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Le transporté (La chanson de Jean Fagot)

Patrick Denain & Daniel Dénecheau
Lingua: Francese


Patrick Denain & Daniel Dénecheau

Lista delle versioni e commenti


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[1912 ?]
(Écrite peut-être par le bagnard Miet)
(Scritta forse da Miet, condannato al bagno penale)
Riportata in “Comment j'ai subi quinze de bagne”, edito nel 1924
(Libro di memorie di Antoine ‎Mesclon, un sopravvissuto ai “bagni”.)‎
Interprétation / Interpreti
Patric Denain et Daniel Dénecheau
Presente pure nel disco di Jacques Marchais “On a chanté les voyous”, 1968‎

Il deportato Jacob, l' "honnête cambrioleur".
Il deportato Jacob, l' "honnête cambrioleur".


"Nous ne connaissons pas l'auteur de cette chanson écrite vers 1912. Certains ont pu l'attribuer au bagnard Miet. Elle est publiée en 1924 par les soins d'Antoine Mesclon mais ne semble pas avoir connu un certain succès. Les bagnards préfèrent de toute évidence entonner le Chant de l'Orapu‎. Les éditions L'Insomniaque l'incluent une première fois, en 2000, dans le cd accompagnant le livre Au pied du mur, anthologie de textes sur la prison, puis, en 2004 dans le cd de la réédition des Ecrits de Jacob. Elle est donc contemporaine du séjour de l'honnête cambrioleur aux îles du Salut et, par conséquent, illustre les souffrances endurées par Barrabas et tous les autres transportés. Si elle verse dans une vision fataliste et partiale de la vie du bagnard, elle offre néanmoins plusieurs thématiques. Les surveillants militaires deviennent ici des « chaouchs » d'origine corse, brutaux, haineux et profitant de la supériorité que leur confère leur situation. La chanson aborde aussi la faim, la fatigue, l'homosexualité, la soumission, la délation, la violence et la mort, sans oublier bien sûr ce à quoi a été condamné le bagnard : les travaux forcés. Cette complainte, qui s'inscrit dans le contexte de critique généralisée du bagne, sonne comme une condamnation sans appel de l'inhumanité de l'institution pénitentiaire. Jean Fagot implore en conclusion une vraie peine de mort plutôt que cette hypocrite guillotine sèche. L'envoi de condamnés en Guyane cesse en 1938. Le bagne disparaît définitivement au début des années 1950."

On a chanté les voyous


“Non si conosce l'autore di questa canzone scritta verso il 1912. Alcuni la hanno attribuita al deportato Miet. Fu pubblicata nel 1924 a cura di Antoine Mesclon, ma non sembra avere avuto un qualche successo. I deportati al bagno penale preferivano intonare con tutta probabilità il Chant de l'Orapu‎. Le edizioni L'Insomniaque la inseriscono una prima volta, nel 2000, nel cd di accompagnamento del libro Au pied du mur, antologia di testi carcerari; poi nel 2004 nel cd per la riedizione degli scritti di Jacob. E' quindi contemporanea del soggiorno dell'onesto scassinatore alle isole della Salute e, quindi, illustra le sofferenze patite da Barrabas e da tutti gli altri deportati. Certamente essa è incline ad una visione fatalista e parziale della vita del condannato, però presenta lo stesso diverse tematiche. I sorveglianti militari divengono qui dei “chaouchs” di origine corsa, brutali, odiosi e che si approfittano della superiorità dovuta alla loro situazione. La canzone parla così della fame, della fatica, dell'omosessualità, della sottomissione, della delazione, della violenza e della morte, senza dimenticare certo a che cosa è stato condannato il deportato: ai lavori forzati. Tale lamentazione, inserita nel contesto della critica generalizzata al bagno penale, suona come una condanna senza appello della disumanità dell'istituzione penitenziaria. Jean Fagot invoca infine una vera pena di morte, piuttosto di questa ipocrita ghigliottina asciutta. L'invio dei condannati in Guyana ebbe fine nel 1938; il bagno scomparve definitivamente agli inizi degli anni '50.”

(Introduzione al brano da ‎‎Alexandre ‎Jacob, l’honnête cambrioleur. Un blog de l’Atelier de création libertaire)‎
C'est Jean Fagot qu'on me surnomme,
J'suis un ancien
Oui, j'ai vu tomber plus d'un homme
Qu'était malin.
Maintenant que je sens que je calanche,
J'veux vous conter
Ce que j'ai vu depuis qu'sur la planche
J'suis l'transporté.

