi con l’estrema destra islamista, quella dei “Lupi Grigi”). Messo al bando per pretestuosi “legami con il terrorismo” (leggi con il PKK), HDP è stato sostituito in Parlamento dal partito DEM (Partito per l’Uguaglianza e la Democrazia dei Popoli). Dal canto suo, dopo la sconfitta del candidato dell’opposizione (da lui appoggiato) al ballottaggio delle ultime presidenziali,Demirtas si è ufficialmente dimesso dalla politica attiva pur continuando “la lotta con tutti miei compagni di prigione”.

Rinchiuso nel carcere di Edirne, in questi giorni l’ex co-presidente di HDP ha potuto incontrare (per circa tre ore) i co-presidenti del partito DEM, Tülay Hatimoğulları e Tuncer Bakırhan che il giorno prima avevano incontratoFigen Yüksekdağ (ex vice segretaria di HDP e condannata a 30 anni e 3 mesi) nella prigione diKandıra.

Denunciando l’ennesimo atto di repressione contro il dissenso (il verdetto del Caso Kobane), Tülay Hatimoğulları ha ricordato che “i nostri compagni sono stati condannati a secoli di prigione. Lo abbiamo già detto molte volte e lo diciamo ancora. Il caso della “Cospirazione Kobane” è un caso di vendetta puramente politica. Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ, in passato nostri co-presidenti, sono stati condannati a pene molto pesanti. Nel contempo i rivoluzionari socialisti di sinistra che avevano espresso solidarietà al popolo curdo, i rivoluzionari che cercavano una soluzione alla questione curda con metodi democratici e pacifici, i rivoluzionari cheperoravano in favore della lotta democratica unitaria furono ugualmente condannati a lunghe pene (…).

Queste le sentenze (considerate illegali dal Partito DEM):

1) SELAHATTİN DEMİRTAŞ (Copresidente dell’HDP) 42,5 anni di reclusione

2) FİGEN YÜKSEKDAĞ (copresidente dell’HDP) 30 anni e 3 mesi di reclusione

3) ALP ALTINÖRS (membro del comitato esecutivo dell’HDP) 22,5 anni di reclusione

4) NAZMİ GÜR (Vice copresidente per gli affari esteri e membro dell’APCE) 22,5 anni di reclusione

5) ZEKİ ÇELİK (membro del comitato esecutivo dell’HDP) 22,5 anni di reclusione

6) ZEYNEP KARAMAN (Membro del comitato esecutivo dell’HDP) 22,5 anni di reclusione

7) PERVİN ODUNCU (membro del comitato esecutivo dell’HDP) 22,5 anni di reclusione

8) GÜNAY KUBİLAY (Presidente e membro del consiglio esecutivo di HDP) 20,5 anni di reclusione

9) İSMAİL ŞENGÜL (membro del comitato esecutivo dell’HDP) 20,5 anni di reclusione

10) DİLEK YAĞLI (membro del comitato esecutivo dell’HDP) 20 anni di reclusione

11) BÜLENT PARMAKSIZ (Membro del comitato esecutivo dell’HDP) 18 anni di reclusione

12) ALİ ÜRKÜT (membro del comitato esecutivo dell’HDP) 17 anni di reclusione

13) CİHAN ERDAL (membro del comitato esecutivo dell’HDP) 16 anni di reclusione

14) GÜLTAN KIŞANAK (Sindaco della municipalità metropolitana di Diyarbakir) 12 anni di reclusione

15) SEBAHAT TUNCEL (ex deputato e membro esecutivo dell’Assemblea delle donne dell’HDP) 12 anni di reclusione

16) ZEYNEP ÖLBECİ (membro del comitato esecutivo dell’HDP) 11,5 anni di reclusione

17) AHMET TÜRK (Sindaco della municipalità metropolitana di Mardin) 10 anni di reclusione

18) EMİNE AYNA (ex parlamentare e membro dell’Assemblea delle donne dell’HDP) 10 anni di reclusione

19) AYLA AKAT ATA (ex parlamentare e membro esecutivo dell’Assemblea delle donne dell’HDP) 9 anni e 9 mesi di reclusione

20) AYNUR AŞAN (Membro dell’Assemblea HDP) 9 anni di reclusione

21) AYŞE YAĞCI (Membro dell’Assemblea HDP) 9 anni di reclusione

22) MERYEM ADIBELLİ (membro del comitato esecutivo dell’HDP) 9 anni di reclusione

23) MESUT BAĞCIK (membro dell’Assemblea HDP) 9 anni di reclusione

24) NEZİR ÇAKAN (Membro del comitato esecutivo dell’HDP) 9 anni di reclusione

Coincidenza non certo casuale, tale sentenza è piombata in contemporanea con il viaggio del ministro degli esteri Hakan Fidan in Iraq. Per ottenere la definitiva messa la bando del PKK, sia da parte del governo centrale, sia da quello regionale curdo di Erbil (sotto la guida del PDK di Barzani).

