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Bellum Civile [vel Pharsalia] I, I-LXVI

Marco Anneo Lucano / Marcus Annæus Lucanus
Language: Latin


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[61 d.C.]
Marci Annæi Lucani de Bello Civili vel Pharsalia
La Guerra Civile, o la Farsaglia di Marco Anneo Lucano
Harmonizavit tempus decurrens de præteritis
Musica del tempo trascorso dal passato

Marco Anneo Lucano. Busto conservato a Cordova, sua città natale.
Marco Anneo Lucano. Busto conservato a Cordova, sua città natale.


*Casmen

Per quanto possa sembrare improbabile, la parola latina carmen “canto; poema”, e il verbo cano “canto” sono in diretta filiazione. La forma antica e inattestata della parola, *cāsmen, da cui carmen per il comune fenomeno del rotacismo, presuppone una forma ancor più antica *cansmen, da cui la derivazione appare stavolta chiara. Seguire passo passo la storia millenaria delle parole, perché “carme” è tuttora una parola italiana, illumina sulla storia della poesia e del canto; la poesia antica (e non solo “classica”) è sempre canto. La prosodia delle lingue antiche era basata sull'accento musicale e tonale (come nell'odierno cinese), ed esiste quindi, con buonapace di certi ignorantissimi “occidentalisti”, una correlazione diretta tra la versificazione classica e, mettiamo, la cantillazione del Corano e di altra poesia araba, che riproduce uno stato di cose antichissimo. Come sempre, inizio con una divagazione sospesa tra il passato e il presente: cantare la poesia. Poesia come canto.

Il Carmen, volendo, ci sta particolarmente bene, qui. Si associa tale parola, quasi sempre, a qualcosa di spagnolo, e non solo per la famosa opera di Bizet tratta dall'altrettanto famoso racconto di Prosper Mérimée. L'autore di questo lungo carmen era, per l'appunto, spagnolo di quando ancora la Spagna non esisteva nel senso moderno, ma forse già c'era nel senso de la sangre y de las entrañas. Marco Anneo Lucano, cordovano, poeta sanguigno e sanguinoso, vissuto nell'epoca di Nerone e da Nerone stesso comandato d'uccidersi, il 30 aprile dell'anno 65, per una qualche congiura o simile accidente. Aveva venticinque anni, la stessa età di Gozzano quando si sentiva vecchio; era nato il 3 di novembre del 39. Da sempre considerato “poeta quasi minore” nella storia della letteratura latina imbevuta della limpidezza classica della prosa d'un Cicerone e dei versi d'un Virgilio; i paradigmi. Troppo oscuro, troppo cruento, troppo “pulp” in alcuni suoi passi, troppo lontano dalla finta serenità dell'età augustea; per rimetterlo in auge, e per farlo apprezzare nella sua folgoranza, occorse attendere secoli e secoli, quando Joris Karl Huysmans, nella sua “bibbia del Decadentismo”, À rebours, lo esaltò dandogli il posto d'onore nella biblioteca del modello Des Esseintes.

La Farsaglia: Edizione di Anversa del 1592.
La Farsaglia: Edizione di Anversa del 1592.


Ora, però, a noialtri del sito internèttico delle “Canzoni Contro la Guerra”, di Huysmans, del Decadentismo e di Des Esseintes non interessa, forse, granché. Interessa magari sapere che il Poema di Lucano, quell'opera che ce lo ha consegnato nella sua giovinezza troncata (nonostante tutto, a venticinqu'anni si era giovani anche allora), tratta di una Guerra Civile, quella che oppose Giulio Cesare a Pompeo, che è fondante nella storia della Romanità e, probabilmente, dell'intera storia europea. Guerra civile? Chiamiamola col suo nome: guerra tra signori della guerra, tra potenti e potentati, che coinvolse popolazioni intere e che si risolse in una cosa talmente attuale da sembrare quasi banale: il regime assoluto di un impero dissimulato sotto le forme di una precedente libertà, forme svacantate d'ogni senso. Scrivendo a partire dall'anno 61, quattro anni prima di essere stato suicidato, di avvenimenti d'anni prima (di uno dei tanti Quarantotto, ma stavolta senza Milleottocento davanti), Lucano ebbe a servirsi di storici (Livio, Asinio Pollione, Seneca), tutti rigorosamente filo-repubblicani; secondo precise fonti storiche, il Poema fu portato a compimento dalla innamoratissima sua moglie e vedova, dal meraviglioso nome di Polla Argentaria.

