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Víctor Jara / Inti Illimani: Tinku

GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCG
Language: Quechua


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Incisione originale: “El Tinku”
Víctor Jara 1970, “Canto Libre”
Inti Illimani: “Canto de pueblos andinos”, 1973
Original recording: “El Tinku”
Víctor Jara 1970, “Canto Libre”
Inti Illimani: “Canto de pueblos andinos”, 1973

Grabación original:
Víctor Jara 1970, “Canto Libre”
Inti Illimani: “Canto de pueblos andinos”, 1973

Il tinku per le strade di Cochabamba (Bolivia)
Il tinku per le strade di Cochabamba (Bolivia)


a. Che cos'è il Tinku

Il Tinku è una danza tradizionale boliviana. Nelle lingue runasimi (quechua) e aymará, la parola tinku significa “incontro”: si trattava in origine della lotta tra comunità antagoniste, risalente al periodo pre-incaico dopo il collasso dell'impero di Tiwanaku. Si tratta quindi di una danza rituale bellica: la rappresentazione dei duelli tipici di questa regione, effettuati perlopiù come segno di venerazione della dea Pachamama, la “Madre Terra” che, in cambio di doni e abbondanza del raccolto, richiedeva sacrifici di sangue. La danza del Tinku poteva simboleggiare anche la supremazia maschile, oppure la difesa dei propri terreni o della propria donna. Durante tale rito si osservava l'altro sacro rito del Pijchu, ovvero masticare foglie di coca come ringraziamento per Pachamama, che aveva fornito una pianta medicinale tanto utile. Per il Tinku, lo strumento tradizionale è il charango, una specie di piccola chitarra originaria della città di Potosí. I costumi di questa danza sono bordati finemente e simboleggiano piccole caratteristiche della natura (animale, vegetale ed anche simboli delle costellazioni seguendo la cosmologia andina).

b. ”El Tinku” di Víctor Jara e degli Inti Illimani



Nel 1970, anno cruciale per il Cile, Víctor Jara, nell'album “Canto Libre” incide “El Tinku”. Si ignora dove abbia raccolto esattamente questo canto di danza, ma con tutta probabilità lo aveva appreso da un musicista popolare boliviano. Víctor Jara non parlava nemmeno una parola di quechua; in pratica, cantò “a orecchio”, riproducendo i suoni delle parole così come gli erano rimasti impressi. Tre anni dopo, nell'ancor più cruciale 1973, gli Inti-Illimani, nell'album “Canto de pueblos andinos”, inserirono pure il brano secondo il medesimo procedimento, vale a dire ripetendo il testo così come pronunciato da Víctor Jara: è il testo che qui per primo viene riprodotto, al punto 1..

Inizia così una lunga catena di incomprensioni e traduzioni fantasiose, che si è perpetuata fino ai nostri giorni rendendo questo brano una specie di “mistero”. Víctor Jara, nell'album, non dà nessuna spiegazione; gli Inti Illimani si limitano a dire che si tratta di una “canzone d'amore” dove “un indio torna a casa e dice alla moglie che è molto bella” (segno che non ci avevano capito nulla nemmeno loro). Tutti coloro che hanno interpretato il brano da allora si sono attenuti a queste spiegazioni per decenni. Ma abbiamo visto che si tratta di ben altro: una danza rituale organizzata per dirimere con duelli le controversie tra le comunità, duelli che non di rado si trasformavano in lotte con morti e feriti. Nessuna traslitterazione del testo del Tinku era mai stata fatta, né era stato mai trovato un senso accettabile fino alla pagina scritta da Edgardo Civallero e Sara Plaza nel luglio del 2010, nel blog Land of Winds – Sounds, Voices & Echoes from Andean America. Questa pagina si basa pressoché interamente su tale fondamentale articolo.

Che cosa hanno fatto Edgardo Civallero e Sara Plaza? Per prima cosa hanno trascritto quel che cantano a orecchio Víctor Jara e gli Inti Illimani, tentando poi, con la loro conoscenza della lingua quechua, di ricostruire un testo accettabilmente reale e con un senso preciso. E' quello che viene qui riprodotto al punto 2. In pratica, una riscrittura a partire dal testo cantato da alcune persone che non conoscevano minimamente la lingua, né sapevano di che cosa vi si dicesse per davvero. Quel che ne risulta sono tre differenti strofe in scarsa o nulla relazione l'una con l'altra, una sorta di “risotto” che è una caratteristica comunissima in molte canzoni tradizionali andine. Il Civallero e la Plaza avvertono sinceramente che si tratta di un puro tentativo: le strofe sono in condizioni pessime, non esistono attendibili fonti indigene e le indicazioni fornite da Jara e dagli Inti Illimani sono pressoché nulle. L'unica cosa possibile è, quindi, provare a ricostruire qualcosa dal testo così come risulta dalla sua unica attestazione.