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 21/5/2024 - 09:36


1 NOVEMBRE 2024: giornata mondiale per Kobanê

Gianni Sartori

Forse è nel cimitero di Kobane che bisognerebbe recarsi in questi giorni per non dimenticare (come sembra aver fatto da tempo l'opinione pubblica mondiale) il sacrificio di migliaia di curdi caduti combattendo contro Daesh.

Premessa. Con Tev-Dem si indica la Tevgera Civaka Demoqratik (“Movimento della società democratica”) ossia il progetto sociale sperimentato nel Rojava: il confederalismo democratico. In sintesi, Tev-Dem è la forma di organizzazione della società ancora in atto, nonostante tutto, nel Rojava.

A dieci anni dalla Resistenza di Kobanê (novembre 2014), TEV-DEM rivolge un appello al sostegno internazionale per la popolazione del Rojava sotto attacco da parte dell'esercito di Ankara e dei suoi ascari jihadisti. In quella che ormai si celebra regolarmente da dieci anni il 1 novembre (“Giornata mondiale per Kobanê), il Movimento per una società democratica si rivolge al mondo (per quanto in altre faccende affaccendato) affinché non consenta allo Stato turco, supporter dello Stato islamico che il 15 settembre 2014 aveva assaltato Kobanê, di completarne l'opera.

Migliaia di combattenti curdi erano caduti nella battaglia con gli islamisti tra settembre 2014 e gennaio 2015. Mentre i combattimenti causavano la quasi completa distruzione di Kobanê, oltre 300mila persone erano ridotte nella condizione di sfollati-profughi interni.

Come si legge nel comunicato di TEV-DEM “a Kobanê è stata condotta una resistenza senza precedenti. La città è diventata un simbolo mondiale di resistenza per i valori comuni dell'umanità”.

All'epoca, dal carcere di Imrali, era giunto un altro appello, quello di Abdullah Öcalan che chiamava i curdi alla mobilitazione generale per difendere questa cittadina frontaliera nel nord della Siria. Sempre all'epoca, centinaia di milgliaia di persone, forse milioni, erano scese in strada il 1 novembre (proclamato da allora “Giornata mondiale per Kobanê").

Continuando nella sua dichiarazione, TEV-DEM spiega che “dieci anni dopo Kobanê è nuovamante sotto attacco da parte dello Stato turco e dei suoi proxy jihadisti”. Per questo “ci appelliamo ad un maggior sostegno alle conquiste dei popoli del nord e dell'est della Siria. Il Rojava ha resistito per l'intera umanità, l'umanità deve ora impegnarsi per il Rojava”.

Una possibile spiegazione dell'ostinato persistere di Erdogan nella sua guerra contro i curdi, è stata ipotizzata in una recente intervista (all'agenzia ANHA) da Xerîb Hiso.

Denunciando la “politica di saccheggio e occupazione” di Ankara nelle regioni del nord e dell'est della Siria, il copresidente del Partito dell'Unione democratica (PYD, Partiya Yekîtiya Demokrat) ha condannato le aggressioni di quello che costituisce il secondo esercito della Nato contro la popolazione e le istituzioni locali. Aggressioni che sarebbero una conferma della sostanziale “perdita di influenza della Turchia in Medio-oriente”.

“Lo Stato turco – ha spiegato – si è illuso per lungo tempo che attaccando i curdi si sarebbe rafforzato. Un approccio del tutto sbagliato. Forse ha potuto funzionare in passato, ma alla fine non darà alcun risultato. Da oltre un secolo, massacri, saccheggi e occupazioni non hanno portato niente di positivo alla Turchia. Mentre si ostina a procedere sulla strada del fascismo e della brutalità, in realtà va perdendo il suo ruolo nella regione mediorientale, sempre più sconfitto e frammentato. Sul piano interno la Turchia sta cadendo nel caos, una conferma che la soluzione dei suoi problemi non può rinvenirla fuori dalle proprie frontiere. Gli attacchi contro di noi non sono altro che atti vigliacchi e terroristici. I tempi in cui si poteva affamare e scacciare la popolazione sono definitivamente finiti e la volontà del popolo alla fine vincerà”.

Indispensabile poi dire due parole anche su quanto avviene più a sud e a est, a Deir ez-Zor lungo le rive dell'Eufrate. Con le recenti immagini (criticate severamente da “campisti” di varia estrazione) di esponenti delle Forze Democratiche Siriane (FDS; in arabo الديمقراطي , in curdo Quwwāt Sūriyā al-Dīmuqrāṭīya; in siriaco Hêzên Sûriya Demokratîk‎; in inglese Syrian Democratic Forces) dialogare fraternamente con militari della Coalizione internazionale chiaramente statunitensi). Con i simboli della rivoluzione curda (v. La stella rossa) a fianco della bandiera stelle e strisce.

Il video (SDF press center) documentava la recente costituzione di una pattuglia congiunta, costituita appunto da FDS (o SDF) e forze della Coalizione Internazionale a Deir ez-Zor. In difesa della popolazione ripetutamente sottoposta agli attacchi di Daesh e di non meglio precisate “milizie affiliate ai servizi di sicurezza di Damasco” (tribali arabi forse). In risposta, si legge in un comunicato di SDF press center, alle "ripetute richieste delle tribù e dei popoli della regione, richieste emerse nel corso di precedenti riunioni con il comando generale delle SDF e della Coalizione internazionale".

