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Gwerz Gaidig ar Goaz

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Language: Breton


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Testo trovato su Son A Ton – Chansons traditionelles bretonnes, come tratto da "Kanaouennoù Pobl", canzoni bretoni raccolte da tal Alfred Bourgeois nella seconda metà dell’800 ma poi pubblicata solo nel 1959.
Sulla musica di “Jenovefa Rustefan”, canzone presente nel “Barzaz Breiz, chants populaires de la Bretagne”, raccolta curata da Théodore Hersart de La Villemarqué e pubblicata nel 1839.

Giovanni di Jacopo Martorelli (1439-1480): Lebbrosi e storpi alla tomba del Santo a Padova
Giovanni di Jacopo Martorelli (1439-1480): Lebbrosi e storpi alla tomba del Santo a Padova


Una canzone che Alfred Bourgeois (un militare di carriera che si dedicò allo studio delle tradizioni orali dopo la guerra del 1870) raccolse nel 1891 nei pressi di Kernévez, Finistère, dalla voce di un’anziana del posto, la signora Jeanne-Yvonne Oulc'hen, vedova Monchec. L’informatrice sostenne che la storia cantata fosse vera e che gli sfortunati protagonisti fossero i membri di una famiglia abitante a Plouguiel, nel dipartimento bretone delle Côtes-d'Armor…

Quelle tristesse!
Quando tutti i Potenti, da Dio a scendere, si mettono contro i poveracci è davvero uno strazio…

Marguerite Le Goaz ha già la sfortuna di essere povera e di un marito colpito dalla peste (chissà quale delle tante epidemie che flagellarono l’Europa a partire dal XII° sec. e fino al XVIII°). Ma è la donna più bella del paese e su di lei ha messo gli occhi il sénéchal, delegato locale del re o di qualche altro signore…
Marguerite, con tutta probabilità, rifiuta le avances del signorotto che, risentito, la fa condannare per adulterio ad essere bruciata viva…

La figlia della sfortunata, una bimba di soli 7 anni, si offre al porco in cambio della salvezza della madre, ma il crudele sénéchal rifiuta lo scambio…
La bimba chiede almeno che le sia data una nuova camicia per il padre, dato che il povero lebbroso non si cambia d’abiti da anni e nessuno, se non la madre, lo assiste…
Anche questo le viene negato dal maiale…
Nonostante il divieto del padre di avvicinarsi a lui, la bimba lo raggiunge, lo accudisce e gli va a lavare la camicia insanguinata e infetta…
Entrambi poi muoiono di peste, raggiungendo Marguerite in Paradiso.

S. Francesco e il lebbroso.
S. Francesco e il lebbroso.


La canzone è sicuramente antica e potrebbe addirittura risalire al XII°/XIII° sec., quando la Bretagna fu flagellata dalla peste arrivata con i soldati di ritorno dalla Crociate… Oppure è più recente, riferendosi ai frequenti casi di peste che tra 700 e 800 si registravano tra i marinai di ritorno dalle colonie in Oceania, dove le pestilenze – più o meno arginate in Europa - erano ancora diffuse.
I
Mar peus c'hoant de gavet truez
Et dilun da Gastell nevez
Welfet kas deviñ ha leskiñ
Bravañ gwreg yaouank zo enni

Welfet kas deviñ ha leskiñ
Ar vaouez koantañ zo enni
Ur vinorez seizh vloaz ganti (1)
An holl a zo truez outi

Ar vinorez-mañ a lâre
« Aotrou Senechal ma faeron
Losket ma mamm baour alese
Ha me rey en hi flas ennon.

N'eo ket arri c'hoazh ar c'hiz-se
Ma varv an eil 'vit egile
Aotrou Senechal ma faeron
Reit d'am mamm baour remision.

Losket ma mamm baour alese
Ha me rey deoc'h ma oll danvez
Ha me rey deoc'h ma oll danvez
Hag a zo tri c'hant skoed leve

- Ma bugel kaezh mar am c'heret
D'ar gêr bremañ-son a efet
Peogwir a-benn tri deiz amañ
Ho mamm vo distro d'ar gêr-mañ »

Ar bugel paour a lavare
War hi c'hostez 'barzh 'n hi gwele:
« Me garje ve arri an deiz
Arrife ma mamm baour din-me »

II
Ma bugel paour ne ouelet ket
Met ho mamm baour a zo devet
Itron Varia Gwerc'hez, ma mamm
Kriz eo ma c'halon ma ne rann