Di questo Poema forse mezzo al femminile, resta la coscienza del perché non poteva e non avrebbe mai potuto garbare troppo alla posterità, almeno fino a spaventomila anni dopo. A differenza d'un obbediente e servile Virgilio, cui pure si rifà in tanti cardini dell'impianto, Lucano manda alla malora, con ispanica e giovanile sfrontatezza, ogni elemento divino e mitologico. Via tutte le cazzate di dèi e numi, e attenersi ai fatti così come riportati dagli storiografi. Al contempo, e con squisita e iperbolica incoerenza, la Farsaglia è piena di sogni, visioni, profezie, pratiche magiche; incoerenza solo apparente, perché riproduce pedissequamente quel che davvero avveniva nelle armate in lotta all'epoca, e forse anche in epoche ben più tarde.

Come poteva piacere una cosa del genere, per Giove? Ma la cosa per la quale la Farsaglia piacque di meno ne' secoli, è un'altra. La Farsaglia, a differenza degli altri poemi epici, non celebra affatto la “grandezza di Roma”: celebra la stupidità e la tragicità di una guerra fratricida (Pompeo e Cesare erano legati da vincoli di parentela) che ha innestato la decadenza e la rovina della Roma repubblicana, sostituita da una tirannia ferrea dove il Deserto viene chiamato Pace. E' una condanna violenta, fin dai primi versi (che qui si presentano) di tale guerra, detta plus quam civile “più che civile”: una guerra privata. La Farsaglia è un'opera caotica, irregolare, dai moderni definita spesso “barocca”; l'unica cosa che, forse, le si può accostare da vicino sono i Tragiques, il “Poema Tragico” di Agrippa d'Aubigné (che, non a caso, ha pure il suo posto d'onore nella biblioteca di Des Esseintes e anche nella mia, che andai a portare una gerbera alla sua tomba presso la cattedrale protestante di Ginevra; ma sono ben lungi dall'essere un Decadentista sebbene al Dentista debba ancora diversi Deca). Eppure, in ogni meandro del Poema, e sin dall'inizio, l'orrore e la condanna della guerra sono palpabili. A rigore, si dovrebbe prenderlo di peso e trascriverlo qua dentro; non si può fare. Il suo folgorante incipit serva magari ad invogliare alla sua, non facile, lettura.

Congiura a parte, può darsi che nell'ordine di suicidio dato a Lucano da Nerone ci sia stata anche qualche questiunciella personale. Senza scadere nell'aneddotica vulgata su Nerone, la fissazione di quest'ultimo per essere stimato poeta era ben nota, e magari ci accorgeremmo pure che non era nemmeno malaccio se dei suoi versi ci fosse rimasto qualcosa. Lucano era un'altra cosa, però. Era un'altra cosa e ne era immodestamente ben cosciente: del suo Poema ebbe a scrivere, al verso 985 dello stesso: Pharsalia nostra / vivet, et a nullo tenebris damnabitur aevo. “La nostra Farsaglia vivrà, e da nessun tempo sarà condannata all'oblio”. L'invidia di Nerone nei confronti del giovane spagnolo era palese, e gliene combinò di tutti i colori prima di combinargli l'estremo. Il risultato è che la convinzione di Lucano si è comunque avverata; ancor prima di Des Esseintes, ebbe un suo strenuo “fan” in un altro giovane poeta di cui si sarebbe sentito abbastanza parlare, tale Dante Alighieri: la Farsaglia è, probabilmente, il poema più citato nella Commedia; nel IV canto dell'Inferno, l'altrettanto immodesto fiorentino cita cinque sommi poeti che lo precedono (“sì ch'io fui sesto tra cotanto senno”): Virgilio, Omero, Orazio, Ovidio e, appunto, Lucano. Curioso assai, perché Lucano è l'Antivirgiliano per eccellenza; tanto leccaculo, obbediente e celebratore è Virgilio, quanto disobbediente, sfrontato, sventato e oppositore è Lucano. Che infatti fece miseranda fine, al contrario di Virgilio. Curioso assai che l'Alleghier begolardo abbia scelto comunque il Virgilio per farsi accompagnare per un tratto d'oltretomba, mente invece il suo Poema ribolliva di Lucano; ma, forse, se si fosse fatto accompagnare da quest'ultimo, avrebbe preso un'altra strada verso non si sa dove.