A tale scopo sarebbe stata “rafforzata la capacità di combattimento per proteggere la popolazione dalle minacce portate da fazioni ostili”.

Nelle immagini si vedono appunto i blindati USA e i furgoni curdi percorrere insieme le strade. Poi i componenti della pattuglia congiunta (con i rispettivi simboli di riconoscimento, stella rossa in campo verde e bandierina a stelle e strisce) distribuire volantini informativi alla popolazione (con frotte di bambini che ne fanno incetta).

Capisco la contraddizione e non dico che faccia piacere. Ma – chiedo umilmente – che cazzo dovrebbero fare i curdi e gli altri popoli dell'area, visto che tutti (tutti, anche i francesi ormai) li hanno abbandonati al loro destino? Lasciarsi massacrare buoni e zitti? Affidarsi a Putin e Bashar al-Assad (proprio quando sembra in ripresa l'idillio con Erdogan)?

Fatemi sapere che magari glielo spiego.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 1/11/2024 - 10:10


MENTRE SI PREPARA L'ASSALTO FINALE A KOBANE, NEGLI OSPEDALI DI MANBIJ LE GANG JIHADISTE UCCIDONO I COMBATTENTI FERITI
Gianni Sartori


L'ultima, per ora, terribile notizia diffusa direttamente dal SOHR (sigla in inglese dell'Osservatorio siriano dei diritti dell'uomo) martedì mattina 10 dicembre.

Miliziani che partecipano all'operazione (a supervisione turca) denominata "Alba di Libertà", hanno assassinato decine di combattenti feriti del Consiglio militare di Manbij (CMM, alleato dei curdi) ricoverati nell'ospedale militare a nord della città. Ospedale che era stato posto sotto assedio impedendo l'evacuazione dei feriti. I video del massacro, girati dagli stessi jihadisi filo-turchi, sono stati poi diffusi, sfrontatamente, sulle loro reti sociali. Si tratterebbe sia di membri del cosiddetto Esercito Libero Siriano, sia di miliziani che sulle divise ostentavano simboli dell'Isis (senza che questo ne escluda l'appartenenza all'ANS).

A chi conserva un po' di memoria storica viene in mente (oltre ai palestinesi tirati fuori dalle ambulanze e assassinati dai falangisti a Tell al-Zaʿtar nell'agosto 1976), l'analogo episodio che vide i combattenti curdi feriti massacrati nell'infermeria di un campo profughi (forse Atrush ?) dalle milizie turcomanne filoturche alla fine degli anni novanta. Evidentemente la Storia si ripete, da tragedia in tragedia.

Da segnalare che le insegne dell'Isis sono state documentate anche sulle divise di miliziani filo-turchi lungo la strada tra Arima e Manbij

Inoltre il canale di propaganda Habertürk ha trasmesso programmi in cui sulle immagini di miliziani che ostentavano divise con emblemi dell'Isis, appariva in sovraimpressione la scritta “L'esercito Nazionale Siriano ha completato l'operazione Manbij”.

Sempre secondo il SOHR, i miliziani filo-turchi si sono abbandonati al saccheggio e all'incendio delle abitazioni curde (sono circa 300mila le famiglie curde a Manbij). Inoltre hanno assassinato alcuni abitanti della città in base all'origine etnica.

Insomma, una preoccupante escalation, sia di combattimenti sul terreno che di attacchi aerei a cui l'opinione pubblica internazionale (penso ai movimenti, alla sinistra o a quello che ne rimane) dovrebbe reagire con la mobilitazione. Per prevenire quella che a tutti gli effetti si preannuncia come un'altra Gaza, con i curdi e le altre popolazioni minorizzate del Nord e dell'Est della Siria destinati alla medesima sorte (genocidio, pulizia etnica...) dei palestinesi. O qualche “campista” pensa ancora che Recep Tayyip Erdoğan sia meno feroce di Benjamin -Bibi – Netanyahu?

Nel frattempo (ma qui le versioni divergono) a Manbij i combattimenti tra MMC e ANS– se pur intermittenti - sarebbero ancora in corso, strada per strada (anche se ormai forse si tratta di sacche di resistenza).

In sintesi, le gang dell'Isis che le YPG avevano espulso dalla città nel 2016, vi hanno fatto ritorno sotto la copertura dell'Esercito Nazionale Siriano agli ordini di ufficiali turchi.

Nella zona di Kobanê (Aïn al-Arab) esercito turco e mercenari, dopo aver bombardato il ponte di Qaraquzak, hanno colpito anche la città di Sheyoukh e il villaggio di Zumgar. Non ci sono al momento dati attendibili sulle inevitabili perdite umane, mentre è stato accertato che almeno dieci persone (in fuga verso l'Eufrate) hanno perso la vita nel bombardamento del villaggio di Zarfan.

