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Copșa Mică

Denez Prigent
Langue: breton


Denez Prigent

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[1997]
Gwerz di Denez Prigent
Interpretato da:
Denez Prigent
Ludmila Dinova [Лудмила Динова]
Irina Balčeva [Ирина Балчева]
Elena Dinova [Елена Динова]
Album: Me 'zalc'h ennon ur fulenn aour

Gwerz skrevet gant Denez Prigent
Jubennet gant:
Denez Prigent
Ludmila Dinova
Irina Balcheva
Elena Dinova
Pladenn: Me 'zalc'h ennon ur fulenn aour

Copșa Mică. Le rovine della fabbrica Carbosin.
Copșa Mică. Le rovine della fabbrica Carbosin.


Come quasi tutte le località transilvane, Copşa Mică, oltre al suo nome rumeno, ha anche un nome tedesco, Kleinkopisch, e uno ungherese, Kiskapus; vuol dire "piccola porta, porticella". Si trova a nord della città di Sibiu; antica cittadina della minoranza tedesca (i "sassoni", che la chiamavano Klîkôpeš), è vecchia di oltre seicento anni. Secondo il censimento del 2002, avrebbe 5369 abitanti; per oltre il dieci per cento sono di etnia rom. Negli anni '50 del XX secolo vi vennero effettuati degli importanti scavi archeologici e paleontologici che portarono alla luce, tra le altre cose, lo scheletro di un mammuth molto ben conservato.

Nel 1936, però, a Copşa Mică fu aperta la Carbosin. La Carbosin produceva, sin dall'inizio, nerofumo per l'industria delle vernici e delle pitture industriali. Il nerofumo, o nero di carbone, o particolato carbonioso, o carbon black è un pigmento prodotto dalla combustione incompleta del carbone, di prodotti petroliferi pesanti, dal cracking dell'etilene o da grassi e oli vegetali. La Carbosin è stata definitivamente chiusa nel 1993; ha attraversato il regime autoritario di Re Carol, la dittatura fascista del conducător Antonescu, la guerra, il regime comunista, Nicolae Ceauşescu e i primi anni della democrazia di mercato dopo il 1989. Per cinquantasette anni ha depositato nerofumo (sostanza cancerogena), ceneri e polveri sottili su tutto ciò che si trovava a Copşa Mică, persone, animali, case, alberi, campi.

Nel 1939, sempre a Copşa Mică, fu aperta la SOMETRA (acronimo di “Societatea Metalurgică Transilvană”, che non ha bisogno di traduzione). La SOMETRA esiste ancora, ha la sua sede centrale proprio a Copşa Mică e da qualche anno fa parte di un importante gruppo metallurgico greco, la Mytilineos Holding. Produce e lavora, in estrema sintesi, piombo, zinco e loro derivati.

Copşa Mică: la SOMETRA.
Copşa Mică: la SOMETRA.


Chi arriva a Copşa Mică, adesso, vede le rovine della Carbosin; e i suoi effetti. La SOMETRA si vede meno, è più nascosta; ed è ancora più pericolosa e mortifera, anche perché esiste tuttora. Il lavoro. Operai. Fabbriche. Stabilimenti. La produzione industriale nella Patria Socialista. La produzione industriale nella Patria Capitalista. La disoccupazione. O lavori, o te ne vai. O lavori, o muori. Anzi: lavori e muori. E muore anche chi non ci lavora. Qualche anno fa, Copşa Mică divenne famosa in Europa per un suo poco invidiabile record: era risultata la città più inquinata d'Europa. Gli impianti industriali erano stati spinti al massimo durante il regime di Ceauşescu; quando dopo il 1989 la Carbosin fu chiusa, il 25% della popolazione di Copşa Mică se ne andò quasi di colpo. Resta la SOMETRA e resta l'aspettativa di vita degli abitanti di Copşa Mică, che è del 9% inferiore a quella degli abitanti del resto della Romania.

Patologie, cancri, malattie respiratorie, di tutto. E così, Denez Prigent, nel 1997 ha scritto sulla vicenda di Copşa Mică un gwerz. Interamente in bretone, naturalmente; ma bisogna conoscere bene questa tradizione per comprendere del tutto. Il gwerz bretone è una ballata giornalistica; parla di eventi e di disastri che avvengono in tutto il mondo. Ci sono gwerzioù (pronunciare: “gwérju” con la “j” francese) che parlano di Evita Perón, di Víctor Jara, della fucilazione di guerriglieri baschi, dello holodomor ucraino, del genocidio ruandese. “Ballata giornalistica” non significa che sia un articolo di giornale: il gwerz mescola fatti e dialoghi, immagini poetiche e cifre, considerazioni personali e elementi mitologici e locali. Non saprei dire se in altre parti del mondo esista una cosa del genere, quando si parla dell'attualità.

