Langue   

Barry Horne

Inner Terrestrials
Langue: anglais


Inner Terrestrials

Liste des versions


Peut vous intéresser aussi...

The Bull Fights Back
(Chumbawamba)
Il mio nome è nessuno
(ResistenzaLibera)
Rivolta al raggio 3
(Mario Buffa Moncalvo)


(2003)

Album: X

15 anni fa moriva il compagno anarchico antispecista Barry Horne a causa di alcuni scioperi della fame (in carcere) contro la vivisezione
anni prima aveva partecipato a iniziativa londinesi di sostegno ai prigionieri repubblicani, in particolare nel 1981

un ricordo...

Morto in carcere l'animalista Barry Horne
In memoria di Barry Horne


Ancora una volta "ingiustizia è fatta": lo sfruttamento e l'oppressione di esseri senzienti può continuare indisturbato.
Barry Horne
Mi ero occupato varie volte del caso Barry Horne, militante animalista detenuto nelle carceri inglesi. Come movimento U.N.A. (Uomo-Natura_Animali) avevamo espresso pubblicamente solidarietà alla sua lotta, portata avanti in prima persona con vari scioperi della fame, uno dei quali nel 1998 era durato ben 68 giorni.

Con la sua protesta Barry chiedeva la fine immediata di ogni pratica vivisezionista praticata dall'industria dei cosmetici, così come i laburisti avevano promesso (ma non mantenuto) in campagna elettorale. Chiedeva anche l'istituzione di una "Royal Commission" che affrontasse seriamente ogni aspetto della vivisezione, moderna forma di tortura considerata inaffidabile da un sempre maggiore numero di medici e ricercatori, ma indispensabile per garantire i profitti delle multinazionali.

Era stato condannato a diciotto anni di carcere per azioni dirette in difesa dei diritti degli animali ovunque sottoposti ad incredibili sofferenze: esseri che non possono scrivere appelli per far valere le proprie ragioni o ribellarsi al dominio dell'uomo. Barry Horne era colpevole di un crimine che ha soltanto un nome: compassione, un sentimento ormai inammissibile in un sistema basato sullo sfruttamento e sull'oppressione di esseri umani, di animali e della natura.

Le sue condizioni di salute erano alquanto peggiorate in seguito al lungo sciopero della fame. I danni sugli organi vitali erano stati da subito evidenti. Gli era stata negata la possibilità di un adeguato ricovero ospedaliero e non era stata modificata la sua categoria A, ossia di prigioniero considerato "pericoloso e violento", anche se un diverso trattamento detentivo avrebbe potuto aiutarlo a migliorare le sua situazione psicofisica.

Nel dicembre di due anni fa c'era stata la possibilità di una revisione della sua situazione carceraria e avevamo intrapreso una campagna di sensibilizzazione in suo favore. Dicevamo allora: "Se la sua categoria di prigioniero non verrà modificata ora se ne riparlerà soltanto fra un anno. Sempre che per allora esista ancora un prigioniero di nome Barry Horne." In questi giorni il generoso esponente del movimento animalista, un ex spazzino" di 49 anni diventato un simbolo della lotta per i diritti degli animali, è morto in seguito ai danni subiti con gli scioperi della fame (l'ultimo risaliva a quest'anno, come protesta contro gli indiscriminati olocausti per l'epidemia di afta) e per la mancanza di cure e assistenza. Vorrei ricordarlo di fronte all'indifferenza di chi si ostina a non vedere i veri e propri campi di sterminio (laboratori, macelli, allevamenti...) che la "razza padrona" ha costruito e dove i nostri fratelli animali vivono e muoiono nel terrore.

Gianni Sartori
Da "Umanità Nova" n.40 del 18 novembre 2001
Though they broke your heart they never broke your will
Your script stayed strong through the years you were ill
They caged you like the animals and tortured you but still
They could never hurt what cannot be killed

Though the mortal life of a true freedom fighter's gone
Barry Horne, Barry Horne your memory lives on
Through the broken dreams and all the years of pain
Barry Horne, Barry Horne your death was not in vain

A man laid down his life for those who can't defend themselves
Born into a nightmare their lives a living hell
But some people think it's wrong to put profit before life
Some people think it's wrong to be born under the knife

Though the mortal life of a true freedom fighter's gone
Barry Horne, Barry Horne your memory lives on
Through the broken dreams and all the years of pain
Barry Horne, Barry Horne your death was not in vain

Their example has failed, your death helps us unite
There's many who were sleeping who are now awake to fight
That a man died for the animals to teach the world their plight
He made the masses wonder if this terrorist was right

envoyé par Gianni Sartori - 23/3/2016 - 22:43


LO STERMINIO DEGLI ANIMALI PROSEGUE, OVUNQUE E INESORABILMENTE…USQUE TANDEM?




Gianni Sartori


Difficile di questi tempi (con tutte le problematiche che ben conosciamo: guerre in primis) parlare anche del tragico destino di milioni, miliardi di animali. Fucilati, avvelenati, macellati… o comunque massacrati, sterminati dalle innumerevoli modalità che l’inventiva dei sapiens (se non proprio di tutti i sapiens, almeno di una parte cospicua) ha ideato. Nella realistica prospettiva - alla fine della storia - di rimanersene da soli su questo pianeta. Accucciati su montagne di cadaveri, carogne maleodoranti, ossa sbiancate…tra discariche impianti fatiscenti....a contare i sudati risparmi probabilmente.
Anche se ormai - per ragioni anagrafiche - non è più un problema mio, non posso non pensare a figli e nipoti (non solo ai miei naturalmente). A cosa lasciamo loro in eredità.

Difficile anche perché ormai i responsabili hanno imparato il giochino dello scarica barile. In sintesi (ma ovviamente poi la tecnica è più elaborata) per i cacciatori è sempre e solo colpa dei pesticidi sparsi dagli agricoltori (e viceversa), mentre per gli allevatori è d’obbligo sentirsi porre la retorica domanda “Ma non pensate alle povere bestie uccise dalla caccia?”.

Esiste poi anche la variante inversa adottata da qualche cacciatore che “ha studiato” parlando di quella che loro chiamano “selvaggina”: “Sarà sempre meglio vivere libero e poi morire per una fucilata che vivere segregati in un allevamento…”.