E proprio sull'Eufrate sono in corso combattimenti che potrebbero risultare decisivi.

I mercenari jihadisti (ANS e altre fazioni) hanno attaccato al diga di Tishrin scontrandosi con le Forze Democratiche Siriane. Molti jihadisti hanno perso la vita e anche alcuni veicoli blindati dei filo-turchi sono stati distrutti dalle FDS.

Costruita lungo il corso dell'Eufrate negli anni novanta, la diga è alta 40 metri, con sei turbine idrauliche.

Oltre che la maggior via di rifornimento per Manbij, rappresenta uno dei principali punti di passaggio sul fiume. Praticamente un potenziale “trampolino” verso il nord-est della Siria da cui l'ANS potrebbe puntare direttamente su Kobanê.

Sulla tragedia incombente è intervenuto Il Presidente dell'Unione Patriottica Curda, Bafel Jalal Talabani. Dichiarando di “rispettare la volontà del popolo siriano e le decisioni che vorrà prendere per il futuro” , ma anche ricordando l'importanza del “rispetto e dei diritti dei curdi siriani”. Per riaffermare “l'incrollabile sostegno ai nostri fratelli e sorelle del Rojava”.

Un piccolo gesto poco più che simbolico(penso che nel Rojava ci si aspettasse di più). Sempre meglio comunque del comportamento degli esponenti del Partito Democratico Curdo (il clan Barzani) che coltivano le loro buone relazioni con Erdogan, nonostante abbia invaso parte del Bashur (il Kurdistan entro i confini iracheni governato dal PDK).

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 10/12/2024 - 14:43


ANKARA VUOLE PROPRIO FARLA FINITA CON I CURDI...



GIANNI SARTORI



Perché indignarsi? In fondo si tratta solo  dell'ennesimo delitto contro la popolazione civile per mano di Ankara. Nella mattinata del 10 dicembre, un veicolo da combattimento senza pilota (UCAV) ha colpito la città di Sefiya (Ain Issa) uccidendo otto persone della stessa famiglia: Xelîl Silêman, Wedah Silêman, Mihemed El Abo, Ebdulkerîm El Abo, Delal Silêman, Nadiya Silêman e due bambini, Casim Silêman e Husam Silêman.



Qualche giorno fa, l'8 dicembre, erano state dodici (soprattutto bambine, bambini e donne) le vittime di un attacco similare nel villaggio di Mestareha(sempre Ain Issa). Il giorno successivo, 9 dicembre, morivano per bombardamento altri due bambini nel villaggio di Kuneftar (Kobanê). Contemporaneamente venivano colpiti Mihermela y Hermel( località di Zirgan). Lasciando a terra almeno un morto e diversi feriti. Altri tre feriti (sempre per l'attacco di un UCAV) lungo la strada Zirgan-Dirbêsiyê. E si potrebbe continuare.



Vecchia storia. Anche senza risalire troppo nel tempo basti ricordare l'invasione turca del 2018 che trasformò oltre duecentomila curdi (ma anche arabi, minoranze varie...) in sfollati - profughi interni - da un giorno all'altro. Molti, decine di migliaia cercarono di rimanere quantomeno nei pressi dei loro villaggi bombardati, in rovina. Accampati in campi di fortuna (indifesi, esposti agli attacchi turchi) nella regione di Shehba (Tel Rifaat). Con la speranza di poter ritornare prima o poi. Ora vengono scacciati anche da lì dalla violenza delle milizie arabo-sunnite e turcomanne al servizio di Ankara. Paradossalmente, i giannizzeri di Ankara hanno giustificato l'attacco alle aree curde come lotta al regime di Assad (?!?).



Inoltre per molti riuscire a spostarsi nelle zone controllate dall'AADNES (dove vige un sistema di autogoverno comunitario, autonomia delle donne, rappresentanza per le minoranze...) risulta difficoltoso, se non impossibile. Vuoi per ragioni oggettive (come nel caso delle persone anziane, con problemi di salute...) o perché viene loro semplicemente impedito dai miliziani che talvolta li sequestrano (e il loro destino al momento resta incerto, sconosciuto) o li sottopongono a maltrattamenti, torture. Non mancano i video, spesso messi in rete dagli stessi jihadisti, con miliziani pro-Turchia che maltrattano, picchiano, calpestano donne e uomini curdi catturati. Per cui molti sono rimasti indietro, quando non sono morti lungo la strada.



Dalla Turchia in fondo non ci si poteva aspettare altro. Conferma la sua aspirazione di poter allargare i propri confini a spese della Siria – e magari anche dell'Iraq – allontanando il più possibile i curdi (in particolare quelli di ideologia apoista) dalle proprie frontiere. Relegandoli di fatto nei deserti siriani o contringendoli a espatriare.



Ma nemmeno sull'apparentemente pragmatico Hayat Tahrir al-Sham (alias al-Nusra) c'è da fare molto affidamento.