E questo è il breve tratto iniziale del *cansmen di Lucano. La fine non c'è: il Poema è incompiuto. Incompiuto come qualsiasi cosa che chiama la tirannide col suo nome, l'inettitudine col suo nome, e l'opposizione col suo nome (quello di Catone). E la guerra col suo nome, quello di obbrobrio. Quello di misticazione del mito, non a caso sostituito coi fatti storici precisi. Quello della condizione dei vinti: nessuna morte, neppure quella degli eroi, è “gloriosa”, ma è solo morte in nome di un interesse. Dalla Farsaglia la guerra appare sempre come negativa, una serie di disvalori (violenza e tirannia) per i quali, alla fine, il male vince sul bene. E' l'epos, modernissimo, dello squallido presente contrapposto a chi si rifugia (come Virgilio) nelle stronzate mitologiche. Un Jim Morrison di duemila anni fa. - Gaspardus Nocturnus.
I. Bella per Emathios plus quam civilia campos
iusque datum sceleri canimus, populumque potentem
in sua victrici conversum viscera dextra
cognatasque acies, et rupto foedere regni
V. certatum totis concussi viribus orbis
in commune nefas, infestisque obvia signis
signa, pares aquilas et pila minantia pilis.
quis furor, o cives, quae tanta licentia ferri?
gentibus invisis Latium praebere cruorem
X. cumque superba foret Babylon spolianda tropaeis
Ausoniis umbraque erraret Crassus inulta
bella geri placuit nullos habitura triumphos?
heu, quantum terrae potuit pelagique parari
hoc quem civiles hauserunt sanguine dextrae,
XV. unde venit Titan et nox ubi sidera condit
quaque dies medius flagrantibus aestuat horis
et qua bruma rigens ac nescia vere remitti
astringit Scythico glacialem frigore pontum!
sub iuga iam Seres, iam barbarus isset Araxes
XX. et gens siqua iacet nascenti conscia Nilo.
tum, si tantus amor belli tibi, Roma, nefandi,
totum sub Latias leges cum miseris orbem,
in te verte manus: nondum tibi defuit hostis.
at nunc semirutis pendent quod moenia tectis
XXV. urbibus Italiae lapsisque ingentia muris
saxa iacent nulloque domus custode tenentur
rarus et antiquis habitator in urbibus errat,
horrida quod dumis multosque inarata per annos
Hesperia est desuntque manus poscentibus arvis,
XXX. non tu, Pyrrhe ferox, nec tantis cladibus auctor
Poenus erit: nulli penitus descendere ferro
contigit; alta sedent civilis volnera dextrae.
quod si non aliam venturo fata Neroni
invenere viam magnoque aeterna parantur
XXXV. regna deis caelumque suo servire Tonanti
non nisi saevorum potuit post bella gigantum,
iam nihil, o superi, querimur; scelera ipsa nefasque
hac mercede placent. diros Pharsalia campos
inpleat et Poeni saturentur sanguine manes,
XL. ultima funesta concurrant proelia Munda,
his, Caesar, Perusina fames Mutinaeque labores
accedant fatis et quas premit aspera classes
Leucas et ardenti servilia bella sub Aetna,
multum Roma tamen debet civilibus armis
XLV. quod tibi res acta est. te, cum statione peracta
astra petes serus, praelati regia caeli
excipiet gaudente polo: seu sceptra tenere
seu te flammigeros Phoebi conscendere currus
telluremque nihil mutato sole timentem
L. igne vago lustrare iuvet, tibi numine ab omni
cedetur, iurisque tui natura relinquet
quis deus esse velis, ubi regnum ponere mundi.
sed neque in Arctoo sedem tibi legeris orbe
nec polus aversi calidus qua vergitur Austri,
LV. unde tuam videas obliquo sidere Romam.
aetheris inmensi partem si presseris unam,
sentiet axis onus. librati pondera caeli
orbe tene medio; pars aetheris illa sereni
tota vacet nullaeque obstent a Caesare nubes.
LX. tum genus humanum positis sibi consulat armis
inque vicem gens omnis amet; pax missa per orbem
ferrea belligeri conpescat limina Iani.
sed mihi iam numen; nec, si te pectore vates
accipio, Cirrhaea velim secreta moventem
LXV. sollicitare deum Bacchumque avertere Nysa:
tu satis ad vires Romana in carmina dandas.