E via così con tutte le variabili banalità possibili. Oltre naturalmente al classico “Ma prima bisogna pensare ai bambini che muoiono di fame in Africa”. Come ci disse uno mentre distribuivamo volantini contro gli allevamenti lager. Sentendosi peraltro rispondere che “ma ci avevano detto che occuparsi dei bambini stasera toccava a lei…”. Tra l'altro in quel periodo (anni ottanta) eravamo quasi quotidianamente sul "piede di guerra" (con la Lega per i diritti dei popoli) sulla questione dell'apartheid sudafricano, ma questo il nostro interlocutore non poteva saperlo.

Cosa si annida nella mente più o meno anestetizzata di tanta gente? Ipocrisia, malafede, falsa coscienza…? Fate voi.

Per quanto riguarda l’Italia, l’ultima stagione venatoria (conclusa il 30 gennaio, un giorno prima in quanto il 31 cadeva di martedì) avrebbe comportato l’uccisione di circa 400 milioni gli animali (numero elaborato “sulla base dei carnieri giornalieri e stagionali previsti per ogni specie e per ogni cacciatore nei calendari venatori”). Ferme restando le preoccupazioni relative ai prolungamenti previsti nelle singole regioni e ai nuovi provvedimenti presi dal governo Meloni (vedi il Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica che dovrebbe diventare operativo entro qualche mese).


Su questo non le manda certo a dire l’esponente della Lav Animali Selvatici Massimo Vitturi: “Quello che si sta materializzando di fronte ai nostri occhi in questi mesi è un futuro nel quale non esisterà più la stagione di caccia come l’abbiamo conosciuta fino a oggi, soppiantata da un regime di caccia permanente nel quale gli animali selvatici saranno considerati solo un ingombrante orpello allo sfruttamento intensivo del territorio piegato all’esclusivo soddisfacimento degli interessi umani».



Ma intanto, ci informa Valentina Milani, le cose non vanno certo meglio in Namibia dove non si arresta nemmeno la strage di rinoceronti per mano dei bracconieri. Ben 87 accertati nel 2022 (praticamente il doppio rispetto al 2021), la maggior parte nel parco di Etosha. Se il numero dei selvatici ammazzati in Zimbabwe sembra essere in diminuzione, non vanno bene le cose per i pangolini in Botswana. La loro specie, insieme a elefanti e rinoceronti, sarebbe quella più ambita dalle bande organizzate di bracconieri.

Un incremento per cui, statisticamente, nel solo Sudafrica un rinoceronte viene abbattuto (soprattutto per il corno, due in quelli africani, ritenuto - a scelta - un medicinale, un afrodisiaco o un oggetto prezioso) mediamente ogni dieci ore, un elefante ogni quarto d’ora.

L’ecocidio di questi ultimi è stato particolarmente intenso in Tanzania e Repubblica democratica del Congo.

Oltre che come ingrediente per la medicina tradizionale (vedi le squame dei pangolini ridotte in polvere), i corpi degli animali selvatici abbattuti vengono venduti localmente in quanto cibo (in particolare le scimmie, gorilla compresi, ma anche serpenti, tartarughe etc). Oppure, se catturati vivi, come animali esotici per collezionisti (soprattutto per l’estero). Scontato l’utilizzo delle zanne d’avorio per oggettistica e altro.

Sempre dalla Namibia, in controtendenza, ci sarebbe qualche miglioramento di prospettiva per la sopravvivenza dei ghepardi, finora presi - letteralmente - di mira dagli allevatori che negli ultimi cinquant’anni ne avrebbero uccisi oltre diecimila. Come per il lupo in Europa, si è pensato di ricorrere ai cani da pastore “di razze turche, di grandi dimensioni e dal forte istinto protettivo” come spiegava Claudia Volonterio.

Rimane tuttavia dolorosamente aperto il problema del bracconaggio, sia per la pelliccia che per la cattura dei piccoli vivi (ma questo, come per i gorilla, implica in genere l’abbattimento della madre) per rivenderli agli emiri (costo previsto: ventimila dollari).

Per non parlare dell’irrisolto e sempre più grave problema (non solo per i ghepardi) della perdita di habitat a causa dell’espansione di centri abitati, strade, allevamenti, piantagioni…

Altro problema cronico, l’uso di pesticidi e fitofarmaci (talvolta un eufemismo per veleni) in agricoltura. Problema che in alcune aree si è andato accentuando in maniera esponenziale.

Vedi certe regioni nel sud-ovest della Russia (Stravropol, Rostov, Kransnodar, Orel…) forse anche a causa della guerra in Ucraina.

Ne ha parlato Vladimir Rozanskij denunciando che dal novembre scorso “decine di migliaia di animali selvatici sono rimasti vittime di pesticidi agricoli proibiti”.


Presumibilmente si diceva un possibile effetto collaterale del conflitto per cui -giustificandosi con una situazione di emergenza - i contadini avrebbero utilizzato ancora più spregiudicatamente sostanze ufficialmente proibite. Versandole a tonnellate nei campi.



Risultato: le desolate campagne costellate di centinaia di cadaveri di gabbiani, volpi, lepri, tassi, pernici, lupi, topi, anatre, fagiani, civette, gufi e cicogne (in diversi casi si trattava di uccelli migratori in transito). Alcuni animali vittime direttamente delle sostanze nocive, altri (volpi, rapaci notturni, sciacalli…) per essersi nutriti dei cadaveri avvelenati.
E’ anche possibile che qualcuno abbia approfittato della situazione per distribuire bocconi avvelenati (di quelli usati contro i topi) come sembrerebbe confermato dalla presenza di sangue intorno a molti cadaveri di mammiferi.



Spettacolo particolarmente apocalittico quello intorno al lago di Solenyi e in periferia di Donskaja Balka con centinaia di esemplari agonizzanti di un raro esemplare di gabbiano, volatili che si erano fermati per riposare mentre si dirigevano a svernare sulle rive del mar Rosso.


Tra le vittime più notevoli (in quanto rarissimi ) la tadorna ferruginea e il fagiano caucasico settentrionale.