Nonostante lo sbandierato “islamismo tecnocratico”, quando governavano a IdlibI avrebbero sguinzagliato le ronde della moralità arrestando sia donne e ragazze vestite non in ossequio ai codici religiosi, sia uomini che ascoltavano musica o si erano tagliati la barba. E si parla anche di pubbliche esecuzioni per eresia o stregoneria.



A sentirsi in pericolo sono attualmente anche i circa 100mila curdi di Aleppo e le altre “minoranze” (cristiani, ezidi, armeni...) ancora asseragliati in un paio di quartieri assediati dalle milizie di HTS. Già si era parlato di qualche esecuzione extragiudiziale proprio ai danni di esponenti delle minoranze e – pare – che alle donne venga imposto il velo.



Stesso discorso (o peggio) per le milizie del cosiddetto Esercito Nazionale Siriano (finanziato, addestrato e diretto da Ankara). Da tempo accusate di crimini di guerra dalle Nazioni Unite e da Amnesty International



Ossia: stupri, torture (spesso con l'elettrocuzione), massacri di massa (in particolare contro la popolazione curda), utilizzo di scudi umani... per non parlare dell' elettrocuzione o dei prigionieri esposti e portati per le strade rinchiusi nelle gabbie.



E questi sgherri di Erdogan ora si stanno scatenando contro i curdi e le minoranze, nella prospettiva di un'ampia opera di sostituzione etnica nei territori attualmente amministrati dall'AADNES.








Gianni Sartori

Gianni Sartori - 10/12/2024 - 19:56


MENTRE A MANBIJ POTREBBE ENTRARE IN VIGORE UN ACCORDO DI CESSATE IL FUOCO TRA SDS E SNA, VIENE CONFERMATO IL BRUTALE ASSASSINIO DI TRE DONNE ARABE DELL'ASSOCIAZIONE ZENUBIYA
Gianni Sartori



Ancora un crimine di guerra. Ancora tre donne vittime del fanatismo jihadista.Kamar El-Soud, Aysha Abdulkadir e Iman sono state assassinate da mercenari di Ankara a Manbij. La triste nuova viene dalla Comunità di Donne Arabe Zenubiya:

“Le nostre tre compagne sono diventate un esempio di sacrificio comportandosi con coraggio e dignità di fronte alla morte. Il loro martirio non è la fine della lotta, ma un nuovo inizio per il nostro impegno nell causa delle libertà e dell'indipendenza. Kamar, Aysha e Iman hanno condotto una dura battaglia contro le forze dell'oscurità e contro il nemico una dura batalla contra las fuerzas oscuras y el enemigo, comoiendo grandi sacrifici bella difesa di Manbij”.

Il cosiddetto Esercito Nazionale Siriano (SNA dalla sigla in inglese, conosciuto anche come Fajr al-Hurriya) è formato da un'accozzaglia di jihadisti (v. Ahrar al-Sharqiyah) sul libro-paga di Ankara. A cui si sono aggiunti estremisti di destra (turchi o filo-turchi) con un'unica “ragione sociale” in comune: l'odio per i curdi.

Come già segnalato, ancora il 9 dicembre il canale televisivo turco Habertürk ha trasmesso in diretta (forse senza il tempo di censurarle) le immagini di miliziani del SNA affianco a quelli dell'Isis. Con in sovraimprensione un titolo tanto lapidario quanto fasullo: “Manbij libera dal PKK/YPG. Il SNA ha completato l'operazione in Manbij”. In realtà i feroci combattimenti erano ancora in corso nei quartieri multietnici di Manbij. Le informazioni che circolavano in rete, soprattutto quelle diffuse dall'agenzia ufficiale turca Anadolu, erano false. Il loro scopo era di scoraggiare la resistenza e rientravano in quella che possiamo chiamare “guerra psicologica”.

I combattimenti proseguivano infatti anche nella notte di martedì mentre l'esercito turco intensificava le operaioni sia dell'aviazione che dell'artiglieria contro Kobane, prossimo obiettivo della guerra di occupazione.

Contemporaneamente alcuni esponenti di questa banda di tagliagole diffondevano nelle reti sociali i video di alcuni feriti (presumibilmente resistenti curdi) assassinati in un ospedale di Manbij da membri del SNA che se ne vantavano apertamente (e anche questa a ben guardare è brutale “guerra psicologica”).

E non si tratta di episodi isolati.

Anche l'osservatorio Siriano dei Diritti Umani ha denunciato “dozzine di esecuzioni di combattenti feriti del Consiglio Militare di Manbij” assassinati dai mercenari di Erdogan.

Kongra Star (il movimento delle donne del nordest della Siria) ha denunciato che a manbij diverse donne integrate nelle forze di sicurezza Asayîş sono state catturate e sequestrate, nei video diffusi dai tagliagole del SNA venivano esposte come “bottino di guerra” (in stile Isis).

Si registrano inoltre innumerevoli saccheggi e incendi di abitazioni curde. Oltra a rappresaglie contro la popolazione civile. Tra cui il caso ignobile, già citato, delle tre militanti di Zenobiya assassinate.