Maeronez kaezh mar em c'heret
Ur roched din a rofeet
Seizh vloaz zo ma zâd n'eus chañchet
N'en eus chañchet hini ebet (2)

Ar bugel paour a lavare
Ti douar hi dad pa'n arrie
« Ma zadig paour mar em c'heret
Ho tor din e tigorfeet

- Ma bugel kaezh et alese
An avel a dro a gostez
- Trey an a'el tu ma karo
Me a garje be'añ marv

- Ma buget kaezh, din o leret
Perak karfac'h be'añ marvet ?
- Balamour d'am mamm a zo devet
C'hwi ma zad gant al laour gleñved » (3)

An ti douar voe digoret
Roched hi zad he deus chañchet
Bremañ aet ar bugel d'he gannañ
Hi mamm de ga't Santez Anna

Kriz vije ar galon na ouelje
Tal ar stank an neb a vije
O weled ar c'hig hag ar gwad
O koue'añ druz deus hi daouarn

Goude ma he devoe kannet
D'an ti douar ee retornet
Roched gleb d'hi zad deus gwisket
Ha gant Doue voent pardonet

Pae roched gleb d'hi zad gwisket
O-daou diouzhtu a zo marvet
Doue da vo gant o ene
Et int o-daou dirak Doué !
Note di Alfred Bourgeois:

(1) Ur vinorez, mot à mot : « une mineure », a, dans ce dialecte, le sens d'une orpheline qui n'a plus de mère.
(2) On ne trouvait personne pour laver la chemise d'un lépreux.
(3) Al laour gleñved : « la maladie de la lèpre » que l'on désigne aussi par laourez et lorgnez et, en Léon, par lovrez, lovrentez, de lovr, lor, « lépreux ». On trouve à Brest la rue du Poullic al lor, signifiant « le petit lavoir du lépreux ». On désignait aussi les lépreux sous le nom de kakouz, pluriel kakouzien, qu'il faut rapprocher du grec kakos.

Contributed by Bernart Bartleby - 2015/11/5 - 15:11



Language: Italian

Traduzione italiana di Riccardo Venturi
24/25 novembre 2015

gwerz gaidig ar goaz
BALLATA DI MARGUERITE LE GOAZ

I
Se aveste voglia di provar pietà
lunedì a Châteauneuf
vedreste mandare a bruciare al rogo
una bella donna che si trova là.

Vedreste mandare a bruciare al rogo
una graziosa donna che si trova là;
c'è una bimba orfana di sette anni
e tutti hanno pietà di lei.

Quella bambina orfana diceva:
«Signor Siniscalco, mio padrino,
là stanno bruciando la mia povera mamma,
fatelo a me al suo posto.

Non è ancora tardi per tornare indietro,
per morire io al posto dell'altra,
signor Siniscalco, mio padrino,
fate la grazia alla mia povera mamma.

Là viene bruciata la mia povera mamma,
vi darei tutti quanti i miei beni,
vi darei tutti quanti i miei beni
e una rendita di trecento scudi.

- Mia povera bambina, se io avessi voluto
farla tornare adesso qui,
in capo di qua a tre giorni
la tua mamma sarebbe già tornata.»

La povera bambina diceva
chinata su un fianco dentro al suo letto:
«Come vorrei che arrivasse il giorno
che la mia povera mamma tornasse da me.»


II
Mia povera bimba, non piangere
ma la tua povera mamma la stanno bruciando
Santa Maria Vergine, la mia mamma,
è terribile, il cuore mi si spezza.

Mia povera madrina, se vi piace,
mi dareste una camicia da uomo
da sette anni mio padre non se l'è cambiata,
non se l'è mai cambiata.

La povera bambina diceva
quando suo padre arrivava a casa:
«Povero babbo mio, vorresti
aprirmi la porta?»

- Mia povera bimba, vai via di qua,
o il vento ti porterà via...
- Voglio che il vento mi porti via,
Vorrei essere morta.

Mia povera bimba, me lo dici
perché vorresti essere morta?
- Perché la mia mamma la stanno bruciando
e mio padre ha la malattia della lebbra.»

La porta della casa fu aperta
e suo padre si è cambiato la camicia.
Ora la bimba è andata a lavarla
e sua mamma se l'è presa Sant'Anna.

Duro sarebbe stato il cuore che non avesse pianto,
chiunque fosse stato davanti allo stagno
avrebbe visto la carne e il sangue
caderle via giù dalle mani.

Dopo che tutto fu lavato
a casa lei è ritornata.
Ha rimesso al babbo la camicia bagnata
e saranno perdonati da Dio.