Quasi un presagio di futuri lugubri scenari quello che è avvenuto a Krasnodar dove l’abitazione del governatore del Kuban, in una via centrale della città, è stata letteralmente ricoperta da decine di cadaveri di corvi imperiali. Qui giunti a morire e forse a lanciare un monito per la futura umanità.




Gianni Sartori

Gianni Sartori - 6/2/2023 - 16:05


INDIA, PAESE IMMENSO TRA MILLE CONTRADDIZIONI
Tra discutibili detenzioni di dissidenti, tardive rimesse in libertà e attacchi alle politiche protezionistiche della fauna selvatica.

Gianni Sartori

Cominciamo con la notizia dell’avvenuta liberazione, il 7 marzo,del professore di inglese dell’Università di Delhi Gokarakonda Naga Saibaba. Rinchiuso nel carcere di Nagpur dal 2017, ne è finalmente uscito dopo che l’Alta Corte di Bombay ha annullato la precedente condanna. Ritenendo evidentemente inconsistenti (“non motivate”) le accuse nei suoi confronti di “cospirazione” per i presunti legami con il Partito comunista dell’India-maoista (clandestino).

Condannato da un tribunale del distretto di Gadchiroli (Maharashtra), aveva già scontato due anni tra il 2014 e il 2016. Nuovamente uscito dal carcere, si diceva, ma in sedia a rotelle. A causa del suo stato di salute, peril momento non ha lasciato dichiarazioni ai giornalisti che lo attendevano fuori dalla prigione. Riservandosi di parlare soltanto dopo adeguati trattamenti sanitari.

La sua vicenda detentiva risulta alquanto travagliata. Se non proprio un calvario, perlomeno un’odissea.

Per esempio il 14 ottobre del 2022 l’Alta Corte di Bombay ne decretava il rilascio, ma nemmeno 24 ore dopo la Corte suprema sospendeva l’ordinanza. Rigettando anche la richiesta di arresti domiciliari per ragioni di salute (nonostante venisse qualificato come handicappato fisico al 90%, si muovesse in sedia a rotelle e avesse contratto per due volte il Covid-19).

Insieme a lui nel 2017 erano state condannate all’ergastolo, in base alla legge sulla prevenzione delle attività illegali- (UAPA), altre cinque persone (tra cui Mahesh Tirki, Prashant Rahi, Hem Mishra e Pandu Narote, in seguito decedute durante la detenzione).

Per protesta contro il rifiuto da parte della direzione del carcere di consentirgli di accedere a cure essenziali, il 21 ottobre 2020 Saibaba era entrato sciopero della fame. Contestando inoltre la proibizione di consultare libri e lettere dei familiari.

Decretandone la rimessa in libertà, l’Alta Corte ha voluto specificare che alcuni documenti e dati elettronici dei condannati ne suggerivano al massimo la natura di semplici “simpatizzanti della filosofia maoista”.

Con buona pace digli altri imputati che nel frattempo hanno perso la vita dietro le sbarre.



Altra questione quella dell’intervento dell'arcivescovo maggiore siro-malabarese Raphael Thattil in merito al presunto aumento di “attacchi di animali selvatici” a causa dei quali alcune persone hanno perso la vita .

Un vero e proprio atto d’accusa contro alcuni provvedimenti protezionistici governativi in quanto espressione di “un approccio al problema che non dà valore alla vita umana rispetto a quella animale”.

Senza peraltro specificare quando “l’attacco” provenisse inizialmente da cacciatori - o bracconieri che dir si voglia (pratica alquanto diffusa, in particolare ai danni di elefanti, rinoceronti e tigri).

Tra i casi denunciati, due episodi accaduti il 5 marzo nel Kerala (rispettivamente a Thrissur e Kozhikode) dove una donna sarebbe morta calpestata da un grosso animale (si presume un elefante) mentre un uomo sarebbe deceduto dopo essere stato incornato da un grosso bovino (definito dalle agenzie un “bisonte”, ma probabilmente un bufalo).

Il giorno prima un’altra donna veniva calpestata da un elefante a Kanjiraveli. Quasi contemporaneamente un branco di elefanti sarebbe entrato nell’abitazione di un responsabile della Athirappilly Plantation Corporation danneggiando la mobilia (addirittura!?!).


Altri episodi simili erano avvenuti nelle settimane precedenti a Wayanad, Idukki, Ernakulam e Thrissur.

Già in precedenza l’arcivescovo maggiore della Chiesa siro-malabarese Raphael Thattil aveva dichiarato che “ la perdita di vite umane a causa di attacchi di animali selvatici non può essere giustificata”.

Definendo le politiche governative a tutela di tigri e di elefanti (in via di estinzione, ricordo) “una vergogna per lo Stato”. Chiedendo non meglio precisati “piani speciali per garantire la sicurezza delle persone che vivono nelle aree collinari del Kerala”.

Stando ai dati a disposizione negli ultimi otto anni sarebbero circa 900 le persone che hanno perso la vita a causa degli animali selvatici. Senza però specificare quanti casi siano legati alla caccia, ossia alla razione difensiva dell’animale. La maggior parte dei casi sono localizzati in aree boschive o in prossimità di recenti insediamenti che vengono a invadere ulteriormente i residui territori meno antropizzati dove gli animali superstiti trovano rifugio. Per non parlare delle multinazionali, delle politiche estrattive etc che deturpano e degradano definitivamente le aree naturali.

Tanto per fare un confronto nello stesso periodo in India si sono verificati oltre 900mila decessi per incidenti stradali.

Calcolando una media di 110mila all’anno (ma nel 2022 erano stati 170mila e ben 212mila nel 2020).

Anche se nella critica alla “colpevole” politica governativa di salvaguardia e protezione per la fauna selvatica colgo un sottinteso (la richiesta neanche tanto velata di sistematici abbattimenti preventivi), non intendo qui discutere la buona fede dell’arcivescovo e la sua sincera preoccupazione per la vita umana. Tantomeno riaprire una sterile contrapposizione tra “antropocentrico” e “antispecismo” (“animalismo”?).