Nel suo impressionante gwerz su Copşa Mică, Denez Prigent “mette in scena” delle donne, una delle quali è incinta, e dei morti, dei funerali. Mette in scena l'avvenire che aspetta chi vive a Copşa Mică: andarsene. Mette in scena il lavoro industriale e la morte che, in un modo o nell'altro, decreta a chi lavora, a chi vive assieme a chi lavora e all'ambiente dove si lavora.

Bambini a Copșa Mică.
Bambini a Copșa Mică.


Si è fatto aiutare nel canto, Denez Prigent, da tre “voix bulgares”: le cantanti, appunto bulgare, Ludmila Dinova, Irina Balčeva e Elena Dinova. Qualcuno potrebbe proporgli, a proposito, di scrivere, che so io, un “Gwerz Taranto”; il paragone viene, purtroppo, più che spontaneo. [RV]
Nota testuale. Nelle esibizioni dal vivo, come del resto per tutti i gwerzioù, Denez Prigent cambia spesso e volentieri il testo in alcuni punti; questa è la versione da studio. Nel titolo della canzone ho ripristinato arbitrariamente l'esatta grafia rumena della cittadina; l'originale si chiama però "Copsa Mica" senza diacritici. Nel testo ho lasciato tale dizione; nella traduzione italiana utilizzo di nuovo la grafia esatta.
1. E Copsa Mica ‘n heol ‘zo savet
‘N heol ‘zo savet ‘n noz ‘zo chomet
Du ar c’houadoù, du ar menez
Du al liozhoù, du an tiez
Du ar brini, du an avel
Du ar glizh hag ar vogidell
Du an aven, du an douar
Du ar c’houmoul, du al latar
Du an daouarn, du an dremmoù
Ha du ivez ar c’halonoù.

2. Du ar merc’hed ‘vont d’ar vered
‘Oaront mat an hent da vonet
E Copsa Mica ‘n heol ‘zo savet
Met ‘glever ket al laboused
E-harz ar gwez ‘vezont kavet
Dre gantadoù hanter mouget
Dastum ‘reer nezho war an douar
‘Vel an delioù sec’h er razrac’h
Ne glever ket al laboused
‘R glaz o senin ne lâran ket
‘Vez ket un deiz na sonfe ket.
E Copsa Mica neb a vije
‘Vije rannet korf hag ene
Gwelet div vaouez o vale
War hent ar vourc’h an devezh-se
Ar yaouankañ ‘ouele true’
An hini all a c’houlenne:

3. "Katellig paour din a lâret
Piv hiniv’ vez interet
‘Vit ho kwelet ken glac’haret
Piv hiniv’ vez interet
Pelec’h ‘z eoc’h ken du gwisket?-
Piv hiniv’ vez interet?"
"Ma mab siwazh eñ a vez graet
Aet d’an anaon en nozvezh-mañ
D’e oferenn ez an bremañ."

4. "Tavit Katell na ouelit ket
Ganet ho peus tri mab n’eo ket?
Daou all ‘peus c’hoazh ‘c’hortoz en ti
Ganin siwazh ne chom hini
Den ebet ken d’am frealziñ."

5. "Tri mab hollgaer ya’m eus ganet
‘N uzin’ deus din holl laeret
Aet d’an anaon ‘n hini kentañ
N’en doa ket bet c’hoazh tregont vloaz
An eil ‘zo klañv en e wele
Bemdez, bemnoz e klemm ‘true’
A-benn nebeut ‘varvo ive’
An eil ‘zo klañv en e wele
Nec’het bras on gant an trede
N’eus ket miz ‘zo eo deu’t d’e oad
Dija ‘deus c’hoant da labourat
Da labourat ‘deus c’hoant dija
En uzin blom Copsa Mica
Nac’hañ outañ me na n’on ket
Rak et vro-mañ labour ebet
Marv ma mab en nozvezh-mañ
‘Z an d’an iliz’n e ofern-gañv
Marv ma mab,’re all ‘heulio
‘Vo ket pell din ‘raok mont en-dro."