Atti di terrorismo speculari a quelli compiuti dallo Stato turco che il 10 massacrava un'intera famiglia (otto persone) con un veicolo senza pilota (UCAV) nel villaggio di Sefiya (Ayn Issa). Altre otto vittime che si aggiungono alla lista di circa 200 civili assassinati quest'anno da Ankara nel Nord e nell'Est della Siria.

CESSATE IL FUOCO A MANBIJ?

A Manbij, dopo due settimane di combattimenti, un possibile accordo di cessate-il-fuoco si sarebbe raggiunto (pare con la mediazione degli Statai Uniti) tra le Forze Democratiche Siriane (SDF, dalla sigla in inglese) e l'Esercito Nazionale Siriano (SNA, dalla sigla in inglese).

Mercoledì mattina 11 dicembre, il comandante delle SDF Mazlum Abdi annunciava che i combattenti del Consiglio Militare di Manbij si sarebbero ritirati dalla città per “garantire la sicurezza della popolazione civile”.

Dichiarando inoltre che “il nostro obiettivo è quello di un cessate-il-fuoco in tutta la Siria e l'inizio di un processo politico sul futuro del paese”.

Va preso atto che il Consiglio Militare e le altre organizzazioni facenti parte delle SDF in questi ultimi quindici giorni hanno lottato con coraggio e determinazione. Al prezzo di un gran numero di caduti, ma causando ai mercenari del SNA centinaia di perdite.

In questo momento la resitenza dei partigiani curdi si concentra sullo strategico ponte di Qereqozax, tra Manbij e Kobanê. Quanto alla diga di Tishrîn (più a sud e altro possibile punto di invasione del nordest) sarebbe ormai fuori uso a causa dei bombardamenti subiti. Ragion per cui vaste zone della regione autonoma (tra cui il cantone di Kobanê) sono prive di elettricità.

L'importanza assunta dal cantone multietnico di Manbij nella lotta per l'autogoverno è soprattutto politica e va ben oltre quella della posizione strategica. Liberata dall'Isis nel 2026 grazie alle SDF e alle YPJ (Unità di Protezione delle Donne), ha rappresentato la prima zona autonoma nel Nord e nell'Est della Siria con una popolaziona a maggioranza non curda. Praticamante l'ultimo cantone dell'AADNES rimasto a ovest dell'Eufrate.

Con il Consiglio Civile Provvisorio di Manbij (poi “Legislativo dell'Amministrazione Democratica di Manbij) venne introdotta in ogni ufficio una doppia direzione donna-uomo con uguaglianza di genere. Per cui la proporzione delle donne nell'amministrazione arrivava al 50%. Così come vi erano rappresentati tutti i gruppi sociali. Un modello di nuova, radicale democrazia che aveva garantito sicurezza e protagonismo per le donne e le minoranze.

Un modello che la brutalità regressiva delle gang jihadiste potrà forse provvisoriamente calpestare ma non estirpare.

Ma intanto non si attenua, anzi si intensifica inesorabilmente, la pioggio di bombe turche (sia con l'aviazione che con l'artiglieria) sui territori ammnistrati dall'AADNES, in particolare sul cantone di Kobanê. Uccidendo civili (oggi altri due vittime, una donna e un bambino nei pressi del ponte di Qaraqozaq), colpendo indiscriminatamente obiettivi sia civili che militari.

Almeno una ventina gli attacchi (soprattutto con droni) documentati da ANHA nella giornata dell'11 dicembre tra Raqqa, Tel Tamr e Kobanê.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 11/12/2024 - 20:36


SIRIA: breve aggiornamento al 19 dicembre

Gianni Sartori

Anche se gli ultimi due-tre giorni hanno visto profilarsi quella che possiamo definire una “guerra di posizione” è evidente che si va preparando l'attraversamento dell'Eufrate da parte dei proxy di Ankara (SNA) e l'assalto a Kobanê.

Per ora si registrano scontri sporadici soprattutto nei pressi della diga di Tishrin (fuori uso dal 10 dicembre con l'intero cantone di Kobanê privo di elettricità) tra i mercenari filo-turchi (SNA) e le Forze Democratiche Siriane con un pesante tributo di vittime. Mentre proseguono i bombardamenti (con aerei, droni e artiglieria) da parte dell'aviazione e dell'esercito turchi, rimangono infruttuosi i tentativi (pro forma ?) degli Stati Uniti di negoziare un cessate-il-fuoco duraturo.

Gli attacchi su Tishrin finora sono stati respinti, soprattutto grazie alle combattenti delle YPJ (Unità di Difesa delle Donne) affiancate dal Consiglio Militare di Manbij. In più occasioni passati al contrattacco.

Sarebbero una quarantina i mercenari uccisi nei combattimenti e molti di più quelli rimasti feriti.

E' probabile che l'assalto finale, su larga scala verso Kobanê prenda il via direttamente dalla Turchia (già in avanzata fase di demolizione il muro frontaliero così da consentire l'invasione) oltre che dall'enclave di Serekanie in mano ai mercenari di SNA.

Poco rassicuranti inoltre le recenti dichiarazioni del nuovo regime insediato a Damasco: “la Siria non sarà divisa e non ci saranno entità federali”.