Dico soltanto che forse l’alto prelato dovrebbe prima interrogarsi - e preoccuparsi - su altre questioni che rendono incerta, precaria - talvolta indegna - la vita quotidiana della popolazione. Questioni legate allo sfruttamento, all’inquinamento, all’oppressione (vedi dalit e adivasi, ma non solo). O magari alla condizione femminile…

Del resto, di che si preoccupa sua eminenza?

In India c’è già chi si impegna - fin troppo - in oggettiva sintonia con le sue richieste. Bande organizzate di bracconieri che imperversano sterminando quanto sopravvive nelle residue foreste indiane.

Da qualche anno, per esempio, è in atto un’autentica strage di elefanti selvatici. Sia con le classiche fucilate, sia utilizzando recinti elettrificati in cui imprigionarli prima di abbatterli. Ancora peggiore poi la situazione del Rhinoceros unicornis. Non solamente per il bracconaggio, ma in quanto più sensibile ai cambiamenti climatici.


Quanto alle tigri (di cui la caccia venne proibita in India nel 1972) ormai ne sopravvivono più in cattività che in libertà. In India (di fronte a oltre 1,4 miliardi di umani) circa tremila esemplari del maestoso felino (4500 sull’intero pianeta secondo il WWF). Teoricamente il doppio rispetto a quindici anni fa (grazie alle politiche governative di tutela), ma ben poca cosa se pensiamo che ancora un secolo fa (dopo le stragi di decine di migliaia dell’800) ne rimanevano ancora circa 100mila.*

A determinarne il declino, oltre alla caccia, l’esponenziale perdita di habitat conseguenza dell'intensificarsi della deforestazione. Per l’estendersi di coltivazioni, infrastrutture, metropoli. Oltre alla generale, devastante espansione - metastasi ? -delle attività estrattive e industriali.

E’ questo il pianeta che vogliamo? Un mondo totalmente antropizzato dove a nessuna creatura sia ancora consentito vivere allo stato brado? Non è che semplicemente stiamo segando il ramo su cui siamo accovacciati?

Gianni Sartori





*Nota 1:

Come scrivevo in “epoca non sospetta” (febbraio 2011):

“Confrontando una carta tematica sulla densità della popolazione in Indonesia (Le Monde diplomatique, novembre 2010) e una carta dell’Asia sulla diffusione della tigre (Ouest France, 28 novembre 2010), salta agli occhi un particolare inquietante. Delle tre sottospecie estinte, due vivevano in Indonesia.
La tigre di Giava è scomparsa da 30-40 anni, mentre quella di Bali, la più piccola delle tigri, circa 70 anni fa. Le due aree dell’Indonesia più abitate sono appunto le isole di Giava (su cui vive due terzi della popolazione del paese) e di Bali con oltre 500 abitanti per Kmq. Dove la densità è minore, come a Sumatra (da 30 a 100 per Kmq) e nel Borneo (diviso tra Indonesia e Malesia, meno di 30 per Kmq) qualche tigre riesce ancora a sopravvivere. A Sumatra ne rimangono in libertà circa 400 esemplari, mentre le tigri della Malesia (in realtà del Borneo) superstiti sarebbero tra 200 e 400. Altrove le cose non vanno meglio per il maestoso felino. Per esempio, nella regione del Grande Mekong gli esemplari di Panthera tigris sono circa 350. Dieci anni fa erano quattro volte di più.
Si calcola che agli inizi del 1900 vivessero in libertà più di 100mila esemplari. Oggi, dopo un secolo, arrivano a malapena a 3200. Un convegno internazionale ha riunito a San Pietroburgo, dal 21 al 24 novembre 2010, tredici nazioni che ancora ne ospitano: Russia, Thailandia, Vietnam, Bangladesh, Bhutan, Birmania, Cambogia, India, Cina, Laos, Indonesia, Nepal e Malesia. Qualche altro esemplare potrebbe sopravvivere nella fascia smilitarizzata tra le due Coree. La speranza del Global Tiger Recovery Program è di raddoppiare il numero delle tigri entro il 2022. Due le priorità: proteggere l’ambiente (ormai ridotto al 7% di quello originario ed estremamente frammentato) e combattere il bracconaggio. L’associazione Wildlife Conservation Society ha individuato 42 siti dove ancora l’animale si riproduce. La maggior parte in India, Sumatra e nell’Est della Russia. Una delle sei sottospecie, la tigre siberiana, negli anni sessanta era ridotta a 80-100 esemplari. Dopo il 1989 la situazione rischiava di precipitare. Alcune agenzie turistiche organizzavano battute di caccia dagli elicotteri per miliardari e ricchi mafiosi. Attualmente, grazie ad una severa politica protezionistica, le tigri siberiane in libertà sarebbero quasi 500. Chiamata anche “tigre dell’Amur” (dal nome del fiume presso cui vive), è il più grande felino esistente. Il maschio misura più di tre metri di lunghezza e pesa 300 kg. In Cina la tigre non sarebbe più stata avvistata da esperti e studiosi da almeno 30 anni. Si calcola che ne restino in circolazione meno di una cinquantina. Con ogni probabilità sarà la prossima a sparire.
Brutti pronostici anche per le tigri dell’India, vittime del 54% degli atti di bracconaggio per rifornire i consumatori cinesi della medicina tradizionale. Sviluppo industriale, costruzione di dighe e apertura di miniere hanno prodotto effetti devastanti. Le 40mila tigri ancora presenti nel 1947, si erano ridotte a 3700 nel 2002. Oggi in tutta l’India non sarebbero più di 1500. La tigre del Caspio è la terza sottospecie già estinta. Dal pelame chiaro (come la siberiana, ma più piccola), la più occidentale delle tigri è scomparsa versoio 1970. Per sempre.


Gianni Sartori (su “A, Rivista anarchica n. 359, febbraio 2011)

Gianni Sartori - 8/3/2024 - 13:07


Avete ancora intenzione di festeggiare la santa Pasqua con la tavola imbandita del “tradizionale” agnello arrosto? Siete ancora in tempo per ripensarci!
PASQUA: BASTA CON LA STRAGE DEGLI INNOCENTI

Gianni Sartori

Rovistando nel mio caotico archivio (deposito pluridecennale - dal ’68 più o meno - di impegno civile a favore delle più disparate - e spesso disperate -“cause perse”) ho ripescato un volantino dell’aprile 1999 distribuito davanti alle chiese vicentine, Santuario di Monte Berico e Cattedrale compresi, prima delle funzioni liturgiche serali del Giovedì santo.