6. "Na ouelit ket Katellig kaezh
En em gavet oc’h dougerez
E c’hortozit ur bugel bihan
Ho tizoanio eus ho tourman
E c’hortozit ur c’hrouadur
Hemañ ‘roio deoc’h plijadur
A sento deoc’h ha ‘vezo fur
A sento deoc’h ha ‘vezo fur
Bezit dinec’h me ho asur
Me ho asur bezit dinec’h."

7. "Dre c’hras Doue ‘vezo ur verc’h
-Ma vije paotr pe vije plac’h
Pa wilioudin ‘vin pell a-walc’h
Pa wilioudin ‘m bo cheñchet lec’h
‘Vije ur mab, ‘vije ur verc’h
‘M bo cheñchet kêr, ‘m bo cheñchet bro
E zaoulagad pa zigoro
Pa zigoro e zaoulagad
‘Vo splann an heol ha glan an oabl
‘Vo splann an heol ha glan an ne’
Sklêrijenn aour pa ‘n noz pa ‘n de’
Ha gwez bleuniek a-hed ar ble’
Ha gwez bleuniek a-hed ar bloaz
Lapoused warno o kanãn
Lapoused ruz, lapoused gwenn
Lapoused glas ha re velen
Lapoused du ne vo biken
Pa wilioudin ‘m bo cheñchet bed
Doue ‘bardono din zorfed.»

8. Ar bloaz-mañ da Santez-Berc’hed
A uzin foll ‘zo bet serret
A uzin foll ‘zo bet serret
Hag an deiz-se erc’h a zo kou’et
Erc’h a zo kou’et fu ‘vel ar plu
Deiz adarre war ar gêr zu
War ar gêr zu deiz adarre
Lapoused c’hoazh war ar menez
Ar bloaz-mañ gouel da Sant-Andrev
Hon eus gwel’t war skourroù ar gwe’
O tiwanañ delioù neve’.

envoyé par Richard Gwenndour - 14/1/2016 - 04:27



Langue: italien

kazhdu
Traduzione integrale italiana di Riccardo Venturi
14/15 gennaio 2016
Troet diwar ar brezhoneg en italianeg gant Richard Gwenndour
14/15 a viz Genver 2016


Copșa Mică. Quartiere di lavoratori costruito negli anni '70.
Copșa Mică. Quartiere di lavoratori costruito negli anni '70.
COPŞA MICĂ

1. Il sole è sorto a Copşa Mică,
il sole è sorto ma la notte è rimasta
nere le foreste, nera la montagna,
neri i giardini, nere le case
neri i corvi, nero il vento
nera la rugiada, nera la bruma,
nero il fiume, nera la terra
nere le nuvole, nera la nebbia
nere le mani, nere le facce
e neri anche i cuori.

2. Nere le donne che vanno al cimitero
sanno bene la strada da fare.
A Copşa Mică è sorto il sole
ma non si sentono gli uccelli,
ai piedi degli alberi giacciono
a centinaia mezzi soffocati,
li raccolgono per terra
come le foglie secche in autunno.
Gli uccelli non si sentono,
ma si sente la campana a morto,
non c'è un giorno che non suoni.
A Copşa Mică, chiunque
sarebbe spezzato anima e cuore.
Quel giorno a Copşa Mică
si videro due donne camminare;
La più giovane piangeva di dolore,
l'altra le domandava:

3. “Povera Caterina, dimmi, [1]
chi viene sotterrato oggi
perché tu pianga così disperata?
Chi viene sotterrato oggi
perché tu vesta così in nero?
Chi viene sotterrato oggi?”
“Mio figlio, ohimè, viene sotterrato,
è morto l'altra notte;
E' al suo funerale che sto andando.”

4. “Smettila, Caterina, non piangere,
non hai fatto tre figli?
Ne hai ancora due che aspettano a casa,
mentre a me, purtroppo, non resta
nessuno per confortarmi.”

5. “Sì, ho partorito tre figli meravigliosi,
la fabbrica me li ha presi tutti.
Il primo è morto
a non ancora trent'anni,
il secondo è a letto malato
che urla di dolore giorno e notte,
e anche lui morirà presto.
Il terzo mi fa preoccupare,
neanche da un mese è in età da lavoro,
e vuole già entrare a lavorare,
e già entrare a lavorare vuole
nella fabbrica di piombo di Copşa Mică
e non posso impedirglielo
perché in questo paese non c'è lavoro.
Mio figlio è morto l'altra notte,
sto andando in chiesa al suo funerale,
mio figlio è morto, gli altri lo seguiranno
e non fra molto io pure li seguirò.”