Una netta, definitiva chiusura nei confronti delle proposte dell'AADNES.

Aggiungendo, se mai fosse rimasto qualche dubbio che “la regione attualmente controllata dalle FDS verrà integrata alla nuova amministrazione del paese”.

A questo si deve aggiungere un pericoloso effetto collaterale (ma forse neanche tanto “collaterale”): la recrudescenza, non certo casuale, delle azioni della risorta (o riesumata ?) Daesh.

Altra questione ancora, gli scontri in atto a Qousaya dove le milizie del Fronte popolare di liberazione della Palestina tentavano di impedire lo smantellamento di un insediamento del FPLP da parte degli islamisti ora al potere.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 19/12/2024 - 13:48


ROJAVA RESISTE !
Gianni Sartori

Come ricordava nel suo comunicato del 24 Dicembre (Sauvons Kobané, Sauvons le Rojava !) la Coordination Nationale Solidarité Kurdistan (CNSK, un coordinamento di organizzazioni curde e della sinistra francese)* nel 2014 sembrava che “niente e nessuno potesse arrestare l'avanzata delle bande jihadiste dello Stato islamico che aveva conquistato metà dell'Iraq, massacrato gli ezidi di Shengal e proclamato il califfato sull'Iraq e sul nord della Siria. Mentre dalla sua autoproclamata “capitale”, Raqqa, partivano le direttive per compiere attentati in Europa e soprattutto a Parigi”.

Resisteva soltanto una piccola città in prossimità della frontiera turca, Kobane. Mentre Daesh mobilitava tutte le sue forze contro questo estremo caposaldo di libertà, la Turchia bloccava le frontiere impedendo l'arrivo di rinforzi ai curdi di Kobane e reprimeva le espressioni di solidarietà arrestando i manifestanti e condannandoli a decenni di carcere. Le combattenti e i combattenti curdi caddero a migliaia, ma (come quella di Stalingrado contro i nazifascisti) la resistenza di Kobane rappresentò l'inizio della disfatta per Daesh. Fino alla caduta di Raqqa e al definitivo smantellamento del Califfato.

Da allora, riprendendo il comunicato della CNSK “i curdi alleati delle tribù arabe siriane, hanno costruito una federazione autonoma dei popoli del nord e dell'est della Siria. L'AADNES, fondata su un contratto sociale rivoluzionario: totale uguglianza tra le religioni, i gruppi etnici, parità uomo/donna in tutte gli organi direttivi della federazione autonoma, uguaglianza in materia di divorzio, eredità etc.”. A cui si dovrebbe aggiungere l'abolizione della pena di morte, il protagonismo delle donne nel campo dell'autodifesa armata, il rinnovato rispetto ambientale...Ma la repentina caduta di Bachar Al Assad ha consentito la presa del potere in Damasco di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), organizzazione in tempi recenti ancora affiliata a Al Qaeda. Ragion per cui è lecito mantenere dei dubbi sulle dichiarazioni di adesione ai principi democratici del leader Ahmad Al Chareh. Inoltre il decreto sul disarmo di tutte le milizie (comprese le Forze Democratiche Siriane che difendono l'AADNES) sembra non dover riguardare l'Esercito Nazionale Siriano (SNA), notoriamente costituito da jihadisti armati e finanziati da Ankara in chiave anti-curda. Dopo Manbij e Tall Rifaat ora gli ascari di Ankara puntano su Kobane, città-simbolo.

“Lasceremo ancora una volta – concludeva il comunicato di CNSK– che siano i curdi a sacrificarsi per fermare le orde jihadiste?”

Va riconosciuto a Erdogan (finanziatore e manovratore ben poco occulto del SNA) di non fare mistero su quali siano le sue reali intenzioni. Risale alla settimana scorsa un suo intervento (alla cerimonia per i premi TÜBİTAK et TÜBA) in cui sfacciatamente dichiarava che la Turchia “è più grande della Turchia e non può accontentarsi dei suoi 782 000 km²”. Una rivendicazione della “missione che la Storia ci ha affidato” (lo “spazio vitale”?) che implica altri progetti di invasione sia in Rojava che in Bashur (Kurdistan entro i confini iracheni).

Quanto alla situazione (fluida, instabile...) sul campo di battaglia, al momento pare che le Forze Democratiche Siriane (SDF) stiano respingendo, infliggendo gravi perdite, l'Esercito Nazionale Siriano (SNA). Sia impedendo l'attraversamento dell'Eufrate verso est, sia passando alla controffensiva. Alcune delle località perse nel corso delle ultime due settimane sarebbero tornate sotto il controllo curdo con nuove teste di ponte sulla riva ovest del fiume.

Nonostante il 24 dicembre i militari turchi siano intervenuti direttamente sul terreno per aiutare gli alleati in difficoltà. Mentre ovviamente proseguono i sistematici bombardamenti (artiglieria, aerei, droni...) che colpiscono soprattutto i civili.