Volantino poi riciclato e riproposto negli anni successivi e - purtroppo - tragicamente ancora attuale.

Firmato Movimento UNA (Uomo Natura Animali, l’associazione fondata da Ebe Dalle Fabbriche di cui avevamo costituito una delegazione vicentina) e con un titolo lapidario:

“PASQUA FESTA DI GIOIA? NO!

Festa di morte

PER MILIONI DI AGNELLI

sgozzati dopo pochi giorni di vita”

Con in aggiunta un’immagine tratta da Dylan Dog (notoriamente vegetariano e animalista) in cui viene colto sul fatto un macellaio intento a sgozzare agnellini piangenti.

Il volantino venne consegnato con gli auguri di Pasqua anche a Nonis - il vescovo dell’epoca - che mostrò di apprezzarlo.

Ovviamente la cosa suscitò un certo scalpore e non mancarono critiche e contestazioni (per esempio l'immagine veniva definita "troppo truculenta").
Ragion per cui nei giorni successivi rispondemmo con un comunicato:

“Abbiamo voluto protestare contro la tradizione che ogni anno provoca la barbara uccisione di milioni di agnellini appena nati. Fermiamo questa strage degli innocenti: aiutiamo la vita! Il rifiuto della crudeltà verso gli uomini e di quella rivolta contro gli animali non sono antitetiche perché la compassione non ha frontiere di specie”.

Del resto non era la prima volta che dovevamo “difenderci” dall’accusa di pensare più agli animali che agli umani (e questo nonostante anni di militanza in favore di minoranze, popoli oppressi, soggetti marginali etc.).

Tempo prima addirittura in polemica con Almodovar, contestato al festival di Taormina per aver inserito immagini cruente della corrida in un suo film. Il noto regista accusava appunto gli animalisti di non occuparsi della devastazioni e dei massacri che insanguinano il mondo, citando in particolare l’oppressione subita dai Curdi. Rispondemmo che da parte nostra non sapevamo “quale sia stato finora l’impegno di Almodovar nei confronti del popolo curdo: conosciamo invece il nostro e quello di tanti animalisti e antispecisti in difesa anche dei Diritti Umani oltre che di quelli degli animali, nella profonda convinzione che le due questioni sono complementari” (…). Abbiamo sempre pensato che le ingiustizie perpetrate dai potenti vanno combattute in quanto tali, chiunque fosse la vittima. Siamo convinti che l’indifferenza per le torture (e la corrida è sicuramente una forma di tortura) subite da un animale sia propedeutica all’accettazione di altre prevaricazioni esercitate sugli umani”.

Ricordando poi che lo stretto legame tra la violenza nei confronti degli animali e la violenza nei confronti degli individui e dei gruppi umani più deboli, era stata sottolineata da Edgar Kupfer-Kobeewitz, prigioniero a Dachau: “Penso che gli uomini saranno uccisi e torturati fino a quando gli animali saranno uccisi e torturati e che fino ad allora ci saranno le guerre, perché l’addestramento e il perfezionamento dell’uccidere deve essere fatto moralmente e tecnicamente su esseri più piccoli”.

Un concetto analogo veniva espresso da Margherite Yourcenar: “Ci sarebbero meno bambini martiri se ci fossero meno animali torturati, meno vagoni piombati che traportano alla morte le vittime di qualsiasi dittatura se non avessimo fatto l’abitudine ai furgoni dove gli animali agonizzano senza cibo e senz’acqua dirette al macello”.

Ormai da qualche settimana - e soprattutto in questi giorni pre-pasquali - decine di volontari (sia dell’ENPA che di altre associazioni) controllano, presidiano strade e caselli autostradali per intercettare i camion (provenienti in genere dall’Est) che trasportano migliaia di agnellini condannati. Controllando le innumerevoli inadempienze (il sovraffollamento, l’impossibilità di abbeverarsi…), sollecitando l’intervento delle forze dell’ordine, multando…Insomma, un granello di sabbia - per quanto minimo - nell’ingranaggio del mattatoio universale.

Ed è facilmente immaginabile quale sia la loro sofferenza, interiorizzata, somatizzata di fronte a tanto inutile dolore. Per non parlare dello stress, della mancanza di sonno…

Dobbiamo a loro se in futuro questa Valle di lacrime sarà - forse - un po’ meno infame. Grazie!

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 29/3/2024 - 20:26


LAGO DI FIMON: ANFIBI STERMINATI A MIGLIAIA DALLE BICICLETTE
Vittime dell’indifferenza, dell’edonismo consumista e dell’antropocentrismo
Gianni Sartori

A ormai dieci giorni dalla strage di rospi neometamorfosati maciullati a migliaia intorno al Lago di Fimon (4 maggio 2024) è possibile porre qualche considerazione di “carattere generale”?

Per andare oltre alla pur sacrosanta - ma sterile temo - indignazione.

Intanto sulla situazione del lago stesso, forse impropriamente definito “perla dei Berici”. In realtà, più che un laghetto in “stile alpino” andrebbe classificato come zona umida e proprio per questo altamente degna di ampia protezione. Invece negli ultimi anni, con la scusa della solita “valorizzazione” (?!?), ha subito interventi di antropizzazione quantomeno deleteri se non proprio devastanti. Come lo spostamento forzato (e la conseguente quasi definitiva scomparsa) del canneto dalle rive sottostanti Lapio a quelle sovrastate da Villabalzana. Oppure con la realizzazione di decine di avamposti per pescatori e la presenza di natanti di vario genere. Con i risultati che sappiamo. Sempre più rari gli avvistamenti di Tarabusino (Ixobrychus minutus, negli anni ottanta presente con oltre una ventina di coppie nidificanti), Pendolino (Remiz pendulinus) e Cannareccione (Acrocephalus arundinaceus). Magra consolazione quella di poterli ammirare nelle immagini delle tabelle didattiche.