Il faut nous voir quand on turbine
A s'faire crever,
Le Corse armé d'sa carabine
Pour nous braver.
L'insulte aux lèvres, il nous bouscule,
Fatalité !
Coucher la tête sous la férule,
V'là l'transporté.

La faim qui nous poursuit sans cesse,
O sort hideux !,
Fait naître plus d'une bassesse
Parmi les gueux.
Le ventre creux fait la bourrique,
Quel sale métier !
Il vendrait son père pour une chique,
Le transporté.

Même le plus fort fait des courbettes,
C'est effrayant.
Car pour dresser les fortes têtes,
Y a le repoussant !
Pour un seul mot, on nous terrasse
Sans hésiter.
C'est comme ça qu'on se débarrasse
Du transporté.

Faut pas songer à sa misère.
Ah ! Quel tableau !
Comme tout l'monde est célibataire,
On cherche la peau
D'un gars qui bientôt s'abandonne
A volupté.
C'est pour un mâle qu'il se passionne
Le transporté.

Plus d'un forçat, quand la nuit tombe,
Triste et rêveur,
Voudrait voir s'entrouvrir la tombe
De sa douleur.
Pourquoi ainsi souffrir sans cesse ?
Humanité !
Supprim'le donc ! Vaut mieux qu'il crève !
Le transporté.

inviata da Avv. Jeanne Auban Colvieil, Arles (France) - 5/2/2016 - 23:27



Lingua: Italiano

Traduzione in italiano di Jeanne Auban Colvieil
6.II.16

‎Interno di una ‎cella di punizione in un bagno penale della Guyana, dipinto del forzato Francis Lagrange.‎
IL DEPORTATO

Di soprannome ho Jean Fagot,
sono un vecchio
Sì, ho visto cadere più di un uomo
furbo e maligno.
Ora che mi sento di crepare,
vi voglio raccontare
quel che ho visto da quando in tribunale
sono stato deportato.

Bisogna vederci quando si sgobba
fino a crepare,
col còrso armato di carabina
a angariarci.
Insultandoci ci spinge e strattona,
fatalità!
Chinare il capo sotto la sferza,
questo è essere deportato.

La fame che ci incalza senza sosta,
sorte vergognosa!,
fa nascer parecchie bassezze
tra i furfanti.
La pancia vuota fa diventar spie,
sporco mestiere!
Venderebbe suo padre per una cicca,
il deportato.

Anche il più forte fa il leccapiedi,
è spaventoso.
Ché per mettere a posto le teste dure
c'è il fucile!
Per una sola parola, ci abbattono
senza esitare.
E' in questo modo che ci si sbarazza
del deportato.

Non c'è da pensare alla propria miseria,
che situazione!
Dato che qui nessuno ha una donna
si cerca la pelle
d'un ragazzo che presto cede
alla voluttà.
E' per un maschio che si appassiona
il deportato.

Tanti forzati, quando viene la notte,
triste e in preda ai pensieri
vorrebbe vedere spalancarsi la tomba
del suo dolore.
Perché soffrire così senza tregua?
Umanità!
Sopprimilo, allora! Meglio che crepi!
Il deportato.

inviata da avv. Jeanne Auban Colvieil, Arles (France) - 6/2/2016 - 08:47


L'avv. Auban Colvieil non si era evidentemente accorta che la canzone esisteva già nel sito; ma è comprensibile specie nei "primi tempi" (e comunque è una cosa nella quale cascano spesso anche gli amministratori, va detto). Abbiamo quindi provveduto a integrare le due pagine cancellando quella già esistente e mantenendo questa che ha una traduzione italiana, però salvaguardando il materiale originale presente nella pagina eliminata (dovuta a Bernart Bartleby)

CCG/AWS Staff - 6/2/2016 - 10:18


Mi scuso se ho provocato un po' di confusione, non era davvero mia intenzione. Dovrò starci più attenta, senz'altro, ma sinceramente non mi aspettavo che ci fosse già Le transporté, sono andata troppo a colpo sicuro. La prossima volta che avrò una canzone "impossibile" penserò prima che qui tutto è possibile. Buona serata, avv. Jeanne Auban Colvieil da Arles (Francia)

avv. Jeanne Auban Colvieil, Arles (France) - 6/2/2016 - 20:16


Bella avvocato, complimenti :)

krzyś - 6/2/2016 - 21:15




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