Il 23 dicembre è iniziata l'operazione delle SDF denominata Eziz Ereb (in memoria del comandante della Brigata Mártir Şervan, caduto il 10 dicembre nella battaglia del ponte Qereqozak).

Nella mattinata del 24 dicembre “è stato respinto un attacco dei mercenari dell'occupazione turca nel villaggio di Qabr Emo a est di Manbij dove ora si stanno svolgendo feroci combattimenti tra le nostre forze e i mercenari”. Ricordo che secondo l'Osservatorio Siriano dei Diritti Umani (SOHR) le SDF al momento si troverebbero a una decina di chilometri dalla città di Manbij.

Inoltre le SDF avrebbero distrutto alcuni veicoli militari degli avversari (come documentato da video e foto).

Continuano inoltre a combattere presso la diga di Tishrin anche le forze del Consiglio Militare di Manbij. Arrestando l'avanzata del SNA contro i villaggi di Mahshiyat al-Tawahin e Khirbet Tuwaini (distretto di Abu Qalqil). Catturando blindati, pezzi di artiglieria con le relative munizioni e distruggendo un veicolo BMB e altri due veicoli militari che trasportavano mitragliatrici pesanti DshK. Al momento, 24 dicembre, i combattimenti sono ancora in corso.

Sempre nel pomeriggio del 24 dicembre (come ha comunicato Ronahi TV), una forte esplosione si è avvertita nella città di Manbij senza che al momento siano disponibili informazioni più precise.

Coincidenza. A diversi chilometri di distanza, in territorio turco, nella mattinata del 24 dicembre un'altra esplosione devastava (almeno una dozzina le vittime) la fabbrica di munizioni ZSR nel quartiere di Kavakli (distretto di Karesi, ovest della Turchia). “Curiosamente – ironizzava una fonte curda – stavolta le autorità turche non accusano la guerriglia curda”.

Nel Cantone di al-Jazira, l'amministrazione di al-Hasakah ha indetto una marcia di sostegno ai combattenti delle SDF che si stanno sacrificando per arrestare l'occupazione turca del nord-est della Siria.

Partita dal quartiere di Tal Hajar, ha visto la partecipazione di migliaia di rappresentanti curdi, arabi, assiri, armeni... Oltre a molti esponenti politici e della società civile.

Inalberando le bandiere delle SDF, dell'AADNES e della rivoluzione siriana, hanno lanciato slogan quali “L'unità delle diverse componenti garantisce la stabilità”, “No all'occupazione turca”, “Le SDF sono la nostra forza”, “Viva la fratellanza tra i popoli”, “Viva l'unità del popolo curdo”, “Viva la resistenza di Rojava”.

Stessi concetti espressi in molti striscioni e cartelli.

Dopo aver osservato un minuto di silenzio per i caduti, era intervenuto Aldar Khalil, membro della Co-Presidenza del PYD.

Appellandosi alla “democrazia in Siria e al rispetto di tutte le componenti della società”.

Chiedendo a tutti di “lavorare uniti per costruire una Siria democratica” e ricordando che le SDF “non sono soltanto una forza militare, ma una forza di protezione che rappresenta la volontà dei popoli del nord e dell'est della Siria”.

E ribadendo che se la regione è diventata un “simbolo, un modello di ordine democratico e di fratellanza tra i popoli” gran parte del merito spetta al ruolo di pioniere delle donne.

A inasprire ulteriormente i rapporti tra gli invasori filo-turchi e le tribù arabe (su cui forse Erdogan contava per dividere l'amministrazione autonoma), è intervenuto un ulteriore fatto esecrabile. Un miliziano della divisione al-Hamza (Al-Amshat, sotto comando turco) ha rapito e violentato una bambina di sette anni a Manbij scatenando al furiosa, legittima reazione della tribù Al-Bubna (si parla di scontri con vittime ancora in cordo tra i tribali e le SNA). Si tratta dell'ennesimo crimine di guerra e contro l'umanità opera dei mercenari jihadisti che colpiscono di preferenza la popolazione civile.

Intanto a Damasco, oltre ai negoziati (scontati) tra la Turchia e gli islamisti, vengono segnalate le trattative tra alcune potenze occidentali e Hayat Tahrir al-Sham, i nuovi detentori del potere in Siria.

Gianni Sartori

*nota 1

CNSK: Amis du Peuple Kurde en Alsace – Amitiés Kurdes de Bretagne – Amitiés Kurdes de Lyon Rhône Alpes – Amitiés Kurdes de Vendée – Association Iséroise des Amis des Kurdes – Association France Kurdistan – CADTM : Comité pour l’abolition des dettes illégitimes -Conseil Démocratique Kurde en France – Ensemble – Mouvement Jeunes Communistes de France – Mouvement de la Paix – Mouvement des Femmes Kurdes en France – Mouvement contre le Racisme et pour l’Amitié́ entre les Peuples – Nouveau Parti Anticapitaliste – Parti Communiste Français – Union Communiste Libertaire – Union Syndicale Solidaires – Solidarité et Liberté Provence

Gianni Sartori - 24/12/2024 - 21:50




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