A tale proposito riprendo, testualmente, questo articolo (“MA E’ IL LAGO DI FIMON O L’IDROSCALO?”) che avevo scritto per il bollettino del circolo socialdemocratico di Noventa Vicentina. In “epoca non sospetta”, nel luglio 2011, dopo un tragico episodio in cui aveva perso la vita per annegamento un turista in barca:

“Quando le conseguenze (gli “effetti collaterali”) delle nostre azioni ricadono sugli altri sarebbe forse il caso di fermarsi a riflettere. Il tragico episodio accaduto recentemente al lago di Fimon ripropone la questionedel rapporto con il mondo naturale nella società del consumismo e dello “spettacolo”.

Il Progetto “Riqualificazione ambientale del lago di Fimon”, fiore all’occhiello del Comune di Arcugnano e della provincia di Vicenza, si è rivelato una presa in giro che ha portato al totale “cambiamento d’uso” di questo luogo a pochi chilometri dalla città, rimasto relativamente integro fino a pochi anni fa.

Nel volume di Girardi e Mezzalira “Il lago e le valli di Fimon” (1991) si racconta il lago come uno spazio di eccezionale interesse ecologico e naturalistico per il paesaggio e la varietà della flora e della fauna, di grande importanza storica e paleontologica.

Per qualche motivo che possiamo soltanto immaginare si è voluto “valorizzare” questo territorio delicato. Oggi (2011) questo termine è diventato sinonimo di “stravolgimento”: da ambiente naturale di pregio a ambiente ricreativo e turistico a uso di velisti e pescatori.

I 32 box attrezzati per la pesca sportiva per gare singole e a coppie hanno proposto una monocoltura di tipo invasivo. Il canneto, trapiantato da ovest a est, è praticamente distrutto. Aprendo di fatto il lago alle escursioni di natanti di ogni genere, anche nelle ore notturne. La pesca praticata dai locali in passato aveva ben altra consapevolezza e frequenza.

Si è voluto entrare in questo angolo di Colli Berici come un elefante in una cristalleria, progettando interventi non compatibili con la biodiversità del luogo, trasformandolo in un qualsiasi idroscalo.

Tutti conosciamo la pericolosità delle sue acque scure, vere trappole per chi inavvertitamente vi scivola. Acque con cui non si dovrebbe scherzare, ma l’atmosfera da parco giochi, le bellezze in costume sdraiate sul pontile (quello per consentire la pesca ai disabili, in teoria), i bambini vocianti mentre intrappolano girini nelle bottiglie, possono ingannare sulla reale natura del luogo e confonderlo con una piscina.

Con questi interventi è stato incentivato un approccio superficiale, di facile consumo, senza responsabilità per le conseguenze.

Al momento, tarabusino e pendolino con ogni probabilità non nidificano più in questo ambiente. Altri uccelli non nidificanti ma presenti in passato, sembrano o quasi scomparsi (come lo smergo e lo svasso, già segnalati dalla Lipu) o comunque molto meno frequenti (come la folaga).

Se organismi internazionali affermano che la diminuzione del numero delle specie procede ad un ritmo mille volte più rapido che nel passato (la famosa “lista rossa” a rischio di estinzione), noi sappiamo che una delle cause più evidenti è la trasformazione degli habitat, legata alla crescita esorbitante delle attività umane, anche quelle del tempo “libero”.

Rinnovando quindi la preoccupazione per il futuro dei Colli Berici, intesi come ambiente naturale e non come oggetto di speculazione, anche se fatta in nome della “valorizzazione” dell’ambiente. La Natura si valorizza benissimo da sola.

(Gianni Sartori, luglio 2011)”

Quindi possiamo dire che - date le premesse elencate - sarebbe stata una facile profezia prevedere quanto è avvenuto il 4 maggio 2024.

Ovviamente poteva andare perfino peggio. All’epoca c’era chi proponeva, in nome di una malintesa “promozione turistica”, oltre alla realizzazione di altri chioschi e punti ristoro, quella di “giochi d’acqua” (scivoli, trampolini…confondendolo forse con il laghetto di Lavarone). Insomma, correva veramente il rischio di diventare l’equivalente vicentino dell’Idroscalo.

Detto questo andrebbe considerato anche un altro aspetto. Da qualche anno i Colli Berici sono diventati la location di eventi di vario genere (marce podistiche, gare ciclistiche…) e sui sentieri (spesso violentemente allargati con motoseghe e decespugliatori) sfrecciano bolidi di vario ordine e grado. Oltre alle moto (mai del tutto scomparse nonostante i divieti), biciclette di vario genere (magari elettriche - ancora più pesanti) che oltre a scavare il terreno (trasformando i sentieri in solchi più o meno profondi) schiacciano impietosamente salamandre, orbettini e altri piccoli animali (documentabile).

Generalmente in “modica quantità”, ma stavolta su scala industriale dato che si è infierito sulle inermi creature intente ad abbandonare il lago per migrare verso le zone boscose circostanti. Un fenomeno ricorrente (del tutto naturale, previsto e prevedibile) che purtroppo ha coinciso con una manifestazione ciclistica (autorizzata dalla Provincia). Tale evento avrebbe dovuto svolgersi domenica 5 maggio, ma è stata preceduta da un “sopraluogo” nella giornata di sabato. Per cui il 4 maggio le biciclette (in ricognizione sul percorso presumo) e i quod di supporto (ma si può ?!?) ne hanno fatto strage.

Nel comunicato - purtroppo intempestivo - di un gruppo ambientalista si legge che “la decisione della manifestazione ciclistica entra in contrasto con l'autorizzazione, fornita al contempo al gruppo SOS Anfibi Vicenza, per chiudere un tratto di strada circumlacuale al fine di effettuare interventi di salvataggio degli anfibi”. Soltanto l’encomiabile intervento in extremis delle Guardie Zoofile ENPA ha consentito la modifica del percorso della gara prevista per domenica 5 maggio. Evitando ulteriori uccisioni dei sospetti migranti. Tuttavia i volontari ENPA venivano allertati soltanto la sera prima, quando ormai un danno irreparabile era già avvenuto. Da segnalare l’assoluta mancanza di tempismo, oltre che di sensibilità, nel programmare tali eventi (di cui comunque non si sente la necessità). E’ questo il periodo dell’anno in cui - oltre all’uscita dal lago dei giovani anfibi - nidificano e nascono gli uccelli selvatici qui ancora presenti.