Quando ha messo al babbo la camicia bagnata
tutti e due sono morti all'istante.
Dio accolga la loro anima
e tutti e due vadano da Dio!

2015/11/26 - 01:12


Io propenderei per un'origine discretamente antica (forse cinquecentesca) di questo gwerz. Nella ballata non si parla affatto di peste o pestilenze, ma chiaramente di lebbra. Il padre della bambina (e marito della sventurata messa al rogo) è affetto dalla “malattia del lebbroso” (al laour gleñved) e non dalla peste. Le due malattie erano percepite come assai differenti, perché lo erano: la peste era soggetta a epidemie portate da cause scatenanti, la lebbra era invece una malattia “stanziale” nell'occidente europeo. E' pur vero che casi di lebbra di sono avuti in Europa fino in tempi piuttosto recenti, ma la lebbra e il lebbroso appartengono, nella cultura popolare, al Medioevo e ne fanno parte importante (come hanno messo in luce studiosi tipo il Le Goff) dell'immaginario collettivo. A mio parere si tratta di un particolare decisivo: un lebbroso in una composizione popolare è un personaggio che riporta a tempi remoti. Nell'immaginario, dicendola assai in breve, il lebbroso rappresentava la tremenda e sconvolgente drammaticità della vita quotidiana e sociale, mentre la pestilenza era vista come una sorta di punizione collettiva inviata da Dio. La lebbra, inoltre, era per motivi teologici e morali molto spesso considerata una terribile punizione “ad personam” verso chi menava una vita lussuriosa e sessualmente sregolata. Sebbene, come detto, la lebbra non sia affatto scomparsa per lungo tempo dall'Europa, nei componimenti popolari i lebbrosi scompaiono abbastanza presto; difficili trovarli in ballate post-seicentesche e assolutamente mai in quelle settecentesche. Ho quindi tolto la peste anche dall'iconografia di questa pagina: la peste qui non c'entra assolutamente nulla, e il fatto che il marito della bella Marguerite Le Goaz sia un lebbroso potrebbe avere anche una parte nella miseranda fine della donna, quasi si trattasse di una famiglia stigmatizzata per la propria condotta sessuale. In realtà, e lo dico qui un po' da medievalista non propenso a lasciarmi andare a facili interpretazioni emotive, non sono del tutto d'accordo nel vedere in questa ballata una sorta di “Don Rodrigo”, il signorotto locale che si incapriccia della bella donna e, al suo rifiuto, la manda al rogo; piuttosto, una condanna a morte per i cosiddetti “facili costumi” di una donna che, per forza di cose, non poteva certo accostarsi al marito colpito da una terribile malattia contagiosa. E, a dire il vero, non penso neppure che un signorotto, anche il più crudele, sarebbe stato tanto idiota da rischiare di beccarsi la lebbra (che lo avrebbe immediatamente trasformato in un paria, in un reietto sociale da evitare accuratamente). E' da presumere invece che, per campare, la bella Marguerite Le Goaz si fosse ritrovata a esercitare il mestiere più antico del mondo, e con un certo successo se la bambina, nel tentare di salvarla dal rogo, è pronta ad offrire “tutti i suoi beni e una rendita di trecento scudi”. Il Siniscalco, probabilmente, non fa altro che applicare una pur crudele legge, considerando che Marguerite Le Goaz, in quanto moglie di un lebbroso, mette a rischio molte persone.

E' altrettanto chiaro che la ballata, raccolta in tempi abbastanza recenti e da un appassionato un po' dilettantesco, nella sua tradizione deve avere subito un ovvio trattamento “emozionale” incentrandosi più che altro sulla vicenda della bambina che, una volta bruciata la madre, sceglie di morire accanto al padre lavandogli prima l'orrenda camicia infetta (e magari anche con un gesto di sottile vendetta, perché lavare una camicia infettata dalla lebbra ad un lavatoio pubblico, lo stagno, poteva significare infettarne l'acqua ed impedire a tutti che vi si recassero a lavare). Lo stesso fatto che la classica anziana del posto, la signora Jeanne-Yvonne Oulc'hen vedova Monchec, fosse “certa degli avvenimenti” nominando persino una famiglia di Plouguiel, è un segno più che tipico di trasposizione popolare, un procedimento che è trasmigrato oggi nella formazione delle leggende metropolitane -tutti hanno sentito della povera famiglia di Plouguiel come oggi tutti sentono degli amanti incastrati, della vedova nera nel tronchetto della felicità o della coca-cola che scioglie le monetine. Tutto viene quindi molto facilmente riportato alla prepotenza del potere, alla contrapposizione ricco-povero (anche se, ripeto, nella ballata la bambina appare tutt'altro che povera), alla crudeltà. E' però assai probabile che le primitive motivazioni della ballata fossero molto diverse e pienamente calate nella realtà del suo tempo lontano.