6. “Non piangere, povera Caterina,
sei rimasta incinta,
stai aspettando un bambino
che ti solleverà dal tormento
stai aspettando una creatura
che ti darà gioia.
Ti obbedirà e sarà bravo,
ti obbedirà e sarà bravo,
non tormentarti più,
più non tormentarti.”

7. “Grazie a Dio sarà una bimba,
ma sia maschio o femmina
quando partorirò sarò lontana,
quando partorirò, avrò cambiato luogo,
sia maschio o sia femmina
avrò cambiato città, avrò cambiato paese
e quando aprirà gli occhi,
quando gli occhi aprirà
splenderà il sole e puro sarà il cielo,
splenderà il sole e puro il cielo
una luce d'oro notte e giorno
e alberi in fiore per tutto l'anno
e alberi in fiore per tutto l'anno
e su di loro gli uccelli a cantare,
uccelli rossi, uccelli bianchi,
uccelli verdi e uccelli gialli,
gli uccelli neri se ne saranno andati.
Quando partorirò, avrò cambiato mondo,
Dio mi perdonerà questo peccato.”

8. Quest'anno per Santa Brigida [2]
quella folle fabbrica è stata chiusa
quella folle fabbrica è stata chiusa
e quel giorno la neve è caduta,
la neve è caduta leggera come piume,
il sole è tornato a sorgere sulla città nera
sulla città nera il sole è tornato a sorgere,
e gli uccelli sono tornati sulla montagna.
Quell'anno, per Sant'Andrea, [3]
abbiamo visto sui rami degli alberi
rispuntare le foglie.
[1] Nella tradizione del gwerz, gli eventuali nomi propri vengono tutti espressi nella loro forma bretone (qui, ad esempio, Katell e il suo diminutivo Katellig) anche se il fatto si svolge in paesi lontani dalla Bretagna.

[2] Così pure, nel gwerz è rispettata la tradizione bretone di esprimere le date con il santo che vi viene venerato. Santa Brigida non è qui la santa svedese, ma l'irlandese Santa Brigida di Kildare, venerata in tutte le terre celtiche. La sua festa è il 1° di febbraio; la Carbosin venne chiusa infatti esattamente il 1° febbraio 1993.

[3] Non deve qui trattarsi del Sant'Andrea canonico, dato che è difficile che le foglie rispuntino il 30 novembre anche a Copșa Mică.

15/1/2016 - 03:00


Caro Riccardo, perchè non glielo scrivi tu il "Gwerz Taranto" direttamente in bretone? Poi proviamo ad inviarglielo: comunque qualsiasi cosa canti quest'uomo con la grazia vocale che gli appartiene, non ha eguali. A proposito di santi,lo sapevi che è tradizione bretone inventarseli: esiste una lunga schiera di santi riconosciuti solamente in Bretagna a cui spesso vengono edificate delle piccole cappelle dove magari una volta all'anno i fedeli cristiani fatalisti si recano in pellegrinaggio per ottenere la soluzione a qualsiasi complicazione, dalla liberazione da una malattia al buon esito del parto di una vacca e perfino una qualche previsione del futuro. C'è un rituale da compiere e poi alla fine ognuno se va verso dove è venuto e l'anno dopo forse ritorna.

Flavio Poltronieri - 15/1/2016 - 17:56


Eh...mi avresti dato un'idea, anche se per l'eventuale "Gwerz Taranto" non farei altro che riprendere alcune parti del Copșa Mică, mi sa. Prima o poi magari ci proverò, anche perché non posso che essere d'accordo con te su Denez Prigent; però prima dovrò passare alla fase in cui non penserò in italiano e tradurrò mentalmente in bretone, ma alla fase in cui penserò direttamente in bretone. Ho tutta una "scaletta" mia nella conoscenza delle lingue, che forse non è "esportabile", per così dire. La cosa dei santi bretoni inventati la sapevo bene, tipo San Gildas (Sant Gweltaz) e altri. E magari, chissà, funzionano pure meglio di quelli canonici! Ma dev'essere una cosa di quelle parti; ad esempio, in una mia vecchia grammatica cornica, lingua molto vicina al bretone, c'è tutta una sezione che insegna a imprecare sui santi locali; sono pagine fantasmagoriche, ti giuro. Saluti!

Riccardo Venturi - 15/1/2016 - 18:55




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