Fatte le debite proporzioni (le vittime erano in minor numero, ma trattandosi di adulti in fase riproduttiva il bilancio era stato almeno equiparabile) mi ha ricordato quanto accadde una quindicina di anni fa a Longare. Quando centinaia di rospi, scesi dai boschi circostanti, per raggiungere il canale Bisato dove potersi riprodurre, cominciarono ad attraversare la strada conosciuta come Riviera Berica.

Anche se in questo caso (una “tragica fatalità”) forse c’erano delle le attenuanti.

Probabilmente una conseguenza imprevista degli invasivi lavori di ripristino (con posa di pietre) delle rive del canale nel tratto in prossimità di “Pluto”, dove il Bisato fuoriesce da una galleria arrivando dalla Val Bugano. Mentre prima, sempre presumibilmente, la maggior parte andava a deporre le uova direttamente nel tratto tra il monte e la strada, trovandolo ora impraticabile presero a raggiungerlo più avanti, oltre la strada alquanto frequentata anche di notte.

Per i due-tre anni successivi (almeno finché il fenomeno era durato), all’epoca della migrazione, decine di volontari presero a raccoglierli in tempo trasportandoli fino al canale. Impedendo così che finissero spiaccicati dalle ruote impietose. Uno spettacolo confortante ammirare questi animali, in apparenza goffi, nuotare agilmente e velocemente appena posti in acqua.

Parlando dei batraci, ne va sottolineato il ruolo fondamentale come equilibratori ecologici degli habitat in cui vivono (in genere già compromessi dall’antropizzazione).

Oltre che essenziali per la catena alimentare (per gli studiosi sarebbero i vertebrati terrestri più abbondanti per biomassa), risultano fondamentali per il controllo delle zanzare. Per cui non si può escludere che anche il ritorno della malaria (e di altro) possa essere in relazione con la loro costante diminuzione.

Tra quelli nostrani, sui Berici ritengo sia a rischio l’ululone dal ventre giallo (per l’inquinamento, soprattutto - presumo - per i trattamenti nei vigneti). Ancora non risulta, ma in futuro potrebbe avere effetti devastanti l’ulteriore diffusione della chitridiomicosi che a livello planetario ha già causato danni ingenti a svariate popolazioni di anfibi. Si parla ormai dell’estinzione di almeno 90 specie, in Germania e Olanda starebbe provocando la quasi scomparsa delle salamandre.

Per rane e rospi il pericolo proviene dal fungo Batrachochytrium dendrobatidis, per le salamandre dal Batrachochytrium salamandrivorans di origine australiana (precisamente dal Queensland dove ha sterminato la Ranoidea rheocola), forse a causa del malaugurato commercio di anfibi esoticiper gli acquari.

Da non sottovalutare poi le microplastiche che evidentemente non inquinano solo gli ecosistemi marini. Tracce ne sono state rinvenute nello stomaco di alcuni anfibi come il Triturus Carnifex (in aree appenniniche, addirittura nei Parchi del Gran Sasso e Monti della Laga).

La pesca sportiva in alcuni specchi d’acqua appenninici starebbe invece mettendo a rischio la sopravvivenza della rarissima salamandra di Savi (i pesci qui introdotti ne divorano le larve).

Un’altra salamandrina, la “vicentina” e ancora più rara Salamandra atra aurorae, ha rischiato l’estinzione totale a causa dell’esbosco in periodo estivo nelle ristrette aree dell’Altopiano dove sopravvive(va?). Magari sarebbe bastato (meglio che niente) operare come nel Trentino dove alcune autorità comunali avevano imposto l’esbosco nel tardo periodo invernale, con il sottobosco ancora ghiacciato e le salamandre in letargo. Ma nel vicentino pare siano prevalse la logica commerciale e le esigenze delle aziende forestali.

Considerazione finale. Ormai di gente che “ama immergersi nella natura” non se ne può più. Meglio sarebbe cercare di riportarla là dove è stata estromessa. Per esempio piantando alberi nelle aree degradate (nelle zone industriali dismesse, nelle cave abbandonate…). E smettere di scendere a rotta di collo per qualche pendio o piantare spit sulle maltrattate pareti di qualche “falesia” (v. Lumignano). Percorrere i sentieri in silenzio e a piedi, se non proprio in solitudine almeno in gruppi esigui. Evitare di frequentare le grotte quando i pipistrelli sono in letargo e non recidere alberi e arbusti (penso alle roverelle e ai ginepri sradicati in questi giorni per allargare un sentiero nei Berici meridionali).

D’altra parte capisco che per qualcuno è necessario “sfogarsi”.

Cosa mai posso dire allora?

Sfogatevi pure, ma almeno non venite a tediarci blaterando del vostro “amore per la Natura”. Dubito molto che sia ricambiato.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 13/5/2024 - 13:04


NON SI AMMAZZANO COSI' ANCHE I CANI E GLI ORSI?

Gianni Sartori

Sarà pure una coincidenza. Ma la constatazione che l'ordine di abbattere un altro orso, una madre “colpevole” soltanto di voler difendere ila sua prole, sia stato emesso dall'esponente di una formazione politica che in questi anni non si è fatta certo notare per empatia, tolleranza, solidarietà... porta a qualche considerazione di carattere generale.

Orsi – ricordo – brutalmente tolti di mezzo (“terminati”) senza considerare che il loro habitat, il bosco, viene invaso ormai in ogni periodo dell'anno da orde di “amanti della natura” (ma solo se addomesticata, disciplinata...di fatto plastificata).

Analoghe considerazioni su un'altra recente “coincidenza”. In merito alla legge recentemente approvata in Turchia con cui si autorizza lo sterminio di oltre tre milioni di cani “di strada”. O anche”cani di villaggio” come se ne vedevano spesso in Medio oriente, riuniti in piccoli branchi vagabondi, intorno agli insediamenti umani. Cani in qualche modo “collettivi”, della comunità e non proprietà privata individuale.

