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El pianista del gueto de Varsovia

Jorge Drexler
Langue: espagnol


Jorge Drexler

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Letra y música: Jorge Drexler
Testo e musica: Jorge Drexler

Basado en el relato autobiográfico "El Pianista del Gueto de Varsovia" de Władysław Szpilman

Basato sul racconto autobiografico "Il pianista del ghetto di Varsavia" di Władysław Szpilman. Dal libro è stato, come noto, tratto un pluripremiato film di Roman Polański.

pns


Il pianista
di Roman Polański

Durata: 148'
Wladyslaw Szpilman: Adrien Brody
Capitano Wilm Hosenfeld: Thomas Kretschman
Padre: Frank Finlay
Madre: Maureen Lipman
Dorota: Emilia Fox

Władysław Szpilman.
Władysław Szpilman.
E’ facile capire cosa deve aver convinto Polański, nell’opera autobiografica di Szpilman (1911-2000), ad affrontare il lutto inevitabile per ogni ebreo polacco, l’olocausto nella Varsavia bellica. Sicuramente la lettura ha conquistato il regista mostrandogli la possibilità di raccontare la tragedia personale di un artista ebreo (il più grande pianista polacco dell’epoca), inserendola nel più ampio contesto della tragedia universale dell’olocausto.
Il punto di vista particolare di Szpilman, che resiste agli incubi e alle privazioni più terribili , anche con la forza della sua arte, deve aver richiamato al regista assonanze e memorie della propria biografia. La scrittura essenziale, asciutta, priva di una qualsiasi compiacenza sentimentalista ha vinto poi definitivamente la reticenza del regista, che in passato aveva rifiutato la direzione di Schindler’s List.
Nella prima parte la pellicola costruisce mirabilmente la nascita dell’orrore, mostrando i piccoli cambiamenti quotidiani imposti alla vita della comunità ebrea di Varsavia.
Questa parte è la migliore della pellicola. Procedendo per episodi, mostra diversi aspetti non ancora analizzati dai film sull’olocausto. Pone l’accento sulla sottovalutazione del pericolo da parte della popolazione polacca, ed ebrea in particolare, che credeva fermamente in una più pronta risposta del mondo civile, e non poteva prevedere l’escalation di mostruosità inumane alle quali sarebbero arrivati gli occupanti tedeschi.
Il bravissimo protagonista Adrien Brody, con una perenne espressione attonita, vaga per le strade di una Varsavia mirabilmente ricostruita e ottimamente fotografata dalla luce livida dell’operatore Pawel Edelman. Assiste come spettatore alla costruzione dei muri e degli steccati che rinchiuderanno la popolazione ebrea nel ghetto. L’umiliazione delle persone è costruita giorno per giorno, privandole delle necessità fondamentali.
Gli inumani pestaggi, le esecuzioni casuali, imprevedibili, hanno il potere di cambiare la natura di Szpilman. L’agiato borghese dovrà attraversare l’assuefazione al dolore, la perdita dei propri cari e della propria dignità, lasciandosi guidare dall’istinto animale della pura sopravvivenza. La forma della narrazione, sobria, chirurgica, riesce a far percorrere allo spettatore lo stesso percorso esistenziale del protagonista. Il regista è molto attento a non compiacersi della propria abilità narrativa, allontana il proprio punto di vista dal racconto, rinunciando a qualsiasi sottolineatura retorica. L’occhio della macchina da presa coincide con quello del protagonista, sopraffatto, inerme davanti ad un orrore inimmaginabile, assurdo.
Poi la pellicola si perde, si sfilaccia. Polański chiude il protagonista, come un insetto di memoria kafkiana, dentro le rovine di Varsavia.
Adrien Brody in una scena del film.
Adrien Brody in una scena del film.
Si sofferma troppo tempo su sottolineature di concetti chiari da subito. La ripetizione, ormai meccanica, degli orrori quotidiani non giova all’economia della pellicola che perde in spessore emotivo. Quando arriva l’incontro metaforico, salvifico, con il capitano tedesco il pathos si è esaurito. Avrebbe fatto bene il regista ad accorciare la pellicola mantenendo la saltellante, episodica, scarna, narrazione iniziale. L’opera pare inseguire invece una forma più tradizionale e composta. Il lungometraggio si risolleva solo in tre momentanei colpi d’ala dell’autore. Il guizzo surrealista nel riprendere il protagonista alle prese con un barattolo di cetrioli, lo stupefacente dolly che alzandosi scavalca il muro mostrandoci il protagonista isolato in mezzo alla disperazione delle rovine di Varsavia e dell’ umanità, l’interpretazione pianistica di Szpilman davanti all’ufficiale tedesco, dapprima esitante, poi impetuosa e rigenerante. Una metafora fin troppo chiara del potere dell’arte, unica via di salvezza (in questo caso anche reale) dagli orrori delle mostruosità nascoste nell’animo umano.
Nonostante questi momenti di grande cinema, la pellicola non convince appieno, pone dubbi sul comportamento di una giuria (quella del Festival di Cannes che lo ha premiato con la Palma d’oro) miope nella sua voglia di riscoperta del racconto tradizionale, di un cinema, di fine fattura artigianale, ma conservatore e rassicurante.