Contributed by Gaspardus Nocturnus - 2016/1/24 - 03:59



Language: Italian

Tradusse in volgar lingua Gaspardus Nocturnus
die XXIV mensis Ianuarii, a.D. MMXVI
et notationibus instruxit

Prima edizione della Farsaglia in italiano, 1493.
Prima edizione della Farsaglia in italiano, 1493.
LA GUERRA CIVILE, O LA FARSAGLIA: I, I-LXVI

Guerre più atroci di quelle civili [1] sui campi d’Emazia [2] cantiamo
e il diritto trasformato in crimine, e il popolo potente
che si rivolse contro le sue stesse viscere con la destra vittoriosa,
e gli eserciti di consanguinei, e, infranto il patto sui cui si fondava il regno, [3],
la lotta con tutte le forze del mondo sconvolto
per compiere un comune misfatto, e le insegne avverse
a ostili insegne, aquile contro aquile, armi minacciose contro armi.
Che follia, o cittadini, che sfrenato arbitrio delle armi
Offrire il sangue latino alle genti nemiche!
Mentre si sarebbe dovuto spogliare la superba Babilonia [4] dei trofei
Ausonii, e l’ombra di Crasso vagava ancora invendicata. [5]
Avete dunque preferito scatenare guerre che non avrebbero avuto alcun trionfo? [6]
Ahimè, quante terre e quanto mare si poteva conquistare
Con questo sangue, che le destre fraterne hanno versato,
nei paesi dove sorge il Titano e la notte nasconde le stelle,
o dove il mezzogiorno arde di ore roventi
o dove la rigida bruma, che non sa mitigarsi nemmeno in primavera,
stringe il mare glaciale con il freddo della Scizia! [7]
Già sarebbero passati sotto il giogo i Seri [8] e il barbaro Arasse [9]
e il popolo – se pure esiste – che conosce le sorgenti del Nilo.
Allora, se desideri a tal punto, o Roma, una guerra nefanda,
quando avrai sottomesso il mondo intero alla dominazione Latina,
volgi le armi contro di te: finora non ti mancarono nemici!
Ma ora che nelle città d’Italia le mura minacciano di cadere
essendo le case diroccate, ed enormi macigni fra le pareti crollate
giacciono e la casa non è controllata da alcun custode,
e rari abitanti vagano per le antiche città,
ora che irta di rovi per molti anni rimane inarata
l’Esperia e mancano braccia ai campi che le richiedono,
non tu, fiero Pirro, né il Cartaginese [10] sarà l’autore
di tali disastri: a nessuna arma toccò in sorte di penetrare così a fondo.
ferite profonde si aprono per mano dei cittadini.
Poiché se i fati non trovarono per l’avvento di Nerone
altra via e a tale prezzo si preparano i regni eterni
agli dei e il cielo poté servire il suo sovrano, il Tonante, [11]
se non dopo le guerre dei crudeli Giganti,
non ci lamentiamo più, o dei celesti! Tali delitti e misfatti
accogliamo per simile ricompensa. Farsalo le pianure maledette
riempia di sangue e i Mani punici se ne sazino;
gli ultimi scontri cozzino nella funesta Munda; [12]
a queste fatalità, Cesare, la fame di Perugia e le sofferenze di Modena
s’aggiungano e l’aspra Leucade che sovrasta
le flotte, e le guerre servili sotto l’Etna ardente; [13]
molto tuttavia Roma deve alle guerre civili
poiché la vicenda si è svolta per te. [14] Quando, compiuta la missione,
salirai agli astri tra molto tempo, [15] la reggia del cielo prescelto
ti accoglierà tra la gioia del firmamento. Sia che ti piaccia tenere lo scettro,
sia salire sul carro fiammeggiante di Febo
e percorrere le terra per nulla intimorita dal nuovo sole
con fuoco vagante, ogni nume a te
cederà, e la natura lascerà che sia tua facoltà scegliere
qual dio vorrai essere, dove porrai il regno del mondo.
Ma non scegliere per te una sede nel cielo dell’Orsa,
né il luogo in cui il polo caldo dell’opposto Austro si inclina,
da dove vedi la tua Roma con obliqua stella. [16]
Se tu gravassi su una sola parte dell’immenso etere,
l’asse ne sentirebbe il peso. La massa del cielo
equilibra con orbita mediana; quella parte dell’etere sereno
sia interamente sgombra e nessuna nube si frapponga dalla parte di Cesare.
Allora il genere umano, deposte le armi, provveda a se stesso
e i popoli si amino fra loro; la pace diffusa nel mondo
spranghi le porte ferree del bellicoso Giano.
Ma tu per me sei già un Nume! Se ti accolgo da poeta nel mio animo,
non vorrei invocare il dio che rivela i segreti di Cirra, [17]
né trarre Bacco da Nisa [18] : tu basti da solo a ispirare un poema romano.
[1] Si svolgevano infatti non solo fra concittadini, ma addirittura fra parenti: Pompeo aveva sposato Giulia, figlia di Cesare.