Qui si inserisce un'ultima ma importante parola sui kakouz o kakouzien nominati da Alfred Bourgeois a proposito dei lebbrosi. Bourgeois fornisce per questo termine una suggestiva ma facile “etimologia popolare” mettendo in relazione il termine con il greco κακός. Si tratta invece, senza dubbio, del nome dei Cagots. Riporto qui dal buon articolo Wikipedia:

“I Cagots costituivano, nei territori a cavallo del confine franco-spagnolo, una parte della popolazione segregata per motivi ancor oggi abbastanza misteriosi. Rappresentarono un fenomeno atipico e particolarmente singolare. Nel corso dei secoli sono stati vittime di una sorta di razzismo popolare, fortemente radicato a livello locale, in genere condannato sia da parte del clero - perché i- cagots erano cristiani - sia da parte dell'aristocrazia che aveva un suo buon motivo per condannare gli eccessi dei paesani su cui gravavano corvè e imposte da cui i cagots erano esentati, essendo dei paria messi al bando della società. La loro sorte infatti può essere paragonata solo con quella degli intoccabili dell'India. Il fenomeno dei Cagots riguarda soprattutto il sud-ovest della Francia (Guascogna, Paesi Baschi, valli pirenaiche) e il nord della Spagna (Navarra, Aragona). A seconda dei luoghi e dell'epoca i Cagots furono chiamati anche Chrestians o Crestias (prima del XVI secolo), Gézitans (a partire dal XVI secolo), Gahets (Bordeaux, Agenais, Landes de Gascogne), Agots (Paesi Baschi), Capots (Armagnac). […]

Dei cagots aquitani in una stampa popolare.
Dei cagots aquitani in una stampa popolare.


I Cagots sono dei paria che nel Medioevo erano diffusi su entrambi i lati dei Pirenei e che la superstizione popolare vedeva come oggetto di disprezzo e orrore. Un altro nome loro riservato era «Crestias», «Chrestia» o «Christianus», sinonimo in bearnese di «lebbroso», che compare nei testi verso l'anno 1300. Nel Medioevo la lebbra indica svariate malattie: la lebbra rossa, quasi sempre mortale; la lebbra bianca o lebbra tubercolare che presenta sintomi simili ma può essere stabilizzata. Tutte queste malattie ispirano la paura del contagio e sono tenute isolate fuori dei villaggi. […] Oltre ai nomi già citati, sono usati anche Gafets o Gaffets, Agotas, e nella Contea di Bigorre Graouès o Cascarrots. A Bordeaux sono numerosi e si chiamano Ladres o Gahetz. Si trovano loro tracce anche nell'Anjou con il nome di Capots o Gens des Marais, e in Bretagna con i nomi di Caqueux, Caquins o Caquous. Secondo una ipotesi, il termine di cagot potrebbe anche derivare da «cans goth» : i « cani di Ghoth » nel VI secolo. Si è creduto che fossero ciò che resta degli antichi Visigoti, che dominarono a lungo l'Aquitania: da ciò sarebbe disceso il nome ingiuroso di Cagots (caas goths, chiens goths), che sarebbe stato loro attribuito dai vinti. Peraltro, il termine di cagot è comparso verso il 1550, il che rende questa ultima ipotesi ben poco credibile. Il nome presenta anche una analogia con la parola greca «cacos» che significa «cattivo», simile alla parola bretone « caqueux » dello stesso significato, ma verosimilmente e più semplicemente dal tardo latino «cagare». L'etimologia resta dunque molto incerta.”

Stando così le cose, questa ballata potrebbe quindi proprio situarsi nell'ambiente dei “Cagots” cinquecenteschi e raccontarne una vicenda emblematica: quella di un gruppo sociale tenuto segregato e denominato probabilmente con l'infamante appellativo di "merdosi". Ritengo che ci siano molti punti che riportino la ballata proprio a questo (in primis la lebbra; ma anche lo stesso nome della protagonista è la forma "mutata", secondo la grammatica bretone, di koaz che potrebbe essere una forma dialettale di kakouz; quindi ar Goaz = la kakouz). Una sorta di "zingari europei" che, lentissimamente, giunsero però ad integrarsi verso il XIX secolo.

Riccardo Venturi - 2015/11/26 - 02:34




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