Paolo Bronzetti
Centraldocinema
Dos generaciones menos
dos generaciones más
Fechas, tan sólo fechas
Yo estoy aquí, tu estabas allá

El pico y la pala, el hielo en los dedos
te estás jugando las manos...
El mundo se muere y tu sigues vivo
porque recuerdas tu piano
Compás por compás, en el frío del gueto
vas repasando el nocturno en Do Sostenido Menor
de Chopin en tu memoria
Si fueras tu nieto y yo fuera mi abuelo
quizás, tú contarías mi historia

Yo tengo tus mismas manos
Yo tengo tu misma historia
Yo pude haber sido el pianista del gueto de Varsovia

Dos generaciones menos,
dos generaciones más
Fechas, tan sólo fechas
Yo estoy aquí, tu estabas allá

Y el mundo no aprende nada, es analfabeto
y hoy suena tu piano, solo que en otros guetos
Si yo estoy afuera y tu estabas adentro
fue sólo cuestión de lugar y de momento

Yo tengo tus mismas manos
Yo tengo tu misma historia
Yo pude haber sido el pianista del gueto de Varsovia

Dos generaciones menos
dos generaciones más
Fechas, tan sólo fechas
Yo estoy aquí, tu estabas allá.

envoyé par Riccardo Venturi - 9/1/2007 - 21:46



Langue: italien

Versione italiana di Leo.

Vedo che non c'è traduzione di quest'altro pezzo meraviglioso di Drexler, ecco la mia versione.

Non ho capito se con lingua di arrivo devo mettere la lingua in cui traduco il testo o la lingua in cui è scritto il testo originale...

La lingua di arrivo è sempre quella in cui si traduce (a proposito: attento agli spagnolismi, in italiano si traduce in mentre in spagnolo si traduce a). Grazie per questo tuo prezioso contributo...con la speranza di averne altri!

PS. In ogni traduzione deve essere messo il titolo tradotto, in maiuscole; qui l'ho aggiunto io. [RV]
IL PIANISTA DEL GHETTO DI VARSAVIA

Due generazioni in meno
Due generazioni in più
Date, semplicemente date
io sono qui, te eri là

La pala e il piccone, il ghiaccio nei diti
ti stai giocando le mani...
Il mondo sta morendo e te ancora vivo
perché ricordi il tuo piano
tempo dopo tempo, nel freddo ghetto
ripassi il notturno in do diesis minore
di Chopin nella tua memoria
Se tu fossi tuo nipote ed io fossi mio nonno
chissà, racconteresti tu la mia storia

Io ho le tue stesse mani
io ho la tua stessa storia
Potrei essere stato il pianista del ghetto di Varsavia

Due generazioni in meno
Due generazioni in più
Date, semplicemente date
io sono qui, te eri là

Il mondo non impara niente, è analfabeta
suona oggi il tuo piano, solo che in altri ghetti
Se io son fuori e te, te eri dentro
è stata solo una questione di posto, e di momento

Io ho le tue stesse mani
io ho la tua stessa storia
Potrei essere stato il pianista del ghetto di Varsavia

Due generazioni in meno
Due generazioni in più
Date, semplicemente date
io sono qui, te eri là.

envoyé par http://Justleoo.blogspot.com - 10/4/2009 - 02:15




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