[2] L’Emazia è un regione della Macedonia; qui il termine si estende a comprendere la vicina Tessaglia, dove si trova Farsalo, luogo dello scontro fra Cesare e Pompeo nel 48 a.C..

[3] Si allude alla rottura del primo triumvirato fra Cesare, Crasso e Pompeo.

[4] Indica qui, per convezione, la capitale del regno partico.

[5] Riferimento alla battaglia di Carre (53 a.C.), in cui i Parti sconfissero e uccisero l’esercito romano guidato da Crasso.

[6] Si tratta delle guerre civili, dal momento che il trionfo veniva celebrato solo per le vittorie contro popoli stranieri.

[7] I vv. 15-18 illustrano i punti cardinali, con questa successione: est, ovest, sud e nord.

[8] Popolazione dell’estremo oriente.

[9] Fiume dell’Armenia.

[10] Annibale.

[11] Giove, il re degli dei, che dovette affrontare i Giganti, ribelli alla sua autorità. Giove è qui accostato a Nerone.

[12] Riferimento alle vittorie di Cesare sulle ultime truppe pompeiane a Tapso, in Africa, nel 46 a.C., e a Munda, in Spagna, nel 45.

[13] Allusione alla presa di Perugia (40 a.C.) da parte di Ottaviano, all’assedio di Modena (42) da parte di Antonio, alla battaglia di Azio (città dell’Acarnania, regione che si affaccia sull’Adriatico dinanzi all’isola di Leucade) del 31, e, infine, alla guerra condotta in Sicilia nel 36 da parte di Ottaviano contro Sesto Pompeo, il quale si era avvalso dell’ausilio di molti schiavi liberati.

[14] Nerone.

[15] Accenno alla morte di Nerone e alla sua successiva deificazione.

[16] È indicata la traiettoria percorsa dall’imperatore ormai divinizzato e assunto fra gli astri. I commentatori convinti del carattere ironico del passo intendono l’espressione come un riferimento allo strabismo di cui l’imperatore era affetto.

[17] Si tratta di Apollo: Cirra era una località vicina a Delfi, sede del santuario.

[18] Luogo di nascita del dio.

2016/1/24 - 04:30




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