c. Breve storia di questa pagina

Una storia breve, ma lunghissima. Anch'essa ha più di quarant'anni: risale a verso il 1975, quando chi scrive ebbe modo di avere l'album “Canto de pueblos andinos” imparandoselo integralmente a memoria nella propria stanza (la minuscola cantina condominiale nota unilateralmente come “Free Bird's Cellar Republic” o FBCR). Chi scrive aveva all'epoca dodici anni. Tra le canzoni mandate a memoria fin da allora, anche il “Tinku” appreso esattamente come Víctor Jara: a orecchio e senza conoscere mezza parola di quechua. Almeno fino al momento in cui, invece, qualche parola di quella lingua è stata appresa; la “voglia” di svelare un po' il mistero del Tinku ci sarebbe stata. Per fortuna ci hanno pensato persone di infinitamente maggiore competenza come Edgardo Civallero e Sara Plaza. Per decenni sono andato, quando mi capitava, cantando questa cosa a tutti i sudamericani che incontrassi dall'aspetto seppur vagamente andino. Due sole volte ho conosciuto persone che parlavano effettivamente il quechua, e mi hanno detto di non capirci assolutamente nulla, pur apprezzando lo sforzo. Tutte le altre volte ho incontrato persone che non conoscevano mezza parola di quechua ma che in alcuni casi mi hanno offerto una birra.

La pagina è ovviamente dedicata a tutt* coloro che, in un modo o nell'altro, sono venuti a contatto con questo canto chiedendosi magari un po' quale origine avesse e di che cosa, seppur vagamente, parlasse. [RV]
1. Traslitterazione del testo così come cantato da Víctor Jara e dagli Inti Illimani
Nota. La “j” deve essere pronunciata come la “jota” castigliana.


Chisi machaykuni, ñañitay [1]
Machaykuyanila.
Chisi machaykuni, ñañitay,
Machaykuyanila.
Machaykuyanila, ñañitay,
Macallahuankita.
Machaykuyanila, ñañitay,
Macallahuankita.

Tsitsitu tsitsitu, ñañitay,
Matutsikisitu.
Tsitsitu tsitsitu, ñañitay,
Matutsikisitu.
Matutsikisitu, ñañitay,
Eso si ajsitu.
Matutsikisitu, ñañitay,
Eso si ajsitu,

Ay, tunitay, tunay, ñañitay,
Tukuyukuy, tunay,
Ay, tunitay, tunay, ñañitay,
Tukuyukuy, tunay.
Tukuyukuy, tunay, ñañitay,
Chaunquetuyay, tunay.
[1] Gli Inti Illimani sembrano piuttosto, all'ascolto, pronunciare “ñeñitay”.

Contributed by Riccardo Venturi - 2016/1/8 - 02:16




Language: Quechua

2. La ricostruzione del testo in quechua autentico.
di Edgardo Civallero e Sara Plaza Moreno
[TINKU]

Ch'isi machaykuni, ñañitay,
Machaykushani-la.
Ch'isi machaykuni, ñañitay,
Machaykushani-la.
Machaykushani-la, ñañitay,
Maqashawankitaq.
Machaykushani-la, ñañitay,
Maqashawankitaq.

Chijchitu, chijchitu, ñañitay,
Mat'uq chikicitu.
Chijchitu, chijchitu, ñañitay,
Mat'uq chikicitu.
Mat'uq chikicitu, ñañitay,
Eso sí, ajsitu.
Mat'uq chikicitu, ñañitay,
Eso sí, ajsitu.

Ay, tunitay, tunay, ñañitay,
Tukuyukuy, tunay.
Ay, tunitay, tunay, ñañitay,
Tukuyukuy, tunay.
Tukuyukuy, tunay, ñañitay,
Chaunquetuyay, tunay.
Tukuyukuy tunay, ñañitay,
Chaunquetuyay, tunay.