Una legge promossa sostanzialmente solo dal partito al governo, l'AKP del presidente Erdogan e dai suoi alleati di estrema destra. A cui si sono opposti per mesi, con manifestazioni, proteste e dibattiti, varie associazioni animaliste e protezioniste (invano purtroppo). Contrari anche alcuni parlamentari dell'opposizione, esponenti di HDP (un partito considerato filocurdo e per questo periodicamente perseguitato e messo al bando). A cui evidentemente il progetto ricordava in qualche modo la politica repressiva (da qualche osservatore definita senza mezzi termini genocidio o etnocidio) adottata dal governo turco nei confronti delle minoranze etniche (curdi in primis) e religiose (non islamiche).

A seguito delle contestazioni alla legge era stata apportata qualche leggera modifica, ma è apparso subito evidente che la sostanza, il risultato finale saranno quelli previsti.

In pratica i cani potranno essere liberamente catturati, rinchiusi e sottoposti al giudizio di veterinari governativi che ne decreteranno la soppressione (eufemisticamente chiamata “eutanasia”).

Esiste l'eventualità - puramente teorica - che alcuni vengano risparmiati, almeno temporaneamente (per improbabili adozioni), ma ormai per quei tre milioni di cani che vagano per questa terra desolata il destino appare segnato. Irreparabilmente.

Qualche considerazione sul rapporto (privilegiato, ma non certo privo di ambiguità e contraddizioni in quanto addomesticamento, addestramento) tra il bipede dominante e quello che viene abitualmente definito come il miglio amico dell'uomo.

Un rapporto che - come ha documentato per esempio Laurent Testot - per secoli, millenni, è stato fondato quantomeno sull'appropriazione, sul dominio se non sullo sfruttamento puro e semplice (cani da guardia, da caccia, da pastore, da guerra...per non parlare di quelli allevati per i combattimenti). Ma che in anni recenti aveva assunto anche aspetti di (relativa) reciprocità.

Diventando in molti casi a diventare - di fatto se non di diritto - un membro della famiglia, accudito e amato.

Sicuramente un bel miglioramento per il docile e fin troppo malleabile, disponibile canis familiaris. Oggi forse si profila un'altra mutazione (in parte già avvenuta) quella del cane come status symbol, un bene di consumo da ostentare.

Fermo restando che sull'inconsapevole discendente del lupo incombe da sempre lo spettro dell'abbandono, del randagismo e della “soluzione finale”, dello sterminio di massa. Come accadde qualche anno fa in alcuni ex paesi sovietici e come – temo – accadrà preso in Turchia.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 31/7/2024 - 20:55


CI RISIAMO. IL CRIMINALE “TURISMO DI CACCIA” TURCO
ANNUNCIA LA STRAGE PROGRAMMATA (A PAGAMENTO) DI SPECIE IN VIA DI ESTINZIONE

Gianni Sartori

In Turchia si apre la stagione della caccia a pagamento ai danni anche di specie in via di estinzione.Confermando che spesso il genocidio non è altro che la prosecuzione della caccia con altri bersagli.

Ne avevamo già parlato quattro anni fa quando era stato concesso a un cacciatore seriale statunitense di abbattere alcune delle rare capre selvatiche di montagna (simili allo stambecco e in via di estinzione) che vivono nella regione curda di Dersim.

(v. https://rivistaetnie.com/bradley-garre...)/

e anche in precedenza (v. https://rivistaetnie.com/curdi-per-la-...)

All'epoca sembrava che la cosa dovesse finire lì. Ora ci risiamo e su scala direi “industriale”, vista la rarità della specie nel mirino.

Infatti, per fare cassa, la Direzione Provinciale di Van della 14° Direzione Regionale del Ministero dell'Agricoltura ha pubblicato l'annuncio ufficiale del permesso di vendita di quote per cacciatori stranieri nell'ambito del “turismo di caccia”.

Turismo e caccia. Due fattori di degrado ambientale, due fonti di ecocidi se presi singolarmente.

Con effetti esponenziali in caso di abbinamento.

Così gli sparatori seriali potranno assassinare impunemente le rare capre selvatiche (dalle corna “uncinate”, adunche; simili al nostrano stambecco) pagando 480 mila TL (Türk lirası, lire turche). Nella lista delle specie abbattibili a pagamento da settembre a marzo anche alcune varietà di cervi (compresi esemplari di Cervus elaphus), pecore selvatiche (mufloni) etc.

Per partecipare alla squallida asta (“Procedura di offerta aperta”) che si svolge nella sede della Succursale di van della Direzione Provinciale occorre versare preventivamente 180 mila TL, mentre la garanzia provvisoria viene stabilita in 5.400 TL.

Dopo quella di Van altre aste di caccia verranno organizzate in una decina di province.

La Direzione Generale di Conservazione della Natura e Parchi Nazionali (DKMP, la stessa che annualmente organizza “Corsi di Formazione Cinegetica” ossia di caccia con i cani) in settembre propone (mette in vendita, a concorso) un calendario delle capre selvatiche da massacrare in varie località.

Tra cui: Mersin (39 animali il 23 settembre, altri 6 il 24), Adana (2), Hatay (9), Niğde (15), Kayseri (9), Sivas (10).
Se a questi massacri legalizzati aggiungiamo le capre selvatiche vittime di bracconaggio, possiamo ben comprendere la legittimità delle preoccupazioni espresse da varie associazioni protezioniste e animaliste.




Inevitabile andare col pensiero a quanto scriveva Marguerite Yourcenar:




“Ci sarebbero meno bambini martiri se ci fossero meno animali torturati, meno vagoni piombati che trasportano alla morte le vittime di qualsiasi dittatura, se non avessimo fatto l'abitudine ai furgoni dove le bestie agonizzano senza cibo e senz'acqua dirette al macello”.




Pensando al tragico destino di Armeni e Curdi, potremmo aggiungere che ci sarebbero meno genocidi di popoli e minoranze se non ci fosse stata l'azione propedeutica della caccia ( e non solo in Turchia naturalmente).





Gianni Sartori

21/9/2024 - 09:15




Page principale CCG

indiquer les éventuelles erreurs dans les textes ou dans les commentaires antiwarsongs@gmail.com




hosted by inventati.org