Contributed by Riccardo Venturi - 2016/1/8 - 02:32




Language: English

3. Il tentativo di traduzione inglese con le note originali
di Edgardo Civallero e Sara Plaza Moreno
[TINKU]

Tonight I'm gonna get drunk, my little sister,
I am just getting drunk.
Tonight I'm gonna get drunk, my little sister,
I am just getting drunk.
I am just getting drunk, my little sister,
And you are battering me.
I am just getting drunk, my little sister,
And you are battering me. [1]

Smiling, smiling, my little sister,
Impertinent little parrot.
Smiling, smiling, my little sister,
Impertinent little parrot.
Impertinent little parrot, my little sister,
[Incomplete translation]
Impertinent little parrot, my little sister,
[Incomplete translation] [2]

Ah me! My little prickly pear, my tuna, my little sister.
It is the end, my prickly pear.
Ah me! My little prickly pear, my tuna, my little sister,
It is the end, my prickly pear.
It is the end, my prickly pear, my little sister,
[Incomplete translation]
It is the end, my prickly pear, my tuna, my little sister,
[Incomplete translation] [3]
ORIGINAL NOTES

[1] The word “ñañitay” might not necessarily designate a certain person (or family member) throughout the song. In many lyrics, such a term is used to refer to anyone and everyone (as it happens with other words as “viday”, “palomitay”, etc.) Originally, “ñaña” is a term commonly used to designate “a woman's sister”. In hispanized Quechua language (note the Spanish diminutive “-ita”, “ñaña” or “ñañita” is used to speak to/about any woman with whom a man feels confident.
Supposing “-la” be a suffix, it might well be a dialectal variant of “-lla” (solo, solamente) or a mispronunciation of “-raq” (ancora, tuttora). In this case, considering its position after other suffixes, the second option seems more likely.

[2] The Quechua sound “ch” becomes “ts” in several Quechua dialects. This might be the reason for Jara's original pronunciation.
On the one hand, “chijchitu” might well be a hispanized diminutive of “Chijchi”, which is the word for hailstone, but also refers to a person with a distinctive smile. On the other, considering the sentence that follows, it makes sense to think of the word “Chijchi”, an adjective that describes a person either as dirty or as someone that does not deserve your attention.
“Mat'uq chikicitu” means “impertinent little parrot” (a chatter box, a person who talks nonsense without stopping). However, its pronunciation also reminds to “Machu sikicitu” (small old backside) or even to “Mat'i sikicitu”, a phrase meaning “narrow and small backside” that is used in the Andes to refer to a woman with none or little sexual experience. In addition, this verse might be a verbal form close to “mat'uchiyki” (I am part of the reason for you talking nonsense) or “matuchiyki” (I am part of the reason for you making mistakes).
Since it is almost impossible for the last verse to be redone, it might mention the term “Aqsu”, a short poncho worn by Andean women.

[3] The Quechua word “tuna” (prickly pear) may be used as an affectionate form of address when refers to women with “prickly manners” and “sweet heart”, like the fruit. However, “tunay” also means “to go out partying at night” (maybe derived from the Spanish “tuna”, musical group made up of university students. “T'una”, on its part, is used to designate both little things and children.
The translation of the last verse does not make any sense according to Jara's pronunciation. Possible options might be “Cha' auqa puqllay” ([of] this enemies' game), referred to the tinku itself, or a verbal form of “chawkay” (to trick or deceive somebody).

Contributed by Riccardo Venturi - 2016/1/8 - 02:42




Language: Italian (Toscano Livornese)

d. La traduzione in livornese di Riccardo Venturi (8.1.2016)


Due parole del traduttore. Non si poteva, ovviamente, rinunciare alla prima traduzione della storia dal quechua al livornese. L'ultimo verso è una libera interpretazione.
[IR TINKU]

Stasera dé m'imbriào, sorellina,
anzi so' digià briào.
Stasera dé m'imbriào, sorellina,
anzi so' digià briào.
Dé so' digià briào, sorellina,
e te mi sdrài da' picchi.
Dé so' digià briào, sorellina,
e te mi sdrài da' picchi.

Boia 'e sorrisi, sorellina,
tu mi sembri 'na 'oorita.
Boia 'e sorrisi, sorellina,
tu mi sembri 'na 'oorita.
Tu mi sembri 'na 'oorita, sorellina
(e qui sonasega 'evvordì)
Tu mi sembri 'na 'oorita, sorellina,
(e qui risonasega 'evvordì).

Uimmèna, peretta pizzïosa, sorellina,
s'ha a finilla, peretta pizzïosa.
Uimmèna, peretta pizzïosa, sorellina,
s'ha a finilla, peretta pizzïosa.
S'ha a finilla, peretta pizzïosa, sorellina,
(e 'un ci si rïapisce nulla, dé!)
S'ha a finilla, peretta pizzïosa, sorellina
(dé m'hanno bocciato in checiua alle medie).

2016/1/8 - 04:02




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